La Nuova Sardegna
"Se torniamo in Bosnia ci uccideranno"
Preoccupazione tra le cinquanta famiglie che vivono in Riviera. Le prime
arrivarono 35 anni fa, ora temono lo sgombero: "Berlusconi non può condannarci a
morte" di Nadia Cossu
ALGHERO. Porta di corsa il giornale al marito: "Vedi? C'è scritto che
Berlusconi è d'accordo con Sarkozy". I rom di Alghero hanno paura. Anzi: sono
terrorizzati. "Se ci rimanderanno in Bosnia verremo ammazzati dai nostri stessi
conterranei". Lo smantellamento dei campi irregolari annunciato dal governo
francese preoccupa molto Jadranca e i suoi figli. Si sono già riuniti, hanno
parlato tutti assieme, ieri, non appena in tv hanno sentito la notizia.
"Viviamo qui ad Alghero da 35 anni, siamo cittadini italiani e se anche noi,
come i francesi, venissimo rimpatriati sarebbe una condanna a morte". Jadranca
Sulemanovic, 45 anni, e suo figlio Davide, di 27, lo dicono chiaramente: "In
Bosnia Erzegovina c'è molto razzismo, saremmo considerati come quelli che
tornano dopo esser fuggiti quando il paese era in guerra. Ci farebbero fuori".
Ecco perché, comprensibilmente, l'angoscia cresce. Temono che il presidente
Berlusconi si allinei alla politica del collega dell'Eliseo. E che il giro di
vite contro rom e nomadi avviato in Francia, prima o poi arrivi anche in Italia.
"Sarebbe un'assurdità, non possono farci questo. Ci tratterebbero come
profughi".
Cinquanta famiglie, moltissimi bambini nel campo dell'Arenosu, a pochi
chilometri da Fertilia. La diffidenza iniziale verso chi entra nel campo e si
avvicina alle loro case svanisce quasi subito: "I nostri figli parlano italiano,
non sanno una parola di slavo. Abbiamo la pediatra qui ad Alghero che segue i
bambini da sempre, qualcuno ci aiuta tanto, altri ci considerano ladri e ci
tengono a distanza ma tutto sommato stiamo bene qui". Davide ha avuto il quarto
figlio tre giorni fa e il suo desiderio in questo momento è uno soltanto: "Trovare un lavoro". Si è rivolto al Comune ma per il momento è disoccupato.
Ormai la Riviera del Corallo è casa loro e non vogliono andare via. "Quando
arrivammo qui ad Alghero 35 anni fa - racconta Jadranca - eravamo tre famiglie,
poi siamo cresciuti giorno dopo giorno e oggi in questo campo siamo una
cinquantina di nuclei".
Lei, 45 anni, è fiera quando sottolinea: "I miei figli sono nati in Italia e
sono italiani". Nove in tutto, distribuiti tra Cagliari, Olbia e Alghero.
L'attaccamento alla Sardegna è forte e la sola idea di dover fare i bagagli su
decisione del governo nazionale fa venir loro i brividi. "Mi può leggere a voce
alta l'articolo del giornale?" chiede a un certo punto preoccupata la donna. Ha
problemi di vista e tanta voglia di sapere. Quel passaggio in cui c'è scritto
che il premier Silvio Berlusconi si è schierato con i francesi dicendo che
l'Europa deve occuparsi subito della "questione rom", cattura l'attenzione.
Porta il giornale al marito, seduto su una sedia, un po' defilato rispetto al
resto della famiglia. Perché anche lui legga e si renda conto che le
preoccupazioni delle donne non sono campate in aria. "È vero che ci sono molti
nomadi che rubano, delinquenti. Ma non siamo tutti così e non è giusto che
mandino via anche le persone oneste e ben integrate".
I piccoli vanno tutti a scuola o all'asilo. Una delle bambine gira per il campo
con lo zainetto sulle spalle. "Non se lo toglie mai", dice la mamma con il
sorriso. Alla sua età altri bambini stringerebbero tra le braccia le bambole.
Lei no: ad accompagnarla nelle corse tra le macchine e le casupole del campo è
solo una borsa con le penne e i quaderni dentro. "Oggi era il suo primo giorno
di scuola e da stamattina non ha lasciato lo zainetto un solo istante".
Cosa direbbero al presidente Berlusconi? C'è un po' di pudore nel rispondere. Ai
rom il premier sta simpatico. "Speriamo solo che non faccia come Sarkozy -
azzarda alla fine Davide - Per noi sarebbe la rovina tornare in Bosnia". Poi non
manca l'appello al comune di Alghero: "Quando ci daranno una nuova area? Avevano
promesso uno spazio più decente e invece ci troviamo ancora in questa
situazione". Di inaccettabile degrado.
(18 settembre 2010)