IL
PAESE DELLE DONNE online
di Angelica Bertellini, Eva Rizzin
Edizione speciale della Newsletter di Articolo 3 Osservatorio contro le
discriminazioni di Mantova
Da tempo pensavamo al viaggio ad Auschwitz. Le occasioni sono state molte, ma
non lo abbiamo mai fatto, ognuna di noi per i propri motivi; infine entrambe
abbiamo deciso di partire: il momento era arrivato.
Non abbiamo mai parlato tra noi delle ragioni più profonde che ci hanno
spinte ad andare, come del resto di quelle che ci avevano trattenute dal farlo
in passato, se non per la parte che riguarda la nostra professione, come
consulenti di Articolo 3, l’Osservatorio sulle discriminazioni nato a
Mantova proprio al Tavolo permanente per le celebrazioni del 27 gennaio.
Siamo arrivate ad Auschwitz il primo maggio, con una trentina di altre
persone e il presidente della Comunità ebraica di Mantova e
dell’Osservatorio, Fabio Norsa. Siamo arrivate con l’esperienza del
nostro lavoro – il contrasto alle discriminazioni –, con il nostro passato, ma
soprattutto con quella parte della nostra identità che ci fa appartenere
a minoranze colpite dal nazifascismo.
All’ingresso del campo ci aspettava una guida, a lei abbiamo chiesto di
anticiparci le tappe della visita e, con grande dispiacere, abbiamo appreso che
le aree dedicate al ricordo del Porrajmos o Baro Merape – il
genocidio delle persone sinte e rom – non erano (e non sono)
comprese. Alcune persone hanno mostrato insofferenza: “Guardiamo le cose
principali, non c’è tempo”. La guida non sapeva che fare, noi insistevamo;
“Dovete andare là” e ha indicato un punto che a noi pareva perso nel vuoto, il
campo è grande. Abbiamo iniziato il percorso guidato e dopo un po’ ci è arrivata
una traccia: “Ecco, quelle che cercavano gli ‘zingari’ possono andare al blocco
13, laggiù”.
Anche qui la minoranza sinta e rom resta a margine. Eppure sappiamo che
proprio ad Auschwitz esisteva lo Zigeunerlager, un complesso di baracche
destinate alle famiglie rom e sinte sterminate il 2 agosto 1944. La
liquidazione del lager era stata programmata per il maggio di quell’anno, ma
uno straordinario episodio di resistenza, da parte delle mamme
e dei papà sinti e rom, riuscì – forse per la sua imprevedibilità – a bloccare,
purtroppo solo momentaneamente, il proposito. Queste persone raccolsero le
ultime forze per resistere alle SS, si lanciarono a mani nude o con piccoli
oggetti contro di loro per salvare i bambini: «Abbiamo molte testimonianze anche
di ebrei italiani, che hanno assistito sia allo scoppio della rivolta, sia alla
liquidazione del 2 agosto. Tutti ricordano questi fatti come i più tristi e
tragici [...] perché la presenza dei bambini sinti e rom dava vita all’intero
campo e dopo il 2 agosto non c’era davvero più vita» 1. [1]
Presso il blocco 13 di Auschwitz 1 è stata aperta al pubblico
un’esposizione permanente sul genocidio dei Sinti e Rom. Il progetto è stato
ideato e realizzato sotto la supervisione del Centro culturale e di
documentazione sinti e rom di Germania in collaborazione con il Memoriale di
Auschwitz, l’associazione dei Rom di Polonia e altre organizzazioni rom di vari
paesi. A vederla eravamo in sei, mentre centinaia di persone percorrevano le
stradine in mezzo agli altri blocchi, in silenzio, ognuno con le cuffie
sintonizzate per sentire nella propria lingua spiegazioni e descrizioni: un
aiuto tecnologico che evita di ammassarsi intorno alla guida, di farla parlare
ad alta voce, e permette un ordinato flusso di persone dentro e fuori dai
blocchi. Noi ci siamo dovute staccare dal nostro gruppo, rinunciare a parte
della visita guidata, percorrere le stradine controcorrente, per poterci recare
al blocco 13. Ci hanno seguite Fabio Norsa e Cesare, il compagno di Eva.
Rabbia, angoscia e tristezza: anche lì escluse, esclusi, quasi fosse un
genocidio di secondaria importanza. Nessun altro si è unito, nessuno ha
sentito il bisogno (e il dovere) di includere il blocco 13 nel suo viaggio della
Memoria, come se non lo riguardasse, come se sinti e rom non fossero stati
perseguitati e sterminati per ragioni razziali (a qualche guida sfugge ancora un
“asociali...”).
Questo è un gradino della storia che il nostro Paese ha saltato:
non si può comprendere l’attuale situazione di emarginazione, esclusione e
discriminazione subìta dalle minoranze rom e sinta in Italia se non si comprende
quello che è avvenuto nei secoli più bui, se non si scoprono le radici dell’antiziganismo.
Il genocidio dei sinti e dei rom fa parte della storia di Italia e d’Europa,
tutti abbiamo il dovere di ricordare, perché è la storia di tutti.
Stefano Levi Della Torre lo scorso gennaio, a Mantova, ci diceva a
proposito di un grande scritto di Primo Levi: «La tregua è invece un esplicito
avvertimento per il futuro. La fine dell’orrore più grande è solo una tregua.
Ciò che è stato introdotto irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono,
proprio perché è stato potrà più facilmente prodursi di nuovo». Per i rom e per
i sinti la tregua non c’è mai stata.
Il 10 luglio 2008 il Parlamento europeo ha emanato la
risoluzione sul “censimento dei rom su base etnica in Italia”, che esortava le
autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte
digitali, in quanto atto di discriminazione diretta su base razziale. Il
censimento, però, era nel frattempo già iniziato e con una schedatura contenente
etnia e credo religioso (newsletter n°4 e Rapporto 2008, p.40). Solo
successivamente è stato bloccato.
Centinaia sono gli sgomberi senza soluzione alternativa avvenuti nella sola
città di Milano, modalità in netto contrasto con la normativa internazionale
(vedi newsletter di Articolo3 n°7/2010). Dal 2008 le regioni Lombardia,
Campania, Lazio, Piemonte e Veneto sono state dichiarate ufficialmente in “stato
d’emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi”. In molte
città italiane alcuni dei cosiddetti ‘campi nomadi’ autorizzati
istituzionalmente sono recintati, video sorvegliati 24h, presidiati da punti di
controllo di entrate e uscite. La vita delle persone rom e sinte è regolamentata
da vere e proprie leggi speciali, i “patti di legalità”. Non sono mancati casi
di cittadini italiani sinti che hanno subìto censimenti etnici nelle proprie
case, costruite su terreni privati (newsletter n°69).
Siamo tornate da Auschwitz con la sensazione profonda di una memoria
mutilata. [n.d.r. v. i Cenni storici di Eva Rizzin
che riportiamo in nota] [2]
La notizia che ci ha accolte al rientro in Italia e al lavoro è stata quella
di un modulo con intestazione di Trenitalia, gruppo Ferrovie
dello Stato, Direzione regionale Lazio, ad uso del personale per rilevare la
frequentazione di una fermata (Salone – Roma), che contiene una nota:
“nella sezione destra della casella indicare anche eventuali viaggiatori di
etnia ROM”. Le Ferrovie hanno inizialmente dichiarato di non averlo mai
utilizzato, come se questo ne cancellasse l’esistenza, e dopo pochi giorni la
direzione ha ammesso l’utilizzo, ma non la responsabilità: sarebbero stati
alcuni non meglio specificati funzionari ad aver preso l’iniziativa; non viene
detto né chi e neppure perché. Treni, binari, schede, etnia... Dentro di noi si
associa, violentemente, l’immagine del binario di Birkenau visto pochi giorni
fa: è così vicino a quel pezzo di terra, la zona B2, su cui rimane solo qualche
camino, dove sorgevano le baracche di legno dello Zigeunerlager.
Questa memoria parziale corrisponde ad una ingiustizia totale, i cui malefici
frutti siamo costretti a cogliere oggi, senza tregua. L’Italia deve fare
i conti con il proprio passato e le istituzioni – politiche e culturali
– devono dare pieno riconoscimento a tutte le persone colpite dal programma di
persecuzione e sterminio nazi-fascista. Nessuno, mai più, deve sentirsi in alcun
modo legittimato a schedare, contare, colpire un’altra persona sulla base della
sua appartenenza.
E nessuno dovrebbe sentirsi libero di ignorare queste vessazioni, ma questo è
un conto che ognuno deve fare con se stesso.
Angelica Bertellini - Laureata in filosofia del diritto
all’Università di Bologna con uno studio sul processo di Norimberga.
Eva Rizzin - Ha conseguito un dottorato di ricerca in
geopolitica all’Università di Trieste sul fenomeno dell’antiziganismo
nell’Europa allargata.
Note
[1]
1. Marcello Pezzetti, docente università di studi sulla
Shoah dello Yad Vashem, in A forza di essere Vento, dvd
documentario curato da Paolo Finzi, A edizioni..
[2]
CENNI STORICI SUL GENOCIDIO DEI ROM E DEI SINTI
Furono più di 500.000 le persone rom e sinte vittime
dello sterminio pianificato e commesso dal nazi-fascismo.
Questa è una storia spesso dimenticata e per lungo tempo
narrata con omissioni o imprecisioni. I sinti e i rom furono
perseguitati su base razziale: molti di loro furono
classificati come ‘asociali’ (era il triangolo nero quello
che nei lager contrassegnava le persone che, nella teoria
nazista, venivano definite tali), ma in realtà, come scrive
Giovanna Boursier, “furono perseguitati, imprigionati,
seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici,
gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché
“zingari”, e secondo l’ideologia nazista, razza inferiore,
indegna d’esistere” [Boursier 1995]. Il triangolo di colore
marrone identificava questa “razza”. In Italia solo di
recente, grazie agli studi di storici come Boursier e Luca
Bravi, è stata intrapresa una rigorosa ricerca su questa
tragedia, per troppo tempo taciuta.
La cosiddetta asocialità venne attribuita alla popolazione
rom e sinta sulla base di presunti studi nazisti, che la
volevano connessa al ‘gene dell’istinto al nomadismo’, il
Wandertrieb, e molti scienziati – tra i quali ricordiamo
Robert Ritter (psichiatra infantile), la sua assistente Eva
Justin e, non da ultimo, il famigerato dottor Mengele, che
aveva il suo studio proprio accanto allo Zigeunerlager così
da accedere agevolmente ai bambini per i suoi esperimenti –
si impegnarono in attente ricerche volte a dimostrare questa
ributtante teoria. «La presenza di questo gene nel sangue è
la dimostrazione che questi zingari sono esseri
irrecuperabili», sostenne Eva Justin nella sua tesi di
laurea, e da questo assunto prese l’avvio la seconda parte
del ‘programma’, ossia la distinzione e separazione tra
‘puri’ ed ‘impuri’. I ‘puri’, il 10% circa, erano quelli da
salvaguardare perché vivendo ancora allo ‘stadio primitivo’
– come sostenevano i nazisti – rappresentavano un patrimonio
antropologico da preservare. I mischlinge, i misti,
risultarono invece essere gli elementi più pericolosi, non
solo perché portatori di un’ulteriore anomalia – e quindi
un’imperfezione – ma anche perché, ritenendoli meno facili
da individuare, rappresentavano un rischio maggiore di
contaminazione. I nazisti presero così la decisione di
eliminarli, una decisione dettata da motivazioni
esclusivamente razziali.
Talvolta penso che se avessi avuto la sfortuna di nascere
in quell’epoca le mie sorti, forse, sarebbero state fra le
peggiori, visto che anche io sono una ‘meticcia’.
Dopo lo sterminio dei rom e dei sinti, il dottor Robert
Ritter, che fu a capo delle ricerche scientifiche che
portarono allo sterminio tornò indisturbato ad esercitare la
sua professione come psichiatra infantile. Fu anche lodato
dal nuovo governo tedesco per la sua profonda conoscenza in
fatto di rom e sinti. Eva Justin, assistente di Robert
Ritter, fu processata ed assolta.
Una sola guardia semplice di Auschwitz è stata condannata
per crimini contro i sinti e i rom.
Il riconoscimento dello status di vittime della persecuzione
nazi-fascista e la conseguente possibilità di ottenere i
risarcimenti previsti sono state per lungo tempo ostacolati,
quando non impediti. Il governo tedesco riconobbe soltanto
nel 1980 che i rom e i sinti avevano subìto una persecuzione
su base razziale.
La persecuzione fascista
I campi di concentramento non furono solamente un
fenomeno nazista, ma anche fascista italiano, su questo
penso sia importante riflettere.
Il nostro paese, l’Italia, assieme alla Germania nazista si
rese responsabile della concentrazione, deportazione e
sterminio di centinaia di migliaia di rom e sinti.
Non molti sanno che anche in Italia c’erano i campi di
internamento dove i sinti e i rom furono imprigionati e che
erano più di 50 (Agnone, Arbe, Boiano, Cosenza,
Perdasdefogu, Frignano, Tossicia, Le Isole Tremiti,
Vinchiatauro) .
Anche nella mia regione, il Friuli, c’è ne erano due: a
Gonars e a Visco, in provincia di Udine. I campi rientravano
in un’operazione pensata scientificamente, definita in ogni
dettaglio organizzativo, di pulizia etnica nella ex
Jugoslavia e di italianizzazione dell’area oggi compresa tra
Slovenia e Croazia, autorizzata personalmente da Mussolini
durante un incontro appositamente organizzato a Gorizia nel
1941. Il campo di concentramento e di sterminio di Gonars
era stato pensato inizialmente per i militari russi, ma alla
fine vi trovarono la morte anche civili sloveni tra i quali
anche molti rom e sinti – principalmente dell’area di
Lubiana – e croati [Kersevan, 2003].
Noi non ne parliamo
Molti appartenenti alla mia famiglia durante l’epoca
nazi-fascista furono perseguitati e costretti ad emigrare.
Durante la stesura della mia tesi di laurea, una tesi
inerente alla cultura della mia comunità, pensai di scrivere
un capitolo sul genocidio, cercando di raccogliere alcune
testimonianze di familiari che subirono il dramma delle
persecuzione, come la zia che avevo deciso di intervistare.
Quell’intervista non si realizzò mai: parlare dei morti non
era buona cosa, mi rispose che dei morti bisogna avere
rispetto e che quindi non si poteva e non si doveva
parlarne.
Mi trovai a vivere un forte conflitto: da una parte c’era
l’esigenza di ricordare, di raccogliere le testimonianze, di
scrivere quelle pagine vergognose della nostra storia;
dall’altra dovevo rispettare la mia cultura, ricordare il
genocidio avrebbe significato anche affrontare il delicato
tema della morte, una realtà considerata sacra all’interno
della mia comunità, aspetto di fronte al quale bisogna
mostrare il più autentico e doveroso riguardo, un rispetto
che si concretizza con il silenzio.
Il rispetto dei morti per noi sinti è uno degli aspetti
fondamentali della nostra credenza religiosa e visto che il
momento della morte rappresenta una situazione molto
delicata, molte volte si preferisce non parlarne.
Ci tengo a sottolineare che questa è stata l’esperienza
della mia comunità: non vale quindi per tutti i sinti e rom,
molti sono quelli che oggi hanno deciso di raccontare.
Spesso il termine Porrajmos, traducibile come ‘divoramento’,
viene utilizzato per indicare la persecuzione e lo sterminio
dei rom e dei sinti, molti però sono i sinti che non si
riconoscono in questo termine, tant’è che parecchi ne
ignorano il significato e quando parlano del genocidio
utilizzano il termine Baro Merape che il lingua
ròmanes/sinto significa grande morte, sterminio.
Il genocidio dei sinti e dei rom meriterebbe un pieno
riconoscimento commisurato alla gravità dei crimini
commessi. E’ vergognoso, ad esempio, che nell’ex campo di
internamento di Lety u Pisku (Boemia del sud, attuale
repubblica Ceca) – dove i rom e i sinti subirono torture
feroci identiche ai lager tedeschi – sia stata costruita
un’azienda di allevamento suino, anziché un degno memoriale.
Nella risoluzione del 27 gennaio 2005 emanata dal Parlamento
Europeo si invitano la Commissione Europea e le autorità
competenti ad adottare tutte le misure necessarie per
rimuovere tale azienda. Una risoluzione questa che condanna
le opinioni revisioniste e la negazione del genocidio come
vergognose e contrarie alla verità storica ed esprime
preoccupazione per l’aumento di partiti estremisti e
xenofobi e la crescente accettazione delle loro opinioni da
parte dei cittadini.
I recenti fatti nazionali dimostrano che il sentimento
anti-rom, e i numerosi pregiudizi razziali che stanno
investendo massicciamente l’Italia, rappresentano una
gravissima minaccia non solo per i sinti e per i rom, ma
anche per i valori europei e internazionali della
democrazia, dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto e
pertanto per la sicurezza di tutti in Europa.
Per l’Unione Europea il 2007 e il 2008 dovevano essere
rispettivamente l’anno delle pari opportunità e del dialogo
interculturale, dovevano essere anni fondamentali per
promuovere la percezione della diversità come fonte di
vitalità socioeconomica, una grande occasione per cambiare
la percezione generale che si ha delle comunità rom e sinte.
Questi anni verranno invece ricordati dai sinti e i rom come
gli anni in cui l’insofferenza diffusa, la violenza e
l’intolleranza contro il diverso, l’immigrato, lo ‘zingaro’
hanno assunto i connotati espliciti della xenofobia e del
razzismo. Per noi rimarranno gli anni delle schedature,
degli sgomberi, dei commissari speciali e delle impronte
digitali. La marginalizzazione dei rom e dei sinti ha
attraversato i secoli, dalle violente persecuzioni di ieri
alla ghettizzazione imperante di oggi, passando per lo
sterminio, dimenticato, della seconda guerra mondiale. La
nostra cultura è riuscita a sopravvivere a secoli di
persecuzioni. Io non mi stanco di credere nella possibilità
di una società che rispetti le differenze, che le tuteli le
minoranze come patrimonio fondante di tutti e di tutte.
La memoria del genocidio dei rom e sinti è essenziale in
questo processo di presa di coscienza sociale, poiché fa
parte della storia comune.
Non suoni questo superfluo o retorico, in quanto la
rimozione della memoria e il revisionismo sono spesso il
primo passo verso nuove catastrofi.
Eva Rizzin
Bibliografia minima:
Boursier G., Lo sterminio degli zingari
durante la seconda guerra mondiale, in Studi storici n.2,
Roma, 1995
Boursier G., Gli zingari nell’Italia
fascista, in Italia Romaní, vol.1, a c. d. L. Piasere, Roma,
1996
Boursier G., La persecuzione degli zingari
nell’Italia fascista, in Studi storici, n.4, Roma, 1996
Boursier G., Zingari internati durante il
fascismo, in Italia Romaní, vol.2, a c. d. L. Piasere, Roma,
1999
Boursier G., Rom e sinti sotto nazismo e
fascismo, in Rivista anarchica, n°319, a 36, 2006
Bravi L., Altre tracce sul sentiero per
Auschwitz, Roma, 2002
Bravi L.,Rom e non-zingari. Vicende
storiche e pratiche rieducative sotto il regime
fascista,Roma, 2007
Bravi L., Tra inclusione ed esclusione. Una
storia sociale dell’educazione dei rom e dei sinti in
Italia, Milano, 2009
Kersevan A, Un campo di concentramento
fascista. Gonars 1942 – 1943, Udine, 2003
Williams P., Noi non ne parliamo. I vivi e
i morti tra i Manuš, Roma, 2003 _ Porrajmos. Altre tracce
sul sentiero per Auschwitz, mostra documentale curata
dall’Istituto di cultura sinta, scaricabile all’indirizzo
www.nevodrom.it
A forza di essere Vento, dvd documentario curato da
Paolo Finzi, A edizioni
Sul web: Porrajmos La persecuzione e lo sterminio
nazifascista dei Rom e dei Sinti, audio documentario
prodotto da Opera Nomadi e Radioparole, (2004):
http://www.radioparole.it/porrajmos...
University of Minnesota Driven to discover, a c. d. Ian
F. Hancock:
http://www.chgs.umn.edu/histories/v...