TerraNews.it a cura di Giuliano Rosciarelli
INTERVISTA. E’il vanto di una famiglia rom sfuggita dalla Bosnia. E dai campi
nomadi di Roma e Milano. Romina ora ha un sogno: «Aiutare chi è più sfortunato».
Attrice, volontaria per Save the children, Romina ha 17 anni, è nata in Italia e
i suoi genitori sono romnì xoraxanè, rom di origine bosniaca. Insieme ai suoi
otto fratelli è una delle cosiddette migranti di seconda generazione: figli di
immigrati, nati e cresciuti nel nostro Paese ma visti “dagli altri” pur sempre
stranieri. Frequenta il quarto anno di un istituto professionale per assistenti
sociali, il suo sogno è aiutare chi è stato meno fortunato di lei.
Ti sei mai sentita straniera a casa tua?
A volte. Negli occhi di chi mi fissa mentre passeggio con le mie amiche, nel
rigore di una burocrazia che non mi riconosce italiana, nei media che alimentano
stupidi stereotipi. Io sono comunque fortunata. I miei genitori non si sono mai
rassegnati a vivere nei campi e questo mi permesso di integrarmi con più
facilità. Mi sento a tutti gli effetti italiana perché sono nata e cresciuta
qui, vesto e parlo come le mie coetanee ma sono anche rom perché lì affondano le
mie radici, la mia cultura. Per chi è nato qui, come me, parlare di integrazione
non ha senso.
Perché la tua famiglia è venuta in Italia?
I miei nonni erano bosniaci e sono arrivati a Milano tanti anni fa per
scappare dalla guerra. Non c’era lavoro. I rom poi erano perseguitati da tutti.
Bisognava scappare per sopravvivere. Mia madre aveva dieci anni quando sono
arrivati. Venti li ha vissuti nei campi, prima a Milano poi a Roma (vicolo
Savini). Ma non le è mai piaciuto stare lì. Voleva lavorare, farsi una vita e
migliorare la propria condizione. Prima ha fatto l’insegnante di danza del
ventre, poi è diventata imprenditrice, insieme a mio padre.
A scuola hai mai avuto problemi?
Non direi. Da piccola soffrivo per alcune cose che non capivo. A Natale, ad
esempio, tutti i miei compagni parlavano dei regali ricevuti, noi però siamo
musulmani e quindi pensavo che a casa mia Babbo Natale non arrivasse. Ora tante
cose mi sono più chiare. Ma non tutti i rom la vivono in questo modo.
Cosa pensi dell’Italia?
E’ un Paese dove si vive tutto sommato bene. Ma c’è anche tanta ignoranza e
superficialità. Ad esempio quando vado in giro con i miei compagni di classe
italiani nessuno si accorge di me. Se invece esco con le mie amiche rom tutti mi
guardano. Questa rimane comunque casa mia.
C’è qualcosa che rimproveri alla tua comunità?
La rassegnazione. Se vogliono qualcosa di meglio per la propria vita devono
lottare, non rassegnarsi e stare seduti ad aspettare, anche se l’emarginazione e
l’intolleranza molto spesso rappresentano degli ostacoli insormontabili.
Quando e come hai cominciato a fare cinema?
Al primo ruolo avevo otto anni. Mio zio lavorava a Cinecittà e conosceva un
regista al quale procurava i personaggi. Dopo alcuni cortometraggi tra cui uno
con Sergio Rubini è arrivato il film con Valeria Golino Prendimi e portami
via, e la serie Ispettore Coliandro. Ora però mi sono dovuta fermare
perché mia madre vuole che studi e non posso perdere l’anno. Se ne riparla dopo
il diploma. Il mio sogno però è aiutare chi è stato meno fortunato di me.