Mi scuso per il ritardo della segnalazione, il concerto è
stasera alle 20.00
Porrajmos nel linguaggio Rom significa “divoramento” e indica la persecuzione e
lo sterminio che il Terzo Reich attuò durante la Seconda Guerra Mondiale
uccidendo oltre 500 mila esseri umani. Nel 1936, alla vigilia dei giochi
olimpici di Berlino, Hitler decide che la città deve essere ripulita. La
politica razzista dei nazisti porta alla costruzione di un campo di
concentramento a Marzahn, dove vengono internati centinaia di Rom e Sinti.
La persecuzione di Rom e Sinti è l’unica, unitamente a quella ebraica, a
essere dettata da motivazioni pseudo-razziali, ma la tragedia delle popolazioni
sinte e rom non si conclude con la fine della Guerra: la Repubblica Federale
Tedesca infatti, riconoscerà la loro persecuzione molto tempo dopo, concedendo i
risarcimenti con grandissimo ritardo.
Francesco Lotoro ha cercato di ricostruire un importante tassello della
letteratura concentrazionaria aggiungendo all’opera da lui curata,
l’Enciclopedia discografica KZ Musik pubblicata dalla Musikstrasse di Roma
giunta al dodicesimo CD-volume, l’intero corpus musicale creato da Sinti e Rom
nei campi di sterminio durante il Secondo Conflitto Mondiale. Il risultato di
questa prestigiosa opera di ricostruzione sarà presentato sabato 12 dicembre
all’Auditorium dell’Assunta a Trinitapoli alle ore 20. ‘Prendi un violino e
suona’ è il titolo dato alla conferenza concerto alla quale prenderanno parte
oltre allo stesso Lotoro, l’assessore al Mediterraneo della Regione Puglia,
Silvia Godelli, il Sindaco di Trinitapoli Ruggero Di Gennaro, il Commissario
straordinario di Margherita di Savoia Rachele Gandolfo, il Dirigente scolastico
della Scuola Media Giuseppe Garibaldi di Trinitapoli Anna Maria Trufini, il
musicista Rom slovacco Milan Godla.
Il programma del concerto comprende canti creati a Belzec, Auschwitz, Chelmno
e nei campi di lavoro forzati aperti dai nazisti in Slovacchia.
“Il lavoro di recupero della musica creata dal popolo Romanì nei Lager è
stato molto più complesso di altre parallele produzioni concentrazionarie. Ciò
perché trattasi prevalentemente di musica trasmessa oralmente e conservata
pressoché intatta nella loro vita quotidiana e nella memoria collettiva.” Spiega
il professor Lotoro. “Molti di questi canti arrivano a noi attraverso diversi
modi di esecuzione che variano (a volte anche in modo significativo) da
villaggio a villaggio. Per esempio, Andr’oda taboris cantato a Dhlè Stràze ha
piccole differenze rispetto a quello cantato a Zehra, anche se il testo
coincide”.
Da quanto tempo lavora a questo progetto di recupero della musica dei Rom
e dei Sinti nei lager?
Lavoro a questo particolare filone delle mie ricerche da circa 10 anni; ho
dovuto attendere la pubblicazione del dodicesimo volume dell’Enciclopedia KZ
Musik per dedicarmi con particolare attenzione negli ultimi 12 mesi alla musica
di Rom e Sinti nei lager nazisti, convogliando qui in Puglia alcuni tra i più
validi strumentisti del repertorio Rom come Milan Godla, Marian Serba e Ion
Stanescu, noleggiare ottimi strumenti musicali adatti a tale repertorio come un
grande cimbalom, il tarogato (un particolare clarinetto a forma conica) e una
gamma enorme di flauti e recorders.
Quale è la particolarità di questa musica?
Trovo questa musica molto più “permeabile” della situazione umana nei campo.
Mi spiego; tenendo sempre presente la diversa tipologia dei campi (internamento,
transito, concentramento) e lo stato di cattività più o meno flessibile (ebrei,
detenuti politici, polacchi, civili o militari), la produzione musicale degli
Ebrei a Theresienstadt, dei polacchi ad Auschwitz e Mauthausen, dei frati
benedettini e francescani a Dachau (giusto per fare alcuni esempi) è sempre
“filtrata” dal gusto mitteleuropeo dell’epoca, dall’attenzione alla partitura,
scritta meticolosamente anche su supporti fragili (carta-musica sporca, carta
igienica incollata a strati), dalla giusta strumentazione. .Nella produzione
Romanì, invece, il campo “entra tutto” nella musica, il dolore si fa
musicalmente più intenso senza mediazione; la musica sembra essere l’espressione
più autentica dello stato di abbandono che hanno particolarmente sofferto i Rom
nei campi.
Come dire, la musica di Sinti, Roma, Kalè e di altre famiglie del popolo
romanes è immediata, colpisce di primo acchito, non si fa andare a cercare; e va
suonata lasciando il musicista e il cantante, in un certo senso, liberi di
esprimersi, ricavare l’improvvisazione del momento. Non possiamo neanche
immaginare quanta musica dei Rom abbia respirato, fianco a fianco, con quella
ebraica.
Nei giorni più tristi non solo per l’Europa ma per l’intera civiltà umana,
Ebrei e Rom hanno cantato e suonato l’ultima musica prima che la peggior sorte
si accanisse su questi due popoli dando origine alla catastrofe (la Shoah) e al
divoramento (il Porrajmos).
Lucilla Efrati