Draganesti Olt
da
CITYROM Una ricerca per la soluzione dei problemi abitativi delle
popolazioni emarginate
«Hanno costruito tutte queste case dall’Italia. Hanno fatto i soldi in
Italia. Anch’io ho comprato la casa». Maria abita a Draganesti, un paese di
dodicimila abitanti nella regione dell’Oltenia, in Romania. Ha cinquanta anni,
tre figli e sette nipoti ed è separata dal marito. Coi soldi che ha
guadagnato in Italia ha comperato una casa per il figlio maggiore. È costata
undicimila euro. «Ho lavorato da una donna: lavavo, stiravo – dice in un buon
italiano –. Ho fatto anche la badante. Abitavo nella baracca. Mio figlio Michele
quando siamo arrivati aveva sette anni, è andato scuola per quattro anni. Una
famiglia italiana mi aiutava. Lo portavano in macchina a scuola e lo andavano a
prendere. Dormiva da loro tutta la settimana e la domenica mattina lo
riportavano in baracca. Ma i nostri parenti erano invidiosi e hanno detto che
quelli si approfittavano del bambino. Continuavano a dirlo e allora ho
denunciato la famiglia italiana. Ma poi ho ritirato la denuncia e abbiamo fatto
pace. Sono tornata qui perché sono ammalata. Depressione. Mio marito mi ha
mandato via e vivo da mio figlio maggiore. L’Italia mi ha distrutto. Tante
famiglie sono diventate ricche e tante si sono rovinate. Solo chi ruba e fa cose
brutte ha la casa grande, ha tutto…».
Ogni tanto Maria torna in Italia. Resta a Milano un mese dormendo in una
baracca in un campo abusivo. Con l’elemosina guadagna circa trecento euro. Porta
i soldi a casa e quando finiscono riparte. È quello che fa la maggior parte dei
milletrecento rom che vivono a Draganesti (più del dieci per cento della
popolazione del paese). Viaggiano con un piccolo bus guidato da uno degli
abitanti, che per cinquanta euro assicura il collegamento con Milano e trasporta
anche pacchi e lettere. Qualcuno ha ottenuto un container nel campo comunale di
via Triboniano ma in genere i rom di Draganesti a Milano abitano nelle “baracchine”,
insediamenti abusivi che costituiscono una sorta di doppio milanese del loro
villaggio romeno. Sono loro che per anni hanno resistito a una serie di sgomberi
sotto il ponte di Bacula, nel quartiere della Bovisa, alla periferia nord di
Milano, ricostruendo ogni volta le baracchine. Dopo l’ultimo sgombero e la messa
in sicurezza dell’area da parte del comune, si sono trasferiti in una zona
abbandonata nel quartiere Lambrate.
Flora è tornata a Draganesti dopo l’ultimo sgombero, il marito è rimasto a
Milano. «Vasile chiede l’elemosina e poi mi manda i soldi. Li porta qui un amico
con la macchina. Io sto qui perchè i bambini vanno a scuola. Per ognuno di loro
il governo mi dà un sussidio di circa dieci euro al mese. Una volta sola li ho
portati per due mesi in Italia». A Milano Flora viveva col marito in una baracca
sotto il cavalcavia Bacula, costruita da loro stessi con assi di legno
recuperate dai cantieri e teloni di pvc. Misurava due metri per tre e c’era
spazio per un materasso e una stufa a legna. Si affacciava in uno spiazzo tra le
baracche dove gli abitanti del villaggio si riunivano per chiacchierare,
cucinare sulla griglia e mangiare insieme. A Draganesti Flora vive lungo la
strada che conduce al centro del paese, sui cui lati sorgono case monofamiliari
abitate da cittadini di etnia rom e non solo. Alcune sono piccole, costituite da
un’unica stanza fatta di mattoni di terra a vista. Altre sono più grandi, con i
tetti decorati con lamiera intagliata e un corridoio d’ingresso illuminato da
ampie finestre. Altre ancora sono nuove o in costruzione, molto più grandi, dai
colori vivacissimi, con torri, archi e cortili chiusi da cancellate. A
Draganesti non ci sono fogne e i servizi per la maggior parte sono costituiti da
una baracca in un angolo del cortile. Pochissime case hanno l’acqua corrente
mentre la maggior parte ha il pozzo in cortile.
La casa di Flora è stata dipinta recentemente di un arancione molto acceso e
ha gli infissi bianchi. «L’abbiamo ampliata due anni fa, con i soldi
dell’elemosina. Abbiamo unito le due vecchie stanze e ne abbiamo aggiunto
un’altra», racconta. La cucina è un piccolo edificio giallo indipendente,
situato nell’ampio cortile pavimentato. Sul retro si trovano un recinto con
polli e oche e la baracca di legno della latrina. Le stanze sono accoglienti,
ciascuna con un grande letto-sofà e tappeti colorati alle pareti. La stanza più
grande è riscaldata da un’antica stufa a legna in ceramica.
Poco lontano dalla casa di Flora abita Monica. Anche a Milano, sotto il
cavalcavia, Flora e Monica erano vicine di casa. Monica ha diciannove anni ed è
tornata da poco in Romania per partorire. Il bambino, nato otto giorni fa, l’ha
chiamato Armani. Il padre del bimbo e il cognato di Monica sono ancora a Milano.
Monica abita con il padre, la madre, il fratello di sedici anni e la sorellina
di sette in una casetta fatiscente che confina col cortile di una delle case più
grandi e vistose del paese. Anche questa appartiene a loro, l’ha costruita il
padre di Monica. Ma la casa è quasi vuota. Le sei ampie stanze hanno l’aspetto
intatto, così come il bagno piastrellato con vasca e doccia. Una stanza funziona
da guardaroba ed è piena di abiti tradizionali femminili. «Non posso dormire
nella casa nuova – dice la mamma di Monica –, non sono abituata. Non so quando
ci andremo. Adesso viviamo tutti insieme nella casa piccola».
Luciano ha ventiquattro anni. Lui una casa non ce l’ha. Abita dalla sorella
che al momento è a Milano. Fino a un mese fa anche lui era in Italia, con la
moglie e il figlio che ora ha un anno e mezzo. Era in regola, con la carta
d’identità italiana. «A Milano – dice – lavoravo per una ditta di materassi. Ho
anche il fatto il muratore. Ho distribuito volantini. Tre anni di lavoro e sono
riuscito a comprare solo un pezzo di terreno. È costato quattromila euro. Voglio
costruirci la casa. La faccio con la terra perché non ho i soldi per i mattoni.
Il terreno è largo sette metri e lungo cento, ci voglio coltivare la verza, il
pomodoro… Qui lavoro per una famiglia rom, faccio trasporti con il loro carretto
a cavallo. Mi danno venti euro al mese. Anche mia moglie lavora due o tre ore al
giorno in casa loro. Ci sono anche i rom ricchi a Draganesti. C’è il più ricco
della Romania che ha quindici case, tutte uguali. Negli anni Novanta è stato in
Italia, in Germania, ha girato tutta l’Europa. Non si sa che lavoro fa, non si
può chiederglielo… Dall’Italia sono andato via perchè gli assistenti sociali
hanno preso mio figlio. Hanno detto che io e mia moglie facevamo accattonaggio.
Allora ho preso mio figlio e sono andato via. In Italia non torno senza un
lavoro».
Luciano a Draganesti sembra un’eccezione. Le scenografiche case di chi torna
dall’Italia con i soldi spiccano nel paesaggio agricolo depresso dell’Oltenia e
costituiscono un miraggio a cui è difficile resistere. I rom di Draganesti vanno
avanti e indietro da Milano a caccia di soldi, da ottenere con il lavoro,
l’accattonaggio o le attività illecite. D’altronde a Draganesti il lavoro non
c’è e quel poco è pagato malissimo. Un operaio in fabbrica guadagna duecento
euro e in questa zona la fabbrica è una sola. Produce vestiti e vi lavorano
duecento donne. Solo tre sono rom. (sp/…)