«Ogni sgombero è una devastazione, ma questo... questo è stato l’apoteosi».
Domenica 22 novembre, ore 16. Saveria, volontaria dell’associazione Naga,
parla sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio, nel quartiere Feltre di Milano,
palazzoni di mattoni rossi che corrono fino al parco Lambro e all’Ortica,
l’antico borgo popolare cantato da Iannacci. Saveria assiste gli ultimi rom che
hanno trovato rifugio nella notte sotto le volte della chiesa mentre
raccolgono i loro stracci e si dissolvono nel pomeriggio piovigginoso. Lo
sgombero è al numero 166, quello di via Rubattino, periferia est, un campo
nomadi sorto in mezzo alle cattedrali gigantesche e spettrali delle vecchie
fabbriche dismesse della Milano degli anni ’70: la ex Maserati, l’Innse (già
Innocenti), la ex Enel. Proprio in quest’ultima area 250 rom vivevano tra
cemento, immondizia e topi, senza luce e acqua. La metà erano minori.
Di questi però, 36 erano inseriti nelle scuole medie ed elementari della zona
grazie al lavoro di accompagnamento iniziato dalla Comunità di Sant’Egidio. Un
progetto che aveva dato risultati straordinari. Praticamente l’intera comunità
scolastica si era affezionata a quei bambini. Dieci avevano frequentato con
ottimi risultati già lo scorso anno, sempre assistiti dai volontari della
comunità fondata da Andrea Riccardi.
Lo sgombero 166 era stato largamente annunciato. Nelle scuole genitori e maestre
avevano organizzato raccolte di firme, c’era stata una fiaccolata per auspicare
una soluzione. Il Consiglio di zona aveva approvato una mozione per assicurare
ai bambini la continuità didattica. Via Rubattino era una specie di gorgo
metropolitano di cemento e immondizia dove finivano i rom cacciati dagli altri
campi. Ci vivevano uomini e topi e andava smantellato. Ma il problema dello
sgombero è che funziona come lo scoperchiamento di un formicaio: se non hanno
alternative i rom scappano, vagano senza meta per le periferie, poi magari
finiscono in un altro campo fino al prossimo sgombero.
Quel giovedì 19 novembre alle 7.30 del mattino arriva la colonna con le ruspe
del Comune, le auto dei vigili e i blindati dei poliziotti in assetto
antisommossa. I nomadi hanno mezz’ora per raccogliere le loro cose. Poi li
radunano, mentre le baracche vengono rase al suolo. I cingoli passano sugli
zainetti, i quaderni, le bambole di pezza.
A scuola ci si rende conto che il momento è arrivato. Alcune maestre si
precipitano in via Rubattino, pigliano per mano i bambini, raccolgono quel che
resta di zainetti e quaderni e se li portano in classe. Altri scolari, troppo
impauriti, restano con i genitori. Giuseppe, un pensionato volontario che
accompagnava a scuola come un nonno ogni giorno due di quei bambini, è
impietrito, livido dalla rabbia e dal dolore.
Forse in Romania, o sotto un ponte
Quella mattina, nella classe di Marina, la V B, c’è un banco vuoto. A scuola
regna una strana atmosfera di curiosità e nervosismo. Nelle varie classi ci sono
solo 10 dei 36 bambini rom che non perdevano un solo giorno di scuola. Ecco
quello che ha scritto Marina in un tema: «Oggi, 19 novembre, siamo
arrivati in classe e la maestra era triste, poi ci ha spiegato che questa
mattina è stato raso al suolo il campo dove viveva una nostra compagna di nome
Roberta».
Marina non la rivedrà più, scomparsa per sempre, forse in Romania, forse sotto
un ponte, forse a chiedere la carità in metropolitana. «Abbiamo pianto per molto
tempo», scrive Carlo. Quei temi, proposti dalle maestre per allentare la
tensione che si è impadronita dei bambini, oggi sono atti d’accusa: «Voi il
problema l’avete solo spostato ma non l’avete risolto perché invece che dirgli
"arrangiatevi" avreste dovuto offrirgli un altro posto dove andare», ha scritto
Fulvio. Dice Francesca, mamma di Matteo: «Mio figlio, dopo
un’iniziale diffidenza, si era molto legato alla sua compagna rom. Lei era anche
venuta alla sua festa di compleanno. Andava pazza per i cavalli. Giocavano molto
insieme. Ora è scomparsa nel nulla e io non riesco a dare risposte a mio
figlio».
Una grande rete di solidarietà
Il Comune di Milano, come da prassi, offre letti nel dormitorio pubblico solo
per madri e figli. Gli uomini se ne devono andare e basta. Ma stavolta c’è un
"salto di qualità" agghiacciante. I funzionari dell’assessorato comunale alle
Politiche sociali, guidato da Mariolina Moioli, fanno sapere alle famiglie e ai
volontari che il posto c’è, se vogliono, ma solo per le donne con bambini fino a
sette anni. E quelli più grandi? «Possono andare in "comunità"». Vuol dire in
vari orfanotrofi della Lombardia, soli, divisi da padre e madre. La proposta
viene fatta in coincidenza della Giornata per i diritti dell’infanzia. Milano
l’ha festeggiata così.
Le maestre e le mamme si mobilitano per ospitare almeno i bambini garantendogli
la continuità scolastica. Con loro, oltre al Naga, a Sant’Egidio e ai Fratelli
di San Francesco di padre Clemente, ci sono i padri Somaschi, l’associazione
"Bruno Munari", la Casa della carità di don Colmegna. Si prenderanno cura di
molta parte di quell’umanità dolente tenendo unite madri, figli, sorelle.
Discrete, si muovono alcune parrocchie. Si organizzano raccolte di coperte, si
comprano pane e latte. Alcuni genitori dei compagni di classe si portano in casa
quegli scolari sperduti. C’è anche Daniel, un bimbo disabile che frequenta la
terza. È figlio di un operaio rimasto in cassa integrazione a zero ore. Perché
la particolarità di quei rom è che la maggior parte o ha un lavoro o l’ha perso
da poco. Quel giorno Daniel ha pure la febbre. La sua maestra di sostegno non si
dà pace. «È arrivato una sola volta in ritardo in classe: il giorno dello
sgombero», dice Gisella, madre di un compagno di Daniel.
Gisella se lo è preso in casa: «Era in lacrime perché aveva perso la sua
biciclettina, l’unica cosa che aveva». Poi si riesce ad alloggiarlo in una
comunità dall’altra parte di Milano. Gisella lo va a prendere tutte le mattine e
lo porta in classe, non gli ha fatto perdere un giorno di scuola. Per l’alloggio
fino al giorno di Sant’Ambrogio è al sicuro, poi non si sa.
La vergogna di Milano ha quindi prodotto anche dei frutti di umanità. Per la
prima volta «si verifica una mobilitazione spontanea dei cittadini a favore dei
rom. Addirittura vengono accolti nelle case dei milanesi. Non c’era mai stata
una cosa simile», spiega Elisa Giunipero, di Sant’Egidio. Cristina,
mamma di Federica, quella sera si porta a casa una compagna di sua figlia,
Cristina (come lei), che ha otto anni, e la sorellina Maria, di cinque.
«Conoscevo la loro mamma, una persona splendida, non ci ho pensato un attimo,
gli ho fatto fare un bagno caldo, abbiamo cenato insieme e ho aperto il divano
letto doppio che ho in soggiorno. Erano impaurite, sfinite dall’ansia, poi un
po’ si sono calmate», ricorda. Ora Cristina e Maria sono in una struttura dei
Francescani, in viale Isonzo. Dei volontari le vanno a prendere tutte le mattine
per portarle in uno dei tre plessi della "Morante".
Una notte in chiesa
Ma non per tutti è andata così. Due terzi dei rom sono scomparsi nel nulla.
Compresa una ragazza madre con una bimba di otto mesi. Il vicesindaco
Riccardo De Corato è stato implacabile: «Gli abusivi devono capire una volta
per tutte che Milano per loro è inospitale. Li seguiremo ovunque, strada per
strada, finché non se ne saranno andati via tutti», dichiara. E, infatti, un
gruppo di madri con bambini piccoli viene cacciato da un bivacco sotto la
tangenziale. Il giorno seguente lo sgombero, dopo un incontro fallito in
Prefettura, un gruppo di rom finisce nella chiesa di Sant’Ignazio e vi trova
rifugio. La polizia chiede al parroco se deve intervenire. «Qui non si caccia
nessuno», risponde don Mario Garavaglia. I rom passano la notte in
chiesa. Poi, domenica 22 novembre, se ne vanno, chissà dove. La notte molte
mamme e maestre della scuola, come Alessandra, si rigirano nel letto e pensano a
quei bimbi, a quelle madri, a quei vecchi, a quegli uomini sotto un ponte,
all’addiaccio.
Francesco Anfossi
ECCO L’APPELLO DI SANT’EGIDIO
«La miseria non stia zitta, va ascoltata per essere superata», ha dichiarato
l’arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi a proposito dello
sgombero di viale Rubattino. Alla fine, anche su pressione della diocesi, il
Comune ha offerto sistemazione ad alcune donne senza più imporre la divisione
delle madri dai bambini sopra i 7 anni. Ma la maggior parte delle mamme con
figli è ospitata dalla rete delle comunità cattoliche. «Da sempre siamo contrari
alla logica dei campi, degradati e indegni», ha spiegato don Roberto D’Avanzo,
direttore della Caritas ambrosiana. «Ma in via Rubattino c’erano bambini che
andavano a scuola e ora sono interrotte le possibilità di compiere un processo
integrativo importante».
La Comunità di Sant’Egidio rivolge un appello ai lettori di Famiglia
Cristiana per aiutare le famiglie rom sgomberate da via Rubattino,
segnalando disponibilità di alloggi in affitto a Milano e provincia per le
famiglie sgomberate e offerte lavorative (anche di poche ore settimanali) sia
per le donne (pulizie) sia per gli uomini (manovali, carpentieri, saldatori,
autotrasportatori, idraulici e operai non specializzati). Infine, è possibile
contribuire a borse di studio per i bambini. Scrivere a:
santegidio.rubattino@gmail.com