Ricevo da Roberto Malini
Momenti drammatici nella mattina del 25 febbraio.
Pesaro, 19 aprile 2009. Maria L. di Pesaro scrive al Gruppo EveryOne: "Come
prima cosa, complimenti per il vostro impegno contro l'intolleranza, che è un
grande problema qui nelle Marche, come in molte altre regioni d'Italia. Ho letto
le notizie riguardanti le famiglie romene di etnia Rom che si erano rifugiate in
città e la terribile mattina del 25 febbraio, quando le forze dell'ordine hanno
compiuto un'azione che mi fa orrore. Dove serviva accoglienza, è stata usata
discriminazione. Dove serviva tutelare l'unione delle famiglie, si è cercato di
dividere. Dove occorreva un supporto sociale e sanitario, è stata usata
intolleranza. Confesso che ho pianto, quando ho saputo che due bambini sono
morti, prima ancora di vedere la luce, proprio qui a Pesaro, dove invece io,
italiana, ho avuto la fortuna di mettere al mondo tre bambini. Com'è ingiusto e
crudele il razzismo. Mi consola sapere che almeno la Scavolini Spar, che è la
gloria sportiva della mia città, si è recata a trovare le famiglie Rom con i
suoi meravigliosi atleti e i suoi sensibili dirigenti. Non credevo che, dopo la
visita della squadra ai bambini, alle donne e agli uomini rifugiatisi in città,
le autorità avrebbero avuto il coraggio di mandarli via. Vorrei avere notizie
sulle famiglie costrette a fuggire da Pesaro: dove vivono, adesso? Stanno bene?
Possibile che non si possa chiedere al comune almeno un risarcimento per le cose
orribili che sono accadute?".
Risponde EveryOne. Grazie delle tue parole. Il Gruppo EveryOne ha cercato con
tutte le proprie forze di evitare la tragedia che si è verificata a Pesaro.
Abbiamo incontrato le principali autorità, abbiamo consegnato loro dossier
riguardanti la condizione delle famiglie Rom rifugiatesi in città e i testi
delle leggi internazionali che prevedono assistenza e procedure di inclusione,
in casi come quello presentatosi a Pesaro. Nonostante il muro di intolleranza
che il sindaco e i suoi assessori ci hanno posto davanti, siamo riusciti
addirittura a metterli allo stesso tavolo con due rappresentanti della comunità
Rom. Abbiamo inviato a tutte le personalità politiche di Pesaro e provincia
lettere chiuse (protocollate dall'apposito ufficio) e lettere aperte. Abbiamo
contattato ripetutamente prefettura, questura, comando della polizia locale e
dei carabinieri, difensore civico, procura della repubblica. Ci siamo scontrati
con le strutture sanitarie locali, affinché i pazienti Rom ricevessero lo stesso
trattamento degli altri cittadini, intraprendendo vie giudiziali e giungendo a
una condivisione di ideali umanitari con l'ospedale San Salvatore. L'odio
razziale, così forte e presente presso le Istituzioni locali, ha reso
impossibile, però, l'attuazione di un programma di integrazione, nonostante vi
fossero malati gravi e portatori di handicap, donne incinte e minori, nella
comunità Rom romena di Pesaro. Si è giunti così, dopo innumerevoli episodi di
razzismo, brutalità e indifferenza, al drammatico mattino del 25 febbraio, al
tentativo a parte di 20 agenti di sottrarre i bambini ai genitori, alla fuga
disperata delle mamme, ai decessi dei due nascituri e alla diaspora della
comunità. La foto di una giovane donna incinta caduta al suolo, senza che
nessuno dei 20 agenti si premurasse di assisterla, minacciando - al contrario -
gli attivisti di essere denunciati per "oltraggio", sintetizza in un'immagine
terribile quelle ore di persecuzione e orrore, dolore e morte, crudeltà e
ingiustizia. Noi c'eravamo e non dimenticheremo. Le famiglie che hanno vissuto
quella violazione totale dei propri diritti fondamentali hanno denunciato alle
Istituzioni internazionali la tragedia in cui sono passate e noi abbiamo
testimoniato quanto visto e ascoltato. Ci auguriamo che sia fatta giustizia,
perché gli eventi che si sono verificati a Pesaro sono un segno chiaro e
incontrovertibile di una disumanità che sembra provenire dagli anni
dell'Olocausto e non dalla nostra epoca, in cui l'Unione europea e le Nazioni
Unite tentano di risalire la china dei Diritti Umani e di preparare per le
generazioni venture una società multietnica, tollerante e accogliente. Riguardo
alla Scavolini Spar, purtroppo la società sportiva, dopo aver invitato alcuni
rappresentanti della comunità Rom locale sugli spalti, non ha tenuto fede
successivamente alle promesse, nonostante avessimo tentato in diverse occasioni
di far leva sulla sensibilità mostrata in occasione della cosiddetta "partita
dell'antirazzismo" e nonostante il Parlamento europeo avesse proposto la società
per un encomio ufficiale. La verità è che nessun dirigente, nessun atleta si è
mai recato presso i due edifici dismessi in cui vivevano fra mille privazioni le
famiglie Rom provenienti dalla Romania. E' triste e doloroso per noi scrivere
queste parole, perché mantenere in vita un "mito" come quello della Scavolini
amica del popolo Rom potrebbe servire da esempio per altre realtà, per altre
società. Ma quando abbiamo deciso di dedicare le nostre vite ai Diritti Umani,
abbiamo scelto, contemporaneamente, di servire la verità. L'impegno della
società di pallacanestro si è limitato a quella partita, in cui lo speaker
annunciò al pubblico la presenza della comunità Rom di Pesaro e a un pugno di
biglietti per una partita successiva. E' evidente, cara amica, che se gli atleti
della Scavolini fossero andati a trovare le famiglie Rom e se le foto della loro
visita fossero apparse sui giornali locali e nazionali, come era nei progetti
del nostro gruppo, nessuno avrebbe avuto il coraggio di vessare ancora una volta
quell'umanità già straziata da intolleranza e violenza. Il fatto è che i Rom di
Pesaro sono stati abbandonati da tutti, a Pesaro, salvo pochi meravigliosi
esseri umani che li hanno aiutati con impegno, coraggio e compiendo immensi
sacrifici personali: Mariateresa e Lia su tutti. E' a loro che va l'encomio ed è
grazie a loro che un terribile dramma umanitario non ha avuto conseguenze ancora
più funeste. Rispondendo alle tue ultime domande, alcune delle famiglie fuggite
da Pesaro si trovano ora in Romania. Fra di loro vi sono pazienti oncologici e
cardiopatici dell'ospedale San Salvatore: hanno perso tutto, anche la
possibilità di curarsi. Però sono uniti ai loro cari e ai loro bambini. Altre
famiglie si sono rifugiate in Grecia, dove soffrono emarginazione e povertà, ma
non la persecuzione patita in Italia. Un'altra coppia con due bambini si trova
nel nord Italia. Dopo la fuga da Pesaro, la madre ha trascorso alcune notti
dormendo all'aperto ed essendo una donna molto malata, ha rischiato di perdere
la vita. Con grande fatica e agendo in condizioni di grave pericolo, abbiamo
procurato un riparo alla famiglia, che per ora è fuori pericolo. Una famiglia è
ancora a Pesaro. E' la famiglia in condizioni di salute più gravi. Le autorità
hanno fermato più volte i suoi componenti, dopo il 25 febbraio. La madre, che
soffre di un tumore al seno in metastasi, è in cura presso il San Salvatore, ma
la pressione insopportabile delle autorità ha già indotto la famiglia a lasciare
la città, verso un futuro che lascia poche speranze. La gran parte delle
famiglie ha rilasciato testimonianza di quanto patito a Pesaro, chiedendo
giustizia alle autorità preposte in àmbito internazionale.
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