Da
Coopofficina
Riciclare il ferro è un'attività che si fa da tempo immemorabile: era un
lavoro non nobile ma che aveva una sua dignità. Al tempo del fascismo "dare
ferro alla patria" era diventato addirittura un dovere patriottico. Oggi, ci
sembra di essere più ricchi di allora, ma riciclare il ferro è pur sempre un
attività che rigenera delle preziose materie prime che altrimenti dovremmo
importare dall'estero. Ed è materiale che altrimenti finirebbe in discarica o
disperso ai bordi delle strade. Chi potrebbe mai dir male del recupero del
ferro?
E invece, in Italia, ci ritroviamo con delle leggi che possono essere
interpretate in modo da rendere illegale il recupero del ferro o di qualsiasi
altro materiale. Non solo, ma abbiamo anche qualcuno che si è messo di buona
volontà a interpretarle in questo modo e anche ad applicarle distruggendo
un'attività che stava dando lavoro a decine di famiglie e facendo un'opera utile
a tutti.
La storia comincia qualche anno fa, in Toscana dove, con il supporto delle
istituzioni e della magistratura, sono nate tre cooperative sociali gestite
principalmente dai Rom locali per il recupero del ferro di scarto. Era un lavoro
duro e pesante, che però rendeva anche discretamente e permetteva ai membri
delle cooperative di vivere in modo dignitoso.
Negli ultimi mesi, tuttavia, queste cooperative sono state soggette a una serie
di ispezioni da parte dalla polizia del corpo forestale. Gli agenti si sono
presentati all'improvviso, mitra in mano, requisendo i documenti e controllando
tutto. Ma, nonostante le irruzioni spettacolari, non è stato possibile trovare
niente di illegale o estraneo alle attività delle cooperative. Niente droga,
niente refurtiva, niente del genere. La documentazione di rito era tutta a
posto, con tutti i fogli e i moduli del caso: i "Fir" formulari di
identificazione rifiuti, regolarmente compilati in quattro copie per ogni carico
riciclato.
Poteva finire così? Assolutamente no! E, infatti, una delle norme fondamentali
della burocrazia è che qualsiasi cosa fai, anche se ti ha detto di farla un
funzionario, puoi sempre trovare un funzionario uguale e contrario al quale non
va bene. Se questa norma si aggiunge all'altra che dice che comunque vada, devi
sempre pagare, allora la burocrazia si trasforma in una trappola mortale dove
qualsiasi cosa fai sei fregato.
Qui, i funzionari che hanno esaminato la documentazione delle cooperative hanno
deciso di interpretare in senso restrittivo e letterale la norma detta della
"tracciabilità dei rifiuti" che vuole che se ne debba sapere la strada percorsa
fin dall'origine. La norma è sensata in termini generali ma, ovviamente, se la
si applicasse alla lettera, non sarebbe possibile riciclare niente. Ogni tappo e
ogni bottiglia avviate al riciclo dovrebbero essere accompagnate da un modulo
fir in quattro copie con il nome, cognome, indirizzo e codice fiscale della
persona che le ha buttate nel cassonetto.
Questo vale anche per il ferro raccolto dalle cooperative, che era ferro trovato
agli angoli delle strade o recuperato presso cantieri e cose del genere. Nei
moduli fir, come "origine del rifiuto" c'era la cooperativa. Questa è
un'interpretazione valida della legge e, comunque, l'unica possibile se uno
vuole riciclare quello che altrimenti resterebbe abbandonato in giro.
Ma chi ha inventato questa guerra contro il recupero del ferro ha trovato il
modo di usare la norma per distruggere le cooperative. Stabilito che l'origine
dichiarata dei carichi di ferro non era quella giusta, ne consegnue che ogni
modulo era irregolare. Siccome la norma prevede una multa da 1000 euro in su per
ogni irregolarità, il risultato finale è stato un totale di 19 milioni di euro
di multa fatte alle tre cooperative (questo è un totale provvisorio, le multe
continuano ad arrivare). Ovviamente, le cooperative non possono che chiudere in
queste condizioni; fra le altre cose si sono visti anche sequestrati i
furgoncini che usavano per lavorare.
Così, il risultato è che decine di famiglie hanno perso il lavoro, le
cooperative hanno chiuso e riciclare il ferro è diventato un'attività illegale
in Toscana. Adesso, i Rom che gestivano le cooperative non potranno fare altro
che tornare a lavori saltuari e al nero - se non illegali - e ad essere un peso
per la comunità. Un altro risultato è stato di fermare un'attività che poteva
essere un esempio su come gestire quelle cose che chiamiamo "rifiuti" ma che non
lo sono, ma sono invece materie seconde di cui abbiamo disperatamente bisogno
per mandare avanti il "sistema Italia".
Non so cosa pensate voi di questo disastro. A me ricorda cose come il "cupio
dissolvi" di cui parlava Paolo di Tarso, oppure l' "istinto di morte" di cui
parlava Sigmund Freud. O forse la leggenda dei lemming che corrono come pazzi
per buttarsi giù tutti insieme dal precipizio. Oppure, quelle belve in gabbia
che finiscono per impazzire e per automutilarsi.
Per ogni volta in questo paese che qualcuno riesce a mettere su qualcosa di
buono, viene sempre fuori qualcun altro che lo distrugge facendo del male anche
a se stesso e a tutti quanti. Questa è l'essenza di questa guerra contro il
recupero delle risorse: comunque vada, siamo tutti sconfitti. ( Ugo Bardi)
L'articolo di Repubblica sulla faccenda del 15 marzo 2009
LE COOPERATIVE sociali specializzate nella raccolta di rottami metallici
sono in ginocchio. Nel giro di sei mesi il Corpo Forestale dello Stato ha
elevato verbali di contravvenzione per quasi 19 milioni di euro nei
confrontidelle cooperative La Bussola di Pistoia, I Ferraioli di Prato e L’Olmatello
di Firenze e dei soci raccoglitori di ferraglie, per lo più rom e slavi. La loro
colpa: aver trasportato «rifiuti speciali non pericolosi con formulari di
identificazione rifiuto (Fir) recanti dati inesatti». Per molti dei soci,
avviati al lavoro dalla magistratura e da enti che si occupano del recupero
sociale di ex detenuti, è a rischio il percorso di riabilitazione.
Spiega l’avvocato Luca Mirco, che li assiste nei ricorsi alla Amministrazione
Provinciale: «Questo sistema di cooperative è nato con il favore della politica.
È un lavoro utile all’ambiente e contribuisce alla sicurezza sociale, perché
allontana dalla illegalità soggetti svantaggiati. Ai soci vengono dati in
comodato gratuito furgoncini sui quali caricano ferraglie raccolte nei
cassonetti dei rifiuti o fra gli scarti dei cantieri edili, per portarle ai
centri di raccolta autorizzati, come Toscana Rifiuti. Qui i rottami vengono
pesati e i raccoglitori incassano subito il corrispettivo, che per l’80% va a
loro e per il 20% alla cooperativa. In questo modo riescono a mantenere le
famiglie».
Dopo i controlli del Corpo Forestale, però, molti di loro hanno ricevuto verbali
di contravvenzioni per cifre spaventose. E i furgoncini sono stati sequestrati.
«Si era creato un circolo virtuoso — sottolinea l’avvocato Mirco — era un modo
per riabilitare molti soggetti. Ora però sono spaventati a morte».
La Forestale ha applicato le norme in materia ambientale, che prescrivono la
tracciabilità dei rifiuti. I Fir (formulari di identificazione rifiuti) devono
riportare nome e indirizzo del produttore e del detentore. Nei formulari
controllati dalla Forestale, alla voce produttore o detentore risulta indicata
la cooperativa di appartenenza dei raccoglitori. Ma nessuna delle tre coop
produce o ha in deposito rifiuti. Di qui le contestazioni. Per ogni Fir inesatto
la legge prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 1600 a 9300 euro.
Poiché, secondo le accuse, tutti i Fir sono inesatti, le sanzioni hanno
raggiunto cifre stratosferiche.
«Ma come si fa a indicare la provenienza di un cassonetto o una
discarica?», obietta l’avvocato. Una via di uscita per non distruggere il lavoro
dei ferraioli potrebbe esserci. La legge sui rifiuti esenta gli ambulanti dalla
compilazione dei formulari. Ma chi rilascia la licenza di ambulante? La Camera
di Commercio dice che deve farlo il Comune. Il Comune dice che con la legge
Bersani la licenza non c’è più. E allora? È stato chiesto un parere all’Albo
nazionale gestori ambientali. Ma nessuno ha risposto.