Da
Peacelink
10 marzo 2009 - Sergio Paronetto
Molti non lo sanno. Chi le pronuncia forse non lo sa ma è bene rendersene conto.
Tante frasi dure e aggressive ripetute a sostegno di ordinanze, di provvedimenti
o di proposte legislative a favore dei padani doc, assomigliano a quelle che
hanno preparato il clima politico e culturale delle leggi razziali in Germania
(1935) e in Italia (1938). Senza abbondare in citazioni (la bibliografia al
riguardo è immensa), mi limito a ricordare il programma del Partito
nazionalsocialista, redatto da Hitler nel 1920, dove si afferma (dal n. 4 al n.
8) la famigerata teoria della “comunità di popolo” basata su concetto di
Volksgenosse che significa “membro della comunità popolare”, di “razza tedesca”,
l’unico a godere dei diritti di cittadinanza. Tutti gli altri sono “ospiti”
sottomessi a una “legislazione per stranieri”. È questo che si vuole?
Chi ritiene esagerato il giudizio di imminente o diluito nazifascismo può
almeno riflettere sulla logica tribale in cui stiamo cadendo. Vari esponenti
politici di governo (nazionale e locale) sembrano pensare solo all’ indiano
padano perennemente assediato o minacciato. Vogliamo vivere come tribù separate
o parallele? Tribù significa sia gruppo etnico che organismo sociale determinato
e omogeneo che occupa una regione sulla quale afferma diritti tradizionali.
Moltissimi rom, sinti o islamici sono italiani-padani da anni, eppure si cercano
impronte e foto, si invoca la difesa della “comunità di popolo”, si moltiplicano
controlli esasperati del tutto controproducenti, mai pensati, ad esempio, per i
sospettati di criminalità mafiosa o di finanza nera (analizzata dal Financial
Crimes Enforcement Network), per gli autori (in gran parte familiari o
conoscenti) di violenza contro donne, bambini e bambine o per i responsabili di
grandi evasioni fiscali o di vittime del lavoro.
Giorni fa, un gruppo di antropologi ha diffuso un appello dal titolo “La
civiltà violata. Contro il ripiegamento autoritario e razzista che mina le basi
della coesistenza”. Le loro argomentazioni assomigliano a quelle di molte
organizzazioni sostenitrici della campagna “siamo medici non spie” o ai
firmatari della recente lettera aperta riguardante l’inutile odiosa schedatura
di persone (italiane e veronesi), avvenuta il 5 marzo scorso presso le piazzole
di sosta di strada La Rizza, presso Verona.
Gli imprenditori delle paure aprono ferite e alimentano divisioni. La cultura
del nemico ci rende tutti più infelici e insicuri. Il linguaggio volgare e
violento che spesso ci avvolge tende a produrre inevitabilmente azioni volgari e
violente. La vera sicurezza può essere solo costruita assieme come un bene
comune.
Ultima osservazione. I sostenitori del binomio “sangue-suolo” sono pronti a
brandire la croce come simbolo di un “cristianesimo senza Cristo” che mi sembra
simile a quello propugnato dall’“Action francaise”, il movimento di Charles
Maurras sostenitore di un “cattolicesimo anticristiano”, condannato da Pio X
(1914) e da Pio XI (1926). Ogni progetto autoritario o totalitario ha bisogno di
una religione civile settaria o guerriera.
Non è questa la cultura veronese in cui sono cresciuto.
Non è questa la fede cristiana espressa dal recente Sinodo diocesano.
Esiste una Verona ricca di risorse democratiche e di esperienze libere e
solidali che forse si è assopita ma può risvegliare la sua identità relazionale
e cosmopolita.
Qualcosa si muove. Per qualche mese alcuni autobus porteranno per Verona la
scritta “Nella mia città nessuno è straniero”.
Verona 10.03.09