Da
Circolo Pasolini Pavia
"Il Secolo XIX", 19 febbraio 2009 di Simone Schiaffino [dalla Liguria]
La ganascia d’acciaio sradica i sogni italiani. Demolisce speranza e degrado, in
egual misura. Abbatte come fuscelli le baracche elette a casa. Sconquassa le
povere cose che gli stranieri avevano raccolto laddove gli italiani gettano
quello che non gli serve più. "Ora dove andremo?". L’unica riposta può essere
"Via da qui, non all’ex Colonia Fara". Fa freddo, la pungente temperatura delle
sette del mattino, quando gli uomini che vestono tre diverse uniformi compaiono
nell’area esterna del grattacielo di Preli. Polizia municipale, agli ordini
del comandante Federico Bisso, carabinieri della compagnia retta dal capitano
Gianluigi Bevacqua, polizia di Stato, dal commissariato chiavarese governato dal
dirigente Giampiero Bove. Volanti, gazzelle e autopattuglie. Poi arriva anche un
camion dotato di un’enorme morsa metallica montata su un braccio mobile. Per
abbattere il degrado: il campo rom a Preli, sorto in un paio di "notti di
lavoro", nell’ultimo week end. Assistere alla demolizione della "baraccopoli"
provoca un po’ di emozione. Perché gli uomini in divisa si trovano,
metaforicamente, a guadare un fiume: da una parte gli ordini, gli obblighi, il
dovere. Dall’altro l’umanità: il trovarsi di fronte ai "reietti", agli ultimi,
quelli che una casa non ce l’hanno mai avuta. "Quando siamo arrivati qualcuno si
lavava in mare nell’acqua gelida, altri dormivano ancora - dice il comandante
Bisso -. Una parte è fuggita alla vista delle nostre auto; altri ci sono venuti
incontro, per sapere cosa sarebbe successo. Avevano l’aria affranta. Una donna
piangeva". Gli uomini della "forza pubblica" hanno spiegato che il campo rom
sulla riva del mare chiavarese di ponente sarebbe stata, di lì a poco, rasa al
suolo. Sgomberata. Disinfestata. Ulteriormente, per l’ennesima volta, recintata.
L’annuncio ha provocato qualche minuto di tensione. Uno straniero, dei più
giovani, ha sbraitato qualcosa nella sua lingua. Sembrava avesse l’intenzione di
avvicinarsi ai poliziotti con intenti bellicosi. I suoi connazionali, forse suoi
parenti, o fratelli, lo hanno preso per le braccia, impedendogli di farsi
arrestare per resistenza o lesioni a pubblico ufficiale. Tutto è finito lì.
Nello stesso momento, le otto o poco più, un ruggito sordo annunciava l’arrivo
del camion munito di braccio meccanico e ganascia. La ditta spezzina "Costa
Mauro", specializzata in bonifiche ambientali, è stata chiamata dal Comune di
Chiavari, appena si è saputo dell’esistenza del campo rom: la notizia l’ha data,
come sempre accade, un abitante di Preli, l’altro ieri sera. "Venite alla Fara -
ha detto l’abitante - stanno costruendo baracche sotto i portici della Fara".
Gli operai, che vestono tute antibatteriche e mascherine a naso e bocca,
infagottano tutto e caricano sul camion. Mentre la morsa demolisce e distrugge.
Resta a terra un orsacchiotto di peluche, portato lì forse da uno dei pochi
bambini che la comunità rom si è portata con sé a Chiavari."Prima di demolire
tutto abbiamo detto loro di prendere ciò che volevano portare con sé - conclude
il capo della polizia municipale di Chiavari -. Qualcuno ha preso una coperta,
altri qualche scatoletta di alimenti. Poi se ne sono andati". Nessun
provvedimento, nessuna denuncia è scattata nei confronti degli stranieri. Anche
perché l’unico reato poteva essere quello di occupazione abusiva di immobile. Ma
i "reietti" non sono entrati all’ex Colonia Fara: gli sbarramenti in cemento e
mattoni hanno retto. Si sono solo accampati accanto al fatiscente grattacielo. E
non avere un posto dove andare, bivaccando in un’area aperta a tutti, ancora non
è reato.