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Urloweb.com
Venerdì 20 Febbraio 2009 13:08 - Più di una volta mi sono chiesto se il
nomadismo dei rom e dei sinti sia una scelta dettata dalla voglia di viaggiare o
da un vitale istinto di sopravvivenza.
Gli zingari rubano i bambini. Una ricerca dell’Università di Verona ha preso in
esame l’ultimo ventennio fino al 2007. Ha scartabellato in tutte le procure
italiane e non ha trovato un solo caso di rom o di sinto condannato per aver
rubato un bambino.
Ora invece facciamo un salto indietro nel tempo. Questa storia, riportata nel
mio libro “Non chiamarmi zingaro” edito da Chiarelettere, me l’ha raccontata
Mariella Mher la scrittrice jenische (gli zingari svizzeri) che all’età di due
anni fu “rubata”, per legge, alla propria famiglia. Siamo nel 1912 e in
Svizzera, per contrastare la mortalità infantile, viene creata una fondazione:
la Pro Juventute.
E’ subito riconosciuta di pubblica utilità e beneficia di contributi da parte
della Confederazione Elvetica.
Nel 1926 le viene affidato l’alto compito di proteggere i bambini dall’abbandono
e dal vagabondaggio e così idea il progetto Bambini di strada.
Il fondatore e direttore, dottor Alfred Siegfried, si fa personalmente carico di
“sradicare il male del nomadismo” dalla società svizzera. Cardine della sua
filosofia è la conversione di tutti gli jenisch, gli zingari svizzeri, da nomadi
a sedentari. Purtroppo gli adulti sono già dati per spacciati mentre sui bambini
si può ancora agire. Così, attraverso “misure educative sistematiche e
coerenti”, Siegfried sottrae con la forza, alle rispettive famiglie jenisch, i
figli. Queste operazioni vengono condotte in collaborazione con le autorità
cantonali e comunali.
Il dottore, che definisce gli zingari geneticamente “inferiori, deficienti e
mentalmente ritardati”, colloca i bambini, anche quelli in fasce, presso
orfanotrofi, collegi, ospedali psichiatrici o all’interno di famiglie
affidatarie.
L’operazione ha come obiettivo il riplasmare questo materiale umano
introducendolo all’interno di una società sedentaria, ordinata e normale. Ogni
contatto con la precedente famiglia è categoricamente vietato, pena la non
riuscita del piano rieducativo. “Ogni qualvolta” sottolinea il dottor Siegfried
“vuoi per nostra bonarietà, vuoi per uno sfortunato e casuale incontro, uno di
questi bambini, ancora disadattati e instabili, entra in contatto con i propri
genitori, tutto il nostro lavoro viene vanificato.”
Anche i cognomi vengono cancellati per impedire possibili e futuri
ricongiungimenti che potrebbero riportare il fanciullo verso una vita nomade e
di conseguenza verso il crimine.
Che il nomadismo jenisch anche in Svizzera sia dovuto alla ricerca della
sopravvivenza attraverso il piccolo commercio, non viene preso in considerazione
dal dottor Siegfried che, al contrario, lo considera una devianza genetica.
Il suo obbiettivo è recuperare questo popolo di asociali e così molte bambine,
come fu in seguito provato, sono sterilizzate. Per alcuni bambini con ritardo di
linguaggio si crea un metodo speciale: vengono infilati in una vasca da bagno e
quindi bloccati dentro con delle assi di legno che gli cingono il collo affinché
non possano uscire. Questa teoria medica asserisce che i problemi di linguaggio
del bambino, precedentemente sottratto con la forza alla legittima madre, si
risolvono immergendo il suo corpo, anche per venti ore, in acqua fredda.
L’ideologia nazista non è né sconosciuta né avversata dalla Fondazione Pro
Juventute che, anzi, attraverso il suo direttore, intrattiene strette
collaborazioni con psichiatri tedeschi e, in modo particolare, col dottor Robert
Ritter che tanta parte ebbe nella soppressione di 500.000 rom e sinti durante il
terzo reich.
In poco meno di quarantacinque anni e cioè dal 1926 al 1972, sono rubati alle
rispettive famiglie circa duemila bambini di cui più di seicento
dall’Associazione umanitaria Pro Juventute.
Nel 1972 un giornalista svizzero, Hans Caprez, raccoglie alcune testimonianze di
jenisch vittime del programma della Pro Juventute. E’ una bomba e lo scandalo
che ne scaturisce va su tutti i giornali. Non passa neanche un anno e la Pro
Juventute interrompe il progetto Bambini di strada.
Vengono condotte delle indagini sui responsabili.
Tuttavia devono passare quindici anni prima che la Pro Juventute chieda
pubblicamente scusa al popolo jenisch ammettendo le proprie colpe.
I risultati delle indagini sulle responsabilità della Confederazione arrivarono,
invece, nel 1998 quando è condannata a risarcire le vittime.
Quel che resta, oggi, a questi bambini rubati sono: traumi, lesioni, vergogne e
un risarcimento, riconosciuto dalla Confederazione Elvetica, di circa 10.000
euro.
Pino Petruzzelli