Il blog di
Stefania Ragusa, dopo la segnalazione di
settimana scorsa, torna sul caso Giovanna Reggiani
Leggo su Redattore
Sociale e riporto testualmente:
Nel pieno della campagna mediatica sui rom seguita all'assassinio di Giovanna
Reggiani, a Firenze la comunità valdese, cui la famiglia appartiene, si dedicava
in silenzio a un progetto per la scolarizzazione dei bambini
FIRENZE – Mentre in Italia si scatenava la campagna mediatica sull’immigrazione
romena, indicata dai politici come pericolosa per l’ordine pubblico, a Firenze
prendeva corpo un progetto di dialogo con le comunità rom arrivate dalla
Romania. Succedeva all’indomani della morte di Giovanna Reggiani, aggredita
a Roma da un cittadino romeno il 30 ottobre del 2007. A portare avanti il
progetto la comunità valdese, cui la famiglia Reggiani appartiene. Oggi è Paola
Reggiani, sorella minore di Giovanna e diacona presso la Chiesa valdese di
Firenze, a raccontare al giornalista Lorenzo Guadagnucci, dalle pagine di
"Lavavetri" (edito da Terre di mezzo), quel tentativo di rispondere all’estrema
violenza con l’accoglienza e il dialogo.
E’ stata Patrizia Barbanotti De Cecco ad avere per prima l’idea di incontrare i
rom, proprio come "reazione al lutto e alla sensazione terribile che provavamo
ogni volta che il nome della sorella di Paola veniva associato al discorso
politico sul pacchetto sicurezza. Questo abbinamento era una costante e creava
un’atmosfera inquietante, un atteggiamento repressivo nei confronti dei rom e
dei cittadini romeni". Così alla comunità valdese è stata proposta l’idea di un
progetto di scolarizzazione per i bambini rom romeni, "proprio perché apparivano
come altre vittime del fatto terribile che era successo". La Chiesa ha accettato
all’unanimità, e anche Paola si è detta d’accordo: "Da parte mia non c’è stato
mai nessun pensiero contro".
Ma nel passaggio dall’idea alla realtà sono emersi i problemi. Così il progetto
iniziale è fallito, ma non tramontato. Innanzitutto, il campo abusivo dell’Osmannoro,
alla periferia di Firenze, scelto per il progetto, è stato trovato in totale
isolamento e abbandono. "Io mi ero bevuta tutte le storie che si raccontano sui
rom – racconta Patrizia - e sui loro bambini, e cioè che i genitori, anziché
mandarli a scuola, preferiscono portare i figli a mendicare…E’ una cosa
assolutamente falsa". Ma a cui si finisce per credere acriticamente perché
ripetuta all’infinito. Invece i bambini hanno voglia di andare a scuola e per
farlo sono disposti a grandi sacrifici. Allora, spiega Patrizia, "si dovrà fare
un discorso di sensibilizzazione non per i rom, ma per le autorità competenti,
totalmente chiuse nei loro confronti". Qualche esempio da altri progetti
analoghi? Gli autisti dell’Ataf che saltano la fermata dell’autobus davanti al
campo, o fanno multe ai ragazzi, "perché tanto l’abbonamento è rubato". E
ancora, bambini che non sono riusciti a trovare una scuola che li accogliesse,
nonostante il coinvolgimento del provveditorato. "Alla luce di questo, il
progetto iniziale era inutile. Oggi pensiamo a qualcosa di artistico da fare con
gli adolescenti, per far crescere la loro autostima e permettergli di farsi
conoscere per come sono realmente". Conclude Paola: "Smascherare le menzogne con
gesti concerti è l’unica cosa che possiamo fare".