31 Ottobre 2008, 08:00 - Pur nella canea razzista e anti-tsigana,
esiste una buona base di consenso per investire in politiche sociali e
culturali. Senza farsi schiacciare dall’emergenza. [...].
Come ragionare sulle politiche locali per i rom di recente immigrazione?
La ricerca empirica sulle dinamiche dell’opinione pubblica mostra come il 94%
della popolazione italiana non sappia stimare nemmeno con una certa
approssimazione il numero di rom e sinti in Italia, tendendo a sovrastimarlo di
molto; il 76% degli italiani non sa che circa il 50% dei rom e dei sinti hanno
la cittadinanza italiana; l’84% degli italiani non è consapevole che la
stragrande maggioranza dei rom non sono più itineranti (nomadi non lo sono mai
stati); solo il 37% degli italiani sa che i rom non sono un popolo omogeneo per
cultura e religione, ma semmai una sorta di "galassia di minoranze". Prendendo
per buoni i dati dei sondaggi, solo un italiano su mille ha un’informazione
soddisfacente sulle popolazioni tsigane.
In questo quadro si aprono enormi possibilità di intervento per politiche
sociali e culturali da implementare per ridurre i pregiudizi, creare spazi di
incontro, favorire l’interazione costruttiva e rispettosa, rendere esigibili i
diritti fondamentali anche per rom e sinti. Per altro, seppure in un clima di
forte ostilità anti-tsigana, diffusa e radicata, se è vero che in prima battuta
un italiano su due pensa che la condizione degli "zingari" in Italia migliorerà
solo quando rispetteranno le "nostre" leggi e smetteranno di chiedere
l’elemosina, il 68% degli italiani propone soprattutto (il 30%) o anche e
parimenti (il 38%) politiche di pubblica responsabilità per l’inclusione
scolastica, abitativa e lavorativa. In altri termini, anche nella canea razzista
e anti-tsigana del 2007, una buona base di consenso per investire in politiche
sociali e culturali, era già presente.
Vi sarebbero, perciò, le condizioni per estendere l’orizzonte temporale delle
politiche per i rom e i sinti e darsi degli obiettivi ambiziosi di medio
periodo, senza rimanere schiacciati dalle emergenze e resistendo all’attrazione
sempre esercitata sul ceto politico dal ciclo degli sgomberi.
Tuttavia, le politiche locali rivolte verso i rom e i sinti sembrano
indifferenti alla ricerca di strade praticabili per migliorare le condizioni di
vita di queste popolazioni, invertire le traiettorie di degrado, ridurre la
conflittualità diffusa e contrastare effettivamente pratiche devianti di
microcriminalità e piccola delinquenza.
Sono politiche demagogiche. Istituiscono un contesto di ostilità e avversione,
in cui anche le alleanze fra attori anti-razzisti sono difficili e poco
praticate (sia le coalizioni fra associazioni e movimenti solidaristici con i
sindacati, sia le alleanze più ampie con alcune categorie socio-professionali
quali operatori sociali, insegnanti, artisti, avvocati e non ultimo operatori
della polizia locale e giornalisti).
Analizzando i casi di successo sperimentati in Europa, tre sono le principali
linee di politica su cui le città possono sviluppare una politica complessa ed
efficace.
In primo luogo, un disegno incrementale di politiche sociali e politiche
culturali: politiche integrate che sostengano le capacità di abitare, lavorare e
socializzare di queste persone. Politiche non specialistiche, semplicemente
politiche sociali e culturali ordinarie, ma che si aprono e coinvolgono anche le
popolazioni tsigane, senza immaginare una regolazione ad hoc, specializzata,
sempre pericolosa. Nelle esperienze europee di maggiore successo, il punto di
partenza, intorno a cui vengono integrate e articolate altre politiche, è il
sostegno alla capacità di abitare.
Preziose sono le considerazioni-metodo sviluppate a proposito da Antonio Tosi
(2008): "Si tratta anzitutto di offrire una gamma differenziata di possibilità
abitative-insediative: la pluralizzazione delle formule comporta il rifiuto
dell’idea (che non trova applicazione per altre popolazioni e che è un segno del
carattere strumentale dell’approccio al problema) che una popolazione possa
essere ‘assegnata’ ad una particolare formula abitativa".
Data l’eterogeneità delle popolazioni tsigane, e le grande varietà di percorsi,
competenze, sensibilità, vocazioni e progetti dei singoli individui, "occorre
ammettere che qualunque formula è in linea di principio applicabile, nessuna è
generalizzabile" (ibidem). In questo senso non c’è tipologia che possa essere
esclusa, in linea di principio, dalla gamma delle soluzioni: (1) abitazioni
ordinarie, di produzione pubblica (affiancate da brevi periodi di mediazione
all’inizio); (2) abitazioni ordinarie, di produzione privata (con formule si
sostegno per l’accesso al mutuo e meccanismi di sostegno alla reputazione di
singoli nuclei familiari rom); (3) autocostruzioni accompagnate dal movimento
cooperativo; (4) aree attrezzate in funzione residenziale (di proprietà o in
affitto) per gruppi (solitamente non superiori alle 60 persone) che scelgono di
vivere insieme (sulla base di legami familiari o di affinità); (5) interventi
non specialistici a bassa soglia per l’emergenza abitativa temporanea (come
nella formula dei villaggi solidali); (6) aree di sosta per quanti esercitano
ancora mestieri itineranti; (7) upgrading (miglioramenti infrastrutturali) delle
baraccopoli, non per intrappolarvi a vita le persone ma come strategia di
riduzione del danno e cura incrementale della qualità della vita di chi è
momentaneamente costretto risiedervi.
In secondo luogo, diviene importante anche quella che potremmo definire una
strategia "repubblicana", di controllo da parte di autorità terze sull’operato
delle amministrazioni locali. E’ il ruolo di denuncia e di sostegno che, ad
esempio, può esercitare l’UNAR (l’Ufficio Nazionale Anti discriminazioni
Razziali) istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità.
A diversa scala, sono molte le agenzie preposte a monitorare (e, in alcuni casi,
anche a sanzionare) il rispetto dei diritti fondamentali e lo stato di
discriminazione delle minoranze. A titolo di esempio, si pensi al CERD (Comitato
per l’eliminazione della discriminazione razziale), alla FRA (Agenzia per i
Diritti Fondamentali dell’Unione Europea), all’OHCHR (Alto Commissariato per i
Diritti umani delle Nazioni Unite), o all’ECRI (Commissione Europea per la lotta
contro il razzismo e l’intolleranza).
Queste agenzie raccomandano e denunciano, e, perciò, se valorizzate dagli attori
locali, possono contribuire ad attirare e indirizzare l’attenzione dei media.
Possono, cioè, essere valorizzate per contribuire a orientare in senso non
xenofobo le dinamiche dell’opinione pubblica. Inoltre, queste agenzie forniscono
spesso supporto informativo e formativo ad attivisti e amministratori locali
interessati a implementare politiche di contrasto all’esclusione delle
popolazioni rom e sinte.
In terzo luogo, ma non per questo meno importante, in un clima in cui
l’opposizione razzista all’insediarsi di rom e sinti è così dura, dovrebbe
essere dedicata molta intelligenza a negoziare e mediare con la popolazione
maggioritaria residente le ragioni e le condizioni dell’accoglienza e degli
insediamenti. Niente è impossibile: le politiche, quando implementate con cura e
attenzione, sono capaci di invertire sentimenti di ostilità.
La ricerca ci aiuta e conforta in questa strada, dando prova di casi di successo
sperimentati, e delle avvertenze metodologiche da adottare in questi processi di
negoziazione e riconoscimento incrementale. Si tratta di avviare una vera e
propria strategia deliberativa, capace di preparare un contesto positivo per il
dibattito ed orientare la percezione dei gruppi tsigani fra gli abitanti e nei
media locali. Questo richiede di creare occasioni di incontro, di conoscenza e
di socialità in comune, facendo leva sullo sport e sulla musica, creando cioè
non solo occasioni di conoscenza e informazione, ma anche di sguardo reciproco e
mutuale, di dialogo esperito.
Uno strumento importante può essere quello di mostrare casi di buona
(auto)gestione dei siti in cui già vivono dei gruppi tsigani. Certamente delle
politiche volte a una buona comunicazione, in grado di creare chiari e semplici
criteri per la selezione dei luoghi in cui insediare i gruppi rom e sinti sono
importanti per promuovere reazioni positive alle proposte, mentre al contrario
una discussione poco gestita può minare i progetti di attribuzione.
Una strategia di promozione di occasioni deliberative richiede che la leadership
politico-amministrativa (assessori, ma anche dirigenti della polizia, dei
servizi scolastici e sanitari) investa per mediare i conflitti e non per
"soffiare sulla cenere" e incrementare polarizzazioni e lacerazioni. Fermo
restando che qualsiasi pratica negoziale e deliberativa che non abbia come
soggetti di interlocuzione e negoziazione i rom stessi, nelle forme di
rappresentanza che questi si danno in autonomia, non può avere efficacia.
Tommaso Vitale
Ricercatore di Sociologia generale presso il Dipartimento di Sociologia e
ricerca sociale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove insegna
Programmazione sociale e Sviluppo Locale e coordina il Gruppo di studio e
ricerca sulle politiche locali per i rom e i sinti in Europa all’interno del
Laboratorio di Sociologia dell’azione pubblica "Sui generis".