Non l'ho mai conosciuto personalmente, ma con Miguel
Martinez scambio corrispondenza ed informazioni da prima che entrambi avessimo
un blog. Il suo è molto più frequentato del mio e lo leggo regolarmente
senza mai commentare: a volte mi affascina, mentre altre volte mi puzza di
partito preso. Il più delle volte, non capisco dove vada a parare,
incomprensione che aumenta se leggo anche i commenti; sarà per questo che non
invidio il fatto che il suo blog abbia più visite del mio.
A volte, riesce a parlare di complessità e di massimi
sistemi, con parabole quotidiane e terra-terra (che non significa
affatto banali), come nel post pubblicato
oggi:
Per strada, ascolto giovani con gli occhi a mandorla che parlano fiorentino e
giovani dalla pelle nera che parlano romano; poi leggo che, secondo alcuni
esponenti del governo, ci sarebbe un problema di integrazione linguistica,
da risolvere creando apposite "classi-ponte" per italianizzare i figli degli
stranieri.
E' il paradosso omicida del razzismo, che impone come ragionevole
l'impossibile: quelli che dovrebbero starsene a casa loro, dovrebbero nel
contempo diventare esattamente come noi; per un problema inesistente, si
propone una soluzione insensata - "separiamoli da noi per farli diventare
come noi".
Infatti, almeno fino alla scuola media, la meravigliosa capacità di
apprendimento linguistico infantile significa che il problema semplicemente non
esiste: basta esporre i bambini ai loro coetanei e parleranno proprio come loro.
Invece qui li tolgono dall'ambiente italofono e li mettono in apposite classi.
Quando la scuola - intesa come sistema educativo, non come luogo di
socializzazione - è il peggior posto in assoluto per imparare una
lingua. Infinitamente meglio i
manuali dell'Assimil.
Lo straniero in Italia cammina in genere a capo chino; il suo spirito
somiglia a quello dell'abissino nelle favole, che è convinto che se si
lava abbastanza, diventerà bianco. E la prima cosa di cui si può lavare lo
straniero è la propria lingua. Che è di solito l'unica cosa che ancora possiede
di suo.
Il padre filippino, che parla al proprio bambino solo in quel poco di
italiano che ha imparato... quando quel bambino crescerà, avrà almeno una cosa
molto italiana: la non conoscenza di lingue diverse. Per il resto, avrà un'idea
confusa di ciò che è l'italiano, visto che subisce due modelli concorrenziali,
quello dell'ambiente scolastico e quello della famiglia, che veglia con più
determinazione della scuola sulla sua italianizzazione.
La comunicazione tra le persone passa attraverso tanti canali; ma il canale
principale è quello linguistico. E meno largo è quel canale, meno si comunica.
Il genitore apparirà al figlio come apparirà a un italofono qualunque: una
persona che sa dire "quando pagare?" e qualche parolaccia. All'incirca
come i neandertaliani nei film di fantapreistoria, o gli indigeni nei
film colonialisti, in cui il trionfo dell'Uomo Rosa (perché siamo rosa,
mica bianchi di pelle) passa attraverso il mutismo dell'Altro.
Ma se i genitori appaiono come pezzenti morali e battute viventi, è
ovvio che i figli cercheranno i propri modelli altrove: ad esempio, nella banda
di ladruncoli del quartiere.
E' uno dei tanti meccanismi che ci preparano le banlieue del futuro,
in cui verranno rinchiusi tutti i figli superflui degli stranieri oggi
indispensabili. Gli scarti del grande piatto in cui mangiano e sputano gli
italiani.
Stiamo parlando di un processo sociale, dove le scelte individuali possono
incidere poco. Ma fa tristezza vedere come un motivo ricorrente nella
devastazione delle tradizioni altrui sia la difesa delle tradizioni
"nostre", vere o presunte, contro la "omologazione".
Gli omologatori, i nichilisti, sono proprio loro, che si dedicano
sistematicamente alla violenza (di cui quella fisica è la meno grave) contro
ogni lingua, religiosità, stile di vita, abbigliamento, usanza diversa dalla
propria, tranne ciò che si può trasformare in merce esotica.
Come se la bellezza delle tradizioni non risiedesse proprio nella loro
pluralità: nell'essere bilingui, trilingui, quadrilingui, nel saper vivere
in tanti mondi.
Tutto questo, l'ha riassunto perfettamente l'altro giorno la Quattrenne di
casa. E' interessante come lei abbia scelto di usare diverse lingue per
diverse funzioni: forse perché ci deve pensare un attimo a costruire le
frasi, l'inglese ad esempio è dedicato alle narrazioni fantastiche e alla
filosofia.
Le chiedo se le piacciono i kaki, alla maniera in cui li avevo preparati. Poi
le spiego:
"I learned from my mother how to make persimmons this way... Italians make
them differently."
E lei risponde:
"I will learn to make them, and my baby will learn, and my baby's baby
will learn, and it will never finish!"