Da
Gopk
Pausa sull'erba del principale parco milanese, controllando permessi e altro,
vicino, un gruppo di musicisti improvvisamente iniziò a suonare... musica
zingara. Forte. Belle canzoni da Gadjo Dilo e altre famose colonne sonore. Qui
nei prossimi giorni ci sarà qualcosa come un festival di musica zingara. E' la
prima volta che in questa città appare questo tipo di musica in questa maniera
eccezionale... un fenomeno che succede in un periodo in cui la vita romanì viene
rappresentata sui media come una minaccia alla sicurezza urbana italiana ed un
pericolo per la cultura e la legalità italiane. Piuttosto spiazzante questo
Giano a due facce (i Rom come popolo) non sarebbe differente dalle forme
classiche con cui la vita romanì potrebbe resistere/negare/accettare le
oppressioni e le discriminazioni. In ogni caso, sopravvivere. Le condizioni
costanti di essere nel contempo esoticizzati ed oppressi può aver contribuito a
perpetuare l'ambiguità della rappresentazione comune della vita romanì culturale
e sociale. Un'ambiguità che sfida qualsiasi concezione pura ed essenziale
dell'identificazione, che è la ragione per cui sociologi ed antropologi si
sentono nel contempo affascinati e delusi.
In questo paese, dove il tempo sembra eterno, dove - come dice Pasolini in un
film apparso in questi giorni sulla sua "rabbia" - non c'è una rabbia forte,
perché non c'è una forte vita borghese, tutte le possibilità di emancipazione ed
opposizione all'ideologia dominante (come il capitale e la chiesa) sono vecchie,
non rinnovate. E questo è molto più interessante quando si arriva alla questione
su come vengano costruite le rappresentazioni. Penso che dovremmo prendere la
rappresentazione dei Rom come un caso di "eternizzare" un mondo sociale che si
pensa essere solo un utile strumento per assicurare a qualche piccolo borghese
la sensazione di sicurezza. Naturalmente, non tutti in questo paese hanno questa
sensazione. E non sono neanche sicuro che quello di cui parla Pasolini sia così
differente da quello di un prete o di un vescovo... la tendenza ad essere
profeta, la tendenze a spiegare "la realtà", tutto, con un paio di frasi, e la
tendenza ad arrivare ad importanti conclusioni da un paio di considerazioni
sulla "società italiana". Mancanza di materiale empirico, in altre parole.
Tuttavia - come dice Bourdieu - gente come Sartre (e Pasolini potrebbe essere
considerato una sorta di j. P. Sartre italian-visuale orientato all'arte) sono
quelli che hanno le parole da usare quando qualsiasi altro è silente.