Ricevo da Luisa
Da
GEYGER DISF
Ieri è stato presentato alla regione Puglia il programma del Festival
della "Notte della Taranta", la cui XI edizione si terrà fra il 7 e il 23 agosto
nei Comuni della Grecìa Salentina, per concludersi nel concertone finale di
Melpignano, durante il quale è prevista la partecipazione di Caparezza, Aprés la
classe, Sud Sound System, Radiodervish, Richard Galliano e Rokia Traore' (nei
prossimi giorni maggiori informazioni).
Benché siano in molti, anche qui in Puglia, ad associare la "Notte della Taranta"
quasi soltanto al concertone di Melpignano, in realtà da anni questo Festival di
pizziche e contaminazioni folk è diventato itinerante, e per molti seguaci, "carovaniero" per tutto il Basso Salento, con circa 15 serate sparse fra
Calimera e Alessano, passando per Otranto e Galatina. Per non parlare di tutte
le rassegne, sagre, piccoli festivals ed eventi che costellano il Salento per
tutta l’estate, fornendo ampiamente scelte alternative per una stessa serata.
Anche il pubblico è perciò eterogeneo ed itinerante. Ad uno stesso concerto del
Festival, un terzo del pubblico è composto dalla popolazione locale- ma in buona
parte sono migranti italianissimi. Un altro terzo è composto da vacanzieri con
il culto dell’esotico, e l’ultimo terzo è costituito dai giovani travellers
d’Italia e ormai anche d’Europa (l’anno scorso ho anche incontrato
sudamericani). Al pubblico occorre aggiungere la non piccola comunità
temporanea degli ambulanti e degli addetti ai lavori, dei giocolieri e degli
artisti di strada, di chi organizza le varie rassegne e di chi fa commercio
(anche di dischi, magliette e libri). A volte la distinzione fra festival e
sagra s’assottiglia pericolosamente, a tutto vantaggio degli stands
gastronomici, che pagano di più ai Comuni. Altre volte i vigili lasciano fare, e
ciò rende la serata meno "istituzionalizzata" e "bottegaia".
Per molti giovani travellers il festival diventa davvero un’esperienza
nomadica "per scelta", assai simile ai fasti dell’Umbria Jazz d’un tempo,durante
la quale si incontrano, oltre il variegato mondo dell’ambulantato, anche gli
"zingari", in particolare nelle celebrazioni di San Rocco a Torrepaduli. Bands
di origine "zingara", come Mascarimirì di Claudio "Cavallo" Giagnotti, Crifiu,
Ziringaglia, sono presenti in parecchie serate, ma in genere molte formazioni
mixano ecletticamente ogni sorta di fonti musicali folk, etniche, world, afro,
reggae. Vi sono poi serate particolari in cui si incontrano "maestri" e "regine", come a Sternatia lo scorso anno, Lucilla Galeazzi ed Esma Redzepova
"the Queen of Gypsies" con il Canzoniere Grecanico Salentino.
Stratificazioni antiche, a volte rivendicate come "identitarie", e linee di fuga
contemporanee si intrecciano in un meticciato culturale reso più eccitante da o’
sole, o’ mare, sex drugs and rock’n’roll, dai mille incontri occasionali a volte
stimolanti, a volte divertenti, a volte convenzionali. Come sempre. Con la
"paura" di tornare a casa, alla solita vita scuola-lavoro-famiglia. E sullo
sfondo un Salento che con gli anni tende sempre più a "imborghesirsi", a sedentarizzarsi, a recintarsi, sempre meno
"selvaggio" e "primitivo" sempre più "bottegaio". Prima di tutto lo "sviluppo", il
"marketing del territorio", in
funzione turistica: villaggi, resort, bed & breakfast, strade, porti, etc.
L’alternativa fra nomadismo e sedentarietà oscilla fra le scorribande notturne e
la noia vacanziera, compresenti sullo stesso territorio per qualche mese estivo.
Nulla che in fondo non sia un déjà vu, da queste parti. Dove al tradizionale
incontro/scontro fra contadini, zingari e classi agiate si è sovrapposto quello
post-moderno fra migranti, vacanzieri, nuovi nomadi, artisti di strada,
giocolieri, e… affaristi. Più i nuovi Rom arrivati di recente dalla ex
Jugoslavia, e in particolare dal Kosovo, in seguito alle guerre etniche ed
"umanitarie".
Il gruppo più antico di Rom in Italia, proveniente dai Balcani, si è insediato
fin dal XV sec. nell’Italia centro-meridionale, fra Abruzzo, Molise, Campania,
Puglia e Calabria. Esercitavano le attività di fabbri, mercanti di equini,
giostrai. Fino agli anni successivi la seconda guerra mondiale durante la bella
stagione giravano per i mercati con carrozzoni trainati da cavalli; svernavano
vicino a qualche borgo, in stalle o fienili presi in affitto. Col tempo la
lingua romani, già fortemente influenzata dai dialetti regionali, è stata
quasi del tutto abbandonata o sopravvive nell’uso di alcune frasi gergali. Allo
stesso modo, il nomadismo è diventato stagionale e i più si sono "fermati" in
campi e baraccopoli alle periferie delle città.
La loro partecipazione ad alcune feste religiose le influenza in maniera
determinante come nel caso della festa di S. Rocco a Torrepaduli e della festa
dei SS. Cosma e Damiano a Riace (CZ). La presenza degli zingari è sensibilmente
diversa da quella dei contadini:
"i contadini trascorrono la notte accampati in chiesa, seguono la processione
cantando, suonano e danzano la tarantella solo in spazi e in momenti a margine
della festa vera e propria; gli zingari si accampano in automobili, camion o
furgoni, nei pressi del santuario. A Riace precedono la processione danzando; a
Torrepaduli, dopo la processione, si impadroniscono del sagrato dando vita per
tutta la notte a delle "ronde" di "pizzica". Qui agli zingari (e, in misura
minore, ad altri marginali e a gente di malavita) spetta prevalentemente il
ruolo di danzatori, ai contadini quello di suonatori di tamburello e di armonica
a bocca. La tarantella ballata a Torrepaduli in occasione della festa di S.
Rocco è detta la "scherma": due uomini si affrontano danzando, indice e medio
della mano destra tesi a simulare la presenza di un coltello, e duellano fino a
che uno dei due contendenti viene toccato per la terza volta dalle dita
dell’avversario"(Nico Staiti).
La "pizzica-scherma" verrebbe dalla Calabria, dov’è chiamata anche "tarantella maffiusa", tipica non degli zingari, ma come danza di contadini, pastori, e
gente di malavita. Ma i Rom salentini restano comunque gli interpreti principali
della "scherma", e sono loro ad averla importata dalla Calabria nel Salento.
Com’è tipico del nomadismo e degli zingari, sono questi ad aver svolto un ruolo
di mediatori di tradizioni fra due diverse regioni dell’Italia meridionale, cosa
impossibile fra culture "chiuse", e allo stesso tempo, a Torrepaduli come a
Riace, svolgono un ruolo complementare rispetto agli altri partecipanti.
La grande capacità degli zingari, come sottolineava Luca Guglielminetti nel post
di ieri, "La nuova musica zingara: il Jazz dei Balcani", è quella di costruire i
brani musicali attraverso "l'apprendimento, come per la lingua parlata, di arie
e melodie popolari dai luoghi di passaggio, e l'estro individuale
particolarmente esaltato dalla pratica molto frequente dell'improvvisazione. È
difficile individuare una musica originale zingara. Si possono riconoscere però
stili diversi…".
Questo tipo di "ibridazione", di "musica ibrida ai confini del mondo in un
cocktail irresistibile di musiche balcaniche…ricche di echi arabi, turchi e
mediorientali in un turbinio di ritmi etc." costituisce il contributo specifico
della musica "zingara" alla musica "etnica" del Salento. La sua profondità
(Liszt) riflette "un dato di precarietà sociale eccezionale" percepito
con intensità e forza straordinarie, alla quale, forse, anche il più distratto
vacanziero o migrante di ritorno, colto in un attimo di libertà fuori dalle
consuete costrizioni del lavoro e del quotidiano, s’abbandona mollemente.
"Se il dato primario degli zingari è la capacità (necessità) di adattarsi a
contesti sociali sempre nuovi, cui prestare attenzione per percepire quanto
serve per sopravvivere, è ben possibile che, come per i neri americani,
prestando orecchio a quanto le tradizioni musicali popolari fornivano nei
contesti dei luoghi nei quali si aggiravano abbiano condotto a queste strepitose
"sintesi" o "rivitalizzazioni" di tradizionali arie in forme dotate di una
autonoma cifra stilistica" (Luca Guglielminetti).