Lettera dal Canada
Di Fabrizio (del 10/05/2005 @ 04:47:06, in Italia, visitato 4537 volte)
da Ronald Lee
Premessa: Alla fine di aprile, la morte di una bambina Rom in un campo a Napoli a causa di un incendio, e un articolo uscito sulla Padania contro l'apertura di un campo attrezzato sempre a Napoli, hanno riportato l'attenzione di giornalisti e parlamentari europei sulla situazione dei Rom in Italia. Non so perché, si sono rivolti anche a me per la raccolta dei dati. C'è qualche lettore napoletano che può aiutarmi? Anche nella mailing list Roma_Italia si registrano toni allarmati, soprattutto da parte di quelle organizzazioni che già hanno fatto ricorso a Bruxelles contro l'Italia. Questo ne è un esempio: -----
...Sono stato a Roma nel 2001 e ho visitato alcuni campi rifugiati per i Rom. Questo tipo di brutalità [...] è comune nei campi e nelle città. Vi invio l'introduzione che feci per "Suspino: A Cry for Roma" di Stefano Montesi, un film che fu poi prodotto con una compagnia canadese di Vancouver [...]
-ROMA ANDE KALISFERIA- ROM NEL LIMBO
By Ronald Lee Executive Director Roma Community Centre Toronto Canada
I Vlach NordAmericani ritengono che esista un posto tra la terra e il Cielo chiamato "Kalisferia", dove finiscono le anime dei bambini non battezzati, i suicidi e quanti hanno commesso crimini. Una triste regione di oscurità totale abitata da creature impaurite, condannate a vivere lì sino quando non riceveranno la grazia per raggiungere Raiyo, il concetto Rom corrispondente al Paradiso. Quando sono entrato nel campo Casilino 900, una baraccopoli vicino a Roma, ho incontrato Kalisferia in terra!
Non si sa quanti siano i rifugiati Rom in Italia. "Ziganopoli: La Segregazione Razziale dei Rom in Italia" pubblicato da The European Roma Rights Center, Budapest, ottobre 2000, ne calcola 130.000, altri danno una cifra compresa tra 90.000 e 110.000. Il governo italiano considera tutti i Rom e Sinti come nomadi, che devono vivere in campi segregati. Non hanno possibilità di mescolarsi col resto della società. Molti sono rifugiati dal Kossovo, dalla Bosnia, dalla Macedonia e da altre regionidella ex Yugoslavia, altri dalla Romania. Molti vivono in questi campi da 10, 15 anni e anche di più. I loro figli, nati in Italia, non hanno conosciuto altra se non quella dei campi. Non possono appellarsi alla Convenzione per i rifugiati, come quanti sono profughi in Canada. Qualcuno ottiene un permesso di residenza, e la maggior parte non può richiedere il permesso di lavoro. Le donne devono mendicare per strada per portare da mangiare in famiglia. La polizia può sottrarre loro figli e metterli in istituto. Nessuno conosce il numero dei campi in Italia. Alcuni sono legali e altri no. La differenza non è chiara, dipende dalla volontà delle giunte locali. La maggior parte dei Rom nei campi "nomadi" provengono da comunità balcaniche sedentarizzate da tempo. Questo nomadismo istituzionalizzato applicato dal governo italiano è una palese violazione dei diritti umani.
Come attivista Rom, che ha lavorato in Canada con i rifugiati Rom provenienti dai paesi ex-comunisti dell'Europa centrale e orientale, sono rimasto stupefatto per le condizioni di vita e la disumanizzazione del mio popolo, qui in un paese civilizzato nell'Europa occidentale. Con i miei colleghi venni fermato all'ingresso di Casilino 900, dalla polizia che esaminava i nostri passaporti, e fummo ammoniti a non entrare "in quel campo di Zingari. Vi ruberanno le macchine fotografiche e vi rapiranno" ci informarono. Alla fine, ci fecero passare "a nostro proprio rischio".
La prima cosa che mi colpì in Casilino 900, fu la pila di immondizia che emergeva ovunque, le baracche che erano state costruite e le roulottes a cui erano state tolte le ruote. L'immondizia non era rimossa e tutto il campo era infestato dai ratti, che spesso assalivano i bambini. Non c'era elettricità né acqua corrente, eccetto delle fontanelle all'ingresso del campo e dei wc chimici, inutilizzabili per l'accumulo di escrementi. L'immondizia veniva bruciata assieme alla legna. In un campo, incrociai un furgone guidato da un rifugiato etiope, che era incaricato di pulire i wc chimici una volta al mese.
Casilino 900, mi hanno raccontato i Rom, è simile a molti altri campi in Italia per rifugiati. [...] Per fortuna, sono riuscito a parlare con loro in romanes, che mi deriva in parte dall'essere di origine Vlach, e anche dal confronto con altri rifugiati in Canada, che parlano una varietà di dialetti simili. Il problema maggiore è dato dai permessi di lavoro e dalla mancanza di status legale. Non possono appellarsi alla Convenzione sui rifugiati. Se lo fanno, come è successo a una famiglia bosniaca con 8 figli, arrivata 11 anni fa, hanno 30 giorni per lasciare l'Italia o essere deportati- L'Italia non applica la Convenzione di Ginevra del 1951. Invece, lo fa per l'Accordo ONU di New York del 1954 sugli apolidi. Tra i pochi Rpom che hanno potuto usufruirne, c'è Babo Daniele, arrivato in Italia dopo un'odissea tra gli stati dell'ex Yugoslavia, munito di un inutile passaporto rosso yugoslavo, senza più cittadinanza nelle nuove repubbliche, nessuna delle quali voleva accettarlo come di nazionalità Rom.
Sono migliaia, inclusi i lavoratori ex-yugoslavi all'estero, che non possono tornare in patria, anche se volessero, perché il marito è diventato cittadino di una repubblica e la moglie di un'altra. Tra di loro, anche molti Rom che si erano rifugiati in Macedonia e da qui sono arrivati in Italia. Babo Daniele si fabbrica da sé il forno dove cuoce pizza e bistecche in un laboratorio che ha ricavato accanto alla casa che si è costruito nel campo. La casa viene rifornita di elettricità da un generatore a benzina, che ha costruito con pezzi di varia provenienza. Per sopravvivere, vende le pentole e le stoviglie che lui stesso fabbrica. Era un fabbro ambulante sta tentando invano di ottenere un permesso per aprire una piccola officina dove inserire altri residenti del campo. Le sue richieste non hanno ancora incontrato le orecchie giuste.
Un altro che non si arrende è l'ottantenne Sevko R., ramaio Chergari della Bosnia, che ancora prova a continuare il suo lavoro. Mi racconta: "Ho raccolto e lavorato il rame per tutta la vita e morirò col rame tra le mani." Altri sono abili nel confezionare gioielli, nell'aggiustare pentole o in altre attività commerciali, ma il governo non ha mai mostrato interesse nel permettere lo sviluppo di micro-progetti che permettesero loro di vivere. Ci sono fabbri, meccanici, commercianti a vari livelli.
Molti degli uomini a Casilino 900 e in centinaia di altri campi, sono demoralizzati. Senza permesso per lavorare, devono sopravvivere con lavori in nero o con l'elemosina delle donne. La stampa italiana bolla questi campi come "terreno fertile per la criminalità" e non c'è dubbio che questa tentazione esista, dato che tutte le strade per un'impiego onesto sono eliminate o proibite.
La scolarizzazione è un altro disastro. Alcuni bambini vanno a scuola, nei pochi campi serviti dagli scuolabus, ma la maggior parte lo fa sporadicamente. Alcuni giovani si guadagnano da vivere strimpellando O Sole Mio o La Cumparsita per i turisti stranieri che li confondono con suonatori italiani. Le ragazze vengono avviate all'accattonaggio, qualcuna lavora come domestica nelle case dei ricchi.
Nell'adiacente campo Luigi Carboni, abitato da rifugiati Rom dalla Romania, i bambini vanno a scuola quando funziona il servizio di scuolabus. I Rom vivono in container, che sono la miglior soluzione per i rifugiati, ma i container sono pochi. Sono confortevoli come le nostri mobilhome in Canada, hanno acqua corrente, servizi interni, elettricità, frigoriferi e piccole camere da letto. A prima vista questo campo modello, unico nel suo genere, sembra migliore della sistemazione che i nostri rifugiati Rom dall'Ungheria trovano lungo l'autostrda per Hamilton, a St. Catherines o nella Niagara Peninsula, finché non si scopre che questi Rom potrebbero rimanere lì per sempre. In Canada, la situazione di provvisorietà dura due mesi e poi i Rom possono cercarsi un'altra sistemazione, ottenere il permesso per lavoarre e4 cominciare ad integrarsi nella società canadese, mentre l'Immigration & Refugee Board (IRB) vaglia la loro posizione di richiedenti asilo. Se la richiesta ottiene esito positivo, possono percorrere tutto l'iter che da immigrati li può portare a diventare cittadini canadesi. Se la richiesta viene rifiutata, è possibile ricorrere in appello, e solo dopo un ulteriore rifiuto, si viene rimpatriati o si opta per il ritorno volontario. L'aspetto negativo di questa prassi è che attualmente, solo dal 12 al 18% dei richiedenti asilo dall'Ungheria ottengono il benestare dall'IRB, contro l'89% dei Rom dalla repubblica Ceca nel 1998.
Il problema principale nel campo modello Luigi Candoni è la fame. I rifugiati in Italia non ottengono una diaria e se le donne non andassero a mendicare, nessuno mangerebbe. [...] Per gli uomini la prospettiva è il lavoro in nero. E' anche impossibile ottenere assistenza medica. Una giovane di 27 anni, incinta di sette mesi, andò in ospedale a causa di un aborto spontaneo. Le furono date delle pillole e venne congedata. La conobbi tre mesi dopo [...] che soffriva ancora di emorragia. Non ha potuto essere curata in nessuna struttura o ospedale.
La routine al campo Luigi Candoni, come negli altri campi attorno, è dettata dalla fame. Le madri partono la mattina presto con i figli in età prescolare e prendono la metropolitana per andare in città. Possono mendicare, ma non nella Città del Vaticano, dove rischiano di essere arrestate. Mentre Sua Santità li ha benedetti e si è riferito a loro come "miei Amatissimi Figli del Vento", non ha permesso loro di mendicare nei suoi domini. La sera, madri e bambini tormnano al campo e sono investite dalle domande delle più anziane, che attendono tra montagne di vestiti donati dalle associazioni caritatevoli o magari messi da parte per essere nuovamente scambiatinella speranza di un guadagno supplementare. Se non si è raccolto abbastanza, salta la cena o la colazione [...] L'indomani, ricomincia il ciclo. In altri campi, è successo che le donne tornassero e trovassero tutto demolito dai bulldozer... [...]
Ho lasciato l'Italia con una domanda, che devo farmi come attivista Rom canadese. Dove sono i leaders Rom in Europa? Perché nessuno di loro è coinvolto in questa tragedia? Sono troppo impegnati in conferenze senza fine e a combattersi l'un l'altro i benefici delle autorità? Sono troppo occupati nell'ingrandire loro stessi e ad autopromuoversi, per prendersi cura della gente dei campi? In Canada, facciamo tutto quanto possiamo per assistere i Rom rifugiati in un paese dove hanno la fortuna di esssere accettati come rifugiati ed eventualmente ottenere la cittadinanza. Se vivessi in Europa, vorrei essere in Italia e combattere per questi Rom. Perché non lo fanno i nostri leaders ed attivisti europei? I Gajé non risolveranno questo problema, magari possono aiutarci e in effetti lo stanno facendo, ma senza una nostra forte leadership, Kalosferia non avrà mai fine.
Durante la mia ultima visita a Casilino 900, "Cipollina", una ragazza di 12 anni ed apprendista mendicante, mi ha implorato: "Amico, le man tusa ande Kanada - portami con te in Canada!" Se solo avessi potuto, l'avrei fatto. C'è stato un eco alla sua richiesta: "Kako! Azhutisar amen te djas ande Kanada. Meras ande Italiya - Zio! Aiutaci ad andare in Canada. In Italia stiamo morendo."
Il mondo deve conoscere di questi campi, del razzismo istituzionalizzato e delle condizioni inumane in cui i Rom sono forzati a vivere. Questo fotogiornale di Stefano Montesi, attivista italiano e fotogiornalista, che ha dato il suo tempo e il suo talento per aiutare i Rom, correndo egli stesso rischi con le autorità, è di inestimabile valore. Ho incontrato Stefano in Italia e posso raccomandare il suo lavoro e il suo impegno per la causa dei diritti umani.
Link utili - ERRC - Dichiarazione universale dei diritti umani - I maestri del rame - Casilino 700 - Testi di Pietro Orsatti, foto di Stefano Montesi
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