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Venerdì, 27 Giugno 2008 - 13:30 - di Rosa Ana De Santis
L’ultimo impeto giustizialista del ministro Maroni questa volta – forse - ha
superato ogni pudore e ogni minima parvenza di buon senso. Va bene il coro sulla
sicurezza, siamo abituati alla ingiusta e generalizzata condanna
dell’immigrazione, ma ai bambini non eravamo ancora arrivati. Cosi lascia
interdetti che mentre alla Camera dei Deputati la maggioranza propone –
raccogliendo adesioni trasversali - una variazione del codice penale che
introduce il reato di pedofilia culturale e, in primis, il termine stesso di
pedofilia finora non presente nel codice, proprio perché all’infanzia si
riconosce uno status speciale di attenzione e tutela, ci si dimentichi del tutto
di questa specialità dei bambini quando si opera su altri fronti. Quelli di casa
nostra. Si rischia di cadere nella tentazione di leggere oltre i fatti e di
pensare che questa libertà di azione il Ministro possa prendersela senza nemmeno
scomodare troppe giustificazioni, perché quei bambini sono rom o sinti. Non sarà
per colpa dell’odore della povertà, dei panni sporchi, delle baracche in cui
quei bambini vivono la loro piccola vita? Intanto però Maroni supera il suo
camerata Borghezio, che per gli immigrati proponeva le impronte della pianta dei
piedi. Sale il livello, insomma..
Certo è che quando qualcuno di loro è morto bruciato per colpa del freddo, di
una candela dimenticata o di una bombola esplosa, allora la solidarietà “made in
italy” impreziosita di lacrime e di edulcoranti etichette per quelle povere
creature o per quegli angeli disgraziati, aveva l’assenso e il cordoglio di
tutti. Una volta morti essere buoni non costa alla fine troppa fatica, allora sì
che sono solo bambini. Anche se nomadi, da morti non danno troppo fastidio.
Spesso i più sfruttati, i più venduti, i più abbandonati. I più in balìa di ogni
forma di aggressione e violenza, fuori dai campi in cui vivono e dentro. Senza
istruzione, costretti all’elemosina, vessati e puniti per ogni mancato incasso.
Proprio a loro chiediamo svergognati il prezzo della nostra sicurezza, cadendo
nel vizio tutto nostrano delle formule facili. Saranno le impronte dei bambini a
garantire l’ordine pubblico e la sicurezza? Passa sui bambini la strada del
nostro vivere più sicuri? Il principio è sempre lo stesso: partiamo dai più
deboli. Riscuote facilmente clamore sui media, il governo forte e autoritario
impressiona cosi la psicologia della massa. Perché la massa queste cose le
premia, si sa.
Quando la società si allarma sull’onda di una percezione della violenza e
dell’insicurezza che supera la trama reale degli eventi, la rimozione dei più
elementari principi della nostra cultura lascia il passo alla cecità assoluta:
il pericolo è dietro l’angolo. Cosi come gli stranieri diventano tutti i
potenziali killer delle stragi di casa nostra e l’immigrazione si trasforma nel
trasporto sicuro e contagiante di malattie e droga, allo stesso modo - a quanto
pare - i bambini possono essere trattati ancor peggio degli adulti o,
semplicemente, come gli adulti.
Il Presidente del Comitato Italiano UNICEF
Vincenzo Spadafora non ha celato tutto il suo stupore e la sua contrarierà
al provvedimento, auspicando che possa trattarsi di una trovata tutta
provocatoria dell’ultim’ora che sfida senza riguardo i princìpi affermati nella
Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. Ancora più grave perché è soltanto
cronaca di ieri vedere la polizia fuori dai campi nomadi, in un clima
generalizzato – e a tratti ingovernabile - di intolleranza e di pesante
discriminazione. Sono favorevoli, non c’è da stupirsi, il sindaco di Milano
Moratti, Alemanno ha dato il suo assenso e il capo di gabinetto del ministro per
le Pari opportunità, Simonetta Matone, ex giudice minorile, vede in quanti sono
contrari un puro pregiudizio ideologico.
Sulle formule linguistiche poi possiamo anche intrattenerci a lungo: il Ministro
parla di campi nomadi e non rom, perché sa bene che all’interno ci sono
cittadini italiani come tutti gli altri; dichiara che farà un censimento e non
una schedatura etnica e che quest’operazione salvaguarderà i bambini, nomadi o
rom non si sa bene, dall’accattonaggio e da altre forme di sfruttamento di cui
sono vittime. Sfugge quale sia il nesso causale cosi determinante che porta
dalla schedature dei bambini, operazione riservata solitamente ai trasgressori e
non alle vittime, all’obiettivo di proteggerli e di condurli a una vita che veda
difesi i loro diritti fondamentali. Perché non farlo con tutti i bambini, se
questa è la nobile dignità del fine? Iniziamo a mandare i poliziotti nei
quartieri impenetrabili delle nostre città a collezionare le impronte dei figli
della mala? Manderemo le volanti a combattere l’abbandono scolastico?
Sfugge il nesso soprattutto perché, ancor prima di approntare misure che nel
tempo possano giustificare scelte politiche di questo tipo attraverso i numeri
delle statistiche di un eventuale censimento come questo, esiste una questione
tutta morale che un’operazione di questo tipo non può non sollevare. Le
assonanze con il passato, con le foto di 50 anni fa, con i versi di Brecht sotto
le urla delle pulizie etniche, fanno ancora tremare. Si parte sempre con gli
zingari e, se nessuno vuole cadere nel paventare alcuni ricorsi storici, non si
può però non rilevare la costante per cui si parte sempre da loro.
Tutta la storia insegna quanto i gitani siano sempre stati catalizzatori
dell’odio collettivo nei momenti di maggiore tensione sociale, quanto
accanimento la società civile abbia sempre riservato al loro sistema di pensiero
e di cultura. Capri espiatori comodi e pronti all’uso, soprattutto perché
terribilmente indifesi, accettabili solo quando danzano il flamenco raffigurando
in scenografie ricche di colori e di fascino tutte le loro perseguitate
tradizioni. Se a farlo è uno come Cortès l’applauso del pubblico è garantito.
Purchè rimanga spettacolo.
A lanciare il monito che la convivenza pacifica e il miglioramento di alcune
condizioni di profondo disagio sociale con il popolo dei nomadi, anzi con i
popoli nomadi non passino attraverso l’approccio poliziesco e persecutorio, lo
dicono le tante associazioni che da tempo, attraverso diversi canali che vanno
dall’inserimento al lavoro, alla cultura, alla promozione di attività di
inserimento e di istruzione per i più piccoli, dimostrano come la strada
dell’incontro di culture sia faticosa, ma percorribile su un terreno che non è
certo quello annunciato dal nostro governo.
Non sarà per perdere tempo che il Garante dei Minori del Lazio, solo per fare un
esempio, insieme a “Save The Children” invitino a non cadere nella trappola
della paura instillata, istituiscano un centro d’ascolto, lavorino per
valorizzare un metodo di incontro e dialogo che trasformi le strutture di
accoglienza da semplici centri logistici in luoghi dove la dimensione
relazionale e la cultura pedagogica aiutino i più giovani, gli siano di supporto
e di conforto. Sarà proprio questo forse a impedire che le loro dimore diventino
baracche, che la loro vita abbia a cuore un sistema di regole che minime nella
loro neutralità, senza essere imbevute della nostra cultura, non li tengano ai
margini, non li segnino come diversi, estranei e - per dirla con i termini di
Emanuela Moroli e del suo libro sul tema del pregiudizio - perché non sia più,
come sempre è stato Zingaro chi sei? Nel dubbio ti odio.
Viene in mente il caso della bambina rom che, qualche anno fa nella
metropolitana di Roma, colta in pieno tentativo di rapina, venne malmenata. Le
furono fratturati entrambe i polsi. Grave e ancora più grave che il coro dei
commenti avesse di che difendere il buon cittadino vittima del borseggio, che
proprio non avrebbe potuto fare diversamente data l’inefficacia della nostra
polizia e della nostra giustizia. La bambina aveva allora 7 anni, ma i figli
degli zingari sono zingari e basta. Se fosse stata figlia di un impiegato del
catasto le sue fratture sarebbero costate un processo agli eroi codardi.
Allora pare proprio che il futuro sarà quello di schedare i bambini rom per
difenderli dai loro genitori sfruttatori e per inserirli come schedati, anzi
“censiti”, nella nostra società civile. Sembra che quasi potrà essere
giustificata la punizione corporale contro un bambino rom borseggiatore e le
donne porteranno i braccialetti segnaletici anti aggressione; e - perché no? -
potremo inventare una foto segnaletica per i poveri, dato che la povertà è una
malattia contagiosa e di grande problematicità sociale. Poi una "D" tessuta
sugli abiti per i drogati, ancora più grande se saranno stranieri e clandestini.
E’ un aggravante, è noto. Potremo rinunciare a segnalare la diversità delle
razze, sarebbe contento il nostro Ministro: il colore della pelle quando è nero
come Africa o nocciola come Medio Oriente basta da solo, senza schedature e
segnalazioni, a scatenare violenza, fino a rappresentare ancora oggi, in pieno
orgoglio di civiltà, il 43% delle forme di bullismo dei nostri bravi, bravissimi
ragazzi.
Nessuno vuole stendere un velo buono a tutti i costi su tutti, ma nessuno può
con il pretesto della sicurezza e della tutela, abdicare a ogni forma
lungimirante di strategia politica e ignorare che in questo modo, in questi
termini, non abbiamo dubbi che sarà un censimento, come sottolinea il nostro
Ministro. Il censimento di Erode.