Ricevo da
Maria Grazia Dicati
MILANO - Una classe ghetto per bambini rom. O quasi. Succede alla scuola
dell´infanzia di via Magreglio a Milano. Il prossimo anno scolastico ci saranno
25 bambini rom, alcuni del vicino campo nomadi di via Triboniano. Di questi,
tredici finiranno in un´unica classe, con altri quattro bimbi stranieri e otto
italiani. Da qui la protesta del collegio scolastico: «Se il ruolo della scuola
è quello di promuovere un pieno e completo processo di integrazione, come può il
Settore educazione creare classi nelle quali c´è una presenza elevata di bambini
della stessa etnia e in cui gli stessi, anziché beneficiare di una sana e
serena integrazione, si vedranno maggiormente emarginati? Non sarebbe più
rispettoso per i bambini un´equa distribuzione in almeno due scuole?».
Una richiesta arrivata, sotto forma di lettera, all´assessore comunale alle
Politiche sociali e rilanciata dalla Cgil. «È giusto inserire i bambini rom
nelle scuole comunali, ma metterne così tanti in un´unica classe diventa una
forma di ghettizzazione, così non si costruisce l´integrazione», spiega Adriano
Sgrò, segretario cittadino della Cgil-funzione pubblica. La scuola di via
Magreglio ha quattro classi - che da settembre diventeranno cinque - e cento
bambini, tra cui molti figli di stranieri. Ma mai, finora, bambini rom. I 25 in
arrivo sono stati inseriti dalla Casa della Carità di don Virginio Colmegna (i
genitori hanno firmato il "Patto di legalità") che, in realtà, aveva iscritto i
bambini del Triboniano in cinque scuole della zona, per evitare alte
concentrazioni, e invece ha scoperto che il Comune ha dirottato la maggior parte
proprio in via Magreglio. La protesta delle insegnanti non è però una questione
di razzismo, anzi. «Non è che non vogliamo questi bambini - spiegano - ma è un
numero troppo alto, considerando che non abbiamo una formazione professionale
adeguata e mancano mediatori culturali e strutture».
Ora, dopo la lettera inviata all´assessore Moioli e dopo la denuncia della Cgil,
si aspettano risposte dal Comune. E fanno una riflessione amara: «Ci sentiamo
ancora una volta abbandonate nella nostra dignità di professioniste e di
lavoratrici. Dovremo affrontare una sfida come questa, senza nessun tipo di
aiuto e di sostegno da parte dell´Amministrazione che tanto parla di qualità del
servizio educativo e poco o nulla investe, riducendo i servizi a baby parcheggi
e a pura assistenza sociale. Ma il ruolo di noi insegnanti è ben altra cosa».
23-06-2008 La repubblica LUCA DE VITO ORIANA LISO