Ricevo da Tommaso Vitale
Il ''quaderno'', curato soprattutto da Cospe e Asgi, 0 indica a cittadini
stranieri e non, avvocati, magistrati, sindacati, istituzioni pubbliche e
associazioni la strada da intraprendere se si vuole ricorrere al giudice
BOLOGNA - Ecco le linee guida per chi, discriminato per motivi etnici, razziali
o religiosi, vuole fare causa ad esempio contro il datore di lavoro oppure
contro il Comune perché magari è stato escluso dalle graduatorie per le "case
popolari” o dall'accesso al pubblico impiego. Si chiama “Cause strategiche
contro la discriminazione” , ed è un “quaderno” curato dal Cospe,
l"organizzazione di Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti, che indica
a cittadini stranieri e non, ad avvocati, magistrati, sindacati, istituzioni
pubbliche e associazioni la strada da intraprendere, la normativa di riferimento
e a quali organi giudiziari rivolgersi se si vuole ricorrere al tribunale per
motivi discriminatori legati alla razza, all'etnia o al credo religioso.
Realizzato grazie anche al contributo dell"Asgi (Associazione studi giuridici
sull’immigrazione) , del Cestim (Centro studi immigrazione) , dell’Enar (Network
europeo contro il razzismo) e della Regione Emilia-Romagna, il volume è stato
presentato oggi a Bologna nel corso di un convegno a conclusione del progetto
omonimo co-finanziato dall’Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni
razziali che sta presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità).
“In Europa le cosiddette 'cause strategiche’, che altro non sono che cause
legali chiamate così per indurre un cambiamento sociale, legislativo e
giurisprudenziale che contribuisca a sviluppare la tutela dei diritti umani,
sono già applicate da tempo - dice Marina Pirazzi del Cospe –. In Italia,
invece, sono poco praticate nonostante la Costituzione, le direttive europee, il
testo unico sull’immigrazione del ’98 e il decreto legislativo 215/03 siano
ampiamente dotati di norme anti-discriminazion e razziale. Servirebbe inoltre un
Fondo nazionale per il finanziamento delle cause strategiche, perché non è
giusto che la via legale vada a gravare sulle spalle degli avvocati”. “Quello
che manca nel nostro Paese è una cultura giuridica forte contro le
discriminazioni per motivi etnici. Nonostante la normativa compia 10 anni, solo
negli ultimi tempi ci sono state delle sentenze che sono andate in questa
direzione – precisa Nazzarena Zorzella dell’Asvi –. E lo hanno fatto pur tra
mille difficoltà, legate soprattutto al fatto che il recepimento delle direttive
europee non ha pienamente accolto il meccanismo dell’inversione dell’onere della
prova nel processo e che resta alquanto nebuloso il criterio di quantificazione
del danno in caso di risarcimento”.