di
Dijana Pavlovic
Il 27 gennaio in occasione di una giornata dal grande valore civile: la
Giornata della memoria, si svolgerà una manifestazione. Ma questa giornata
rischia di testimoniare una memoria selettiva. Infatti, in questa occasione così
significativa, nessun Rom potrà parlare e portare la testimonianza della
deportazione e del massacro del nostro popolo, nonostante ne sia stata fatta
richiesta al comitato organizzatore e nonostante il valore fondamentale di
parlarne in un momento che vede in questo Paese i rom indicati come il nemico
pubblico numero uno.
Nell’Italia democratica e civile i nostri figli muoiono di freddo e nei roghi e
nessuno si scandalizza. Gruppi di neonazisti entrano nei nostri campi,
minacciano, sparano e bruciano e nessuno si scandalizza. Ci rifiutano
l’assistenza sanitaria costringendoci a partorire per strada e nei campi. A
Milano fa freddo e più di cinquecento persone, uomini donne bambini e anziani,
dormono nel fango sotto le tende, spesso rotte e tagliate dalle forze
dell’ordine durante gli sgomberi. Ci distruggono le case, le uniche che abbiamo,
separano le nostre famiglie. Per noi varano leggi speciali. Con patti di
legalità ci proibiscono di ospitare nostri parenti anche solo per una notte, ci
danno un pass e ci controllano i documenti per lasciarci entrare in casa nostra.
I mass media ci criminalizzano e ci fanno apparire come un popolo di assassini
ladri e asociali, la politica ci considera un danno elettorale.
Ma per noi, questa è una vecchia storia. Dal 1400 ci hanno braccato come
animali, hanno fatto leggi e decreti per stabilire che la nostra vita non valeva
niente e che chiunque ci poteva uccidere senza nessuna conseguenza. Nei campi di
concentramento nazisti ci hanno portato nelle camere a gas, i nostri figli erano
le cavie preferite di Mengele e altri scienziati, in tutta Europa ci hanno
misurato crani e altre parti del corpo per provare che non siamo esseri umani
come gli altri.
Violenze, umiliazione, morte… Questa è la storia del mio popolo. Ed è sempre
trascorsa nel silenzio. Nonostante ci siano prove scritte, testimonianze,
fotografie, che confermano senza dubbi che siamo stati deportati non come
individui, ma come appartenenti a una razza inferiore, un popolo criminale e
asociale, per anni ci hanno negato questo riconoscimento. Il nostro orrore, che
chiamiamo Porrajmos, cioè distruzione, divoramento, non ha mai avuto voce.
Sarebbe inquietante dover pensare ancora oggi nella civile Milano che oltre 500
000 Rom morti nei campi di concentramento, anche italiani, non valgano, non
meritino memoria né riconoscimento. Forse è troppo scomodo e impopolare in
questo momento dar voce a chi rappresenta questo popolo, anche per chi porta
nella propria storia i valori fondamentali come antifascismo e antirazzismo?
Questi valori sono importanti anche per noi Rom, perché la loro affermazione ci
ha restituito la dignità e ci ha salvato dagli stermini, dalle umiliazioni e
dalla schiavitù in tutta Europa. Chi condivide questi valori e ne fa la propria
bandiera non può dimenticare che non conoscono compromessi, non possono
convivere con piccoli giochi politici per raccattare o non perdere qualche voto.
Dai Rom, un popolo sena terra e senza guerra, tutti possono imparare che ci sono
cose che non sono in vendita, mai e a nessuna condizione: la libertà e
l’identità culturale.
Il mio è un grido di dolore, non solo di chi appartiene a un popolo da sempre
discriminato e rifiutato, ma anche di una cittadina che crede nei principi di
uguaglianza e di libertà, che crede che il silenzio sul passato danneggia
gravemente le generazioni future e il futuro di una nazione, che la memoria è
importante solo se non è selettiva e se non ci sono censure sui fatti storici
perchè.
Per questo, noi parteciperemo lo stesso alle manifestazioni di questa giornata
per testimoniare lo sterminio dei nostri nonni e dei nostri padri ieri,e la
discriminazione e l’ingiustizia nei nostri confronti e nei confronti dei nostri
figli oggi.