Da
Nazione Indiana
di
www.autistici.org/ojak
Questa è la prima versione di una contro-inchiesta su quanto è successo a
Torino. Un campo rom viene attaccato: alle 3 del mattino di domenica 14 ottobre,
alcune molotov vengono lanciate sopra il muro di cinta che delimita il campo.
Scoppia l’incendio e gli abitanti del campo riescono a fuggire prima che
qualcuno possa essere vittima dell’incendio.
Le premesse
6 Aprile 2007: “Emergenza Freddo” è il nome di un progetto assistenziale di
aiuto ai senzatetto torinesi nel periodo invernale. In particolare nella zona di
Basse di Stura da tre anni si ricoverano in roulottes della protezione civile
circa 30/40 famiglie rom che stanno affrontando un momento difficile,
parenti malati, bimbi molto piccoli, a rischio obiettivo con il sopraggiungere
dell’inverno [1]. Solitamente all’arrivo della primavera, e dell’esaurimento dei
fondi (centinaia di migliaia gli euro stanziati - circa 150 mila nel 2006), il
campo viene chiuso, le roulottes portate via ed i rom rispediti in Romania via
aerea, perché extracomunitari.
Questa primavera succede un fatto nuovo: diventati cittadini europei i
rom rumeni accolti in via Besse di Stura si opporranno a più riprese alla
chiusura del campo di “Emergenza Freddo” che li costringerebbe a trovarsi di
nuovo un’altra sistemazione in attesa dell’autunno. Di tornare in Romania non se
ne parla più: in quel paese un forte clima di discriminazione e di razzismo
diffuso sin ai livelli più alti delle istituzioni (il 19 maggio 2006 il
presidente romeno Basescu apostrofa una giornalista troppo curiosa con l’epiteto
“sporca zingara”) convincono i più a restare in Italia alla ricerca di migliori
condizioni di vita. Solo alcune famiglie accettano un contributo del Comune per
prendere il pullman e tornare in Romania: alcuni accettano e molti di loro si
rivedono a Torino dopo solo due settimane (raccontano di essere stati fatti
scendere dal bus appena passata la frontiera rumena, alcuni senza un soldo ed a
centinaia di chilometri da casa). Due giorni di presidio sotto il Comune di
Torino, (mercoledì e giovedì 28-29 marzo), un presidio nella notte l’11 aprile
non smuovono di un unghia la decisione del Comune di chiudere.
Appena dopo Pasqua inizia lo smantellamento. Alcune famiglie torneranno ad
insediarsi sulle rive dello Stura, altre tentano la strada dell’insediamento in
un campo in via Druento, al confine di Torino, zona Stadio delle Alpi. Tentativo
sfortunato perché saranno ripetutamente vittime di sgomberi fino a sparpagliarsi
negli altri campi abusivi cittadini. Nel mentre che i vigili terrorizzano le
famiglie di via Druento, scoppia un altro bubbone: è la volta di Lungo Stura
Lazio, dove un campo assurge agli onori della cronaca per via di un incendio
particolarmente sostanzioso di cavi di rame che provoca un nuvolone nero che
investe l’Iveco, i cui stabilimenti sono dall’altro lato della strada rispetto
all’insediamento. È l’occasione d’oro, anche sotto la spinta di un abortito
presidio leghista sotto al Comune (Carossa presenta interrogazione al Consiglio
Comunale il 23 aprile 2007), per tentare lo sgombero di tutta la zona, altamente
popolata (300/400 persone). Sgombero che si svolge nervosamente ed in maniera
confusa per tutta l’estate. Le roulottes vengono fatte spostare altrove, ogni
tanto di buon mattino qualche ruspa mandata dal Comune si presenta e distrugge
un paio di baracchine, puro stile Palestina. Lo stesso accade in Strada dell’Arrivore,
dalla sponda opposta del fiume [2].
Nascita di un campo
Il campo di via Vistrorio nasce così, nei primi giorni di maggio del 2007, da
questo turbine di ripetuti sgomberi e girovagare di baracche e roulottes per la
città. Ci abitano circa una ventina di famiglie, meno di dieci roulottes ed il
resto baracche di fortuna. Il campo è in una posizione particolare, quasi sulle
rive dello Stura, al fondo di un parco di periferia con poca frequentazione, sia
diurna che notturna, al fondo di un quartiere popolare, tra Corso Giulio Cesare
e Corso Vercelli. Le palazzine più vicine al campo distano centinaia di metri.
E’ completamente cinto da mura, vi si entra solo da un cancello arrugginito che
viene chiuso dagli abitanti del campo all’imbrunire. Dentro non c’è luce né
acqua, la fontanella da cui tutti si approvvigionano è poco distante, nell’area
mercatale che incrocia via Vistrorio. E’ una ex officina di riparazioni,
completamente invasa dalla vegetazione. All’interno c’è una costruzione abusiva
che anni prima aveva ospitato altri stranieri e, forse, al momento dell’ingresso
delle famiglie questo spazio è abitato [3].Il quartiere si accorge della
presenza delle famiglie rom dall’andirivieni di persone che riempiono le taniche
d’acqua alla fontanella, dall’uscita al mattino presto e rientro di quelli che
sono usciti a lavorare, dalle immancabili biciclette con le cassette di plastica
legate con cui molti fanno il giro della città a recuperare metallo. In quasi
tutte le famiglie c’è una persona che lavora, alcuni in progetti di inserimento
lavorativo, gli altri in nero. Qualche donna esce per lavori di pulizia. Nella
zona non si registrano casi eclatanti di insofferenza, ed anche i media lasciano
in pace questo piccolo campo. Si dimenticano di citarlo sulle mappe realizzate
per i lettori impauriti, e pochi articoli su questo insediamento escono sui
giornali, anche quelli più accesi nell’indicare i rom come causa di tutto il
disagio sociale.
Le ronde a Tossic Park
Rispetto al campo, Parco Stura si trova dalla parte opposta di Corso Giulio
Cesare. Un altro luogo salito agli onori della cronaca perché ribattezzato
Tossic Park, e indicato dai media tutti come luogo di spaccio massiccio di
sostante stupefacenti e forte presenza di stranieri, naturalmente tutti
spacciatori secondi i giornali. L’intensità mediatica della vicenda illumina i
riflettori sui neo-costituiti Comitati Spontanei che iniziano campagne di
protesta e raccolte firme per “restituire il parco ai cittadini”. Anche Azione
Giovani ed Alleanza Nazionale scendono in strada [4].La prima conseguenza di
questa mobilitazione è l’episodio incredibile di una retata che si conclude con
l’annegamento di due ragazzi dentro il fiume (ottobre 2006), dove si erano
gettati per sfuggire ai controlli incrociati delle pattuglie di polizia e
carabinieri che avevano completamente circondato il parco. Queste due morti
scateneranno una protesta proseguita per più giorni da parte di un folto gruppo
di stranieri, che chiedono che vengano fatte le ricerche per il recupero dei
corpi altrimenti dimenticati nel fiume.
Parallelamente alle retate delle forze dell’ordine i Comitati non esitano
pubblicamente a proclamare l’utilizzo di “ronde” che dovrebbero colpire i
clienti degli spacciatori, i “tossici” che raggiungono il parco sulla linea del
4, metropolitana leggera. La dinamica con cui le ronde agiscono è semplice: ci
si prepara alla fermata del 4 più vicina al parco, si aspetta che esca uno che
si individua come “un tossico” e lo si prende a bastonate. Di episodi simili se
ne registrano parecchi, alcuni tossicodipendenti decidono non certo di diradare
le escursioni nel parco ma cominciano a muoversi in orari più favorevoli, anche
tardi nella notte. (Il giornale di strada Polvere, uscito nell’Ottobre 2007,
ospita una lunga intervista ad alcuni tossicodipendenti su quanto succede nel
parco, una cinquantina le aggressioni denunciate nell’articolo). Alcune di
queste azioni delle ronde vengono persino riportate, con tanto di fotografie del
“tossico” pestato e sanguinante sui giornali cittadini, segno evidente che le
ronde agiscono alla presenza di fotografi e giornalisti, in pieno sole.
Dopo un periodo di alta esposizione mediatica si spengono le luci su Tossic
Park, le notizie diventano stantie, il pubblico vuole emozioni nuove. Si fanno
alcuni lavori di pulizia del parco davanti al Novotel, un albergo di lusso,
viene approvato il progetto di costruzione di un campo da golf (i cittadini del
quartiere sono tutti appassionati di questo popolare sport…), nel parco viene
installato un “punto verde” (uno dei pochi nell’estate 2007: il Comune ha pochi
soldi da spendere per via dei debiti post olimpiadi) e ci sarà la festa
dell’Unità in settembre. Le ronde sembrano ritornate a posare i bastoni, o
semplicemente nessuno ne parla più.
Tossic Park resta comunque un pozzo senza fondo da cui attingere ogni tanto
articoli sensazionali ed emozionanti quando i giornali stentano a riempire le
cronache: il terribile luogo tornerà in auge per tutta l’estate ed oltre [5].
Le premesse dell’incendio
In autunno la situazione dei rom al campo sembra farsi più difficile. Il
proprietario ha deciso di rifare la denuncia per occupazione abusiva che aveva
giàsporto tre anni prima, ma che non era mai stata eseguita ed era decaduta. Ci
sono anche alcuni contatti tra proprietario e rom, alla presenza di mediatori,
tentativi di rinviare la denuncia e quindi lo sgombero in attesa di un deciso
miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie: alcuni aspettano che
un’assunzione possa fornire loro l’occasione per trovare una casa in affitto,
altri sperano di passare lì l’inverno, magari riuscendo a trovare il sistema di
collegarsi alle utenze, anche pagando. Nessuno è pronto per essere nuovamente
sgomberato, nessuno ha un altro luogo verso cui dirigersi. Gli altri campi
cittadini scoppiano di gente, ed è molto difficile che altre due decine di
famiglie possano ancora trovare spazio. Sebbene il proprietario rifiuti
qualunque possibilità di accordo, non risulta neppure che si attivi per portare
avanti la denuncia. Gli episodiMartedì 18 settembre, verso le 23, mentre i rom
sono già chiusi all’interno del campo, con il cancello chiuso, due uomini
entrano all’improvviso, bussano a tutte le roulottes e le baracche svegliando
tutti ed urlando. Sono molto agitati e nervosi, raccontano le testimonianze,
riescono ad impressionare ed a zittire con il loro tono, gli urli e le minacce,
anche gli uomini più robusti del campo, che si limitano spaventati a chiedere a
questi di uscire. Potevano essere armati, potevano non essere soli ma attesi da
qualcuno all’esterno, nessuno del campo reagisce. Dopo un po’ i due se ne vanno
con una minaccia chiara: o se ne andranno o lì brucerà tutto. Alcuni solidali
con i rom fanno avere al campo un paio di estintori per un pronto intervento.Nei
giorni seguenti un ragazzo del campo si reca in caserma per denunciare
l’accaduto alle forze dell’ordine, gli viene risposto che se venisse accolta la
denuncia automaticamente il campo verrebbe sgomberato, trovandosi in situazione
di evidente illegalità. Il ragazzo desiste e decide di non sporgere più
denuncia. Di questo episodio, naturalmente, i giornalisti che provano a chiedere
ai commissariati di zona non ricevono che risposte negative.
Nello stesso periodo avviene un altro fatto: i rom vanno con taniche e fusti
a prendere l’acqua alla fontanella: si è però sparsa la voce nel campo che
qualcuno aspetti là a bella posta per aggredire chi si avvicina dei rom. Alcuni
uomini robusti vanno a verificare, riempiono le taniche e ritornano senza
problemi. Invece un ragazzo che non è di quel campo ma in visita, una volta
giunto alla fontanella viene aggredito a pugni. Le testimonianze dicono che il
picchiatore fosse un ragazzo con alcuni vistosi tatuaggi, già visto in zona.
Verso la fine di settembre c’è un altro raid, questa volta il gruppo è più
numeroso, ma si limita ad urlare fuori dal campo e da distante, non
avvicinandosi. Gente giovane, una decina.
Nella notte tra sabato 13 e domenica 14 ottobre, alle 3.30 del mattino
iniziano a partire le telefonate di allarme. Alle 5 finalmente la voce che c’è
stato un incendio al campo si sparge. Chi arriva sul posto trova i vigili urbani
e qualche auto dei carabinieri, i vigili del fuoco se ne sono già andati. Sono
arrivati dopo 30 minuti dalla chiamata, un tempo troppo lungo per salvare
qualcosa in un campo di baracche e roulottes.
Le testimonianze raccolte
I primi racconti sono confusi di mille sfaccettature che però nella sostanza
concordano: una donna ha sentito un rumore ed è quindi stata pronta a verificare
di cosa si trattasse e lanciare l’allarme. Non si sa il numero delle bottiglie
lanciate, sembra 3, ma tutti al campo concordano che si trattasse di benzina dal
forte odore, anche gli estintori messi in funzione non hanno potuto salvare il
campo dalle fiamme. Nella fretta di uscire, di mettere in salvo i bambini molte
famiglie hanno perso nell’incendio tutto ciò che possedevano, non solo quindi i
documenti, ma anche le cartelle mediche, i soldi, i vestiti e le scarpe, i
telefonini, i quaderni ed i libri dei bambini, ottenuti da pochi giorni grazie
allo sforzo di maestre delle scuole di zona e altri solidali, i generatori, le
cucine ed il pentolame etc. Qualcuno ha provato ad uscire ed inseguire il/i
responsabili, che sono stati visti scappare e montare su un auto che si è
allontanata veloce. Chi è uscito ha raccontato di aver seguito chi fuggiva ma di
essersi fermato dopo poco per paura.Nei giorni seguenti le versioni più
gettonate su giornali e TV spaziavano dalla vendetta tra gruppi rivali, per
esempio con i sinti del campo poco distante di via Lega (in realtà una certa
insofferenza verso i nuovi arrivati i sinti l’hanno espressa, ma non
apertamente, e i rom pur poco distanti non hanno di fatto mai dichiarato di
conoscere i vicini né di aver avuto a che fare con loro), all’autocombustione,
ovvero che fossero stati loro stessi a darsi fuoco per profittare della prossima
apertura invernale del campo di “Emergenza Freddo” che li avrebbe di certo
accolti. Quest’ultima ipotesi sfiora il grottesco: appare su La Stampa di lunedì
16 settembre a firma Angelo Conti (che la mattina dell’incendio si presenta
verso le 9 e chiacchiera per circa 20 minuti con donne e uomini del campo), a
riprova della veridicità dell’ipotesi il giornalista afferma che gli pare strano
che nessuno si sia fatto male, e che la perdita dei documenti sia stata più una
fortuna che un guaio per molti dei rom. Queste versioni totalmente campate in
aria vengono avallate dalle dichiarazioni dei carabinieri che sostengono che i
rom avessero sentore di uno sgombero imminente e che quindi avessero astutamente
deciso di giocare d’anticipo.
Vengono spontanee alcune domande: Che ragioni avrebbe un cittadino
neo-comunitario di bruciarsi i documenti che invece gli danno accesso al lavoro,
ad affittare una casa, ad usufruire dei servizi? Per giunta rifare i documenti,
per un rumeno significa dover ritornare in Romania ed aspettare almeno un mese
per le pratiche, non si possono fare dall’Italia. Un grande sbattimento insomma.
Perché alcuni non avrebbero salvato il telefonino, strumento che permette loro
di prendere eventuali chiamate di lavoro? E bruciarsi i soldi che idea balzana
sarebbe (H. F. ha perso bruciati 600 euro guadagnati in un mese di lavoro in
fabbrica)? Chi ha mai garantito a questi rom la sicurezza che in caso di
incendio sarebbero finiti ricoverati nel campo di Emergenza Freddo? Come
potevano immaginarsi un trattamento “di riguardo” persone che si erano subite
nei 6 mesi precedenti almeno altri due sgomberi? Perché vittime di un incendio?
Anche la tesi dei Carabinieri che i rom avessero sentito di uno sgombero
imminente è fasulla e non sta in piedi. Per tutto il 2007, e in tutti gli
sgomberi eseguiti nell’area, carabinieri e vigili sono passati ad avvisare molto
prima dell’imminenza dello sgombero, operatori e volontari hanno sempre saputo
prima quali fossero le intenzioni di Comune e Questura, che di fatto hanno
delegato in molti casi proprio agli operatori l’aiuto ed il sostegno a chi
veniva mandato via (nel caso dello sgombero di via Druento per tutta la giornata
un camion prestato ad alcuni operatori da un privato ed un carro attrezzi pagato
con soldi della Caritas sono stati gli unici mezzi a consentire ai rom di
recuperare baracche e roulottes e a spostarsi in un altro campo).
Quello che tutti i giornali non hanno data come ipotesi, se non riportando
con forti dubbi le parole dei rom, è quella che l’incendio del campo di via
Vistrorio sia da attribuire ad un attentato, lucidamente compiuto per risolvere
drasticamente una questione che tardava a venir affrontata dalle istituzioni. Un
gruppo di fascisti, o giustizieri di zona o venuti da fuori, che hanno agito in
un clima mediatico e politico arroventato, dove la sola parola rom già manda in
fibrillazione i cantori della sicurezza e legalità. Clima mediatico che arma la
mano di chi poi decide di passare a vie di fatto contando sull’approvazione
sussurrata da parte degli abitanti del quartiere (La domenica dell’incendio un
gruppo di abitanti della zona ha dichiarato apertamente che, pur disapprovando
l’incendio, questo aveva sortito l’effetto voluto: che se ne andassero).
Chi ha colpito ha scelto un bersaglio a caso, un campo piccolo, in cui ci
abitano poche persone, una sessantina in tutto, di cui solo una ha precedenti
penali, in cui la maggior parte delle persone ha un impiego, ed in cui la
totalità delle famiglie ha iscritto e manda i figli a scuola, ciò a riprova che
dietro questo gesto non si può nemmeno cercare la reazione di qualche vicino
danneggiato in qualche modo dalla presenza di questi rom, ma piuttosto lo sfogo
di un desiderio di annichilimento dello straniero, del diverso, del rom, cieco
ed ingiustificato. Chi ha colpito ha vigliaccamente trovato un campo comodo da
attaccare perché ben nascosto ed isolato, lontano da possibili testimoni, con
rischio inesistente di subire qualche reazione.
Che giornali e TV abbiano spudoratamente tentato di offuscare quanto è
successo dietro cortine di falsità si può spiegare col fatto che in città,
politici, istituzioni, informazione cittadina stanno giocando un gioco
pericoloso attivando campagne mediatiche continue ed incessanti di odio contro i
rom, assurti a male del secolo, e promuovendo campagne securitarie che
presentano ai cittadini i rom come nemico pubblico numero uno, primi
responsabili della difficoltà di tirare avanti, del disagio sociale,
“dell’insicurezza”. Un gioco pericoloso che provoca lo scatenarsi di ronde e
campi bruciati, pericoloso ma desiderato, provocato e perseguito fino in fondo
per basse esigenze di consenso e per vendere qualche notizia forte. Gioco
pericoloso di cui non si ha il coraggio di sostenere la paternità quando si
intuisce possa esplodere tra le mani.
Meglio venirci a raccontare che si sono bruciati il campo da soli, piuttosto
che ammettere che, a furia di invocare l’odio, finalmente in città circolano
impunite bande di giustizieri pronti ad aggredire i più deboli, i più poveri, i
più indifesi in nome della legalità e sicurezza.
Chi sarà la prossima vittima? Il prossimo ad essere bastonato o bruciato
vivo? Un barbone? Un tossico, un clandestino, uno straniero?
Dedichiamo questo scritto a Bogdan Mihalcea, “clandestino”, morto a 24
anni, risucchiato nel tombino di una fogna da un’onda di piena mentre lavorava,
in nero, senza protezioni, neanche una corda di sicurezza, per conto della SMAT,
le acque potabili torinesi. Era il 6 luglio 2006, la città era ancora pavesata
dei festoni delle Olimpiadi Invernali appena trascorse.NOTE[1] Vedi la delibera
comunale del 2006:
www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2006/2006_10277.html[2]
Vedi piccolo video girato col telefonino:
www.autistici.org/ojak//wordpress/?p=25
[3] Potete vedere il campo, dopo l’incendio, in due video su youtube al link:
it.youtube.com/watch?v=dQ4Lwqrw30g
[4] “Per il funerale soldi dai pusher”, La Stampa, 13/10/2006
[5] “Travestiti da agricoltori a Tossic Park – Nuovo stratagemma dei
carabinieri per prendere in flagrante gli spacciatori“, La Stampa,
11/10/2007