di Federica Santoro - Megachip
In questi giorni di polemiche attorno al “Patto per la sicurezza” voluto dal
sindaco di Roma Veltroni, è opportuno forse ripercorrere brevemente la storia
del “Popolo del vento”, in nome di quella integrazione che stenta nei fatti. Il
Patto prevede lo spostamento dei campi rom al di fuori del Grande raccordo
anulare con la costruzione di quattro mega villaggi da mille posti l'uno.
Chi crede che la diaspora delle carovane sia sinonimo di assenza di radici,
resterà sorpreso. Chi sono i Rom? Da dove vengono? Hanno mai provato ad
integrarsi? A differenza di quanto si possa pensare il popolo dei Rom non
nasce come un popolo nomade. Il lungo cammino delle carovane proviene da terre e
tempi lontani. È circa attorno all'anno mille che gli antenati degli attuali
Rom, Sinti, Kalè, Manush e Romnichals, vengono costretti ad abbandonare le loro
regioni natie nell'India settentrionale. I Rom discendono infatti da
un'antichissima popolazione indo-ariana e non da Balcanici o Rumeni come
confusamente si crede, fatto che dipende dalla loro lunga permanenza in quei
luoghi. A testimonianza di questo passato remoto, la loro lingua che deriverebbe
da alcuni idiomi del Pakistan, a cui i Rom hanno affidato la loro memoria nel
corso dei secoli fino alla metà del XIX, quando la tradizione da orale diventa
scritta, e non solo: molte sono le testimonianze nella letteratura classica
indiana di un popolo chiamato Domba legato agli attuali Rom. Ammaestratori di
cavalli, musicisti, giocolieri, saltimbanchi e allevatori, queste le attività
che accomunano i due popoli. Inizialmente, quindi la scelta di spostarsi fu
dettata dall'organizzazione, dalla necessità di trovare mercati in cui vendere
gli animali e pubblico sempre nuovo per gli spettacoli; sarà dall'anno mille che
i Rom inizieranno a muoversi per costrizione, in piccoli gruppi. Tra il 1001 e
il 1027, sotto la dominazione di Mahmud Al Gazni inizia la vera diaspora del
popolo Romanò. Dal nome di questo violento conquistatore deriva il termine
“gagè” col quale i Rom definiscono tutti coloro che non appartengono alla loro
comunità. A Bisanzio giungono nel XVI sec., associati alla setta eretica
Athsingani “intoccabili”, vengono creduti stregoni e perciò perseguitati e
isolati. Da qui nasce il pregiudizio che ha accompagnato per secoli il popolo
Rom, retaggio di antiche proibizioni vigenti nelle caste indiane. La loro
presenza nei Balcani e in Romania sarà segnata da secoli di schiavitù, così come
nel resto d'Europa. In Italia trovano un potente protettore: il Pontefice. Dalle
ricostruzioni storiche sembrerebbe che sia stato Martino V a rilasciare loro una
sorta di lasciapassare che li dichiara “pellegrini penitenti alla ricerca di
protezione”. Purtroppo il continente europeo è stato anche luogo di scellerati
massacri e violenze. Le comunità migranti hanno sperimentato le peggiori
persecuzioni con l'Olocausto della seconda guerra mondiale. È del 1938 la prima
legge del Reich contro i Rom, dal nome “Lotta alla piaga zingara”, editto dal
tragico epilogo: anche per loro si prospetta la soluzione finale. Il mondo
Romanò è oggi vastamente diffuso su tutti i continenti. “Tanti secoli di
repressioni, lutti, paure e dolori hanno portati le vari gruppi di Romanò,
meglio conosciuti come Rom a sviluppare uno spiccato senso di individualismo e
di autoprotezione” scrive il professore di origine Rom Santino Spinelli. Dopo
secoli di permanenza nella nostra penisola i Rom sono passati negli ultimi 50
anni dal nomadismo alla sedentarietà e in alcune regioni dell'Italia
centro-meridionale come l'Abruzzo, ad un grado di integrazione notevole in
seguito al loro riconoscimento dall'opinione pubblica della loro identità di
giostrai e circensi. Altro discorso è per gli ultimi gruppi arrivati assieme ai
profughi dopo le persecuzioni recenti subite nei Balcani. La loro condizione è
ancora disagevole e causa di luoghi comuni che li vogliono relegati nei campi,
in condizioni disumane, lontani dalla società civile di cui temono la
“contaminazione”. A fare spesa dell'emarginazione soprattutto i bambini che
cadono vittime di autentiche rappresaglie razziali, a scuola e per strada.
Secondo Spinelli, i Rom “auspicherebbero la creazione di strutture flessibili
adattabili alla situazione e che evitino l'emarginazione”. Una notevole
componente della comunità romanò, è oggi fornita di cittadinanza tanto da non
essere distinguibile dalla popolazione gagè. Dato importante se si pensa che il
futuro dei Rom è legato a doppio filo al loro riconoscimento in quanto popolo
senza territorio.