Serena Spada ha un sogno: la City. Ce l'ha da quando era piccola e c'era chi da grande voleva fare il macchinista e chi la parrucchiera, il calciatore o la ballerina. Lei no, lei scriveva già nei temi in seconda elementare: da grande voglio fare l'agente di borsa. Non sa neanche lei come le venne questa fissa. Sa solo che per lei era come sognare la luna. Non solo perché la sua non è una famiglia di banchieri, e ha sempre fatto fatica ad arrivare a fine mese. Ma perché appartiene al popolo Rom. E questo è un marchio che brucia a fuoco sulla pelle.
Sono duri a morire, i pregiudizi. E Serena già le conosce, le battute: un zingara che punta alla Borsa? Sarà per svuotarla del portafogli. È una vita che ci fa i conti, con gli stereotipi, la diffidenza, l'ostilità. Al punto che, anche adesso che studia alla European University di Montreux, nel cantone svizzero di Vaud, vicino a Ginevra, per diventare quello che ha sempre voluto fare, non perde mai di vista l'altra metà della sua vita.
Certo, qualcosa è cambiato negli ultimi anni. In Italia ci sono Rom che fanno gli infermieri, Rom che fanno i vigili urbani, Rom che hanno delle concessionarie d'auto nella scia di un mestiere tradizionale quale il commercio di cavalli. Rom che fanno perfino i professori universitari, come Santino Spinelli, che dopo aver preso due lauree a Bologna (Lingua e letteratura straniere moderne e Musicologia) abbina oggi la docenza di Lingua e cultura Romanì all'università di Trieste a una frenetica attività musicale che, col nome di Alexian, l'ha visto comporre colonne sonore per il cinema, incidere vari dischi e tenere un'infinità di concerti.
Dalle ultime elezioni, per la prima volta, c'è una Rom anche al parlamento europeo. Si chiama Livia Járóka, è ungherese, ha 32 anni, è laureata in antropologia e, figlia di un musicista gitano e di una sarta ebrea, porta nella carne le ferite di due popoli finiti nei lager. Dove, nella scia di secoli di pregiudizi riassunti dallo sventurato Cesare Lombroso («hanno tutti i vizi e le passioni: l'oziosità, l'ignavia, l'amore per l'orgia, l'ira impetuosa, la ferocia e la vanità…»), Joseph Mengele faceva sugli «zingari» esperimenti di ogni genere. In particolare, avrebbe raccontato Helmut Clemens, che allora era un giovanissimo fattorino del blocco malati di Auschwitz- Birkenau, «cercava gemelli per gli esperimenti. (…) Una volta per caso ero là con lui e ho visto che iniettava un liquido nei loro occhi, che diventavano enormi».
Mezzo secolo dopo quella tragedia e certi racconti dolenti come quello di Primo Levi su una famiglia di scampati che si muoveva su un carro enorme «trainato da quattro cavalloni pelosi» («in quei giorni li sentivamo singolarmente vicini a noi, come noi trascinati dal vento, come noi affidati alla mutabilità di un arbitrio lontano e sconosciuto…»), Livia Járóka ha patito ancora il razzismo. Era in corsa per diventare «parlamentare dell'anno» quale appassionata combattente dei diritti umani per la rivista Parliament Magazine quando le caselle di posta degli euro-colleghi sono state invase da una lettera di un deputato bulgaro, Dimitar Stoyanov, che spiegava dove si potesse «comprare» per cinquemila euro «una bella ragazza Rom da trasformare in una moglie devota» e starnazzava: «Non votatela, ci sono delle zingare molto più belle di lei». E se è dura per un'euro-deputata, immaginatevi per le altre.
Anche Serena è figlia di una coppia mista. Il papà, Antonio Spada, è un Rom la cui famiglia vive in Italia dal 1559, così come è italiana dal Cinquecento o addirittura da prima la larga maggioranza dei 45mila Rom che da molto tempo si sono stabilizzati, hanno smesso di girovagare e si sono inseriti (a volte con grande fatica) nella vita quotidiana degli altri italiani che spesso, spiega Spinelli, «non si accorgono neppure d'aver a che fare con quelli che i razzisti chiamano sprezzanti "zingari"». La mamma, Anna Iannattone, è una «cagè» e cioè, per dirla in lingua Romanì, una «civile». Originari di Gaeta, hanno in gestione il parcheggio dell'Asl di Venafro e dopo Serena hanno avuto altri tre figli. Il più giovane dei quali, deciso a dare lui pure un colpetto di piccone al muro degli stereotipi, studia Virgilio e Senofonte al liceo classico.
Insieme con il razzismo, però, Serena ha un altro problema: i soldi. Lasciato il liceo scientifico al terzo anno per andarsi a diplomare all'Harrow College di Londra, dove si è mantenuta da sola lavorando nelle ore libere prima di essere costretta a rientrare in Italia perché la famiglia non era in grado di aiutarla a proseguire gli studi, qualche mese fa ha superato gli esami di ammissione alla European University di Montreux. Per scoprire subito dopo che non c'erano borse di studio alle quali poter ricorrere per superare uno scoglio altrimenti, per lei, insormontabile: una retta di 900 euro al mese. Cui aggiungere altri soldi per dormire, mangiare, comprare libri… Per un po' le ha dato una mano, di tasca sua, la senatrice Tiziana Valpiana: «L'avevo conosciuta così, casualmente, e mi aveva colpito per la sua determinazione. È raro trovare una ragazza così decisa a realizzare i suoi sogni. Così convinta. Ho visto i voti. Bravissima. È un peccato che non ci sia una struttura pubblica disposta a investire su di lei. Su quello che può rappresentare nella battaglia di ogni giorno contro gli stereotipi da cui siamo infettati».
Ed è lì che la parlamentare di Rifondazione comunista è andata a scontrarsi con una realtà amara: «Mi sono detta, illusa: vuoi che i "miei amici ministri" non riescano ad aiutarla? Vuoi che non capiscano quanto possa essere importante lanciare un segnale su un tema come questo? Un governo di sinistra!». Macché, niente da fare. Non esistono gli «strumenti tecnici» per un intervento mirato. E così, lassù a Montreux, Serena Spada è rimasta appesa a una sola speranza. Che qualcuno abbia un'idea per aiutarla a uscire da queste strettoie. O sia così generoso da scommettere sul suo sogno. Che potrebbe aprire una piccola crepa nel muro del razzismo. E dell'indifferenza.
Gian Antonio Stella