Da
Roma_Italia
Marina Galati
Il lavoro avviato dalla Comunità Progetto Sud per favorire l’inclusione di
un gruppo soggetto ad esclusione e stereotipi
Tra i cittadini di Lamezia Terme vi sono circa 700 persone di etnia rom.
Presenti da più di sessant’anni, per la maggior parte nati in questa città, solo
alcuni in altri paesi della Calabria. Ovviamente parliamo di rom stanziali,
residenti da sempre nella nostra comunità.
Anche nella nostra città la popolazione di etnia rom è vissuta tra ostilità ed
emarginazione.
I primi insediamenti sono stati baraccopoli messe insieme alla meglio e
autorizzate anche grazie al numero ridotto di rom ospitati. Relegata in un campo
dal 1982, indicato inizialmente come “sistemazione provvisoria”, la popolazione
rom si è trovata ad essere confinata – circondata materialmente da un muro di
cinta alto circa 4 metri – ed esclusa dalla vita della città.
La questione rom anche a Lamezia Terme viene affrontata con le stesse modalità
di altri contesti territoriali: cittadini che protestano per la loro vicinanza e
amministratori che si trovano stretti tra il bisogno di garantire l’ordine
pubblico e il non scontentare i propri elettori. Ogni volta che viene
individuato un rione in cui trasferire il campo nomadi, la popolazione insorge e
tutto ricomincia. La maggior parte dei rom ancora oggi vive nel campo. Le
istituzioni che fino ad ora si sono “interessate” ai Rom hanno affrontato il
problema come se fosse temporaneo, senza accorgersi che ormai questo popolo è
definitivamente stanziale nel territorio lametino e che ogni rom è, a pieno
titolo, cittadino italiano.
A Lamezia Terme, tra le discussioni della gente e sulla stampa locale, è diffusa
l’opinione che i rom rimangano “sempre uguali”, sostanzialmente un problema.
Eppure in questi anni tantissime vicende dimostrano i significativi cambiamenti
avvenuti e l’avvio di processi che hanno apportato profonde trasformazioni nella
comunità stessa.
Il lavoro costante dell’Associazione “La strada” per l’inserimento dei rom a
scuola e l’educazione sanitaria, le attività della cooperativa sociale
“Ciarapanì” per la creazione di lavoro per e con i rom hanno innescato visibili
processi di integrazione.
A differenza di prima, oggi bambini e bambine rom vanno a scuola, giovani rom
lavorano in cooperativa, ragazzi e ragazze rom crescendo hanno messo su famiglia
e diversi altri di loro hanno trovato casa fuori dal campo andando ad abitare in
case popolari o in affitto.
Tanti bambini e bambine lametini hanno avuto per compagni di classe un rom.
Nelle vie della città di Lamezia si vedono lavorare i rom della cooperativa
“Ciarapanì” mentre svolgono il servizio di raccolta differenziata “porta a
porta”. Ed altri giovani rom lavorano nel comparto ortofrutticolo; alcune
ragazze lavorano presso bar e ristoranti. Nella vita quotidiana rom e “italiani”
si ritrovano insieme in tante attività ed esperienze comuni: dalla spesa nei
supermercati e nei negozi alle file in posta, nei ricoveri in ospedale. Al
matrimonio di uno dei soci rom della cooperativa “Ciarapanì” eravamo in tanti: i
parenti venuti da tutta la regione, i compagni del circolo sportivo, gli amici
della squadra di calcio, i vicini di “campo”, i colleghi di lavoro e tante altre
persone, “chi rom e chi no”. Un matrimonio come tanti altri, un evento normale
tra mille eventi normali.
Allora ci siamo chiesti: ma bastano la scuola, la casa, il lavoro per
riconoscersi ed essere riconosciuti cittadini? La cittadinanza la si ottiene
soltanto quando si gode dell’accesso ai diritti essenziali come quelli civili e
sociali?
La sedentarietà di questi cittadini rom non vuol dire automaticamente
cittadinanza, perché forse la cittadinanza è un portato culturale molto più
complesso. Crediamo che si è cittadini e si è integrati non solo quando si gode
dell’accesso ai diritti essenziali (come la scuola, la sanità) ma anche quando
si può partecipare attivamente alla produzione di cultura e di senso. Lo spazio
per la parola, la possibilità di negoziare il proprio ruolo sociale, la propria
identità culturale, i propri progetti, sono fondamentali per una convivenza
reale tra culture ed identità plurime.
L’integrazione è un processo, non può essere uno schema, un principio generico,
e va quindi continuamente nutrita di fatti concreti.
Le domande che ci siamo posti all’interno di un gruppo di persone, tra cui
alcuni di etnia rom, ci hanno condotto ad avviare un percorso nella città e con
la città.
Da più di un anno abbiamo avviato una ricerca-azione con il coinvolgimento
diretto di persone rom nel lavoro di rilevazione, elaborazione ed
interpretazione dei dati. Ciò ci ha permesso innanzitutto di conoscere dati e
fenomeni concreti relativi a questa popolazione, informazioni che aiutano a
modificare delle rappresentazioni costruite a volte sui pregiudizi e sulla non
conoscenza. Dati che sfatano anche alcuni immaginari. Ad esempio, in questi mesi
più volte abbiamo posto a persone diverse la domanda: “Quante persone ritenete
che vivano al campo rom?”. Nessuno mai si è avvicinato al dato reale, quasi
tutti hanno sovradimensionato la presenza dei rom nella nostra comunità.
Abbiamo cosi promosso un laboratorio di cittadinanza coinvolgendo diversi
soggetti della comunità locale, tra cui rappresentanti delle circoscrizioni dei
quartieri in cui risiedono i rom, alcuni gruppi scout, le parrocchie, la Caritas,
associazioni giovanili, presidi delle scuole, rappresentanti di associazioni di
categoria. E, soprattutto, abbiamo dato inizio ad un percorso in cui siano le
persone rom a prendere la parola e raccontarsi in prima persona in quanto
cittadini di Lamezia.
Sono stati strutturati percorsi di empowerment con adolescenti e giovani rom da
cui è scaturita una lettera indirizzata ai giovani coetanei lametini, costruita
con il metodo della scrittura collettiva. Questa è stata un’occasione di
incontro con piccoli gruppi di coetanei, nelle scuole, nelle associazioni, nelle
parrocchie per discutere insieme i contenuti della lettera.
Il video documentario “Dal campo al lavoro” è nato come lavoro di inchiesta
sociale volta ad indagare la situazione socio-lavorativa all’interno della
comunità rom a Lamezia.
L’inchiesta è stata costruita attorno alla raccolta di alcune
video-testimonianze significative fatte a persone rom, sia giovani che anziane,
sia uomini che donne, residenti all’interno del campo o al di fuori di esso. Le
interviste hanno permesso di ricostruire soprattutto dei percorsi individuali di
vita lavorativa ed esperenziale. Il video è divenuto anch’esso strumento per
interloquire con gli altri cittadini non rom della città.
Insieme ad un esperto di etnopsichiatria abbiamo creato un gruppo-parola con
donne e giovani rom ed i mediatori sociali che operano con loro. L’intento è
proprio quello di ascoltare ed interrogarsi sulle dimensioni dell’esistenza e
cogliere quegli aspetti culturali ed identitari che provengono da altri
territori di esperienza e da altri contesti culturali.
Difatti abbiamo creato un “cantiere” dove si continuano ad aprire spazi di
parola ed espressione per riflettere insieme. Il processo messo in atto vuole
riconoscere i cittadini rom come soggetti ed interlocutori (di diritti e di
doveri) insieme agli altri abitanti di questa città per trovare congiuntamente
le soluzioni ai problemi che oggi bloccano, frammentano, dividono. Ci preme
creare luoghi e spazi in cui facilitare comunicazioni, negoziazioni tra
interessi diversi per perseguire obiettivi e soluzioni che ci aiutino a vivere e
a realizzare sempre più integrazione reale nella vita sociale della nostra
comunità. È un processo di crescita diffusa di cui la città ha bisogno.