Intervista a Florin Cioaba dopo l'ingresso della Romania in Europa: "Spero nella Ue. Ma rispetti le tradizioni rom"
Florin Cioaba vive in un sobborgo di Sibiu, in Romania. Cioè in un Paese che, dal 1° gennaio, è entrato a far parte della grande famiglia europea. E proprio da quest'anno, l'Europa può contare circa 12 milioni di rom che adesso otterranno, anche a Bruxelles, più visibilità per i loro diritti.
Signor Cioaba, ci spieghi il motivo del titolo che detiene: “Re internazionale dei Rom”.
La famiglia Cioaba, ufficialmente riconosciuta, guida già da parecchie generazioni il popolo dei Rom. Negli anni Sessanta mio padre Ion Cioaba ha cercato di integrare i Rom nella società, sia a livello nazionale che internazionale. Agli inizi degli anni Novanta i Rom hanno voluto un re che li rappresentasse e che si battesse per i loro diritti e così mio padre da “Bulibascha”, che in lingua rom significa “capo”, è diventato re. Dopo la sua morte, nel 1997, ho ereditato io il titolo di re internazionale dei Rom.
Con l’entrata della Romania nell’Ue cosa potrebbe cambiare per il suo popolo?
Già dal 2000 l’Ue sta cambiando il destino dei Rom in Europa. Dal 2004 abbiamo il European Rom and Travellers Forum, una sorta di miniparlamento, di cui anch’io faccio parte in qualità di Vicepresidente dell’Unione dei Rom. Per me l’Ue rappresenta una nuova via e una nuova speranza.
In quali paesi il problema Rom è più impellente?
Nessun Paese europeo ha una legislazione che discrimina i Rom, però nella vita di tutti i giorni e anche nella politica locale veniamo discriminati. L’ultimo rapporto della Ue lo evidenzia, persino con una tendenza crescente. Sono preoccupato per questo, così come per le cure mediche e la situazione abitativa dei Rom. Bisogna intervenire con una certa urgenza.
Quali sono concretamente le sue richieste?
Ogni Paese europeo segue una strategia. Anche in Romania ce n’è una, che in parte è stata realizzata: in alcune scuole elementari e in un’università di Bucarest viene insegnata la lingua rom, ma spesso i programmi offerti dalla Ue non vengono realizzati, perché non sono graditi alla maggior parte della popolazione.
La maggioranza dei rumeni si lamenta che le vostre tradizioni non sono compatibili con quelle di una Ue moderna, ad esempio per quanto riguarda i matrimoni combinati di minorenni.
Ma la nostra tradizione esiste già da millenni: e l’Unione Europea, a confronto, è molto giovane! Ora che viviamo nel nuovo millennio e che da poco facciamo anche parte della Ue, qualcosa naturalmente dovrà cambiare, sono assolutamente d’accordo.
Ma il cambiamento non deve avvenire bruscamente e con la polizia fuori dalla porta. Ultimamente ci sono state campagne informative sul tema dei matrimoni combinati di minorenni e molti hanno capito che non si possono far sposare i bambini.
Anche Lei ha dovuto presentarsi davanti al Parlamento Europeo quando ha fatto sposare sua figlia Ana Maria, appena 13enne.
Il mio caso era un pò più delicato. La Bbc aveva mentito, dicendo che mia figlia era stata costretta con botte e minacce a sposarsi. E l’intervento della signora Nicholson [Emma Nicholson, europarlamentare e referente per la Romania, ndr] è stato giusto. Era la sua funzione.
Ma quando le ho raccontato che una nostra tradizione vecchia di secoli richiede che nostra figlia si sposi già a quell’età, lei ha capito e anch’io ho capito qualcosa. Il fidanzamento è stato rotto e l’abbiamo fatta sposare a 15 anni: questo è permesso.
Come pensa di riuscire a conciliare tutti gli interessi delle diverse tribù del suo popolo?
Questa è la mia maggiore preoccupazione. Quando mio padre, subito dopo la rivoluzione, ha fondato l’Unione dei Rom, tutti hanno aderito. Ma già alcuni mesi più tardi alcuni si erano divisi e organizzati in altri partiti o unioni e oggi, 16 anni dopo, ci sono più di 250 organizzazioni Rom nel nostro Paese. Sto cercando di creare una rappresentanza unificata dei Rom. Ma so già che durerà al massimo fino alle prossime elezioni!
In Romania ci sono due diverse proposte sul metodo di integrazione dei Rom: alcuni sostengono il rafforzamento di questa minoranza etnica attraverso la creazione di proprie scuole, altri sperano che i Rom vengano trattati come i rumeni. Lei cosa ne pensa?
In confronto a prima i Rom sono già ben integrati nella società rumena. Abbiamo professori universitari, abbiamo i nostri giornali, i nostri rappresentanti al governo. I Rom non hanno bisogno di chissà quale programma di integrazione teorico o economico da parte dell’Unione Europea, ma di piani per l’occupazione. Mancano posti di lavoro che permettano ai Rom di dedicarsi ai loro antichi lavori secolari.
Brigitta Gabrin - Hermannstadt (Sibiu) - 2.2.2007 | Traduzione: Michela Del Mistro