segnalazione di Nadia Marino
di Carla OSELLA in "Pabay, nel mondo degli zingari" (ed. INTERFACE-AIZO)
Un giorno Pabaj mi telefonò dal bar emozionata: "Attilia, devi venire subito,
perché è arrivata mascia (nonna) Draga dalla Germania, la devi conoscere anche
tu, è una delle poche zingare che sono uscite dai lager, te ne avevo parlato
tempo fa, ricordi? Vieni in fretta, ti aspetto". Che bella sorpresa poterla
vedere, parlarle, ascoltare dalla viva voce un pezzo di storia, anche se tragica
di un periodo che non avevo mai vissuto. Sarei corsa immediatamente al campo
volando le scale, ma il giorno dopo avevo il compito in classe di matematica e
quindi non potevo andare impreparata; ci pensai un attimo, poi decisi che avrei
potuto rubare un po’ di tempo al sonno il giorno dopo, anche se al mattino ero
sempre stanca e facevo fatica ad alzarmi.
Mascia Draga valeva bene un po’ di sonno! Quando arrivai, c’erano molti Rom
accanto a lei, uomini, donne, ma, nonostante facessi degli sforzi per vederla,
non ci riuscivo perché era coperta da una piccola folla. In un angolo trovai una
sedia vuota e vi salii sopra per vederla. Era una donna minuta, molto anziana,
con un diclò (fazzoletto) verde intenso che le copriva i capelli, aveva una
maglia rossa da cui spuntava una camicetta con la gonna lunghissima, come
portavano le donne del campo.
Lei parlava piano e c’era attorno silenzio, davvero strano in un ambiente sempre
chiassoso e pieno di bambini, ma loro non c’erano. Infatti, quando succede
qualcosa d’importante, i bambini vengono allontanati. Vidi solo Sanella
seminascosta dietro la gonna di sua nonna.
A poco a poco molti Rom se ne andarono e nella baracca rimasero solo poche
donne, allora Pabaj mi disse: "Vieni, che ti faccio conoscere la Mascia!".
Mi avvicinai a quella zingara un po’ intimorita, aveva qualcosa di misterioso,
che non sapevo definire. Appena si accorse della mia presenza mi disse: "Vieni
piccola gagì, fammi vedere il viso" e, mentre mi diceva questo, cominciò a
fissarmi negli occhi. "Hai il viso buono - mi disse - perciò puoi essere amica
dei Rom".
Sentii che arrossivo fino alle orecchie per quel complimento e mi sembrò di
essere ancora più piccola. Nonna Draga mi fece un vero e proprio interrogatorio
chiedendomi qual era il motivo per cui venivo al campo e se mi piacevano gli
zingari.
Le spiegai il mio desiderio di conoscere meglio chi viveva nelle roulottes. "Tu
sei la figlia dei signori delle case di pietra, cosa ci fai in mezzo a questa
brutta gentaglia zingara?".
Mi colpì l’ironia con cui diceva quella frase; allora intervenne Pabaj a
spiegarle che ero sua amica da molto tempo.
Avrei voluto chiederle tante cose del suo passato, della sua deportazione nel
più grande campo di concentramento nazista, ma non osavo. Pabaj però leggeva le
mie domande negli occhi e fece lei la domanda che mi interessava. "Le abbiamo
parlato molto di te, voleva sapere qualcosa della tua giovinezza".
Un’ombra di tristezza passò sul suo viso, si strinse le mani con forza, quasi a
voler scacciare il passato, e mi rispose: "Non mi piace parlare del passato,
perché è stato una cosa troppo angosciante, ma forse è importante che la gente
sappia che anche il popolo zingaro, come il popolo ebreo, ha pagato con oltre
cinquecentomila morti la follia del nazismo. Anche per noi c’è stato
l’olocausto".
Mi sedetti accanto a lei in silenzio per ascoltare una storia sconosciuta ai
più. Raccontò che abitava in una piccola città della Francia, quando una notte
arrivò la GESTAPO (la polizia nazista) nel campo.
"Era un piccolo campo come questo con le baracche, faceva freddo, era tardi ed
eravamo tutti a letto. Sono entrati con i mitra spianati e ci hanno fatto
scendere, dicendoci che ci portavano in un posto dove raccoglievano tutti gli
zingari; il mio papà cercò di spiegare all’ufficiale che eravamo nomadi capitati
lì per caso, che non eravamo neppure francesi, ma loro non vollero sentire
nulla".
Sua madre coprì bene il fratellino più piccolo e lo mise in braccio al padre,
mentre aiutava gli altri a vestirsi in fretta per evitare qualsiasi questione
con i poliziotti. Poi li portarono ad una stazione, di cui lei non ricordava
neppure il nome, e vennero caricati su un carro merci.
"Avevamo molta paura e anche tanta fame. Il viaggio fu molto lungo, durò
parecchi giorni, finché arrivammo ad una piccola stazione polacca, in uno strano
posto davanti ad un cancello di ferro dove c’era scritto in tedesco "Arbeit
Macht Frei", cioè "Il lavoro rende liberi".
Guardandoci attorno, vedevamo che dagli altri vagoni scendevano dei gagé, donne
con i bambini cariche di borse e valigie. Ad un certo punto si separarono: un
gruppo da una parte "per le docce"- dicevano - e noi dall’altra.
Ma quando la colonna incominciò la sua lenta marcia, vidi che era composta di
ammalati e di bambini. Mi sentii gelare il cuore con il presentimento che
qualcosa dovesse succedere; quel giorno fu l’ultima volta che vidi la mamma".
Il racconto diventava sempre più interessante, la baracca si era di nuovo
riempita di persone; chi era seduto ai piedi della mascia Draga, chi stava
diritto, tutti pendevano dalle sue labbra. "Solo quando i russi giunsero al
lager, seppi che mia madre era stata messa nei forni crematori, dopo essere
passata dalle docce".
Mentre parlava, si asciugò con il dorso della mano le lacrime che le scendevano
dal volto. "A noi hanno fatto un segno che ho ancora sul braccio". Si tirò su la
manica e potei leggere bene inciso "Z24161". La nonna disse: "Vi racconto tutto
ciò che ho visto e vissuto, ma non è da raccontare ai bambini; invece è
importante capire che l’odio porta al razzismo e il razzismo uccide in molti
modi, con la morte fisica e con quella morale". Mi spiegò come si poteva
uccidere il cuore degli uomini con l’emarginazione:
"Tu sei un gagì, cosa vuoi sapere di queste cose? Tu vivi bene nella tua casa,
nessuno viene a controllarti. Per noi invece non è così, quando vai a fare la
spesa, ti servono prima degli altri, perché hanno timore che rubi qualcosa, o se
sali sul tram, nessuno si siede vicino a te, perché sei zingaro. Si rifiutano
non solo di parlarti, ma di starti accanto, quasi avessimo la peste".
Sentivo che era dura, ma la capivo, perché anch’io a scuola avevo dovuto lottare
con i miei compagni per difendere gli zingari; ricordavo ancora l’episodio in
cui un bambino mi aveva detto con disprezzo: "Sei solo una zingara" e io l’avevo
ringraziato, perché, se avessi potuto scegliere, avrei proprio voluto essere
zingara.
"Ma - riprese mascia Draga, dopo un po’ di silenzio - bisogna imparare sin da
piccoli a capire che tutti hanno il diritto di vivere. Il sole sorge per tutti e
la pioggia cade per tutti, tutti abbiamo fame e tutti abbiamo sete, ci sono
tante cose simili per i gagé e simili per gli zingari ed anche per i neri
dell’Africa, bisogna scoprirle".
Dopo un momento aggiunse: "Hai una nonna? Vai da lei e chiedile cosa vuol dire
ciò che ti ho detto. Chi ha vissuto molto, ha acquistato saggezza e bisogna
imparare ad ascoltare il passato per non commettere gli stessi sbagli per
l’avvenire". Nonna Draga abbassò la voce quasi volesse parlare a se stessa e
disse: "Non potevo ritornare in quel posto, ma ci sono andata alcuni anni fa e
ho pianto di rabbia, vedendo Auschwitz diventata un museo e constatando che in
mezzo alle baracche, dove sono morte migliaia di persone, i ragazzini spesso
mangiano patatine fritte e bevono Coca-Cola".
Spiegò: "Ho voluto andare a vedere le baracche del settore zingaro, ma le
intemperie le hanno distrutte. C’è solo uno spiazzo vuoto, però ho sempre in
tasca un pezzo di pietra che ho raccolto".
Poi si alzò con maestà dalla sedia, come se fosse una regina e con voce più
forte soggiunse: "Quando sarai grande, ricordati di ciò che ti disse una vecchia
zingara: la pace tra i popoli nasce cercando i valori che uniscono e non le
divisioni. Facciamo attenzione che il nazismo non torni in Europa, già troppi
innocenti hanno pagato".
Ero rimasta senza fiato; quella piccola donna minuta, dalla voce giovane, aveva
raccontato cose mai sentite. Avrei voluto abbracciarla, ma non osavo davanti a
tutti i Rom, tuttavia quando l’avvicinai, lei mi strinse forte e mi fece una
carezza.
"Vai, piccola gagì, oggi ho parlato troppo per la mia età".
*di Carla OSELLA
in ''Pabay, nel mondo degli zingari'' (ed. INTERFACE-AIZO)
http://www.aizo.it/masciadraga.html