Sergio Bontempelli 25 novembre 2013 su
Corriere delle migrazioni
Quella della "zingara rapitrice" è una falsa leggenda, ormai lo
sanno (quasi) tutti. Ma pochi conoscono l'origine di questo mito, che risale
all'età moderna e ha una lunga storia letteraria.
A volte i fatti di cronaca sono molto istruttivi. A volte, non sempre. Il 19
ottobre scorso, a Farsala in Grecia, i poliziotti trovano una bambina bionda in
un insediamento rom. E siccome i rom - così pensano gli agenti - non possono
essere biondi, la bambina sarà stata senz'altro rubata. Parte la caccia ai
"veri" genitori, che vengono rintracciati nel giro di pochi giorni: si tratta di
una coppia di rom bulgari, anche loro tutt'altro che biondi. La bambina non è
stata rubata, ma ceduta dalla famiglia di origine, che non poteva mantenerla.
Due giorni dopo, la polizia irlandese ferma una coppia di rom a Dublino e
trattiene la loro piccola figlia, anche lei "troppo bionda per essere zingara".
Ma il caso si sgonfia subito: il test del Dna rivela che i due rom sono i
genitori "naturali" della piccola.
Il 3 novembre,
Il Messaggero riporta la notizia di una rom bulgara che avrebbe
tentato di rapire un neonato a Roma. La presunta rapitrice verrebbe dai dintorni
di Napoli, dal "campo nomadi di Striano". Bastano poche ore per capire che si
tratta di una bufala: a seguito di una rapida verifica, l'Associazione 21 Luglio
scopre che non esiste nessun
"campo nomadi di Striano", mentre un
articolo del
giornale online Giornalettismo ridimensionava l'ipotesi del rapimento. La donna
- che probabilmente non era rom - era in evidente stato confusionale, e la sua
volontà di "sottrarre" il bambino è tutta da verificare.
I rom non rubano i bambini...
Tre episodi di rapimento, rivelatesi tre colossali bufale. Ancora una volta, la
storia degli "zingari" che portano via i bambini si rivela per quello che è: una
leggenda metropolitana.
Del resto, che i rom non rubino i neonati lo sanno tutti. O, almeno, tutte le
persone serie e minimamente informate. Anche perché sul tema si è accumulata una
corposa letteratura: dossier, reportage, rilevazioni statistiche, studi e
ricerche sistematiche.
Ci sono per esempio i dati della Polizia di Stato sui minori scomparsi. In
nessun caso si parla di bambini o adolescenti ritrovati presso famiglie rom o in
"campi nomadi" (si veda
qui, e per dati aggiornati al 2013
qui).
Poi ci sono inchieste giornalistiche ben fatte, reperibili anche in rete: come
quella realizzata nel 2007 da
Carmilla Online, dove si dimostrava che i numerosi
episodi di presunto rapimento di minori erano delle bufale belle e buone. O come
quella, più recente, di
Elena Tebano per il
Corriere, che arriva alle stesse
conclusioni.
Infine, c'è la ricerca dell'antropologa fiorentina Sabrina Tosi Cambini, che ha
analizzato tutti i casi di presunti rapimenti, seguendo sia le notizie diffuse
dalla stampa che i verbali dei processi nelle aule di Tribunale. L'esito di
questa meticolosa indagine è sempre il solito: nessuna donna rom ha mai rapito
nessun bambino.
Le origini della leggenda: un mito letterario
Ma allora da dove nasce la bufala dei rom che portano via i bambini? Pochi sanno
che si tratta di una storia vecchia di qualche secolo, e che può vantare
un'origine "colta", addirittura letteraria: i primi a parlare di "zingare
rapitrici" sono stati infatti i commediografi italiani e spagnoli del
Cinque-Seicento. Nell'arco di qualche decennio, la trama delle loro opere è
diventata leggenda di senso comune: la finzione, potremmo dire, si è fatta
realtà (o, per meglio dire, il racconto è divenuto cronaca e falsa notizia). Ma
andiamo con ordine.
Tutto comincia nel 1544 a Venezia. Il luogo non è casuale, perché proprio in
quegli anni la Serenissima avvia una dura politica di espulsioni, bandi e atti
repressivi contro gli "zingari". Mentre la gloriosa Repubblica si industria ad
allontanare i rom, i veneziani frequentano il teatro, luogo di svago e di vita
mondana: e come in un gioco di specchi, gli "zingari" cacciati dalla città fanno
capolino sul palco.
Nel 1544 viene messa in scena La Zingana, una commedia di un certo Gigio Artemio
Giancarli. Qui si racconta di una giovane rom che sottrae dalla culla un
bambino, sostituendolo col proprio figlio: per quanto se ne sa, si tratta della
prima traccia del mito della "zingara rapitrice". Il successo della commedia
oltrepassa i confini della Repubblica: nel giro di pochi anni un drammaturgo
spagnolo, Lope de Rueda, scrive la Medora, che è nient'altro che una traduzione
e un adattamento della Zingana di Giancarli. E attraverso Lope de Rueda, la
leggenda della "zingara rapitrice" arriva a Cervantes (l'autore del Don
Chisciotte), che ne fa l'oggetto di una delle sue "Novelle esemplari", La
Gitanilla.
Da opera letteraria a leggenda metropolitana
Insomma, la storia della "zingara rapitrice" nasce come trama di commedie,
novelle e opere teatrali. Poi, nel giro di pochi decenni, oltrepassa l'ambito
letterario: a Milano, agli inizi del Seicento, Federico Borromeo accusa i "cingari"
di rapire i bambini cristiani, mentre in Spagna Juan de Quiñones, nel 1631,
formula un'accusa simile in un virulento pamphlet che invoca l'espulsione dei
"gitani". I giochi sono fatti: la trama romanzesca si è trasformata in accusa
reale, leggenda metropolitana e falsa notizia.
A cosa si deve questa metamorfosi? Sul punto, le ricerche storiche sono ancora
agli inizi, e risposte sicure non esistono. Si possono però formulare alcune
ipotesi. E, come punto di partenza, occorre ricordare che i rom non erano gli
unici destinatari di questa infamante accusa: altri gruppi sociali, altre
minoranze erano sospettate - negli stessi anni - di "rubare i bambini".
C'erano per esempio gli ebrei, già allora discriminati e vittime di persecuzioni
(perché l'antisemitismo, è bene ricordarlo, non nasce nel Novecento). Dei
"giudei" si diceva sin dal medioevo che rapivano i piccoli cristiani per cibarsi
del loro sangue a scopo rituale. Ovviamente non era vero, ma intere comunità
ebraiche furono vittime di aggressioni, stragi, processi o condanne a morte.
Poi c'erano i vagabondi e i mendicanti, accusati spesso di rapire i bambini per
portarli a chiedere l'elemosina. Piero Camporesi, storico e antropologo,
racconta ad esempio la vicenda del "ritrovamento fortunoso da parte di una madre
della figlia, rapitale due anni prima, mentre chiedeva l'elemosina in compagnia
del suo rapitore davanti alle porte del santuario di Assisi; non solo rapita, ma
resa ad arte macilenta e ulcerata sulle spalle per impietosire i fedeli".
Infine, il fenomeno dei rapimenti era diffuso nella pirateria barbaresca:
corsari, avventurieri e pirati musulmani solcavano il Mediterraneo, e per
guadagnare qualche soldo rapivano uomini, donne e bambini, chiedendo poi un
riscatto per la loro liberazione.
Zingari, ebrei, mori, vagabondi
Ebrei, "mori" e vagabondi erano insomma protagonisti di episodi - veri, o più
spesso presunti - di sottrazione di minori. Naturalmente, per capire quanto
queste figure abbiano influito sull'immagine dei rom occorrerebbe compiere
ricerche specifiche. Ma alcuni indizi ci segnalano che, nell'immaginario della
prima età moderna, questi gruppi erano spesso confusi, o almeno accostati per
similitudine.
La "zingana" della commedia del Giancarli, per esempio, parla un dialetto arabo:
all'epoca si pensava che i rom fossero "egiziani", cioè arabi, mentre la teoria
dell'origine indiana si diffuse solo qualche secolo dopo. Lutero, dal canto suo,
affermava che il "gergo" dei mendicanti (una specie di lingua segreta diffusa
nei "bassifondi" della società) aveva origini ebraiche. Dei vagabondi si diceva
che erano discendenti di Caino - e per questo condannati a vagare - mentre per
gli "zingari" si ipotizzava una provenienza dalla figura biblica di Cam: ma nei
testi dell'epoca Cam e Caino erano spesso confusi, e i rom erano trattati come
semplici vagabondi.
Insomma, è come se il mito della "zingara rapitrice" fosse nato per una sorta di
"osmosi" con analoghe leggende già diffuse a proposito di altri gruppi. Per
dirla in altri termini, è come se lo stereotipo degli "zingari" avesse
condensato, e mescolato, le caratteristiche proprie dei "marginali": erranti
come gli ebrei e i vagabondi, estranei e nemici come i "mori" musulmani.
Quando gli zingari eravamo noi
Nato in età moderna, il mito dei rom rapitori di bambini ha dimostrato una
sorprendente longevità: ha attraversato i secoli, arrivando pressoché intatto
fino ai nostri giorni. I titoli allarmistici dei giornali delle ultime
settimane, i resoconti dei fatti di Farsala e di Dublino, sembrano riecheggiare
le inquietudini dei commediografi veneziani del Cinquecento.
È difficile comprendere le ragioni di questa "longevità". Certo è che il tema
del "rapimento di bambini" è assai diffuso nel tempo e nello spazio: molti
gruppi minoritari, molte comunità marginali e discriminate hanno prima o poi
dovuto difendersi da questa infamante accusa, o da altre simili.
È capitato anche ai migranti italiani, nei decenni centrali dell'Ottocento. Dai
villaggi rurali del Sud e dalle regioni appenniniche del centro-nord, intere
famiglie contadine praticavano all'epoca forme di mobilità stagionale, legate ai
mestieri girovaghi di musicante e suonatore. Nel XIX secolo, l'arpa dei "viggianesi"
(Viggiano è un paese della Basilicata) e l'organetto dei liguri avevano
risuonato nelle strade delle città europee, richiamando l'attenzione dei
passanti su queste strane figure di musicisti straccioni.
I bambini che suonavano l'organetto in mezzo alla strada, si diceva, erano stati
"venduti" dalle famiglie di origine a trafficanti senza scrupoli. Non erano
proprio bambini rapiti, ma quasi: perché i loro genitori, poverissimi, erano
spesso costretti a venderli per racimolare qualche soldo. "Il costume di
mendicare di città in città col mezzo di fanciulli", scriveva la Società
Italiana di Beneficenza di Parigi nel 1868, "ha dato origine ad un traffico che
si pratica sotto gli occhi e colla tolleranza delle autorità": una frase che
riecheggia i peggiori stereotipi sugli "zingari".
Traffico di bambini, mendicità aggressiva, offesa al decoro, furti e criminalità
di strada furono i principali capi d'accusa contestati agli emigranti. E, come i
rom di oggi, gli italiani di ieri subirono processi, espulsioni, condanne.
Subirono, soprattutto, una degradazione della loro immagine pubblica: chi
incontrava un italiano metteva mano al portafogli, per paura di subire dei
furti. E nascondeva il proprio bambino.