Di Fabrizio (del 11/11/2012 @ 09:11:00, in scuola, visitato 1848 volte)
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plebeo e ad alto tasso di intolleranza (GRATUITA?)
Ricordate quel film di Mike Nichols? Il laureato è uno che vorrebbe un
matrimonio felice e magari una bella macchina e tanti figli, ma la potenziale (e borghesissima)
suocera, piuttosto che ammollare l'adorata figlioletta a qualcuno senza arte né
parte, è disposta a scoparsi lei il giovanotto, per ricattarlo e minacciarlo in
futuro. E non è che il giovanotto in questione resista più di tanto a queste
avances.
Qualche anno fa, davo una mano a traslocare i volumi del Centro
Documentazione dell'Opera Nomadi di Milano... a proposito, che fine avrà fatto?
(non l'Opera Nomadi, il centro intendo). Al centesimo scatolone,
bestemmiavo sulla mole di libri scritti su di un popolo tendenzialmente
ANALFABETA.
Da quando frequento Rom e Sinti, per forza ho iniziato a frequentare anche
laureati. Sempre di più. Probabilmente è dovuto al momento di crisi:
senza prospettive di lavoro e con un riconoscimento pubblico prossimo allo zero,
è probabile che nei campi trovino quel po' di considerazione che altrove viene
negata loro.
Dentro i campi, timidi, i laureati rispondono con sorrisi e magari fanno
qualcosa coi bambini. Quando ne escono, scrivono, convinti di aver scoperto un
filone che darà loro fama e importanza. E cosa scrivono di bello? Di cosa hanno
visto, di come provare ad instaurare un rapporto tra DIVERSI? Di solito invece
scrivono rimasticature di altri laureati (di più lungo corso), sulle origini
degli zingari, sul loro cammino, sulla loro miseria materiale ed intellettuale,
su quanto noi stanziali siamo razzisti e malvagi... insomma, cose risapute.
Il problema è che questo timbro di notizie, da parte di una classe che ha
studiato da dirigente, restituisce lo STATUS QUO, il perpetrarsi della distanza
che si è creata nel tempo. Mi son chiesto spesso se sia un comportamento
cosciente, mirare a mantenere lo STATUS QUO, o sia la reazione di chi col mondo
del lavoro (che continuo a considerare il motore universale del cambiamento) ha
pochi rapporti precari, ma alla fine abbia comunque una casa che lo attenda,
finita la corveé al campo nomadi. Altro punto su cui mi interrogo: quanto è
disposta ad imparare (a mettersi in discussione), una persona che spesso si
auto-considera già istruita?
Insomma: cosa si può pretendere da una situazione così socialmente
sfilacciata? Attualmente: di farsi una risata di tanto in tanto, senza perdere
la speranza che questo rapporto possa evolversi. L'esempio mi viene da una delle
ultime letture di Paul Polansky (anche lui è laureato, nessuno è perfetto...)
a cui ho assistito. Domanda, da parte di un laureato in antropologia:
Come sei riuscito a svolgere il tuo lavoro di
antropologo tra gli zingari?
Risposta:
Gli zingari non sanno neanche cosa sia, l'antropologia.
Hanno però dei bisogni, come tutti, e meglio degli altri sanno
riconoscere se qualcuno si interessa a loro con sincerità e con
impegno. Abbiamo costruito un rapporto, e così sono stato
facilitato nel mio lavoro di antropologo. Ma tutto ciò è venuto
dopo.