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Politiche abitative sinte e rom
Di Fabrizio (del 20/07/2012 @ 09:18:47, in Italia, visitato 2059 volte)

Con l'occasione della presentazione del "Progetto rom sinti caminanti - Comune Milano" lo scorso 6 luglio, e la successiva richiesta da parte del comune di aprire il dialogo con le associazioni coinvolte, penso possa interessare questo mio contributo di un paio di anni fa, al convegno "La condizione giuridica di Rom e Sinti in Italia" (cfr. ATTI - pagg. 843-847, Giuffrè editore)

  1. Introduzione
  2. Presenze Rom e Sinte
  3. Un'agenzia: strumento per il lavoro e la casa
  4. Il lavoro
  5. L'abitare

L'Italia è conosciuta come il paese dei campi e degli sgomberi, sgomberi che a Milano in due anni sono stati oltre 2701. Presenterò alcuni dati su questa città, non solo perché è la realtà che conosco meglio, ma anche perché le politiche che si applicano qui sono sempre state un laboratorio di quanto accade poi in Italia.
Sgomberi che riguardano tanto i campi autorizzati che quelli informali, limitandosi a spostare i problemi, senza risolverli. Come attivisti per i diritti dei rom e dei sinti veniamo, però, rimproverati di essere solamente capaci di protestare. Tenterò di presentare alcune proposte concrete per affrontare questi problemi. Tra l'altro anche il messaggio del presidente Napolitano, letto all'inizio della Conferenza internazione sulla condizione giuridica di rom e sinti in Italia chiedeva un impegno alla ricerca di soluzioni praticabili. E' proprio in questa direzione che vanno le nostre riflessioni, nella speranza che si possa aprire finalmente aprire un tavolo di confronto col comune di Milano. (Si veda il documento: Tavolo Rom, Rom e Sinti: politiche possibili nell'area metropolitana di Milano. Modelli e proposte, Milano, 2010. ndr.)

Presenze Rom e Sinte
Nel corso della Conferenza, in molti interventi si è sottolineato come manchino a diversi livelli dati certi sulla presenza numerica di Rom e Sinti. Nel nostro caso possiamo contare nella città di Milano circa 1.300 presenze nei campi comunali, tra di loro cittadini italiani (Rom harvati, abruzzesi e Sinti piemontesi) e stranieri (comunitari: Rom rumeni ed extracomunitari: Rom bosniaci, kosovari e macedoni) ed altri 1.300 negli insediamenti informali. In Lombardia contiamo circa 13.000 presenze.

Il dato da cui partire (tra poco spiegherò il perché) è quello provinciale: secondo la Prefettura le presenze sarebbero 3.500 unità, mentre l'Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità ne conta circa 3.300.

Quindi: le cifre stesse indicano che il "problema nomadi" è tranquillamente affrontabile, se esistesse la volontà politica. Nei prossimi paragrafi, perciò, cercherò di sintetizzare alcune proposte concrete e realizzabili elaborate dal Tavolo Rom di Milano.

Un'agenzia: strumento per il lavoro e la casa
Oltre agli sgomberi, nel territorio milanese dobbiamo affrontare la questione della chiusura della maggior parte dei campi comunali. Il Tavolo Rom ha proposto l'istituzione di un'Agenzia apposita, organizzata sulla forma di società consortile, che possa gestire questa fase tanto nel breve che nel medio termine. Siamo coscienti che lo "strumento Agenzia" non è replicabile automaticamente in altre realtà (anche regionali), ma ci sembra utile invece sottolineare alcuni dei suoi compiti chiave.

  1. Affrontare congiuntamente i nodi del lavoro e quello dell'abitare: l'uno non può sussistere senza l'altro se si vogliono ottenere risultati duraturi.
  2. Agire in ambito sovracomunale: coinvolgere tutto il territorio metropolitana (circa 5 milioni di abitanti), fornendo aiuto e consulenza ai comuni coinvolti e coordinando strategicamente le loro politiche.
  3. Mediare, trovando soluzioni ai conflitti che via via possono crearsi, tramite l'impiego di personale esperto nell'ambito del lavoro e dell'abitare e di operatori che abbiano già stabilito rapporti di fiducia con i Rom ed i Sinti coinvolti, ed allocando risorse adeguate.

Scopo dell'Agenzia è di sostenere le capacità e l'autonomia di Rom e Sinti, tenendo conto di una situazione che, lungi dall'essere uniforme, vede grandi differenze tra un gruppo e l'altro, per provenienza, durata della presenza in Italia, composizione familiare ed esperienze pregresse.

Il lavoro
Per molti disporre di una residenza è condizione indispensabile per poter lavorare in maniera autonoma ed iscrivere i figli a scuola.

In particolare i Rom provenienti dall'Europa dell'Est lavorano in maniera abituale, o frammentaria, nell'edilizia ed il problema più grande per molti è di regolarizzare la loro posizione.

Invece molti Rom e Sinti italiani hanno sviluppato piccole attività artigianali in proprio o imprese di servizi a carattere familiare. Attività autoimprenditoriali già in corso comprendono: una cooperativa di servizi e manutenzioni, una lavanderia, un'attività di recupero, riparazione e produzione di bancali, una sartoria. In questi casi occorrerebbe un supporto, anche di marketing e di programmazione, a queste attività.

Occorre poi sostenere il commercio ambulante praticato dai Caminanti presenti a Milano nel periodo estivo. Infine, predisporre percorsi di accompagnamento mirato ai giovani Rom (14 - 18 anni) che si affacciano al mercato del lavoro dopo la scuola dell'obbligo, tenendo conto che sinora le esperienze delle borse-lavoro non si sono tramutate in sbocchi occupazionali.

Una rapido esame della situazione lavorativa mostra, quindi, che, pur di fronte ad un'altissima percentuale di disoccupazione, non esiste il deserto, ma possiamo già contare su varie capacità professionali che necessitano di percorsi diversi.

Intendiamo quindi operare, sempre tramite l'Agenzia, svolgendo un ruolo di mediazione con diversi enti locali e organizzazioni di rappresentanza degli interessi, quali: Confcooperative, Camere di Commercio, Lega delle Cooperative, Associazione Provinciale Albergatori Milano, Scuola di Formazione Edile.

L'abitare
Come nel lavoro, anche per l'abitare le soluzioni non sono univoche.

Mi limito a ricordare che siamo passati da un'esaltazione dei campi sosta come politica valida per tutti (non entro nel merito di un argomento discusso ampiamente in altri capitoli in questo volume) alla loro negazione, senza affrontare il tema chiave della mediazione, necessaria per affrontare il passaggio dai campi all'alloggio stabile. Il risultato è che le esperienze precedenti si sono tramutate in "campi verticali", cioè l'ingresso dei Rom dai campi in quartieri "gagé", parimenti abbandonati e privi di servizi, spesso con una forte presenza di malavita organizzata. Per assurdo, uno dei pochi casi di "integrazione" riuscita, con i Rom che, in mancanza di politiche generali della casa, sono risultati funzionali alle economie sommerse, se non criminali, che permettono il sopravvivere di questi quartieri.

Nel merito, un aspetto minoritario è dato da quelle comunità che tuttora svolgono una vita nomade, come ad esempio i Caminanti. Occorre stabilire aree soste attrezzate per piccoli gruppi, munite di servizi igienici, lavanderia, docce e opere di urbanizzazione primaria per ogni piazzola, senza ripetere errori del passato, quando i campi spacciati come attrezzati mancavano di questi servizi di base. Un altro rischio è che aree simili da provvisorie diventino definitive ed attraggano altri Rom e Sinti che non trovino una sistemazione.

Un caso a parte è poi costituito dai Sinti della missione evangelica zigana (una minoranza nella minoranza!), che da anni si vede negare senza ragione dal comune di Milano uno spazio per tenere i propri raduni religiosi.

Una richiesta che arriva soprattutto dai Sinti e dai Rom harvati è quella di attrezzare micro aree dove potersi installare con la propria famiglia allargata, in piccole comunità di 10/massimo 50 persone. E' possibile anche prevedere progetti di autocostruzione e mantenimento, oltretutto riducendo notevolmente i costi di gestione rispetto ai mega campi di sosta. Esperienze simili sono già in funzione a Guastalla (RE) e Casalmaggiore (CR), con i progetti curati dall'associazione Sucar Drom di Mantova.

Rom harvati e ultimamente anche rumeni si stanno indirizzando verso il recupero e la manutenzione di cascine dismesse o abbandonate, dove potersi installare, dopo averle restaurate (e recuperato così un nostro patrimonio in abbandono) con logiche simile a quelle delle micro aree.

Nei due casi presentati, l'Agenzia, assieme alla Regione, potrebbe attingere ai fondi strutturali europei per finanziare i lavori necessari o per mediare se dovessero verificarsi dei contratti di affitto. Inoltre le persone acquisirebbero i diritti su quanto costruito, ma non sul suolo (dunque non potrebbero rivendere la proprietà senza autorizzazione del Comune); questo per evitare possibili speculazioni.

Molti Sinti e Rom harvati, per uscire dalle logiche ghettizzanti del campo sosta, hanno scelto in autonomia di acquistare privatamente dei terreni agricoli dove sistemarsi con la propria famiglia. Il T.U. 380 del 2001 ha reso illegale installare su questi terreni anche solo una roulotte, paragonandola ad un edificio. Queste famiglie si trovano, spesso dopo essersi indebitate per l'acquisto del terreno, nella condizione di essere cacciate dalla loro stessa proprietà. E' una situazione presente purtroppo su tutto il territorio nazionale, e nessun caso sinora è stato sanato. Anche questo appare come un caso di discriminazione razziale indiretta.

I Rom dell'Est Europa di solito abitavano in case nei paesi di origine e, anche di fronte ad un mercato della casa obiettivamente difficile, potrebbero essere interessati a rientrare nell'edilizia pubblica o privata. Di fronte alla ventilata chiusura dei campi sosta, occorrerebbe stabilire che chi vi abita e si trovasse in una situazione di effettivo sfratto, potesse acquisire un punteggio supplementare per l'assegnazione di casa popolare. Nel caso di accesso all'edilizia privata, di fronte ai probabili timori del proprietario, sarebbe l'Agenzia a sottoscrivere il contratto, garantendo i pagamenti dell'affitto e delle utenze e seguendo le famiglie a cui subaffitterebbe i locali.

Infine, nei casi di fasce particolarmente deboli o problematiche, si potrebbe ricorrere all'housing sociale, prevedendone comunque la temporaneità e approntando percorsi di accompagnamento verso le soluzioni precedenti.