Termometro Politico I rom nell'Europa orientale, ovvero come ti
demonizzo il diverso - Pubblicato il 22 maggio 2012 da EaST Journal - di Simona Mattone,
da Bucarest
L'otto aprile è stata la giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. In ogni
paese le giornate internazionali hanno odori diversi. Profumano di vittoria, o
di sconfitta. A volte di superfluo. Bucarest, capitale del paese
con la più
numerosa popolazione rom, ha proposto una giornata di documentari e di
informazione. In un cinema, un po' d'altri tempi, senza molta pubblicità. Una
ventina di ragazzi, due o tre teste bianche e lo schermo. Passano le ore, e le
storie si intrecciano. Ragazzini che arano campi - si parla di garantire
l'accesso scolastico a tutti-, e roulotte che cercano di raggiungere la Francia,
ancora, dopo l'ennesima espulsione, perché "qui in Romania non si può più
stare". C'è un villaggio di 700 persone, costruito al confine tra due distretti,
che non riceve né acqua, né luce. Né documenti. Se non quelli temporanei,
concessi occasionalmente da qualche partito in vista delle elezioni, e poi
ritirati.
E' chiaro: la considerazione dei rom è pessima. L'informazione è pessima. Ci si
dimentica spesso che sono uomini. Anche qui, dove la maggior parte non vive in
baracche, ma lavora, svolgendo le professioni più umili. Nei più casuali
dialoghi con la gente, uno straniero in Romania viene informato della differenza
tra romeni e rom, almeno una volta al giorno. "Non siamo gypsies, non siamo
tigani, non siamo zingari. Noi non rubiamo". L'immagine è senza dubbio
quella
proposta dai media. La capacità dei media romeni di influenzare l'opinione
pubblica lavora su costruzione e diffusione di stereotipi negativi riguardanti i
rom.
Una ricerca condotta quasi dodici anni fa dall'Accademia Catavencu è ancora
rilevante, ci mostra come il gioco sia sempre lo stesso: si demonizzano la
povertà, le tradizioni ed i costumi, ed il collegamento tra criminalità ed etnia
rom è diretto. E poi c'è la mafia tiganeasca. Fa quasi sorridere sentire una
donna rom parlare di un vicino poco simpatico apostrofandolo come "zingaro".
Ci sono 12 milioni di rom in Unione Europea. Non hanno un paese d'origine, e la
maggior parte ha ormai messo le proprie radici nell'Europa balcanica.
Ma chi
sono davvero, e da cosa scappano?
Dal rapporto 2009 di EU-MIDIS, indagine condotta dall'Agenzia dei Diritti
Fondamentali sulle minoranze europee, emerge che la popolazione Rom raggiunge i
più alti livelli di discriminazione nei Paesi dell'Est Europa. Intolleranza
accentuata dall'eredità socialista, ma ben più antica.
In Repubblica Ceca si è riportato il livello di discriminazione più alto, un
64%. I rom in Bulgaria e in Romania se la passano meglio, dicono le statistiche.
Solo il 4% dei Rom in Grecia completa l'educazione primaria. Anche nei paesi
dove l'analfabetismo non è fra i maggiori problemi, la proporzione di quelli che
decidono di continuare gli studi è preoccupantemente bassa.
Anche se con un solo rappresentante di origini rom a Bruxelles, diversi progetti
sono stati promossi dal Concilio d'Europa e dalle Commissioni Europee
incaricate, per l'abbattimento di pregiudizi, attraverso il sostegno di
politiche di integrazione ed inclusione. Tutto dovrebbe partire dall'istruzione.
In questo particolare contesto sociale garantire l'accesso all'istruzione alle
nuove generazioni non è scontato, né altrettanto sufficiente. Qualora i bambini
rom abbiano la possibilità di frequentare le scuole, nella maggior parte dei
casi vengono indirizzati in strutture solo per rom, con bassa qualità di
insegnamento, o raggruppati in classi separate. Addirittura in scuole speciali,
per disabili, provocando facilmente l'abbandono degli studi. Questo è un
messaggio profondamente diseducativo anche per chi rom non è. La segregazione ha
una doppia faccia: impedisce il contatto tra le diversità, in un contesto
neutro.
Ed ecco un Est, emarginato dalla visione eurocentrica che lo definisce come
produttore di lavavetri e campi nomadi - già la parola campo dovrebbe farci
sobbalzare - che emargina. I rom nei loro villaggi, gli altri nelle loro città.
Società parallele, all'Est come all'Ovest, al Nord come al Sud.
Da
EastJournal
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