Premessa: Può stupire un articolo nella sezione "Europa" che arriva dalla Colombia. In realtà, le "nostre" periferie stanno sempre più assimilandosi a quelle che si trovano nel continente nord e sud americano e mi sembra limitante ragionarne esclusivamente tra europei.
Nel contempo, il dibattito sulle periferie in Europa riguarda anche le tematiche dell'alloggio e dell'accesso ai servizi per i Rom, che nel nostro continente esprimono una forte domanda di sedentarizzazione. E in questo scambio di idee incrociate, ecco che il Congresso Rom Panamericano chiede invece la tutela del nomadismo, che lì resiste ancora.
Lungi da me l'idea di suggerire soluzioni, piuttosto la certezza che qualsiasi sintesi derivi dalla conoscenza e dal confronto con gli aspetti e le opinioni che (nonostante internet) hanno meno visibilità.
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Minorías étnicas, multiculturalismo, interculturalidad: Nuevos conceptos
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Redacción Actualidad Étnica - Bogotá. Noviembre 23 de 2005.
Nel mezzo dello stato di emergenza che dallo scorso 12 novembre vive la Francia, come risposta all'onda di manifestazioni e disordini degli immigrati nelle periferie povere che circondano Parigi, e che protestano contro la loro marginalizzazione e repressione politica, si apre un nuovo dibattito che perdurerà nell'agenda pubblica di questo secolo.
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Verranno accettati, un giorno, come concittadini?, E come compatrioti?, Sarà possibile il rispetto delle differenti culture, con tutto ciò che comporta?, Spariranno il razzismo e la xenofobia in Francia o in Spagna? Sono alcune delle domande della dottoressa Graciela María Espinoza autrice dell'artícolo “Dal multiculturalismo all'interculturalità”, che partendo dalla posizione che non è possibile il multiculturalismo in termini assoluti, compie alcuni passi per comprendere i concetti di multiculturale e interculturale.
Il testo è stato pubblicato originariamente su momarandu.com.
La situazione attuale in Francia, ha raggiunto la massima tensione sfociando nei disordini provocati dagli immigrati e dai loro figli, per protesta contro le condizioni di marginalità nei quartieri periferici delle città. Senza dubbio, uno dei grandi dibattiti di questo nuovo secolo, probabilmente il più urgente.
Si discutono nelle differenti discipline, nuovi concetti come multiculturalismo, interculturalità, pluralismo razziale, assimilazione, integrazione, minoranze etniche... Verranno accettati, un giorno, come concittadini?, E come compatrioti?, Sarà possibile il rispetto delle differenti culture, con tutto ciò che comporta?, Spariranno il razzismo e la xenofobia in Francia o in Spagna?
La realtà sociale di fronte all'Europa, è quella di un popolo che non sarà più lo stesso, dato che il suo sangue e la sua cultura si mescolano con le altre. Gli "stranieri" che arrivano, spinti dalla precarietà della loro situazione economica, saranno parte, un giorno, della realtà sociologica di questa nazione? O costituiranno indefinitamente una causa in più di disintegrazione? Questo il nodo di un'ipocrisia terminologica che una società sviluppata chiama "gli stranieri", trattandoli come cittadini di seconda classe.
La cultura delle periferie, i sentimenti e il loro sapere, sono il prodotto della realtà in cui vivono questi soggetti. Distinto il sentire dei nordafricani, dei nigeriani, berlinesi, parigini o madrilegni, perché distinta è la loro situazione, compreso nel processo produttivo. E' possibile oggi il multiculturalismo? No, in termini assoluti. E' solo una gentile espressione, un discorso accademico.
Oggi, tutte le società sono multiculturali. Multiculturalismo è una risposta alla diversità culturale e alla sua integrazione nella "cultura nazionale", la cultura maggioritaria. Pertanto, le politiche dell'interculturalismo conformano i media per imparare come "vivere tutti assieme", "assicurare la piena partecipazione di tutte le culture e che la diversità è una fonte di ricchezza solo quando esiste l'intercultura" e "garantire la libertà di espressione (in ogni forma) in una società pluralista e multiculturale".
Il problema di questo pluralismo è se io debba consentire che, accanto al mio domicilio, ci siano un ristorante cinese, una balera orientale, o un centro di yoga hindu, o di folclore centrafricano, o una chiesa coreana, senza sapere come tollerare determinate pratiche che, per la mia cultura, risultano sgradevoli. Questi i veri problemi del multiculturalismo. E, partendo da qui, ci chiediamo: Pluralismo, sì o no?
Esistono due modelli di diversità culturale: nel primo caso, nasce dall'incorporare culture che previamente avevano forme di autogoverno ed erano concentrate territorialmente in uno stato principale... nel secondo, dall'immigrazione individuale e familiare. Questi due modelli sono denominati rispettivamente minoranze nazionali e gruppi etnici.
Nelle sue analisi sugli stati multinazionali e i poli etnici, Kymlicka prova a dimostrare che se le minoranze nazionali desiderano "continuare rimanendo società distinte dalla cultura maggioritaria di cui fanno parte", i gruppi etnici formatisi con l'immigrazione "desiderano integrarsi nella società di cui formano parte, essere accettati nella stessa come membri a pieno diritto".
I più famosi politologi si coinvolgono nella discussione. Giovanni Sartori argomenta che "La sola concessione della nazionalità non produce l'integrazione degli immigrati". Slavoj Zizek parla di multiculturalismo come di cattiva coscienza e recentemente ha aggiunto: "il terrorismo è uno specchio della nostra civilizzazione: i terroristi non stanno, non li vediamo, ma sono il riflesso del mondo occidentale".
Questa diversità culturale, che connette le persone in un sistema mondiale proiettato crescentemente verso la globalizzazione, è tanto percepita come fonte di disturbo, di conflitto, come pure di arricchimento. In più, l'immigrazione è tanto ricchezza, diritto e problema. I primi due non eliminano i rischi e le minacce del terzo. Il funzionamento della società democratica multiculturale richiede generose transazioni e considerevoli dosi di prudenza e buonsenso: e, in seguito, un'ampia concezione di libertà come, ad esempio, quella formulata da John Stuart Mills nel suo Sulla Libertà.
Vorrei sottolineare la fondamentale differenza tra i concetti di multiculturale ed interculturale. Il primo fa riferimento ad una situazione "di fatto" che in molti paesi è una realtà che data molti anni (quello che è successo in molti dei paesi comunitari), e in qualcuno di questi ha contribuito alla genesi della nazione. Il secondo è la manifestazione di una volontà rivolta a guadagnare relazioni che si considerano positive, su di un piano di mutua influenza.
Sono diversi i modelli distinti di contatto interetnico, che non sono tra loro autoescludenti. Secondo Graciela Malgesini e Carlos Giménez, il melting pot apparve come uno dei tre modelli di integrazione negli Stati Uniti, differente dall'anglo-conformismo (assimilazione nella cultura anglosassone maggioritaria) e dal pluralismo. Occorre capire che questo modello nasce in una nazione in cerca delle proprie radici culturali proprio nel suo rimescolamento e senza un passato comune indigeno che facesse da filo conduttore per tutta una tradizione storica atemporale. L''incrocio tra le culture non smette di essere funzionale all'assimilazione al modello dominante, in una società dove l'omogeneità è una pretesa.
Il modello assimilazionista parte dal presupposto che il contesto precedente di immigrazione, debba adattarsi alle esigenze normative della società ricettiva. Esiste un altro modello di contatto interetnico, conosciuto col nome di marginalizzazione. Consiste nel fatto che i gruppi etnicamente minoritari, conviventi con maggioranze che si suppongono "omogenee", siano relegate al margine che demarca, più che la differenza, la disuguaglianza. Ovviamente, la segregazione non è un atto volontario, ma la conseguenza delle differenze culturali e di classe.
In quanto al modello che si può definire di integrazione, è più che un modello ideale di relazioni interetniche, che un modello reale di contatto interculturale. Si fonda idealmente sulla comprensione e sulla conoscenza "dell'altro", per superare il possibile stereotipo stigmatizzato dove si trova. L'immigrato è portatore di storia e cultura, di codici che si manifestano nella quotidianità, che sono suscettibili di coesistere perfettamente ed arricchirsi mutualmente con quelli dei cittadini e della società ricettrice; però questi codici non sono irremovibili, ma in continua ricostruzione, per una interazione dinamica e costante. Pertanto. le relazioni interetniche si costruiscono in un contesto dialettico, di mutua interferenza.
E' successo qualcosa di curioso in Europa, con l'apparire delle minoranze etniche. Gli antropologi francesi cambiarono i loro orientamenti iniziando lo studio delle società distanti, dei contadini autoctoni in via di sparizione, delle tribù, in una "Antropología del Presente" dove l'unità di analisi è costituita dagli universi sociali etnoculturali.
Quanti conclusero la loro formazione accademica con Malinowski o la iniziarono con Claude Lévi Strauss, indifferenti e ostili al cambiamento, descrivevano immagini estetizzate di società tribali disseminate negli angoli più remoti del mondo abitato. Oggi, l'egemonia di questa concezione antropologica tradizionale, è superata dall'onda attuale di interesse al multiculturalismo.
A partire dal 1980 inizia a delinearsi un movimento che punta a fare del presente della società, il terreno propizio per l'indagine antropologica. Nomi come Clifford Geertz, o Gérad Althabe, non studiano più ciò che è distante, i nativi, il passato, non abbandonano il proprio mondo per arrivare agli "altri", alle tribù e "ritornare" - trasformati - a casa propria, ma rimangono nella propria regione. Il differente, lo "straniamento", come si suol dire, è lì, nella propria città, rappresentato dalle minoranze di origine straniera e dalle loro singole identità etnoculturali. Gli antropologi trovano negli immigrati di casa propria gli antichi "primitivi".
Gli "studi culturali" su queste minoranze etniche implicano un profondo ripensamento su cosa si sta facendo e sulle radici di queste ricerche. La prima rottura che appare lasciando il luogo di origine, quando un individuo o un gruppo lasciano il proprio luogo di origine, o si suppone che debbano mettersi in marcia, implica una serie di piccole trasformazioni; ma anche forti contrasti, nel mettere sulla bilancia le loro aspettative con la dura realtà, di rediscutersi personalmente, culturalmente e socialmente nei nuovi contesti, in definitiva la distanza tra il primo contatto con un luogo "estraneo" e i propri sogni e desideri.