ZeroViolenzaDonne di Paola De Meo - 13 settembre 2011
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"Ma che strano modo di venire a scuola
dietro una bicicletta che è anche una carriola
c'è una nuova amichetta, non parla una parola
sembra in difficoltà ma poi è lei che ci consola..."
da "Sono cool questi Rom", Assalti Frontali 2011
Cantano e ballano i bambini dell'Iqbal Masih, insieme ai loro compagni
Rom. E' uno spettacolo per genitori insegnanti e amici che conclude un anno
scolastico passato a parlare e a mettere in versi e musica diritti e articoli
della Costituzione. Hanno inventato un rap sulla Costituzione: "Art. 34:
La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto
anni, è obbligatoria e gratuita." E ancora: "I capaci e meritevoli, anche se
privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi"…
E' finito un altro anno intenso e divertente, fatto di discussioni serie e
avvincenti, di studio e di ricerca, di molte domande e poche risposte, e strane
canzoni che resteranno nel ricordo insieme alla sensazione di aver parlato di
cose da grandi e del proprio futuro.
A scuola si studia, ma soprattutto si fa esperienza del mondo, bambini e adulti
tutti insieme e le storie di ciascuno diventano le storie di tutti.
E in questo incontrarsi, davanti ai pantaloni lisi e a una faccia arruffata e un
po' monella, si svuotano i pregiudizi più oscuri e minacciosi. Allora, con
immenso sollievo, ci riscopriamo umani.
Madalina viene a scuola tutti i giorni, non è mai in ritardo, non fa
capricci, è sempre pulita e in ordine. Non era mai andata a scuola ma fa
progressi veloci e nel giro di poco è quasi alla pari con gli altri.
Contemporaneamente anche gli adulti fanno grandi progressi: le famiglie dei
bambini della classe parlano di lei come la "loro" bimba Rom e fanno la colletta
perché ha bisogno di occhiali da vista e la sua famiglia non può comprarglieli.
Madalina vive ancora in una ex fabbrica occupata ma, grazie anche alla comunità
scolastica, oggi è un po' meno "zingara".
La scuola pubblica, piaccia o no, è questo: un ponte, a volte di pietra
altre solo di liane, tra persone e culture diverse, uno spazio e un tempo di
incontro e conoscenza reciproca, di uscita dall'isolamento. Un ponte tutt'altro
che scontato, da costruire con intelligenza e sensibilità, da coltivare con cura
giorno dopo giorno. E per costruirlo la scuola e i suoi operatori devono
ricercare, non senza fatica, modi di entrare in relazione con le famiglie Rom e
non, per esplicitare e risolvere aspettative, fraintendimenti, paure, diffidenze
reciproche.
Bisogna trasmettere l'idea che l'istituzione scolastica non è in antagonismo con
i valori educativi della famiglia rom e mettersi personalmente in gioco per
permettere lo sviluppo di rapporti e relazioni basate sulla fiducia. Bisogna
rassicurare le famiglie degli altri alunni sui timori che l'inserimento di bimbi
Rom si ripercuota negativamente sulla vita della classe. Bisogna trovare forme
nuove di organizzazione interna e allacciare rapporti stabili con le altre
istituzioni e con le associazioni per concertare azioni coerenti.
Così, insieme ai volontari, le maestre cominciano ad andare al campo ogni
mattina per portare i bimbi a scuola e nel giro di qualche anno ci si ritrova ad
accogliere le nuove generazioni che, accompagnate dai genitori, vengono a scuola
perché "ci si sta bene".
Ma anche quando ormai la scuola è diventata un valore e insieme un riferimento
per la comunità Rom, gli interventi al campo restano necessari per conoscere e
capire la realtà in cui i bambini vivono. Siamo, infatti, soliti a chiamare Rom,
Nomadi o Zingari una costellazione di etnie molto diverse per cultura, credo
religioso e provenienza geografica, spesso tra loro incompatibili: Sinti, Rudari,
Khorakhané, Rom Rumeni, accomunati soltanto dalla migrazione forzata dai luoghi
d'origine e oggi, con le politiche di respingimento adottate dal Comune di Roma,
dalla convivenza forzata nei campi autorizzati.
Rendersi conto che le richieste che si fanno a scuola sono altre, a volte anche
distanti o contraddittorie, rispetto a quelle che si vivono a casa, aiuta i
docenti a elaborare strumenti didattici e strategie più efficaci che rendano più
graduale il passaggio: dalla cultura orale a quella scritta, dall'apprendimento
esclusivamente concreto e basato sull'imitazione all'astrazione dei segni. Né
bastano le specifiche competenze professionali: ci vuole tempo e pazienza,
capacità di mettersi in ascolto e lasciarsi guidare da un'osservazione attenta
sul modo in cui i bambini entrano in rapporto con loro e con gli altri,
sostenendo comportamenti che aiutino a stare bene insieme, rispettando spazi,
tempi e modi degli altri.
E'quindi all'interno di un clima affettivo accogliente e valorizzante che i
bimbi Rom, come anche gli altri del resto, prendono coscienza dell'ambiente
scolastico, familiarizzano con regole e tempi diversi da quelli conosciuti,
scoprono motivazioni ad apprendere, incominciano a intravedere per se stessi un
futuro diverso da quello dei loro genitori (e sono le bambine più dei maschietti
ad esplicitare il desiderio di trovare un lavoro, forse per sfuggire ad un
destino di maternità precoce e povertà duratura).
La scuola pubblica: un ponte tra chi ha cittadinanza e chi "dovrebbe" restare
invisibile.
E' proprio questa vocazione a includere, ad affiancare chi si vede negati
diritti e dignità che le viene rimproverata dai politici attuali mentre si
nascondono dietro "giustificazioni" demagogiche di ordine, decoro e sicurezza.
Nell'alba livida di un giorno di novembre del 2009 arriva la Folgore a
sgomberare (la chiamano bonifica!) un insediamento di duecento persone tra
uomini, donne e bambini. E mentre gli uomini scappano o vengono portati in
caserma, mentre le ruspe già distruggono quelle misere casupole, le mamme e i
papà degli altri vanno a prendere i "loro" bambini Rom per portarli al riparo, a
scuola.
Continueranno a venire dal nuovo posto che li ha accolti, distante chilometri,
seduti nella cesta di plastica che il papà ha assicurato al telaio della vecchia
bicicletta.
Valentin e Cristina, deportati troppo lontano, qualche giorno dopo ci salutano
tra le lacrime incredule di adulti e compagni.
Per loro la scuola è finita, per noi la Costituzione è stata, ancora una volta,
calpestata.