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Dossier settembre (II)
Di Fabrizio (del 09/09/2005 @ 00:31:22, in scuola, visitato 3642 volte)

IL RUOLO DEL MEDIATORE CULTURALE

intervento di Giorgio Bezzecchi - segretario Nazionale dell'Opera Nomadi, Milano

pubblicato su Atti del Convegno LA MEDIAZIONE CULTURALE una scelta, un diritto

a cura dell'Istituto di Cultura Sinta e dell'Associazione Sucar Drom - Mantova


L'attenzione è focalizzata sull'apprendimento scolastico del bambino rom-sinto e sul difficile rapporto con la scuola. Questa istituzione, spesso non è in grado di valorizzare le potenzialità dei minori, limitandone drasticamente gli esiti scolastici. L'autore presenta una critica costruttiva ma serrata alla scuola, chiamata a giocare un ruolo fondamentale nella società multiculturale.

Il minore rom e sinto vive sempre fra le braccia dei genitori e viene allattato dalla madre fino all'età di 3-4 anni, a meno che non nasca un altro figlio.

Durante questo primo periodo di vita, il bambino vive un'unione fisica con la madre. Essa lo tiene sempre con sé anche nei giri a manghel 1 dentro una fascia legata a tracolla, almeno fino a quando non inizia a fare i primi passi da solo. Questa abitudine provoca il salto di alcune importanti tappe evolutive (lo strisciare, il camminare a carponi) che può avere poi conseguenze a livello psicomotorio (mancata lateralizzazione) e di apprendimento (dislessia e disgrafia). Nel caso dei bambini rom e sinti è importante anche dare spazio alla psicomotricità, poiché spesso, come si è visto, avendo saltato alcune fasi dello sviluppo, arrivano a scuola con difficoltà di coordinazione e lateralizzazione. Alla psicomotricità, inoltre, è connessa anche l'espressione corporea, una forma di linguaggio non-verbale particolarmente amata dai Rom e dai Sinti, come attesta la loro predilezione per la danza. La ricercatrice Stefania Guerra Lisi2 traccia un confronto  fra le influenze negative e positive che la vita e la cultura rom e sinta hanno sullo sviluppo senso-motorio del bambino, alla luce di quanto ha potuto osservare nella sua esperienza scolastica.

I fattori negativi sono identificati con:

  • la limitazione degli spazi vitali (roulottes, baracche, campi sosta) che riduce le prime esperienze motorie;

  • il precoce abbandono a se stesso del bambino da parte degli adulti;

  • la carenza di stimoli culturali nell'ambiente;

  • la brevità del periodo infantile fantastico e l'apprensione costante rispetto alle intenzioni degli altri.

I fattori positivi sono, invece:

  • la maggior frequenza d'allattamento al seno e il dialogo prolungato tonico-muscolare con il corpo materno, che trasmettono al bambino maggiore sicurezza;

  • il maggiore stimolo alla creazione di giochi e giocattoli con associazioni di forme occasionali e la precoce coincidenza del gioco con il lavoro, dovendo per necessità abbinare le due cose;

  • la stimolazione esistenziale ad inventare strategie di sopravvivenza (accomodamento con la realtà in età precoce rispetto alla norma);

  • il maggiore senso della realtà e la spiccata capacità d'intuizione dell'altro, tramite i linguaggi non verbali.

Nella situazione scolastica i fattori di partenza negativi, con le loro conseguenze restano, mentre quelli positivi si trasformano in svantaggi: a scuola l'abitudine al dialogo corporeo è strutturalmente compromessa dai banchi e dalle cattedre; la psicomotricità come base di qualunque apprendimento (anche della lettura e della scrittura) è sotto utilizzata; l'iniziativa personale e la capacità di elaborare soluzioni sulla base dell'esperienza, sono qualità non richieste; l'intuizione percettiva non ha spazio nella scuola, allo stesso modo la "comunicazione umana" è ancora secondaria e soprattutto non collegata all'apprendere. Lo scarso successo scolastico dei bambini rom-sinti non deriva da un'insufficienza intellettuale, piuttosto dall'insufficiente capacità della scuola di vedere le potenzialità di chi proviene da situazioni diverse e conflittuali.

Si tratta di fornire loro le condizioni per un riconoscimento nell'ambito della nostra società, condizioni che significano: soluzione del problema dell'alloggio, scolarizzazione, qualificazione professionale.

La scuola, in questo senso, può giocare un ruolo fondamentale.

Una particolare attenzione alla cultura e alla lingua dei Rom e dei Sinti non soltanto incoraggerà la frequenza, ma potrà fornire agli stessi un valido aiuto perché acquistino coscienza di cosa sono oggi e di cosa vogliono diventare domani.

Ad una strategia negativa, tendente alla pura assimilazione, deve subentrare una politica di riconoscimento come minoranza etnico-linguistica.

La scuola deve riuscire, infatti, a portare all'accettazione del bambino rom e sinto, anche se non è facile, in quanto vanno sempre tenute presenti le difficoltà dovute a diversi fattori concomitanti: da un lato il basso livello del retroterra culturale, la scarsa conoscenza della lingua italiana, la diversa cultura, il disadattamento del bambino rom e sinto, derivato dal sentirsi diverso e, talvolta respinto; dall'altro lato il conflitto tra due culture da cui spesso deriva un atteggiamento di sfiducia nei confronti della società, espressione della cultura maggioritaria.

Il messaggio educativo che la scuola deve trasmettere è quello di una pari dignità fra gli individui, senza generare nei bambini un rifiuto per la propria cultura d'appartenenza che avrebbe conseguenze gravi sia a livello psicologico (soprattutto nella ricerca di identità del periodo adolescenziale), sia a livello sociale (nei rapporti con i genitori e col gruppo d'origine), sia a livello antropologico (ogni cultura va salvaguardata e difesa, soprattutto se minoritaria).

Il primo grosso problema che si presenta nell'insegnare a bambini rom e sinti, è quello linguistico, sia nel caso di individui appena arrivati in Italia, sia nel caso di cittadini italiani, in quanto anche per loro l'italiano è una seconda lingua, poiché in famiglia parlano romanès. Per questo motivo è difficile per loro esprimere in italiano vissuto e sentimenti.

Per affrontare il problema linguistico, in alcune scuole è stato allestito un apposito laboratorio che, mentre rafforza la conoscenza dell'italiano, valorizza e difende l'identità culturale di provenienza, per impostare un dialogo paritetico fra le due culture.

Il laboratorio linguistico, però non è sufficiente in quanto il bambino dovrebbe essere in condizione di esprimersi anche all'interno della classe con i compagni e l'insegnante; anche per questo è importante dare largo spazio ai linguaggi non verbali: in questo campo il bambino riesce ad esprimersi liberamente, senza difficoltà. Importante, perciò, è la considerazione di quelle attività non curricolari, che hanno una particolare incidenza su questi alunni, come per esempio la danza ed il canto (importante per la loro storia) oppure di quelle attività che ci svelano alcune tendenze o alcuni sentimenti dei bambini come il disegno e la pittura.

Ai bambini rom e sinti solitamente piace disegnare, perché con il disegno riescono a parlare, a dire ciò che non riescono a dire con la parola; piace la drammatizzazione, il canto, la danza, l'attività motoria.

La convinzione, inoltre, secondo la quale lo sviluppo della personalità può avvenire anche attraverso la creatività, ci deve portare verso un intervento psico-pedagogico centrato sull'uso dei linguaggi verbali alternativi: espressione psico-corporea, grafica, cromatica, vocale, musicale, ai fini della prevenzione o del superamento del disadattamento. Un percorso alternativo che porti all'appropriazione del linguaggio verbale, attraverso i linguaggi non verbali (plasmare, colorare, disegnare).

Stefania Guerra Lisi ha utilizzato il metodo della "globalità dei linguaggi" in varie classi in cui erano presenti anche bambini rom e sinti. Utilizzando un percorso di presa di coscienza che parte dal proprio corpo per arrivare alla comprensione del mondo esterno, la ricercatrice sperimenta un insegnamento concretamente alternativo, che mette in luce le obiettive, diversificate capacità di tutti i bambini. La sua azione parte dal presupposto che la formazione dell'uomo è condizionata dalla sua capacità di comunicare e l'essere comunica con l'ambiente attraverso l'uso informativo dei sensi.

Qualunque forma di disadattamento è riconducibile a disturbi della comunicazione, per il non funzionamento e sfruttamento totale o parziale di uno o più sensi.

Perciò è importante che la formazione del bambino sia bilanciata nello sfruttare le potenzialità di tutti i canali di comunicazione.

L'atteggiamento che, invece, prevale è la sopravvalutazione esclusiva di alcuni di questi canali, la parola e la scrittura, frustrando i linguaggi che nell'uomo sono innati: quello motorio, grafico, cromatico, musicale.

I linguaggi alternativi alla scrittura non vanno considerati come momenti ricreativi per riposarsi dalla fatica del pensiero astratto. Al contrario, proprio attraverso l'utilizzo dei linguaggi alternativi, più vicini all'esperienza quotidiana dei bambini, si arriva alla comprensione più profonda dei meccanismi del pensiero astratto (logica, matematica) e dei suoi strumenti (lettura, scrittura).

L'intelligenza analitica ha, in ultima analisi, il compito di astrarre le informazioni raccolte nella realtà attraverso tutti gli organi di senso e tradurle in un codice simbolico. Ogni organismo sensoriale è un potenziale canale di comunicazione, un mezzo d'informazione e ad ogni organo sensoriale è possibile affidare il compito di elaborare un codice simbolico.

Se il bambino è educato a cercare e ascoltare se stesso, scopre come tutti i sistemi comunicativi siano un riflesso della struttura sensoriale corporea. Ogni canale sensoriale permette, infatti, lo scambio di informazioni con il mondo circostante. In quest'ottica cresce la capacità di gestire i linguaggi non verbali in cui i bambini rom e sinti  mostrano un netto vantaggio. A questo punto sono fondamentali i laboratori di pittura, educazione all'immagine, di psicomotricità, la palestra, l'aula di educazione al suono e alla musica.

Essi incrementano l'area degli apprendimenti manuali e pratici, tecnologici e motori: ambiti questi nei quali la matrice culturale dei bambini rom e sinti viene ad essere attentamente ed adeguatamente valorizzata.

Premettendo che anche fra i bambini rom e sinti vi sono notevoli differenze di comportamento e personalità, si possono però rilevare alcune caratteristiche di base comuni, dovute alla provenienza dalla stessa cultura e agli analoghi stili di vita.

La concezione dello spazio nella mentalità dei bambini rom e sinti è diversa, in quanto essi sono abituati agli spazi aperti, non hanno la concezione della proprietà, quindi del confine, né dell'abitazione fissa; lo spazio è visto come espansione del proprio io, come luogo di libertà.

Il concetto di tempo è caratterizzato dall'idea di precarietà, poiché la loro vita è in continuo cambiamento, in modo spesso imprevedibile; l'unica certezza è l'adesso, il domani è ancora lontano, il passato non esiste più.

Per i Rom e Sinti è importante la persona, non sono importanti le cose; l'adesso è più stimolante del dopo e costituisce per loro la vera certezza, la vera realtà.

C'è in questa convinzione, una filosofia. Proviamo a mettere in rapporto "ieri, domani, adesso": ieri è già passato ed io non lo posseggo più e non posso farci nulla; il domani è molto lontano ed è inutile preoccuparsi. Tutto quello che ho, l'ho oggi e l'oggi è un'avventura da vivere, da godere, da usufruire, perché può essere l'ultimo oggi. E' questo un pensiero caratterizzato dal pessimismo e dalla sfiducia verso la società in cui viviamo.

Una delle caratteristiche che più di frequente vengono rilevate nei confronti dei bambini rom e sinti è l'estrema irrequietezza, dovuta all'abitudine di vivere in spazi aperti ed in piena libertà, per cui mal sopportano di rimanere per ore chiusi in un'aula o seduti in un banco. Le strutture architettoniche scolastiche, la permanenza in un ambiente chiuso, i banchi, la cattedra non incentivano l'abitudine alla comunicazione.

Il bisogno di movimento, inoltre, vissuto dal Rom e dal Sinto come libero, non educato in spazi ristretti, si scontra con la realtà organizzata della vita scolastica.

Questo influisce anche sulla loro capacità d'attenzione che diventa molto limitata, in quanto per alcune ore della loro giornata rimangono "chiusi" in un ambiente ben definito, non paragonabile al loro modo di vivere all'aria aperta. 

Anche questa diversa concezione dello spazio e del tempo, oltre al salto di alcune tappe dello sviluppo senso-motorio, ha influito sull'organizzazione spazio-temporale e sulla coordinazione spaziale dei bambini rom e sinti, che infatti non sempre sono corrette.

NOTE

  1. Letteralmente il termine, in lingua romanès, significa "cercare", in questo caso indica l'attività femminile della questua (NdC).

  2. Ideatrice del metodo della Globalità dei Linguaggi, è docente di Strumenti e Tecniche della Comunicazione Visiva all'Università di Roma - Tor Vergata. Con Gino Stefani, docente di Semiologia della musica all'Università di Bologna, promuove ricerche nell'ambito di questa disciplina, elaborata nel corso degli ultimi trent'anni, con finalità di educazione e terapia. Suo punto centrale è la comunicazione, analizzata attraverso tutte le forme espressive verbali e non verbali (linguaggio del corpo). Questa materia si basa su una serie di principi fondanti quali la diversità, intesa come espressione delle potenzialità umane, l'integrazione, come sviluppo e compimento dell'individuo e del gruppo di cui fa parte, la libertà di essere se stessi e l'accettazione dell'altro da sé. Grande importanza ha, nella metodologia, più la valorizzazione della valutazione, nel rispetto totale per la dignità della persona che non deve lasciarsi manipolare. Altro principio metodologico è la rivalutazione del "pensiero del corpo", complementare al pensiero razionale, e il dar senso ai comportamenti insensati, nella profonda fiducia nelle potenzialità dell'individuo, utilizzando uno stile ludico che garantisce una comunicazione paritaria. Bibliografia essenziale: Il metodo della Globalità dei Linguaggi (Borla 1985), Gli stili prenatali nelle arti e nella vita (Borla 1989), Il racconto del corpo (Borla 1992), Musicoterapica nella Globalità dei Linguaggi (Borla 1998), Dal grembo materno al grembo sociale (Berti 1999), Sinestesia: arti e terapia (Borla 1999), Progetto persona (Armando 2000), Occhio di pino (Borla 2003) NdC

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