Invio mio articolo sulla didattica interculturale,
se volete pubblicarlo.
Saluti Maria Grazia Dicati
Premessa
La significativa presenza, all’interno delle scuole,
di bambini stranieri ha evidenziato e fatto emergere prepotentemente la
questione della cultura e della lingua come elementi basilari da tenere
nella dovuta considerazione nel percorso scolasico, tanto che le parole
educazione e pedagogia interculturale sono ormai entrate nel
linguaggio complessivo della scuola.
I rom e i sinti, pur essendo, per la maggior parte
cittadini italiani, possono essere considerati gli stranieri più vecchi
(in Italia dal 1400) per quanto riguarda LA LORO CULTURA E LA LORO
LINGUA, anche se questi due aspetti non sono mai stati sufficientemente
accreditati se non per gli aspetti più appariscenti e folcloristici
quali il nomadismo, l’abbigliamento, le abitazioni…
Ma, gli insegnanti con bambini rom in classe, prima
ancora che iniziasse l’immigrazione da altri paesi e non si fosse
sviluppato un dibattito così forte sulla cultura, sulla lingua altra e
sull’apprendimento dell’italiano come seconda lingua (L2), dovevano
comunque fare i conti con questi due fattori.
I bambini stessi li ponevano quotidianamente e, a
meno che uno non chiudesse occhi ed orecchie, non era possibile
ignorarli.
Come si fa ad ignorare una bambina che si pone e ti pone
questa domanda :
” Perché Maria Grazia devo imparare a parlare come
gli altri bambini e gli altri bambini invece non devono imparare a
parlare come parlo io?” E quasi per una forma di protesta o per farci
capire il suo disagio psicologico e le sue oggettive difficoltà, a
volte, si rapportava con me e con i docenti solo in lingua romanés: io
le chiedevo qualcosa e lei parlava e rispondeva solo utilizzando la sua
lingua romanés.
La risposta potrebbe sembrare facile, bastava dire
che nessuno conosceva la sua lingua, ma in realtà non era solo questo,
la richiesta esprimeva un bisogno più interiore rispetto alla sua
identità.
Ancor oggi, infatti, nonostante l’interculturalità sia una concetto
acquisito e condiviso in una realtà sociale e scolastica multiculturale,
sembra che il progetto interculturale arrivi fino ad un certo punto
oltre il quale ci sono i rom e i sinti.
Nell’unica e superata C.M. 207/86 “Scolarizzazione
degli alunni nomadi e zingari” i bambini rom vengono definiti come
“soggetti svantaggiati sul piano socioculturale”, ma l’appartenenza ad
una cultura diversa e il parlare una lingua diversa, peraltro
antichissima, può determinare uno svantaggio socioculturale?
Con quali parametri viene valutato lo svantaggio?
Qual è la cultura di riferimento rispetto alla quale la cultura rom è
inferiore?
Non c’è forse il rischio di confondere gli elementi
propri della cultura romanì con gli effetti dell’emarginazione e
dell’esclusione sociale, propri di qualsiasi comunità costretta a vivere
in determinate condizioni?
La scuola, e non solo, avrebbe il compito e il dovere di chiarirsi sul
modello culturale a cui fare riferimento e dimostrare che l’educazione
interculturale può tradursi in forme organizzative e strategie
didattiche di lavoro quotidiano, NON solamente come interesse e scelta
del singolo docente più sensibile e motivato perché ha il bambino rom/sinto
in classe, ma come progetto anche dove non frequentano bambini rom,
sinti o bambini stranieri.
Solo in questo modo si concorrerà a costruire quel
dialogo necessario ad una civile e positiva convivenza, eliminando
qualsiasi forma di barriera fisica, mentale, culturale, che ci impedisce
di conoscere ed interagire con chi è diverso.
Non è quindi possibile parlare di didattica
interculturale relativamente ai rom e ai sinti senza un legittimo
riconoscimento della culturale e della lingua romanì, condizione
inderogabile per la costruzione e la condivisione del progetto
educativo interculturale tra le comunità Rom-Sinte e la scuola .
La Didattica interculturale
Diventa però superficiale e riduttivo parlare di
DIDATTICA INTERCULTURALE facendo riferimento solamente alla
canzonetta, al balletto, alla poesia, o alla costruzione della maschera
africana……, in quanto tali interventi potrebbero fissare e non
contrastare gli stereotipi e i pregiudizi.
Un progetto interculturale dovrebbe, a mio giudizio,
innanzitutto contemplare la DIMENSIONE
RELAZIONALE tra i docenti della scuola e le famiglie dei i
bambini rom /sinti.
Come può fare un insegnante a progettare il suo
intervento educativo e didattico se non conosce le modalità educative
dei bambini rom?
Come fa ad interpretare i loro comportamenti ed
atteggiamenti nel momento in cui si differenziano dagli altri bambini?
Come predisporre gli interventi per motivarli, per
gratificarli, per valorizzarli! Quali modalità deve mettere in campo per
rimproverarli e in quali circostanze è doveroso farlo ?
Rispetto a questi interrogativi risulta troppo
sbrigativo e teorico sostenere ed esigere il rispetto delle regole in
base al principio di uguaglianza di tutti gli alunni : tale affermazione
diventa irrealizzabile se non si parte dal presupposto che “a volte” il
punto di partenza della maggior parte degli alunni non rom/sinti
costituisce il punto di arrivo per gli alunni rom/sinti, tragurdo
che richiede una progettazione specifica sulle competenze sociali e
comportamentali da acquisire all’interno della scuola.
Non si chiede agli insegnanti di accettare o di
condividere le scelte educative dei rom e dei sinti, anzi si potrebbe
anche essere contrari ai loro stili educativi, ma si richiede
conoscenza, comprensione e rispetto per chi ha adottato un modello
educativo adeguato alla vita di un popolo nomade, secondo convinzioni e
motivazioni storiche, culturali e sociali.
Come si può adeguare il nostro intervento educativo e
non conoscere che il bambino rom viene educato all’autonomia, ad essere
responsabile delle sue scelte, che difficilmente viene obbligato a fare
ciò che non vuole, che diverse sono le modalità del rimprovero, che è
innanzitutto educato al vincolo del sangue, alla solidarietà della sua
famiglia e del suo gruppo di appartenenza in opposizione alla società
stanziale spesso ritenuta minacciosa e nemica………
Ecco quindi l’importanza della conoscenza e del
dialogo innanzitutto con le famiglie dei bambini rom e sinti e, dove non
fosse possibile, attraverso il rapporto con i mediatori culturali dello
stesso gruppo rom/sinto, grazie ai quali diventa più semplice la
disponibilità, l’apertura e l’interazione per realizzare il percorso di
continuità educativa tra ciò che il bambino apprende nel suo contesto
familiare e ciò che deve imparare a scuola.
Un secondo aspetto che la DIDATTICA INTERCULTURALE
dovrebbe considerare riguarda la METODOLOGIA
DELLE SINGOLE DISCIPLINE : si può forse sottovalutare che il
bambino rom/sinto appartiene ad un popolo con una cultura orale?
Un’approfondita e seria riflessione pedagogica sullo
stile cognitivo di bambini di cultura orale, probabilmente potrebbe
scandagliare meglio le loro difficoltà di apprendimento (nelle nostre
scuole) e di conseguenza ricercare e sperimentare le strategie adeguate
da adottare.
Nella scuola infatti si registrano tra i vari docenti
posizioni differenziate : alcuni sostengono che i bambini rom/sinti
hanno uno stile cognitivo uguale a qualsiasi altro bambino e di
conseguenza si devono adottare gli stessi metodi per l’apprendimento;
altri invece sono convinti che la causa dell’insufficiente apprendimento
è da addebitare allo stile cognitivo diverso; altri ancora considerano
le difficoltà di apprendimento come dei disturbi e quindi propongono
metodologie ed interventi simili a quelli che si utilizzano con i
bambini disabili o con percorsi individualizzati fuori dalla classe.
Escludendo però che tutti i bambini rom possano avere deficit
intellettivi, i dati oggettivi relativi all’apprendimento, sono
estremamente al di sotto degli standard minimi richiesti per tutti gli
alunni : nella maggior parte dei casi i bambini rom/sinti raggiungono un
livello nettamente inferiore a quello degli altri bambini, pur restando
spesso a scuola per tempi più lunghi rispetto agli altri ; in molti
casi non riescono ad acquisire nemmeno la strumentalità della lettura e
della scrittura, motivazione primaria per cui i rom mandano i loro
figli a scuola.
Si può ignorare che nel loro gruppo si esprimono e
comunicano in romanés e che la competenza nella lingua italiana potrebbe
essere molto limitata?
Considerando poi che nella maggior parte dei casi
sono bambini che hanno esperienze esclusivamente con i coetanei del loro
gruppo e che i bambini non rom difficilmente fanno amicizia con loro,
anzi spesso li temono, non si può non intervenire a livello
metodologico con modalità socializzanti e di lavoro cooperativo.
Tutto questo potrebbe richiedere un’organizzazione
della classe più flessibile, per piccoli gruppi o attività di
insegnamento personalizzato, con orari di lavoro ben definiti ed con
criteri valutativi adeguati al percorso didattico delineato.
Infine parlare di DIDATTICA INTERCULTURALE,
significa non trascurare i percorsi di
EDUCAZIONE ALLE DIVERSITÀ, come sfondo integratore delle
discipline, non come spazio a parte, non
come qualcosa che si aggiunge, ma qualcosa che va a modificare, a
integrare le discipline scolastiche seguendo due livelli :
- livello base secondo il principio che non siamo tutti
uguali, ma TUTTI DIVERSI, allo scopo di far acquisire agli
alunni gli strumenti di base, l’alfabeto e quelle competenze utili
per affrontare tematiche più impegnative. Se la finalità educativa
per interiorizzare che “diversità” non è sinonimo di inferiorità,
ma costituisce una risorsa utile per tutti, è necessario in questa
fase, a mio parere, lavorare su un terreno neutro, utilizzando più
codici, dai semplici racconto ai film, che favoriscano la
riflessione sulle dinamiche e sui comportamenti tra soggetti diversi
: “ la rana che vuole diventare grande come il bue, l’elefantino
Dumbo che viene deriso per le sue orecchie….il traghetto sputa acqua
che per sentirsi accettato deve uccidere….” o film sull’identità,
sulla difficoltà di comprensione, sui pregiudizi….
- livello specifico per la conoscenza del mondo rom, della
cultura e della storia, cultura che si confronta ed interagisce alla
pari con altre culture, a cui è dovuto rispetto e considerazione.
Testimonianze Sinte/Rom
“NON ASSIMILATECI” chiede Yuri Del Bar,
Mediatore Culturale Sinto, attualmente Consigliere Comunale
nella città di Mantova “costruiamo insieme una scuola interculturale,
una scuola dove vi siano tracce della nostra cultura e della nostra
storia di rom e sinti italiani
La mia è una cultura orale, non una cultura
scritta. La scuola per la cultura sinta non ha lo stesso valore che ha
nella cultura maggioritaria, dove è
anche uno strumento sociale.
La scuola, per la mia cultura adesso, è vista come
strumento per imparare a leggere, scrivere e far di conto, pura
istruzione. La nostra associazione, ed io come mediatore culturale,
tende ad aiutare i ragazzi ad avere un’esperienza positiva nella scuola
perché loro saranno i genitori di domani. Se un genitore ha avuto una
buona esperienza scolastica quando era bambino, aiuterà il proprio
figlio nella sua esperienza scolastica. Un’ultima cosa rivolta agli
insegnanti: un bambino sinto per sentirsi bene a scuola, deve sentirsi
ACCETTATO. Provate ad immaginare per un attimo un
mondo dove la mia cultura, maggioritaria in senso numerico, obblighi i
vostri figli, minoranza in senso numerico, a frequentare la nostra
“scuola”, il nostro modo di educare.”
Anche Giorgio Bezzecchi , Mediatore culturale e
linguistico rom e consulente presso
scuole, Enti locali,Associazioni….afferma “ una particolare
ATTENZIONE ALLA CULTURA ED ALLA LINGUA DEI ROM E DEI SINTI
non soltanto incoraggerà la frequenza, ma potrà fornire agli stessi un
valido aiuto perché acquistino una piena coscienza culturale dell’oggi e
del domani
La sfida culturale che la scuola dovrebbe percorrere è
innanzitutto quella di accogliere il bambino rom e sinto col suo
bagaglio culturale, la sua lingua, le sue condizioni di vita spesso
difficili e conflittuali con la società maggioritaria….”
Maria Grazia Dicati