di Lorena Cotza su
Corriere della Sera LA CITTA' NUOVA
Teresa vive in Italia, ha 18 anni, sta per diplomarsi e sogna di iscriversi
all'università. La sua è una di quelle storie che non dovrebbero far notizia.
Ma
Teresa è una giovane rom e la sua storia è ancora considerata una rara
eccezione.
"Sino all'anno scorso nessuno a scuola sapeva che ero rom" racconta Teresa
Suleymanovic. "Quando i miei compagni mi chiedevano da dove venissi, dicevo solo
che ero bosniaca. Non volevo dire che vivevo in un campo. Perché tutti pensano
che i rom dei campi rubino e siano sporchi".
Teresa sta frequentando l'ultimo anno dell'Istituto Alberghiero di Monserrato,
in provincia di Cagliari, dove sono iscritte anche altre tre ragazze del campo
in cui abita.
"Dopo il diploma mi piacerebbe studiare Scienze dell'Alimentazione e diventare
una dietologa" dice Teresa. "Oppure mi piacerebbe lavorare nel settore della
ristorazione, ho svolto diversi tirocini in alcuni ristoranti della zona e ho
imparato tantissimo su questo mestiere".
L'amore per la cucina gliel'ha trasmesso sua madre, Visna, trasferitasi dalla
Bosnia in Sardegna circa 30 anni fa. "Il pane per noi è il cibo più importante"
mi spiega Visna mentre con gesti sicuri prepara la pita, una finissima ed
elastica pasta che riempie con carne e verdure. "È una tradizione che si
tramanda di generazione in generazione, tutte le mie figlie lo sanno fare".
Oltre alle tradizioni culinarie, i diritti umani sono l'altro tema a cui Teresa
vorrebbe dedicarsi in futuro. Nella tesi di diploma che sta preparando, ha
infatti scelto di raccontare la storia del suo popolo, il genocidio nazista e la
resistenza della cultura rom, ancora intatta nonostante secoli di persecuzioni.
"Ho scelto questo argomento perché ci sono ancora tanti, troppi pregiudizi sui
rom. Se davvero non sei razzista non dovresti fare differenze tra nessuno. Non
puoi pretendere di dire che non odi i marocchini, ma al tempo stesso odiare i
rom. Altrimenti che senso ha?" si chiede Teresa.
Quest'anno Teresa ha partecipato a
"Italia-Romanì", convegno sull'inclusione dei
rom e dei sinti in Italia, organizzato dall'Associazione 21 Luglio e tenutosi a
Roma dal 3 al 5 aprile. Racconta con entusiasmo del
flash-mob organizzato di
fronte al Colosseo: "Abbiamo indossato dei sacchi neri, con dei biglietti che
descrivevano i pregiudizi che ci portiamo addosso. Nel mio ho scelto di scrivere
"Io non voglio studiare". E poi ce li siamo strappati di dosso".
"Vicino al convegno c'era anche una manifestazione anti-rom, ci gridavano di
tutto ma per fortuna vicino c'era la polizia" continua Teresa. "Ma durante il
flash-mob è stato bello rispondere alle domande della gente e far vedere che ci
sono tanti giovani rom in gamba".
Tra i tanti temi affrontati durante il convegno, uno dei più dibattuti è stato
quello dei campi rom. Una questione di non facile soluzione: alcuni rom
vorrebbero trasferirsi in case normali, ma altri non vogliono rinunciare alla
vita comunitaria del campo. Teresa vive in un piccolo e isolato insediamento a
circa 7 km dal primo centro abitato, in cui vivono 14 famiglie rom. Il campo si
trova in cima a una collina da cui si domina il Golfo di Cagliari ed era la sede
di un vecchio inceneritore, di cui oggi resta solo lo scheletro spettrale della
struttura.
"È stata dura - dice Visna, raccontando con orgoglio di come ha costruito la sua
baracca. - Abbiamo lavorato duramente per raccogliere i pezzi di lamiera, ma
siamo riusciti a costruire una stanza per tutti i miei figli. Quando sgomberano
i campi e buttano giù le case su cui hai lavorato per anni non è bello".
Teresa vorrebbe vivere in una casa in città, come una delle sue sorelle, che ha
sposato un italiano e lavora nel settore della ristorazione. Ma capisce anche la
scelta di chi non vuole spostarsi. Le abitazioni fornite dal comune sono spesso
troppo piccole per le famiglie più numerose e a molti manca la solidarietà che
si crea all'interno dei campi.
Ci sono, però, problemi che potrebbero essere affrontati e risolti con poche
risorse: "Da anni chiediamo al sindaco di creare una piazzola per una fermata
del pullman - dice Teresa - Le corriere passano lungo questa strada, ma non si
fermano, quindi per andare a scuola devo sempre chiedere un passaggio a mio
padre. C'è un pulmino per i bambini iscritti alla scuola elementare, ma non per
tutti gli altri".
Teresa è riuscita a proseguire gli studi grazie a una borsa di studio della
Fondazione Anna Ruggiu, dedicata al sostegno della popolazione rom. Ma c'è un
male che nessun benefattore riesce a curare: quello dei pregiudizi.
"Quando ho detto ai miei compagni dove vivevo, alcuni mi hanno detto che
avrebbero voluto vedere il mio campo, ma hanno paura e pensano che siamo
cattivi. So che non verranno qui. Ma bisognerebbe prima conoscere e poi
giudicare".
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