IL RUOLO DEL MEDIATORE CULTURALE
intervento di Giorgio Bezzecchi -
segretario Nazionale dell'Opera Nomadi, Milano
pubblicato su Atti del Convegno LA MEDIAZIONE CULTURALE una
scelta, un diritto
a cura dell'Istituto di Cultura Sinta e dell'Associazione Sucar
Drom - Mantova
L'attenzione è focalizzata sull'apprendimento scolastico del
bambino rom-sinto e sul difficile rapporto con la scuola. Questa istituzione,
spesso non è in grado di valorizzare le potenzialità dei minori, limitandone
drasticamente gli esiti scolastici. L'autore presenta una critica costruttiva ma
serrata alla scuola, chiamata a giocare un ruolo fondamentale nella società
multiculturale.
Il minore rom e sinto vive sempre fra le braccia dei genitori e
viene allattato dalla madre fino all'età di 3-4 anni, a meno che non nasca un
altro figlio.
Durante questo primo periodo di vita, il bambino vive un'unione
fisica con la madre. Essa lo tiene sempre con sé anche nei giri a manghel 1
dentro una fascia legata a tracolla, almeno fino a quando non inizia a fare i
primi passi da solo. Questa abitudine provoca il salto di alcune importanti
tappe evolutive (lo strisciare, il camminare a carponi) che può avere poi
conseguenze a livello psicomotorio (mancata lateralizzazione) e di apprendimento
(dislessia e disgrafia). Nel caso dei bambini rom e sinti è importante anche
dare spazio alla psicomotricità, poiché spesso, come si è visto, avendo
saltato alcune fasi dello sviluppo, arrivano a scuola con difficoltà di
coordinazione e lateralizzazione. Alla psicomotricità, inoltre, è connessa
anche l'espressione corporea, una forma di linguaggio non-verbale
particolarmente amata dai Rom e dai Sinti, come attesta la loro predilezione per
la danza. La ricercatrice Stefania Guerra Lisi2
traccia un confronto fra le influenze negative e positive che la vita e la
cultura rom e sinta hanno sullo sviluppo senso-motorio del bambino, alla luce di
quanto ha potuto osservare nella sua esperienza scolastica.
I fattori negativi sono identificati con:
-
la limitazione degli spazi vitali (roulottes, baracche,
campi sosta) che riduce le prime esperienze motorie;
-
il precoce abbandono a se stesso del bambino da
parte degli adulti;
-
la carenza di stimoli culturali nell'ambiente;
-
la brevità del periodo infantile fantastico e
l'apprensione costante rispetto alle intenzioni degli altri.
I fattori positivi sono, invece:
-
la maggior frequenza d'allattamento al seno e il dialogo
prolungato tonico-muscolare con il corpo materno, che trasmettono al bambino
maggiore sicurezza;
-
il maggiore stimolo alla creazione di giochi e giocattoli
con associazioni di forme occasionali e la precoce coincidenza del gioco con
il lavoro, dovendo per necessità abbinare le due cose;
-
la stimolazione esistenziale ad inventare strategie di
sopravvivenza (accomodamento con la realtà in età precoce rispetto alla
norma);
-
il maggiore senso della realtà e la spiccata capacità
d'intuizione dell'altro, tramite i linguaggi non verbali.
Nella situazione scolastica i fattori di partenza negativi, con
le loro conseguenze restano, mentre quelli positivi si trasformano in svantaggi:
a scuola l'abitudine al dialogo corporeo è strutturalmente compromessa dai
banchi e dalle cattedre; la psicomotricità come base di qualunque apprendimento
(anche della lettura e della scrittura) è sotto utilizzata; l'iniziativa
personale e la capacità di elaborare soluzioni sulla base dell'esperienza, sono
qualità non richieste; l'intuizione percettiva non ha spazio nella scuola, allo
stesso modo la "comunicazione umana" è ancora secondaria e
soprattutto non collegata all'apprendere. Lo scarso successo scolastico dei
bambini rom-sinti non deriva da un'insufficienza intellettuale, piuttosto
dall'insufficiente capacità della scuola di vedere le potenzialità di chi
proviene da situazioni diverse e conflittuali.
Si tratta di fornire loro le condizioni per un riconoscimento
nell'ambito della nostra società, condizioni che significano: soluzione del
problema dell'alloggio, scolarizzazione, qualificazione professionale.
La scuola, in questo senso, può giocare un ruolo fondamentale.
Una particolare attenzione alla cultura e alla lingua dei Rom e
dei Sinti non soltanto incoraggerà la frequenza, ma potrà fornire agli stessi
un valido aiuto perché acquistino coscienza di cosa sono oggi e di cosa
vogliono diventare domani.
Ad una strategia negativa, tendente alla pura assimilazione,
deve subentrare una politica di riconoscimento come minoranza etnico-linguistica.
La scuola deve riuscire, infatti, a portare all'accettazione del
bambino rom e sinto, anche se non è facile, in quanto vanno sempre tenute
presenti le difficoltà dovute a diversi fattori concomitanti: da un lato il
basso livello del retroterra culturale, la scarsa conoscenza della lingua
italiana, la diversa cultura, il disadattamento del bambino rom e sinto,
derivato dal sentirsi diverso e, talvolta respinto; dall'altro lato il conflitto
tra due culture da cui spesso deriva un atteggiamento di sfiducia nei confronti
della società, espressione della cultura maggioritaria.
Il messaggio educativo che la scuola deve trasmettere è quello
di una pari dignità fra gli individui, senza generare nei bambini un rifiuto
per la propria cultura d'appartenenza che avrebbe conseguenze gravi sia a
livello psicologico (soprattutto nella ricerca di identità del periodo
adolescenziale), sia a livello sociale (nei rapporti con i genitori e col gruppo
d'origine), sia a livello antropologico (ogni cultura va salvaguardata e difesa,
soprattutto se minoritaria).
Il primo grosso problema che si presenta nell'insegnare a
bambini rom e sinti, è quello linguistico, sia nel caso di individui appena
arrivati in Italia, sia nel caso di cittadini italiani, in quanto anche per loro
l'italiano è una seconda lingua, poiché in famiglia parlano romanès.
Per questo motivo è difficile per loro esprimere in italiano vissuto e
sentimenti.
Per affrontare il problema linguistico, in alcune scuole è
stato allestito un apposito laboratorio che, mentre rafforza la conoscenza
dell'italiano, valorizza e difende l'identità culturale di provenienza, per
impostare un dialogo paritetico fra le due culture.
Il laboratorio linguistico, però non è sufficiente in quanto
il bambino dovrebbe essere in condizione di esprimersi anche all'interno della
classe con i compagni e l'insegnante; anche per questo è importante dare largo
spazio ai linguaggi non verbali: in questo campo il bambino riesce ad esprimersi
liberamente, senza difficoltà. Importante, perciò, è la considerazione
di quelle attività non curricolari, che hanno una particolare incidenza su
questi alunni, come per esempio la danza ed il canto (importante per la loro
storia) oppure di quelle attività che ci svelano alcune tendenze o alcuni
sentimenti dei bambini come il disegno e la pittura.
Ai bambini rom e sinti solitamente piace disegnare, perché con
il disegno riescono a parlare, a dire ciò che non riescono a dire con la
parola; piace la drammatizzazione, il canto, la danza, l'attività motoria.
La convinzione, inoltre, secondo la quale lo sviluppo della
personalità può avvenire anche attraverso la creatività, ci deve portare
verso un intervento psico-pedagogico centrato sull'uso dei linguaggi verbali
alternativi: espressione psico-corporea, grafica, cromatica, vocale, musicale,
ai fini della prevenzione o del superamento del disadattamento. Un percorso
alternativo che porti all'appropriazione del linguaggio verbale, attraverso i
linguaggi non verbali (plasmare, colorare, disegnare).
Stefania Guerra Lisi ha utilizzato il metodo della
"globalità dei linguaggi" in varie classi in cui erano presenti anche
bambini rom e sinti. Utilizzando un percorso di presa di coscienza che parte dal
proprio corpo per arrivare alla comprensione del mondo esterno, la ricercatrice
sperimenta un insegnamento concretamente alternativo, che mette in luce le
obiettive, diversificate capacità di tutti i bambini. La sua azione parte dal
presupposto che la formazione dell'uomo è condizionata dalla sua capacità di
comunicare e l'essere comunica con l'ambiente attraverso l'uso informativo dei
sensi.
Qualunque forma di disadattamento è riconducibile a disturbi
della comunicazione, per il non funzionamento e sfruttamento totale o parziale
di uno o più sensi.
Perciò è importante che la formazione del bambino sia
bilanciata nello sfruttare le potenzialità di tutti i canali di comunicazione.
L'atteggiamento che, invece, prevale è la sopravvalutazione
esclusiva di alcuni di questi canali, la parola e la scrittura, frustrando i
linguaggi che nell'uomo sono innati: quello motorio, grafico, cromatico,
musicale.
I linguaggi alternativi alla scrittura non vanno considerati
come momenti ricreativi per riposarsi dalla fatica del pensiero astratto. Al
contrario, proprio attraverso l'utilizzo dei linguaggi alternativi, più vicini
all'esperienza quotidiana dei bambini, si arriva alla comprensione più profonda
dei meccanismi del pensiero astratto (logica, matematica) e dei suoi strumenti
(lettura, scrittura).
L'intelligenza analitica ha, in ultima analisi, il compito di
astrarre le informazioni raccolte nella realtà attraverso tutti gli organi di
senso e tradurle in un codice simbolico. Ogni organismo sensoriale è un
potenziale canale di comunicazione, un mezzo d'informazione e ad ogni organo
sensoriale è possibile affidare il compito di elaborare un codice simbolico.
Se il bambino è educato a cercare e ascoltare se stesso, scopre
come tutti i sistemi comunicativi siano un riflesso della struttura sensoriale
corporea. Ogni canale sensoriale permette, infatti, lo scambio di informazioni
con il mondo circostante. In quest'ottica cresce la capacità di gestire i
linguaggi non verbali in cui i bambini rom e sinti mostrano un netto
vantaggio. A questo punto sono fondamentali i laboratori di pittura, educazione
all'immagine, di psicomotricità, la palestra, l'aula di educazione al suono e
alla musica.
Essi incrementano l'area degli apprendimenti manuali e pratici,
tecnologici e motori: ambiti questi nei quali la matrice culturale dei bambini
rom e sinti viene ad essere attentamente ed adeguatamente valorizzata.
Premettendo che anche fra i bambini rom e sinti vi sono notevoli
differenze di comportamento e personalità, si possono però rilevare alcune
caratteristiche di base comuni, dovute alla provenienza dalla stessa cultura e
agli analoghi stili di vita.
La concezione dello spazio nella mentalità dei bambini rom e
sinti è diversa, in quanto essi sono abituati agli spazi aperti, non hanno la
concezione della proprietà, quindi del confine, né dell'abitazione fissa; lo
spazio è visto come espansione del proprio io, come luogo di libertà.
Il concetto di tempo è caratterizzato dall'idea di precarietà,
poiché la loro vita è in continuo cambiamento, in modo spesso imprevedibile;
l'unica certezza è l'adesso, il domani è ancora lontano, il passato non esiste
più.
Per i Rom e Sinti è importante la persona, non sono importanti
le cose; l'adesso è più stimolante del dopo e costituisce per loro la vera
certezza, la vera realtà.
C'è in questa convinzione, una filosofia. Proviamo a mettere in
rapporto "ieri, domani, adesso": ieri è già passato ed io non lo
posseggo più e non posso farci nulla; il domani è molto lontano ed è inutile
preoccuparsi. Tutto quello che ho, l'ho oggi e l'oggi è un'avventura da vivere,
da godere, da usufruire, perché può essere l'ultimo oggi. E' questo un
pensiero caratterizzato dal pessimismo e dalla sfiducia verso la società in cui
viviamo.
Una delle caratteristiche che più di frequente vengono rilevate
nei confronti dei bambini rom e sinti è l'estrema irrequietezza, dovuta
all'abitudine di vivere in spazi aperti ed in piena libertà, per cui mal
sopportano di rimanere per ore chiusi in un'aula o seduti in un banco. Le
strutture architettoniche scolastiche, la permanenza in un ambiente chiuso, i
banchi, la cattedra non incentivano l'abitudine alla comunicazione.
Il bisogno di movimento, inoltre, vissuto dal Rom e dal Sinto
come libero, non educato in spazi ristretti, si scontra con la realtà
organizzata della vita scolastica.
Questo influisce anche sulla loro capacità d'attenzione che
diventa molto limitata, in quanto per alcune ore della loro giornata rimangono
"chiusi" in un ambiente ben definito, non paragonabile al loro modo di
vivere all'aria aperta.
Anche questa diversa concezione dello spazio e del tempo, oltre
al salto di alcune tappe dello sviluppo senso-motorio, ha influito
sull'organizzazione spazio-temporale e sulla coordinazione spaziale dei bambini
rom e sinti, che infatti non sempre sono corrette.
NOTE
-
Letteralmente il
termine, in lingua romanès, significa "cercare", in questo
caso indica l'attività femminile della questua (NdC).
-
Ideatrice del metodo
della Globalità dei Linguaggi, è docente di Strumenti e Tecniche della
Comunicazione Visiva all'Università di Roma - Tor Vergata. Con Gino Stefani,
docente di Semiologia della musica all'Università di Bologna, promuove
ricerche nell'ambito di questa disciplina, elaborata nel corso degli ultimi
trent'anni, con finalità di educazione e terapia. Suo punto centrale è la
comunicazione, analizzata attraverso tutte le forme espressive verbali e non
verbali (linguaggio del corpo). Questa materia si basa su una serie di
principi fondanti quali la diversità, intesa come espressione delle
potenzialità umane, l'integrazione, come sviluppo e compimento
dell'individuo e del gruppo di cui fa parte, la libertà di essere se
stessi e l'accettazione dell'altro da sé. Grande importanza ha,
nella metodologia, più la valorizzazione della valutazione, nel rispetto
totale per la dignità della persona che non deve lasciarsi manipolare.
Altro principio metodologico è la rivalutazione del "pensiero del
corpo", complementare al pensiero razionale, e il dar senso ai
comportamenti insensati, nella profonda fiducia nelle potenzialità
dell'individuo, utilizzando uno stile ludico che garantisce una
comunicazione paritaria. Bibliografia essenziale: Il metodo della Globalità
dei Linguaggi (Borla 1985), Gli stili prenatali nelle arti e nella
vita (Borla 1989), Il racconto del corpo (Borla 1992), Musicoterapica
nella Globalità dei Linguaggi (Borla
1998), Dal grembo materno al grembo
sociale (Berti 1999), Sinestesia: arti e terapia (Borla 1999), Progetto
persona (Armando 2000), Occhio di pino (Borla 2003) NdC
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