Approfitto della riapertura delle scuole, per riscrivere alcune tracce su istruzione e minori Rom. Saranno tre post nell’arco dei prossimi sette giorni.
- Il primo, tratterà in maniera schematica il rapporto con la scuola da un punto di vista storico. E’ un post tratto dall’archivio di Pirori dell’anno scorso.
- Il secondo post sarà un intervento di Giorgio Bezzecchi (segretario nazionale dell’Opera Nomadi) svolto ad un convegno sulla mediazione culturale e offre una serie di indicazioni ad insegnati e altri operatori che hanno in classe bambini Rom
- Infine, da un punto di pratico, utilizzare un gioco di animazione come strumento di educazione alla multicultura.
Premetto che saranno tre articoli abbastanza lunghi e che sarò ben lieto di tornare ulteriormente sul tema
Di seguito alcuni cenni storici, necessari a inquadrare la scuola come momento formativo della società, alla luce della storia dei Rom e dei Sinti in Italia.
Il popolo Rom si spostò dall'India nordoccidentale verso ovest attorno all'anno 800 dc. - probabilmente per scappare da guerre o persecuzioni. Furono e sono tuttora nomadi, qualche volta per scelta, più spesso per necessità.
Nei paesi incontrati durante la loro millenaria migrazione, vennero accettati raramente, questo li indusse a mantenere le loro tradizioni e costumi, come mezzo di difesa e autoidentificazione.
La scuola come la intendiamo oggi, in Europa si è affermata nel Medio Evo, il rifiuto e l'emarginazione dei Rom nasce nello stesso periodo. Ciò significa che questa istituzione, al momento della comparsa dei Rom in Occidente, era ancora dedicata a pochi eletti, ed estranea alla cultura di massa e all’universalità attuale. Perciò la scuola non fa parte della cultura a cui i Rom sinora si sono attaccati, ma in questi ultimi decenni le cose hanno iniziato a cambiare.
Prima di vedere come e perché può cambiare l'atteggiamento dei Rom verso il nostro sistema educativo, vale la pena di spiegarsi come siano sopravvissuti (tralascio tutte le persecuzioni subite, argomento dove la scuola stessa ha giocato un ruolo primario):
- ad esempio buttandosi nel piccolo commercio, attività disprezzata dagli Europei nel Tardo MedioEvo (Domenico De Masi: Il futuro del lavoro - Rizzoli - cap. VI).
In quegli anni il piccolo commercio diventò la fonte di sostentamento delle minoranze escluse dalla cittadinanza (Rom ed Ebrei). I Rom sopravvissero con l'allevamento dei cavalli, l'impagliatura di cesti, il commercio e la lavorazione dei metalli. Sino all’inizio del secolo scorso, in diverse regioni d’Europa, i Rom detenevano quasi il monopolio di queste attività. Addirittura, questo rese possibile ai nazisti e agli ustascia una loro schedatura sulla semplice base di queste attività. Tanto che i decreti persecutori erano emanati “contro gli Zingari e chi conducesse vita zingaresca”.
Un discorso a parte merita il contributo che diedero come musicisti a tutte le grandi culture nazionali europee, che è molto ben descritto dal
professor Santino Spinelli.
In tutti i casi (commercianti, artigiani o musici) i ragazzi iniziavano prestissimo a vivere la vita lavorativa famigliare e a dare una mano, vivendo sì in un ambiente ristretto ed omogeneo, ma autosufficiente e con una famiglia allargata a nonni, nipoti, parenti vicini e lontani.
Un'eccezione per l'Italia sono i Rom Abruzzesi (arrivati attorno al 1600), che pian piano assunsero uno stile di vita seminomade e furono i primi a mischiarsi con la popolazione locale, sull'esempio dei Gitani in Spagna, mantenendo però le attività tradizionali di cui sopra.
Questo sistema economico entrò in crisi negli anni 50/60, con l'urbanizzazione e l'industrializzazione, che per i Rom significò la perdita d'importanza dei loro mestieri tradizionali. Per l'Italia invece significò l'arrivo di masse di immigrati dal Sud Italia, che (tra l'altro) allargarono a dismisura i vecchi confini cittadini alle campagne, dove i Rom vivevano, perché non era permesso loro di accamparsi nel territorio cittadino.
Lo stato dovette (tra l'altro) affrontare il problema di attrezzare queste nuove periferie e mediare il rapporto che si creava tra Rom e immigrati del Sud, che per la prima volta (escludendo il caso dei Rom Abruzzesi) condividevano lo stesso territorio.
La scolarizzazione dei Rom, o almeno di quelli sedentari o parzialmente sedentarizzati, nacque quindi come politica tra la fine degli anni '60 e l'inizio di '70. Per la prima volta i Rom videro riconosciuto loro un diritto da cittadini, ma sempre diversi dagli altri: erano le scuole LACIO DROM, una specie di scuole differenziali solo per loro. L'integrazione scolastica vera e propria partì con la fine degli anni '70. Tenete conto che la percentuale di popolazione Rom sul totale degli Italiani è sempre stata attorno all'uno per mille, solo recentemente è raddoppiata a seguito del dissolvimento del blocco dell'Europa Orientale; quindi un fenomeno marginale affrontato in ritardo per pure scelte politiche. E' con la scuola dell'obbligo che negli ultimi 20 anni ci sono stati i progressi più visibili: sia perché la scuola ha affrontato in contemporanea l'arrivo di immigrati stranieri, sia perché si è spesso sviluppato un processo di collaborazione tra insegnanti, famiglie, volontari nei campi, educatori carcerari e università. Teniamo anche conto che le famiglie Rom in Italia hanno affrontato questo cambiamento in una situazione di crisi lavorativa strutturale e di crisi politica (l'arrivo di nuovi gruppi Rom dall'Est per sfuggire guerre e discriminazioni), quindi spesso sono stati un soggetto passivo, bisognoso di vera e propria assistenza. Invece la scuola ha il compito di superare l'assistenza e insegnare agli individui come cavarsela con le proprie forze e con quelle del proprio gruppo (quindi, assumendo parte dl vecchio ruolo guida che i Rom hanno sempre assegnato alla famiglia allargata).
Siamo così arrivati ai giorni nostri: di fronte a una percentuale di alfabetizzazione Rom a livello mondiale del 30%, nei campi sosta italiani le cifre variano tra il 70% e il 90%. Sino a 10 anni fa era la norma interrompere gli studi dopo la quinta elementare, adesso la maggior parte dei ragazzi frequenta le medie. Sono stati necessari per questo risultato impegni, stanziamenti e scuola a tempo pieno, ed è per questo che sono preoccupato per la ricaduta che può avere la riforma Moratti su quanto è stato fatto E VA MANTENUTO.
Ma è anche possibile guardare avanti: se i mestieri tradizionali sono tutti andati in crisi, i giovani hanno necessità di imparare mestieri nuovi, o finiranno tra gli analfabeti di ritorno o peggio ancora tra le braccia di organizzazioni criminali vere e proprie. Ecco allora perché il prossimo passo sarà quello dell'accesso alla formazione professionale.
Per terminare: ricordavo che i Rom sono prima di tutto un popolo, magari perseguitato ma sempre un popolo. A differenza degli altri scampati dal secondo conflitto mondiale (Ebrei, omosessuali, testimoni di Geova ecc.) per loro il dopoguerra non è mai iniziato. Sono politicamente fermi alla realtà di 50 anni fa, e mancano di quella "classe professionale" di politici, dottori, avvocati, che hanno contribuito all'emancipazione degli altri popoli o gruppi. La loro storia travagliata ha permesso però loro di mantenere un’identità di gruppo che altrimenti si sarebbe dispersa. e sono oggi, con la loro presenza in tutto il continente, anche il popolo più europeo e più aperto ad un patrimonio culturale comune. La scommessa che si prospetta alla scuola e al sistema educativo in generale, è allora quella di riuscire nel suo intento valorizzando la loro storia, le tradizioni, le radici che sono tanto comuni quanto multiculturali.
Fine. Un bacione a chi ha resistito sino qua.