Anche a nome di Paolo Cagna e Dijana Pavlovic, vi invio qui sotto una
proposta di iniziativa che vorremmo prendere a partire da lunedì. Ci sembra
importante partire lunedì, pur se i tempi organizzativi sono stretti e pur non
essendoci modo e tempo di aprire un confronto approfondito. D'altra parte si
tratta di questioni di cui da tempo stiamo discutendo e che in linea generale
trovano tutti d'accordo. L'iniziativa in sé, anche dopo la buona riuscita della
"Settimana Rom", vuole essere un modo di dare concretezza a tanti discorsi e
anche di provare a rispondere a singole e materialissime contingenze, ora
drammatizzate dal freddo e dal brutto tempo.
L'idea è di partire lunedì con un primo gruppo di digiunanti (che oltre a
digiunare, stazioneranno tutto il giorno, e nei giorni successivi, con dei
cartelli in piazza della Scala).
Se le adesioni saranno molte, si potrà poi procedere "a staffetta", nei giorni e
settimane successive.
Dovendo domani già comunicare alla stampa l'iniziativa, vi chiediamo
cortesemente una sollecita decisione rispondendo a questo indirizzo mail:
sergiosegio@libero.it indicando,
oltre al nome e cognome:
- se si partecipa a titolo individuale
- se si preferisce specificare anche l'organizzazione di appartenenza
- se si è disponibili solo al digiuno (in questo caso specificando quale o quali
saranno i giorni in cui si digiunerà) o anche ad essere fisicamente presenti in
piazza della Scala, e in che giorni e orari.
- se si aderisce solo politicamente all'iniziativa ma senza digiunare e
presenziare in piazza della Scala.
Qui sotto trovate il testo con il quale abbiamo intenzione di gestire
l'iniziativa
Aspettiamo dunque un pronto riscontro Grazie - Sergio Segio
SALVIAMO LA VITA AI BAMBINI ROM :Un digiuno di protesta e di proposta!
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case;
Voi che trovate tornando la sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce la pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì e per un no.
Questi versi scritti da Primo Levi di ritorno dal lager ci commuovono e ci
indignano. Ma solo se rimangono sulla carta, se restano confinati nella Storia,
in un lontano passato. Eppure sarebbe facile accorgersi che ci parlano anche del
presente. Di questo presente in questa città di Milano. Ma anche di Roma, di
Livorno, di Bologna, di Pavia…
A Milano, con maggior sistematicità, determinazione e fors’anche cattiveria, da
tempo è in atto una sorta di “pulizia etnica”. Gli sgomberi forzati dei campi
rom hanno letteralmente e fisicamente buttato sulla strada centinaia di persone,
compresi anziani e malati, donne e bambini. Sgomberi effettuati senza concedere
alternative e senza che rispondessero a una qualche strategia da parte
dell’amministrazione pubblica che non fosse semplicemente quella, brutale, di
buttare queste persone nella disperazione, rendendo loro la vita così dura da
costringerle ad andarsene.
Una logica, oltre che cinica, miope. Perché queste persone non hanno un Paese
dove tornare. Anche nei luoghi da cui sono arrivati sono soggetti a repressione
e discriminazione, dunque non si capisce perché e come potrebbero tornarvi.
La politica degli sgomberi senza alternative produce e produrrà solo una
maggiore sofferenza e disperazione, comporta il fatto che centinaia di persone
sono costrette a vivere come topi, all’addiaccio, nel fango. In condizioni non
troppo dissimili da quelle di cui raccontava Primo Levi.
Anche oggi si può infatti essere scacciati e schiacciati, si può rischiare di
morire per un sì o per un no. A Milano, a Pavia. O a Roma, dove pochi giorni fa
è morto Francesco, piccolo rom di due mesi, congelato dal freddo in una tenda
dove era stato confinato con i suoi genitori dalla politica degli sgomberi.
Ogni anno nelle grandi città si parla di «emergenza freddo», come fosse un fatto
anomalo ed eccezionale. Di questa prevedibilissima emergenza muoiono ogni anno
decine e decine di bambini e anziani, di rom e di senza dimora. E ogni anno
assistiamo alle ipocrite e pilatesche lacrime di coccodrillo di troppi
amministratori pubblici.
Il Comune di Milano, dopo lo sgombero del campo di San Dionigi, si era impegnato
a garantire un minimo di risposta almeno a donne e bambini,ospitandoli nel
dormitorio pubblico di viale Ortles. Pur di fronte allo smembramento delle
famiglie, era meglio del niente. Eppure anche questa piccola e minima cosa non è
stata realmente garantita. Basta nulla per perdere anche questa minuscola
possibilità.
Da venerdì 19 ottobre una madre e i suoi quattro bambini, di cui tre
piccolissimi e in cattive condizioni di salute, sono in strada, cacciati dal
dormitorio perché si erano assentati due giorni, per assistere un parente
malato. Ora si trovano senza il minimo riparo, mentre cresce il freddo e
cominciano le piogge.
Di fronte a queste drammatiche situazioni, da mesi le istituzioni locali e la
prefettura si girano dall’altra parte. Fingono di non vedere, di non sapere, di
non avere responsabilità e doveri. Associazioni, forze sociali, sindacati hanno
inutilmente rivolto loro appelli, chiesto interventi e risposte.
Noi non abbiamo più nulla da chiedere al sindaco, all’assessore o al prefetto.
Il loro silenzio e immobilismo sono più eloquenti di tanti discorsi. Del resto,
troppe parole e riunioni sono state sinora generosamente, e inutilmente, spese.
Le parole, infatti, non costano molto.
Come don Abbondio non si poteva dare un coraggio che non aveva, così queste
istituzioni non possono dar mostra di responsabilità che evidentemente non
avvertono.
Da lunedì 29 ottobre noi, come singole persone più che come esponenti di
associazioni, effettueremo un digiuno totale, durante il quale sosteremo
fisicamente, ogni giorno, in piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino.
Non per rivendicare qualcosa. Semplicemente per testimoniare e denunciare che
quattro bambini sono stati buttati per strada, che rischiano di ammalarsi e
anche di morire. Per chiedere a tutti e a ciascuno “Se questo è un uomo”, se è
tollerabile che tutto ciò accada nella ricca e democratica Milano, se davvero
non è possibile dare un segno di umanità e una risposta concreta a quei bambini
e al problema generale di cui essi sono parte e drammatica rappresentazione.