Di Daniele (del 11/02/2006 @ 10:44:35, in Kumpanija, visitato 1911 volte)
May Bittel e Daniel Huber si battono per i diritti dei nomadi svizzeri (swissinfo)
Il presidente della Commissione federale contro il razzismo chiede alle autorità elvetiche di riconoscere appieno la cultura e i bisogni dei nomadi.
Facendosi portavoce del disappunto della comunità jenisch, Georg Kreis chiede più spazi di transito e soggiorno per l'unica minoranza nomade di nazionalità svizzera.
«Siamo ancora molto lontani da un incoraggiamento attivo del modo di vita scelto dagli jenisch, che pure sono parte integrante della realtà svizzera», ha affermato senza mezzi termini George Kreis, presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR).
Davanti al Club svizzero della stampa, Kreis ha sottolineato che «mancano delle aree di transito e di soggiorno in numero sufficiente, manca un vero e proprio riconoscimento della cultura jenisch, una promozione della lingua, un sostegno alle donne e ai giovani».
«Abbiamo il diritto di viaggiare, ma non abbiamo più il diritto di fermarci», commenta dal canto suo May Bittel, fondatore del Forum dei Rom e dei nomadi.
L'esempio dei Grigioni
Per Bittel, pastore protestante di Ginevra che è tra i leader della comunità zingara svizzera, i nomadi sono confrontati con delle difficoltà in tutto il paese.
Solo un cantone, quello dei Grigioni, sembra aver trovato un terreno di dialogo con i nomadi. Secondo Daniel Huber, presidente della Radgenossenschaft, l'Associazione svizzera degli jenisch, nei Grigioni sono state attrezzate delle aree per i nomadi locali ed è stato messo a disposizione dello spazio per i nomadi in transito.
In altre parti della Svizzera, il dialogo è più difficile. «Quando ci fermiamo, spesso è l'inizio di una lotta», fa notare May Bittel.
Stando a Bittel, i problemi dei nomadi non sono affatto cambiati dagli anni Settanta, quando la Svizzera abbandonò la sua politica volta a "fermare" la comunità jenisch.
L'ombra del passato
Tra il 1926 e il 1973, seicento bambini jenisch sono stati strappati alle loro famiglie per essere affidati a chi li poteva allevare secondo uno stile di vita "più consono" alla Svizzera. Non si trattava solo di altre famiglie, ma anche di orfanotrofi e di asili psichiatrici. A spingere in questa direzione è stata la fondazione svizzera Pro Juventute.
Scosso dallo scandalo, il governo svizzero ha presentato le sue scuse nel 1986 per aver contribuito finanziariamente a questo tipo di operazioni.
Oggi, i circa 35'000 jenisch, di cui solo un decimo è ancora nomade, chiedono alle autorità svizzere di impegnarsi maggiormente per la loro causa.
Si aspettano dal governo elvetico un ripensamento del rifiuto di aderire alla convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro relativa ai popoli indigeni. Si tratta di una decisione che deve ancora essere confermata dal parlamento.
Difficoltà
Berna ritiene di non essere in grado di rispettare appieno alcune disposizioni contenute nella convenzione, come l'accesso alla scuola o la protezione della lingua jenisch.
«Per gli jenisch», sottolinea il loro avvocato Henri-Philippe Sambuc, «questa convenzione è il solo modo per ottenere un modello d'azione collettivo sul piano giuridico».
In attesa di un sostegno da parte delle autorità, gli jenisch non perdono la speranza. Tra i giovani della comunità, conclude May Bittel, si riscontra un rinnovato interesse nei confronti della vita nomade.
swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra (traduzione e adattamento, Doris Lucini)
Nell’ambito della decade “ROMA REALE,
ROMA PLURALE. LAICITA’: TUTELA E GARANZIA DELLE DIVERSITA”
promossa da Franca Eckert Coen, consigliera delegata del
sindaco alle Politiche della Multietnicità del Comune di Roma
Le associazioni Arci e Them Romanò
PRESENTANO
“La Due-giorni Romanì”
Incontro con la cultura Rom
da un’idea della romanologa Giada Valdannini
(autrice del libro "Carovane tra le pagine" - Gaffi
Editore) in collaborazione con l’etnomusicologo Guido Gaito
Venerdì 10 febbraio ’06 - Ore 10
– 14.30 / Discoteca di Stato – Auditorium – via
Caetani 32 (Roma)
Sabato 11 febbraio ’06 - Ore 16 –
23.30 / Santa Maria della Pietà – Ex Lavanderia (pad.
31) p.zza Santa Maria della Pietà (Roma)
10 febbraio ’06: Una mattina dedicata
alla cultura romanì all’interno della splendida cornice
dell’Auditorium della Discoteca di Stato. Un’occasione
per conoscere i vincitori del concorso artistico internazione “Amico
Rom”, vedere filmati prodotti dalla sinergia di Rom e Gagè
(non Rom) nonché ascoltare la musica di “Alexian”
Santino Spinelli, Rom abruzzese polistrumentista, docente di Lingua e
cultura romanì all’Università di Trieste. E'
previsto l'intervento dello scrittore rom, Najo Adzovic (autore di
Rom. Il popolo invisibile) e dell'artigiana Sevla Sejdic (cooperativa
Bosnia Herzegovina). Al termine concerto dei Lautari rumeni, abili
musicisti d’origine Rom.
11 febbraio ’06: Una giornata dedicata
all’arte romanì con esposizione di manufatti: abiti,
collane e accessori realizzati dalle romnià dei campi sosta di
Roma. Mostre con gli scatti dei fotografi Stefano Montesi e Stéphanie
Gengotti. Proiezione di filmati. Concerto serale di musica romanì.
(A breve verrà inoltrato il programma dettagliato)
Di Fabrizio (del 08/02/2006 @ 11:08:39, in Kumpanija, visitato 2541 volte)
Ciao, mi chiamo Alessandra Genovesi-Bogicevic, ho sentito parlare di te da Ciccio di Burekeaters, scusa se mi permetto di scriverti senza conoscerti, ma visto che entrambi siamo attivisti per i diritti di Rom e Sinti, chiedo il tuo aiuto per Fatima. E' una bambina di 6 anni che vive a Prokuplje, in Serbia, i cui genitori sono originari del Kosovo (Vucitrn) che è nata in Italia (Bologna) e lì è vissuta fino a che non è stata espulsa con la sua famiglia (Peja-Mustafovic); l'altro ieri si è orribilmente ustionata, la famiglia è poverissima, non hanno nè un letto nè abiti, l'ustione si è infettata a causa della mancanza d'igiene del tugurio dove vivono fra i rifiuti; hanno rifiutato di ospitalizzarla, i genitori non possono neanche comprarle le medicine. Io e ed altri volontari stiamo cercando di aiutare come possiamo, ma qui è dura per tutti. So che ha ancora dei parenti in Italia, forse li si potrebbero cercare... Se vuoi e se puoi aiutarmi, scrivimi. Non sono una persona che vuole specularci sopra, non cerco pubblicità. Se vuoi sapere qualcosa di più di quello che faccio vai al mio Blog: http://blog.libero.it/Zajedno/
Aggiornamento: La nostra idea è di continuare a seguire la famiglia e a portarle periodicamente aiuti, verificando che non vengano venduti; adeguare la loro baracca con un letto e una stufa-forno non pericolosa e accompagnare in ospedale Fatima quando è necessario; quando sarà guarita cercheremo poi di integrarla nel gruppo dei bambini dell'asilo e di cominciare un percorso. Per la raccolta avevo pensato di cercare i parenti della madre in Italia, ammesso che vogliano o possano aiutare e fare qualche appello, utilizzando la reti come ad es. conares e le reti personali. Noi come ong abbiamo un progetto in corso, ma non possiamo utilizzare finanziamenti destinati ad altro e per farlo c'è una procedura da seguire, bisogna aspettare l'eventuale risposta positiva dell'ente, inoltre, qualora si spargesse la voce che coi soldi della ong (rom) abbiamo comprato loro delle cose, si moltiplicherebbero gli "incidenti" nelle mahale. Che ne pensi ? Ti prego, se hai qualche suggerimento da darmi...io qui in serbia sono ancora un po' spiazzata, in italia (soprattutto a pisa) avrei facilmente trovato aiuto, ma qui la situazione è molto diversa. Un'ultima cosa: mandare un pacco fino a 20 kg costa 67 € circa con poste italiane ed è pensabile per biancheria, medicine, piccoli giochi. Per il letto (a castello, in modo che sopra possa dormire Fatima, lontano dalla polvere del pavimento, e sotto i suoi due fratellini) e il forno-stufa, invece servirebbero circa 30.000 dinari, cioè 340 €. Grazie ancora per il tuo interessamento Alessandra
Miss Piranda 2006, la competizione di bellezza per giovani donne Rom, ha riunito lo scorso fine settimana (21-22 gennaio 2006, ndt) migliaia di ammiratori della bellezza alla sala polivalente di Bucarest.
Braccia e ventri nudi stanno girando, curvando e ondeggiando, mentre donne rosse, dorate, gialle e verdi stanno unendosi insieme in un meraviglioso gioco di colori e sussurri. Diciassette giovani donne ballano nella loro maniera per farsi notare nell'annuale finale di bellezza e danza del ventre per giovani donne Rom, "Miss Piranda 2006". È l'ultimo giorno della gara di bellezza che ha avuto luogo sabato e domenica sera alla sala polivalente di Bucarest. Le diciassette coppie di occhi neri-bruni stanno brillando, provocanti monete d'oro, lustrini rosa e collane che coprono le loro fronti, colli e braccia. Le donne, tra i 14 e i 25 anni, sono state selezionate fra 70 candidate che volevano avere la possibilità di vincere il primo premio da 2000 dollari, oltre l'ammirazione di tutti gli uomini Rom. "Piranda significa una bella moglie o ragazza. Ma non possiamo chiedere alle ragazze di assomigliare alle top-model. La cosa più importante per loro è danzare con grazia e talento", dice Nicky Costescu, il presentatore dello spettacolo. Vestito con un abito brillante, ricamato con migliaia di lustrini variopinti, Costescu accoglie il pubblico e promette una serata che non scorderanno mai. La sala è molto affollata, dal momento che il contesto è la celebrazione della tradizionale cultura Rom. Inoltre i 5000 spettatori non volevano perdere l'occasione di cantare e ballare insieme alle più popolari cantanti "manele" (Musica popolare gitana). E siccome gli organizzatori non volevano deluderli, il concorso di bellezza è stato preceduto da un autentico spettacolo "manele" che ha eccitato l'atmosfera e spronato le giovani contendenti ad ammaliare il pubblico con sorprendenti movimenti del corpo e bellissimi sorrisi. Per circa quattro ore gli spettatori hanno danzato, cantato, fischiato, urlato e si sono dedicati canzoni gli uni con gli altri. Di tanto in tanto, una star "manele" come Relu Pustiu (Relu la bambina), Sorin Copilul de Aur (Sorin il bambino d'oro), e Catalin Arabu (Catalin l'Araba), crea il caos totale tra gli spettatori, i quali camminano sui piedi degli altri per avvicinarsi al palcoscenico e prendere una foto dei loro idoli. Finalmente, la competizione ufficiale ha inizio e le ragazze indossano i loro luccicanti abiti lunghi. E' il primo test e le bellezze non hanno fatto nessuno sforzo per far rimanere senza fiato la giuria: abiti trasparenti e vaporosi, corpi sbrilluccicosi, gioielli stravaganti, labbra rosa, lucide e lunghi capelli setati. Le ragazze si portano sulla passerella e la folla va in delirio. "Venite più vicino! Siete così belle!" o "Ruotate, ruotate per mostrarci tutto ciò che avete!", sono solo alcune delle espressioni usate dal pubblico maschile per mostrare la loro esaltazione. Ma le giovani donne si sono allenate per tante notti e gli uomini non riescono a renderle nervose. Sono fiere di condividere la loro bellezza con gli spettatori e i loro occhi mostrano solo confidenza e determinazione. La sfilata è seguita da un'altra serie di recitals "manele" durante i quali i contendenti vengono invitati a danzare e a svelare i loro talenti. Le monete d'oro cominciano a vibrare e l'intera sala sta risuonando tra le ballerine. Il pubblico è estasiato e i giovani uomini salgono sulle loro sedie sperando di avere una veduta migliore sulle sensuali giovani donne che conquistano il palco. Dopo circa 30 minuti di movimenti sorprendenti, la giuria chiede che la musica venga fermata. "La giuria ha ottenuto un verdetto", annuncia l'anchorman con tono solenne. La vincitrice del titolo più ambito, Miss Piranda, è Alina Grigore di 16 anni, una bellissima bruna che indossa un abito orientale argentato. La ragazza è eccitata e i suoi occhi lacrimano. Lei ha sempre sognato questo momento e ora il sogno è divenuto realtà. La competizione di Miss Piranda dello scorso anno ha radunato una folla impressionante desiderosa di votare per la più bella ragazza Rom. Comunque, la competizione è stata un po' più rilassante , visto che solo 14 ragazze hanno avuto il coraggio di mostrare i loro talenti di fronte alla giuria. Miss Piranda 2005 è stata vinta dalla 17-enne Stefania Petrache che ha ricevuto una corona e 500 dollari, quattro volte meno rispetto alla vincitrice di quest'anno. A questo punto, per completezza di cronaca, un "diverso parere" dell'estate scorsa, e l'unica foto della vincitrice disponibile in Internet:
Di Fabrizio (del 27/01/2006 @ 10:24:53, in Kumpanija, visitato 1996 volte)
su Mundo_Gitanoil 23 gennaio sono apparsi 4 articoli sui Gitani in Colombia, a
cura di:
PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO
KOLOMBIAKO / PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE
COLOMBIA, (PROROM)Organización Confederada a Saveto Katar le
Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)
Ecco una piccola selezione.
In principio erano conosciuti come “egiziani”,
parola che si trasformò poi in "gitanos". I Rom,
il vero nome di questa comunità, arrivarono nelle Americhe
già nel 1492 quando quattro di loro si imbarcarono con
Cristoforo Colombo. Le migrazioni proseguirono in epoca
coloniale. La popolazione crebbe ancora all'epoca delle due
guerre mondiali, quando dall'Europa fuggivano al razzismo e alle
persecuzioni nazifasciste. Molte carovane seguirono la rotta
Caracas-Bogotá-Quito-Lima-Buenos Aires installandosi dove
si trovavano meglio. In Colombia si contano circa seimila gitani
raggruppati in Kumpanias. Le più famose sono quella di
Girón a Santander, di Cúcuta (una delle più
grandi, con circa mille Rom) e quella di Bogotá, con 250
persone. Hanno una legislazione proria per la risoluzione dei
conflitti sulla base del dialogo e dell'accordo. Così, in
caso di processi, si riunisce la Kriss Romaní, una specie
di tribunale interno dei gitani più anziani, che discutono
il problema e cercano come risolverlo, sulla base di una accordo
pacifico tra ambo le parti. “Odiamo la guerra, non usiamo
armi, siamo pacifisti totali”, dice Miriam.
Il problema
“No signora, crede di poter fare ciò che vuole
perché lei è gitana?” Non può. I suoi
documenti non sono a posto” disse le rettrice del collegio
dove voleva studiare uno dei figli di Jenny. Ma i documenti erano
completi e compilati, con un unico problema: loro erano gitani.
Succede che non la facciano entrare nei negozi. “Il
commesso vede una donna vestita da gitana e le proibisce di
entrare, perché pensa che ruberà. Noi compriamo,
come tutti gli altri! Perché dovremmo rubare? Colpa di
quanti si spacciano per noi per darci la colpa”, protesta
Kolya.
Le loro speranze ora sono poste nelle promesse del 23 gennaio:
sistema sanitario con uno schema ispirato alle caratteristiche
del loro popolo, riconoscimento dell'etnia rom – con
documenti che permettano lo sviluppo dei commerci tradizionali e
della vita nomadica, negozi e officine dedicate alle loro
attività, tra l'altro.
“Siamo in tanti, colombiani come tutti gli altri, ma i
nostri costumi e tradizioni sono differenti. Non siamo maiali o
bruti, niente di tutto ciò. Abbiamo bisogno di aiuto
perché quando qualcuno di noi si ammala, non sappiamo come
curarlo”, dice Jenny.
Il merito dell'essere stati inseriti nel Piano Nazionale di
Sviluppo e del riconoscimento come colombiani, va a Prorom
(Proceso Organizativo del Pueblo Rom de Colombia), organismo
formato da loro stessi, che si occupa dei diritti di queste 6.000
persone e dei rapporti tra le comunità e le autorità
comunali e statali.
“Nel frattempo, molti di noi sono partiti per il Perù,
gli Stati Uniti o l'Ecuador. Se la situazione continua a
peggiorare, ci toccherà andarcene e la Colombia rimarrà
senza gitani”, continua Jenny.
La sera si avvicina e un gruppo attacca a suonare canti in
romanès e melodie orientali. Valentina balla, si muove e
fa roteare le mani. Resta solo una domanda: com'è stato
possibile mantenere la tradizione in tutto questo tempo? La
risposta di Jenny è di una semplicità disarmante:
“Non lo so, i bambini sanno di essere gitani, a loro piace
e non facciamo niente per convincerli. Non è difficile,
essere Rom è un orgoglio per tutti noi”.
Popolazione vulnerabile
Non vivono più nei carri, ma in case di cemento e
mattoni: sono sedentari. Mantengono l'idioma, parente stretto del
sanscrito, e osservano leggi proprie, amministrata e tramandata
dalla kriss degli anziani. Si tramandano saperi e mestieri di
generazione in generazione. Gli uomini artigiani del rame e
commercianti di cavalli e scarpe. Il potere della casa poggia
sugli uomini, mentre alcune donne si dedicano alla lettura della
mano.
Dalila Gómez è una gitana fuori dagli schemi: ha
studiato all'università per coordinare gli sforzi
governativi per la scolarizzazione dei Rom. Si veste di seta, con
colori vivi e monili. Secondo lei, il suo gruppo etnico si
caratterizza per [un concetto di] frontiere più esteso di
quello della società maggioritaria, però giudica
importante l'impegno dello stato perché “prima di
essere un gruppo etnico, siamo una popolazione vulnerabile, e
cerchiamo che i politici si rivolgano a noi e ai nostri bambini
in maniera etno-educativa”.
Vénecer Gómez, un giovane gitano che non
differisce in niente da un qualsiasi studente universitario,
riconosce che “ci sono molte storie attorno al popolo
gitano. Alcune vere, altre totalmente false. Mi sono reso conto
che questo era il momento di farci conoscere”.
Una decisione che l'ha portato a studiare diritto
all'università di Bucaramanga. Dice che la cosa più
dura è stata accettare il fermarsi per anni nello stesso
posto. Ricorda di aver passato l'infanzia di villaggio in
villaggio, e di aver frequentato le elementari in diverse scuole.
“Mi stufa rimanere fermo in un posto” dice. Andai a a
scuola con i documenti di viaggio sotto braccio. I miei genitori
vedevano che non c'era lavoro e allora ci si spostava.
Gli ultimi gitani
Le tre sorelle Gómez vivono in casa nel barrio El
Poblado di Girón (Santander). Condividono un grande salone
ben arredato e con dei grandi divani che nessuno o quasi adopera.
Il loro tempo trascorre sedute all'aperto, bevendo e osservando
loro fratello Roberto che si fuma quattro pacchetti di sigarette
al giorno. L'unica differenza con le vicine è quando
rispondono al telefono, in romanès, perché
nonostante il cognome e il tetto sulla testa sono gitane
purissime.
Loro padre, Matei Bolochoc, arrivò in Colombia dal
Venezuela all'inizio secolo. Proveniva da Parigi e si sposò
con Ana Teotiste Santos una colombiana che così acquisì
gli usi di uno dei popoli più antichi della terra.
Matei mutò il suo nome in Alfonso Gómez e
assieme ad Ana Teotiste rapidamente si mise in marcia,
rincorrendo con un carro trainato da cavalli i mezzi che da
Medellín arrivavano a San Cristóbal, in Venezuela.
Le sue figlie e Roberto, che poi avrebbe rifatto lo stesso
mestiere con un camion Silverado e la sua famiglia, vissero
quegli anni di polvere e pioggia come i più felici della
loro vita. Lo conferma Consuela a mezza voce: “Arrivavamo
in un paese e all'ingresso montavamo le tende. A volte durava
giorni, oppure settimane. Tutto dipendeva se eravamo graditi al
prete. Uno disse che eravamo ladri e malfattori, ci presero a
sassate, ma non importava. Eravamo libero e potevamo sempre
andare dove si voleva.” Il posto dove furono trattati
meglio è stato Armenia. Gli abitanti del villaggio li
accolsero nel mezzo di una tempesta, che ancora mette paura a
ricordarla.
I nuclei principali di gitani si trovano nei quartieri Atalaya
(Cúcuta), Galán, San Rafael, La Igualdad,
Primavera, Puente Aranda, Nueva Marsella, La Francia y Patio
Bonito (Bogotá), Santa María (Itagüí),
Jardín (Cali), Santa Inés (Sogamoso) e naturalmente
El Poblado, a Girón.
Nei dintorni di Bucaramanga, dove frequentemente piantavano
gli accampamenti, si stabilirono quando la violenza nelle
campagne fu tale da rendere impossibile il viaggiare oltre. Erano
proprietari del miglior locale della zona, il Bar Nebraska, che
aveva un'immensa barra tappezzata di rosso.
Oggi sono circa 150 i gitani che vivono in questa località
della zona di Santander. La maggioranza di loro mostra sulle
finestre un cartello “in vendita”, come simbolo del
loro vagabondare. Nel momento di accendere la quinta sigaretta e
con la terza tazza di caffé in mano in meno di venti
minuti (questo li distingue da quelli arrivati dall'Europa
Orientale, che consumano te nella medesima quantità),
Roberto spiega il perché del cartello: “Serve a
mantenere l'illusione che un giorno tutti potremo rimetterci in
cammino un'altra volta”.
Lui, secondogenito di una famiglia di dieci, viaggia da solo.
Qualche volta si sposta verso Boyacá, dove costruisce
forni per fusione e scappa da suo figlio Venecer, che lo
rimprovera preoccupato ogni sigaretta che si accende.
Occhi azzurri e statura considerevole, Venecer Gómez
Fuentes appartiene alla seconda generazione di una famiglia che
ha fatto la sua piccola fortuna sviluppando il mestiere
tradizionale della forgia del rame. Frequenta il quinto semestre
di Diritto nell'Università Industriale di Santander ed è
portavoce ufficiale del popolo Rom, come loro si definiscono.
Venecer non ha viaggiato con le tende, però conosce il
piacere e anche le scomodità che accompagnano l'essere
nomade della sua famiglia. “Con la Silverado abbiamo
percorso chissà quante strade, portando con noi solo i
cinque piatti per mangiare. Ognuno aveva con sé un sacco
di piume d'oca per ripararsi dal freddo e dalla pioggia”.
Naturalmente parla il romanès e nelal stanza canta canzoni
gitane che ha scaricato da internet. “La maggior parte sono
tristi all'inizio, come questa: Zia, prestami il tuo grembo per
riposare la mia testa pazza e stanca”.
Ma lo stesso è partecipe della tradizione. A 27 anni
non è stato ancora protagonista di uno dei riti
fondamentali: el abiao o matrimonio.
Per i gitani fondare una famiglia è uno degli scopi
della vita e molti lo fanno in giovine età. Senza dubbio,
le norme per sposarsi sono rigide. Gli uomini preferiscono
sposare una donna della loro etnia invece che una gadyi. In
compenso, le donne devono fidanzarsi con un gitano, pena
l'espulsione dalla comunità.
In silenzio, Venecer sembra opporre resistenza a sposarsi. Il
compito di portavoce che ha assunto lo ossessiona. Sa che se non
lavorerà per i loro diritti, i gitani di Colombia
spariranno definitivamente.
Di Fabrizio (del 27/01/2006 @ 10:02:17, in Kumpanija, visitato 2395 volte)
Cari amici, ho il piacere di informarvi che le OnG dei Rom in Turchia hanno deciso di riunirsi come Federazione delle Associazioni dei Rom di Turchia (TROMDEF -Türkiye Roman Dernekleri Federasyonu), email edcinkay@mynet.com .
Di seguito trovate ulteriori riferimenti e un articolo pubblicato di recente
ANA OPRISAN, M.A., Programme Manager
IBC - INTERNATIONAL BLUE CRESCENT RELIEF AND DEVELOPMENT FOUNDATION ULUSLARARASI MAVI HILAL INSANI YARDIM VE KALKINMA VAKFI TURKEY Office Bostancı mah., Cami sok., Cesur apt. no 11 / 3, Bostanci, IstanbulWeb: www.bluecrescent.net Tel.: 0090 216 464 68 82Fax: 0090 216 361 57 45 PAKISTAN Office House no B 270, street 22, Sector E – 7, Islamabad E-mail: ana@bluecrescent.net Tel./fax: 0092 51 265 43 96 - Mobile: 00923015982075
Mercoledì, 25 gennaio 2006
LE ORGANIZZAZIONI ROM CONTRO I PREGIUDIZI IN TURCHIA Yigal Schleifer 7/22/05
Non hanno ancora il telefono o il computer, alla nuova Fondazione per il Supporto, la Cultura, la Scolarizzazione e l'Autoaiuto dei Rom a Muratli, piccola città 100 Km. circa a ovest di Istanbul, ma l'attività ferve già. E' aperto da quando Yasar Atessacan, presidente dell'associazione, ha finalmente più tempo libero dal suo lavoro che lo porta nei campi attorno alla città.
Atessacan assieme a un piccolo gruppo di Rom di Muratli, hanno presentato la loro associazione due mesi fa, autotassandosi per affittare e risistemare un piccolo magazzino di una stanza. Il quarantanovenne Atessacan, fisico segaligno contornato da baffi sale-e-pepe, racconta che lui e i suo compagni hanno smesso di fumare e reinvestito il denaro risparmiato in questa nuova impresa. La maggior parte di loro, lo stesso Atessacan, campano di agricoltura o caricando balle di fieno sui camion in attesa.
Già da bambino, racconta Atessacan, si immaginava questa fondazione e che potesse difendere i diritti dei Rom di Muratli. “Ci sono famiglie che a fatica possono permettersi di mandare i bambini a scuola. Molti giovani sono senza lavoro. Abbiamo bisogno di case – attualmente un alloggio solo serve a due o tre famiglie”.
I diritti dei lavoratori Rom di Muratli, sono solo un esempio del risveglio civico tra i Rom della Turchia. Negli ultimi due anni, le loro associazioni hanno aperto uffici in cinque città, e in altre cinque apriranno a breve. Dopo decenni di vita ai margini della società turca, sembra che qualcosa possa cambiare.
“Penso a qualcosa di simile all'Europa negli anni '70, quando iniziò a svilupparsi il movimento per i diritti dei Rom” dice la ricercatrice Elin Strand Marsh, che insegna cultura Romanì all'università Bilgi di Istanbul. “Ora sembra che qualcosa del genere possa partire anche in Turchia”.
Ufficialmente, ci sono circa 500.000 Rom in Turchia. Gli attivisti delle comunità dicono che queste cifre risalgono a censimenti ormai datati e ribattono che il loro numero reale sarebbe di 2 milioni. Strand Marsh, assieme ad altri puntualizza che in Turchia i Rom non subiscono gli stessi aperti pregiudizi di altre parti d'Europa, ma la discriminazione è tuttora persistente. Le leggi risalenti al 1930 permettono al governo di rifiutare la cittadinanza e danno poteri alla polizia per controllare “quegli zingari che non abbiano un'occupazione definita”.
Gli attivisti per i diritti umani dicono che i Rom turchi fronteggiano di continuo problemi nell'accesso alla scuola, alla sanità e all'alloggio. Ad Istanbul, secondo un rapporto dell' European Roma Rights Center del 2003, il municipio aveva costruito un quartiere di alloggi popolari per i Rom, circondandolo con un muro alto due metri, che li isolava dal resto della città. Eppure, già questo era un miglioramento per Istanbul, dove i Rom si sistemano in case abbandonate o in aree industriali dismesse.
Atecassan dice che a Muratli la discriminazione nel lavoro è comune, adesso che i raccolti di fieno e di girasole attorno alla città stanno lasciando il posto alle industrie tessili. “I nostri giovani bussano alle fabbriche in cerca di lavoro, ma non lo ottengono a causa della loro origine” dice. “Rimane il lavoro stagionale dei campi. Ma questo non da nessuna sicurezza sociale”.
Così, se l'apparire di queste nuove organizzazione rappresenta un cambio importante, nella loro organizzazione persistono ostacoli significativi. “Abbiamo grandi esigenze. Anche se si sono organizzati, i Rom mancano di esperienza nella gestione di un'OnG, nel raccogliere fondi” dice Ana Oprisan, coordinatrice del progetto di International Blue Crescent riguardo alla comunità Rom.
E' partito un nuovo progetto, un corso di formazione sui diritti umani – a Edirne, con lo scopo di colmare il gap esistente. E' sviluppato dall'OnG turca “Assemblea dei Cittadini di Helsinky, dall'università Bilgi e dall' European Roma Rights Center di Budapest. Intende formare personale che si occupi dei diritti umani partendo dalle situazioni locali. Vi parteciperà anche Edcinkay, un'associazione per i diritti dei Rom che conta un anno di vita.
“Negli ultimi anni, abbiamo notato un miglioramento generale sul tema dei diritti umani in Turchia. Abbiamo potuto osservare immensi progressi riguardo la discussione su questi argomenti, ma i Rom non sono parte di questo progresso” dice Sinan Gokcen di Assemblea dei Cittadini di Helsinky. Aggiunge: “Non hanno alcuna forma di assistenza legale in questo paese”.
Erdinc Cekic, presidente di Edcinkay, spiega che proprio questa è stata la ragione per cui ha fondato la sua organizzazione. “Sappiamo che il problema degli -zingari- dovrà essere discusso [nell'Unione Europea, di cui la Turchia spera di diventare parte], così siamo coscienti che è un tema importante”. Cekic è un piccolo uomo d'affari, attivo nella politica comunale prima di fondare Edcinkay.
E' cresciuto nel quartiere rom di Edirne, ma l'identità familiare non è mai stata messa in discussione. I suoi genitori smisero di parlare il romanès in casa. “La ragione per cui sento di riaffermare la mia identità è politica”, ci dice Cekic, che ha un corpo da orso e una faccia da bambino, durante un incontro nella sede di Edcinkay. “I politici si sono sempre presentati nei nostri quartieri, facendo promesse che non avrebbero mai potuto mantenere, o usando termini umilianti, che mai avrebbero adoperato da nessun'altra parte. Questa è stata la spinta a lavorare per la mia comunità”.
Anche nel suo gruppo, fervono attività ed iniziative. All'inizio di maggio hanno ospitato un simposio sui Rom in Turchia e iniziato a a stabilire contatti con esponenti della politica e delle OnG. Inoltre intendono promuovere borse di studio per giovani.
“Uno dei nostri obiettivi, è formare 10 avvocati, 10 dottori e 10 giudici Rom,” ci dice Cekic. “Allora saremo in grado di cambiare la mentalità delle persone. Non abbiamo altra possibilità, se vogliamo riuscire... La prima cosa da fare sarà cancellare tutti i pregiudizi che la gente ha quando sente la parola -zingaro-”
Editor’s Note: Yigal Schleifer is a freelance journalist based in Istanbul.
Yasar Atessacan, presidente della nuova Associazione Rom di Muratli.
Erdinç Çekiç (presidente dell'Associazione Rom di Edirne – EDÇÝNKAY), eletto presidente della Federazione delle Associazioni Rom di Turchia
Di Fabrizio (del 23/01/2006 @ 10:23:22, in Kumpanija, visitato 2340 volte)
Il giorno della memoria, con il suo strascico di orrori e
carneficine... Mi ricordo i racconti di mia mamma: la guerra, la
fame, le persecuzioni, hanno anche un loro lato di inquietante
normalità. Anche chi non è passato dai campi d
sterminio, ne ha portato il segno. Dijana Pavlovic', nella
sua intervista, raccontava della ricerca svolta per vedere quegli
anni con lo spirito di un bambino, che era anche Rom. Ma cosa
accadde realmente in Italia ai nostri nonni? Chi lo visse racconta, e
non sembri strano se recupero la memoria di un saltimbanco... un
pagliaccio, da un libro che ha il grande pregio di un linguaggio
perfettamente comprensibile anche ai bambini. Un libro scritto, come
se fosse raccontato a voce, e che proprio così, con la sua
grammatica colloquiale, ci introduce nella vita dei Sinti del
sanguinoso secolo XX.
DaSTRADA, PATRIA SINTA (U DROM
MENGRO CIACIO GAUV)diGnugo De Bar edizioni
FATATRAC ...Mio nonno era Jean De Bar, un sinto valcio che in
lingua nostra vuol dire "francese". Scese in Italia a piedi
nel 1900. Lasciò i genitori in Francia e venne a tentare la
fortuna, senza niente, a quindici anni, solo con qualche costume da
saltimbanco. Era uno dei più bravi contorsionisti del
mondo, ma era bravo anche a fare i salti di scimmia, in altre parole
i salti mortali al tappeto: ne faceva sei, sette o anche otto. I
De Bar sono una famiglia di saltimbanchi da sempre. Anche mio
nonno aveva imparato a guadagnarsi la vita così. Lui
posteggiava, che nella nostra lingua significa proprio fare i numeri
di saltimbanco all'aperto, davanti alle chiese, nei mercati e nelle
fiere.
... Poi venne il 1939, un bruttissimo anno.
L'Italia e la Germania avevano rotto il patto di non belligeranza con
la Francia. Era autunno e la mia famiglia s'era appena fermata al
Bacino di Modena per fare la sosta dopo la stagione delle fiere. Da
noi s'usa così infatti. Quando si lavora la famiglia si
divide, poi d'inverno ci si ferma tutti insieme. Quell'anno la
famiglia s'era fermata appunto nella Strada Bacino, che oggi credo si
chiami Due Canali e c'erano insieme al nonno, lo zio Noti e la zia
Mariettina con tutti i propri figli. Lo zio Carlo era invece ancora a
fare la stagione in Lombardia e per lui fu una vera fortuna. Mio
padre aveva appena conosciuto la mamma Albertina, detta Gonia, che
veniva da una famiglia che girava con le giostre. Un mattino che
piovigginava, mi hanno raccontato, molto presto hanno sentito bussare
alle carovane, si sono svegliati e hanno visto le carovane circondate
da militari, carabinieri, questura. Dicevano che si doveva fare
quello che volevano loro e che avevano l'ordine di sparare se
qualcuno si fosse opposto. Piantonarono tutto il giorno e la notte
intera, prendendo il nome e il cognome a tutti, poi, il mattino
seguente, condussero tutti quanti nel campo di concentramento di
Prignano e ci portarono via tutti i muli e i cavalli che avevamo. In
Italia con le leggi razziali, fecero molti campi di concentramento
per sinti, che nell'intenzione dovevano servire per smistare le
nostre famiglie verso la Germania e la Polonia. So per certo che
ce ne erano a Berra di Ferrara, a Fossa di Concordia, a Pescara, e
anche un paio nel bolognese che non ricordo più i nomi. Se
una deportazione di sinti non c'è stata, è stato solo
per grazia della Regina Elena (che veniva dal Montenegro) che nel
1941 ci difese e impedì quello che poteva avvenire. C'era
anche il campo di concentramento di Fossoli per gli ebrei, ma questo
lo si conosce. Gli ebrei dopo la guerra hanno avuto il coraggio di
parlare, di ricordare. Noi sinti no. Io, per esempio, mi sono
sempre vergognato di dire d'essere nato in un campo di
concentramento. Molti di noi ricordando di Prignano parlano
dicendo "quando ci misero da quel contadino...". Ma quale
contadino? Quello era un campo di concentramento fatto per sinti, e
io ho trovato il coraggio di raccontarlo solo dopo che ho parlato con
degli altri gitani spagnoli e altri sinti tedeschi e francesi. Nella
nostra lingua, mi hanno detto che nei loro Paesi dopo la guerra hanno
potuto raccontare le loro storie, giornalisti e scrittori si sono
preoccupati di quelle violenze che avevano subito e hanno scritto
molte cose. In Italia no, non si trova il coraggio; ma io credo
invece che sia giusto raccontare.
PRIGNANO
A Prignano c'era il filo spinato e qualche baracca. poche perché
noi avevamo le nostre carovane. Tutto era controllato da carabinieri
e militari che nei primi giorni non ci facevamo mai uscire. Poi,
dopo un po' di tempo, decisero che dal campo potevano uscire quelli
che volevano andare a spaccare le pietre per le strade a cinque lire
al giorno. Così tutti andavano, anche per poter avere qualcosa
da mangiare. Le guardie due volte al giorno facevano l'appello e
il contrappello. C'erano dei turni di un'ora e mezza in cui le donne
potevano andare in paese a fare la spesa. I carabinieri erano i più
cattivi e vigilavano anche all'osteria, tanto che non si riusciva
nemmeno a fare una bevuta di un bicchiere di vino in santa pace. Dopo
un mese che s'era nel campo venne un ordine del Ministero della
Guerra: presero mio nonno Giovanni e lo portarono nel campo di
concentramento a Civitella del Tronto perché fu riconosciuto
detenuto politico, per il solo fatto di essere cittadino francese. Lì
passò sacrifici e miserie insopportabili. Nel 1940 nasco io.
Mio padre chiede ai carabinieri di portare la mamma all'ospedale di
Sassuolo, ma dicono di no. Così nasco al freddo dentro una
carovana al lume di candela. E' un anno in cui tutti piangevano il
nonno per morto, perché non si sapeva dove l'avevano portato e
se fosse ancora vivo. Solo nell'autunno del 1940 concessero al nonno
di scrivere una lettera. Nessuno ha ancora capito perché il
nonno venisse considerato prigioniero politico, mentre poi hanno
obbligato i suoi figli a servire la patria andando in guerra. Dal
1941, infatti, dopo l'intercessione della Regina, cominciarono a
considerarci non più deportabili ma arruolabili, per cui
iniziarono a far partire scaglionati e a forza tutti gli uomini in
età.
... Poi venne il famoso 8 settembre 1943,
quando l'Italia fece l'armistizio con gli Alleati. A Prignano quel
giorno vennero i carabinieri e dissero: "Siete liberi di nuovo",
ma nessuno ci credeva veramente. E il maresciallo disse: "Potete
andare via come facevate prima", ma la nonna, che era il
riferimento di tutta la famiglia rimasta, non sapeva più dove
andare senza figli e senza il nonno. Così che mentre tutti gli
altri sinti si rimettevano in viaggio e lasciavano quel posto
maledetto, la nostra famiglia rimase lì ad aspettare che
succedesse qualcosa.
IL RITORNO DEL NONNO
Un bel giorno dell'ottobre 1943 videro
tornare a casa mio nonno, liberato perché i francesi erano di
nuovo amici e ci furono momenti di allegria e di gioia, ma anche di
passione per i figli al fronte. Poi mio nonno venne giù a
Modena e andò dall'amico commerciante di cavalli, Tullio
Pellicani. Quando gli raccontò ciò che aveva subito nel
campo di prigionia, il Pellicani si mise a piangere e gli diede a
credito un mulo e un cavallo per tornare a fare gli spettacoli:
"Scegliti quelli che vuoi, me li pagherai quando avrai i soldi".
Poi il nonno tornò a Prignano.
Quando i carabinieri videro il nonno
con i due animali lo accusarono subito di furto e telefonarono
all'allevatore di Modena che disse: “Io a Giovanni ne avrei
dati anche di più, ma lui si è accontentato di quelle
due bestie!”
Allora il maresciallo dei carabinieri
si scusò con il nonno, gli strinse la mano e lo considerò
persona degna di fiducia e di stima.
Dopo qualche giorno la mia famiglia
lasciò definitivamente Prignano e si fermò a Modena.
Qui si trovarono tutti i figli rimasti della zia Mariettina, dello
zio Noti e del nonno, andarono a manghel un po' di vino (manghel
significa “andare a chiedere”) e una sera fecro una
grande festa d'addio. Al mattino infatti le tre famiglie si divisero:
la zia Mariettina con i suoi figli cominciarono a girare nella zona
di Milano, lo zio Noti verso Ferrara e la Romagna (poi nel
bolognese), noi nel mantovano e nel modenese. Continuavamo a
posteggiare, anche se gli uomini nello spettacolo erano pochi perché
i figli del nonno erano tutti al fronte.
Visto che mancava anche il toni (il
pagliaccio ndr.) per un periodo fu mia mamma a ricoprire quel
ruolo. Il suo nome era il più buffo e strano mai sentito in
una pista da circo: “Conserva”. Vestita da toni faceva
anche le entrate.
....
... e il racconto continua, con la
Resistenza, il dopoguerra, la crisi del circo. Se riuscite a trovarlo
leggetelo, altrimenti qualche altro brano lo ritroverò in
seguito.
Di Fabrizio (del 20/01/2006 @ 01:08:28, in Kumpanija, visitato 2744 volte)
Trovo una recensione sul weblog di Babsi Jones:
Stavo parlando in questi giorni con Mr. Calavera del 17° Trieste Film Festival; chi transita in zona ha qualche serata di pellicole balcaniche da vedere, e rischia di valerne la pena. Registi come Boris Mitić escono da questi festival, a volte sopportare qualche eccentrico cortometraggio è necessario per godersi scoperte straordinarie. Ho visto Lepa Dijana (Pretty Dyana) e confermo le mie impressioni: Mitić è il degnissimo erede del grande mago pazzo Kusturica, con qualche vantaggio generazionale: strafavorevole alla diffusione di copie pirata e DVX (al punto di ospitare sul suo sito un apposito volantino pro-pirateria), il giovane regista serbo chiude il cortometraggio (che dura 45 minuti) con un esplicito messaggio: colonna sonora e DVX disponibili “at your nearest pirate records”. E-mule vi attende, sappiatelo. Lepa Dijana è un documentario...
Di Daniele (del 13/01/2006 @ 10:37:08, in Kumpanija, visitato 1836 volte)
Fabrizio e Cicciosax, nonostante le promesse, quest'anno non sono passati dal GucaFestival... Visto che la sezione foto in Mahalla è sguarnita, eccone una fatta da me in loco (le altre le trovate su Gustomania):
è pieno di bimbi rom che vanno in giro come tutti a divertirsi... sono uno più bello di un'altro e simpaticissimi. ecco il motivo dello scatto. ne avevo altri tre o quattro del genere ma non li ritrovo più... anzi, adesso che ci ripenso, due di quelle che non ritrovo le regalai ad una mia amica che studia a roma... e volendo c'è anche questa:
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