EU-InfothekI Rom in Europa - uno sguardo dal progetto ROMANISTAN sulla Strategia
Nazionale dei Rom 2012-2020 - 12 febbraio 2013 - dalla redazione di EU-Infothek
ROMANISTAN - Un progetto culturale biennale dell'Unione Europea al quale prenderanno parte tre paesi
(Austria, Germania e Spagna). Il filosofo viennese Ljubomir Bratic' si è assunto
l'impegno di osservatore scientifico all'interno di questo progetto.
Abbiamo parlato con Ljubomir Bratic' della sfida che attende l'Austria riguardo
all'integrazione dei Rom e dell'influenza della Strategia Nazionale d'Inclusione
dei Rom 2012-2020 sul progetto culturale "ROMANISTAN"
Signor Bratic', qual è esattamente il suo compito nell'ambito di questo progetto?
Il compito dell'osservatore scientifico nel progetto ROMANISTAN -
oltre a me ci sono Teodora Tabacki a Berlino e Pedro Aguilera Cortez a
Barcellona - può essere descritto su più livelli.
Innanzitutto osserviamo le attività, ma anche le interazioni che si creano tra
le attività, e presentiamo regolarmente le nostre osservazioni agli attori del
progetto. E' come se fossimo satelliti (abbiamo adottato proprio questo termine
all'interno del progetto): orbitiamo intorno al progetto ed emettiamo segnali,
i quali poi nell'ulteriore corso del progetto dovranno svolgere un ruolo. In
concreto significa che facciamo partecipare noi stessi alla ricerca di idee e di
partecipanti alle conferenze, ai progetti e ai festival e ci rendiamo
disponibili a pensare ad ulteriori iniziative.
Come seconda cosa c'è la produzione della conoscenza: forniamo testi per le
pubblicazioni e li mettiamo a disposizione durante le conferenze tenute nell'ambito del
progetto Il terzo compito è lo sviluppo di questa conoscenza: ci poniamo
domande, come per esempio che cosa significhi occuparsi dei Rom da una
"posizione satellite". In generale, quando si parla dei Rom, qual è lo scopo e
come sono strutturate queste narrazioni? Ci poniamo quesiti, quindi, le cui
risposte ricerchiamo lungo il corso del progetto.
Alcune di queste domande e di queste risposte vengono costantemente pubblicate
sul nostro blog. Infine, la mia attività
consiste anche in uno specifico tipo di "traduzione". Strutturalmente,
all'interno del progetto, mi colloco tra l'IG Kultur Österreich e il
Centro Culturale Rom di Vienna - RKZW
(promotori del progetto). In questa collocazione in
cui vengo a trovarmi ovviamente si traduce tra lingue diverse, ma si tratta
soprattutto di trovare un "linguaggio" comune tra le diverse culture
organizzative che hanno avuto origine da situazioni socio-culturali ed
economiche differenti; e di percorrere un cammino comune, per due anni,
nell'ambito del progetto, cammino durante il quale si renderà necessario
conciliare i diversi mondi lavorativi, di vita e organizzativi. Dal punto di
vista tematico ci concentriamo su quanto è richiesto dal contenuto del progetto:
il rafforzamento della posizione dei Rom come soggetto al di là di una culturalizzazione.
Contemporaneamente il Consiglio dell'Unione Europea ha adottato una risoluzione
riguardante le strategie nazionali per l'integrazione dei Rom entro il 2020. In
che misura è collegato ad essa il progetto ROMANISTAN?
Il progetto è collegato ad essa nella misura in cui si svolge
nello stesso arco di tempo e nella misura in cui riceve la maggior parte del
finanziamenti dall'Unione Europea. Per quanto riguarda il contenuto, c'è solo
un'influenza indiretta della "comunanza di pensiero" dalla Strategia adottata
dal Consiglio dell'Unione Europea alla partecipazione dei Rom. Mentre nel
documento originale si parla di "inclusione", la variante tedesca usa
"integrazione". Un termine al quale sono sono state conferite molte accezioni
negative negli ultimi decenni. E noi ci chiediamo quale influenza abbia tutto
questo sull'auto-organizzazione dei Rom.
Per quanto riguarda la storicizzazione del piano dell'UE, si tratta certamente
di sforzi di lunga data. Si può sicuramente stabilirne l'inizio con il primo
decreto riguardante i Rom in Spagna all'inizio del XVI secolo, che si estende
poi tramite i decreti riguardanti i Rom di Maria Teresa e Giuseppe I durante la
monarchia asburgica fino ai nostri giorni. In questo processo storico un punto
di rottura, nei confronti dei Rom, è rappresentato dalla politica di sterminio
adottata dai nazionalsocialisti: il cosiddetto soggetto "asociale", del quale i
rappresentanti simbolici principali diventano i Rom, non deve più essere portato
sulla retta via, ma proprio annientato.
Un altro livello, che è interessante, è rappresentato dal momento concreto di
efficacia del provvedimento adottato dall'Unione Europea. Qui si evidenzia come
tramite questo processo deciso dall'alto vengano introdotte nuove divisioni tra
le diverse comunità rom: viene effettuata una distinzione, per quanto riguarda i
Rom, tra minoranza "nazionale" e Rom non appartenenti alla minoranza nazionale,
ossia Rom immigrati. Tra questi ultimi viene effettuata un'ulteriore distinzione
tra coloro che sono stanziali ed attendono un lavoro regolare - ossia coloro che
hanno assimilato le norme di formazione, di comportamento e culturali - e coloro
che insistono nel mantenere il loro modo di vita "tradizionale". A questo punto
si giunge ad una considerazione del pensiero di progresso definita da una
prospettiva della maggioranza.
Per le auto-organizzazioni dei Rom questo processo stabilito per legge significa
innanzitutto dare una nuova definizione ai loro campi di attività. In futuro
diventerà sempre più grande la divisione tra coloro che si muovono sul piano
della diversità e coloro che conducono direttamente una lotta per la
sopravvivenza strutturale. Queste linee di sviluppo ci interessano ed hanno
influenzato la nostra situazione di osservatori.
Per quanto riguarda l'integrazione dei Rom, tra nazione e nazione in Europa
esistono grandi differenze. Secondo la sua opinione, qual è la sfida che si
trova davanti nello specifico l'Austria?
In Austria di una partecipazione diretta dei Rom non si parla
nemmeno. Dopo una tradizione centenaria di persecuzioni ed un lungo periodo di
silenzio e di repressione, nel 1993 i Rom sono stati riconosciuti "gruppo
etnico", fatto che ha permesso loro di far parte delle minoranze "ufficiali"
(in riferimento alla popolazione che rappresenta la maggioranza dello stato). Ma
non si tratta di partecipazione politica. Generalmente, nella nostra società,
non vengono favoriti gli orientamenti politici di coloro che vengono tenuti
sotto controllo - e per definizione le minoranze fanno parte di coloro che
vengono tenuti sotto controllo. Il riconoscimento come gruppo etnico significa
l'inclusione dei Rom al livello più basso della società. Questo comporta che
anche alcuni attivisti non particolarmente preparati possano fondare le loro
associazioni, che alcuni intellettuali possano inserirsi nel mondo dei media,
che alcune famiglie vengano promosse a famiglie che hanno la possibilità di
esibirsi durante le celebrazioni pubbliche e che alcuni possano lavorare come
artisti in campo musicale o delle arti sceniche con uno "sfondo Rom".
Resta la domanda: cosa ne è degli altri? Perché accanto ai Rom autoctoni, in
Austria vive un numero maggiore di Rom che sono arrivati in seguito alle
migrazioni in cerca di lavoro o come profughi durante la separazione della
Jugoslavia dal Kosovo, e anche coloro che hanno cercato di di fuggire dalla
povertà trasferendosi in Austria dalla Romania, dalla Bulgaria, dalla Slovacchia
ecc. Per questo gruppo non viene fatto niente - per usare un eufemismo . A
questo gruppo si applicano le stesse misure restrittive che si applicano ad
altri cittadini di paesi terzi e ai cittadini di paesi periferici dell'UE.
Abbiamo sperimentato un esempio a questo riguardo proprio nel progetto
ROMANISTAN: abbiamo potuto inserire il rappresentante dell'associazione "Centro
Culturale Rom di Vienna" (RKZW) solo perché si tratta di un progetto
dell'Unione Europea. Se ROMANISTAN fosse stato finanziato solo dall'Austria, il
nostro collaboratore - come Rom migrante - non avrebbe avuto alcuna possibilità
di un'occupazione regolare. Egli fa parte di coloro che, dal punto di vista
legale, per la sopravvivenza nella società sono costretti a lottare in una zona
grigia.
Non è perché lo vogliano, ma perché non hanno a disposizione altre possibilità.
Questo elemento della storia dei Rom, come parte costitutiva del segmento
sociale "forza lavoro a basso costo", è quello che determinerà in futuro la loro
storia.
Una seria soluzione dei problemi dei Rom può essere decisa e realizzata soltanto
con i Rom stessi e, d'altro canto, non può escludere un determinato gruppo di
Rom, che altrimenti in futuro rischiano si soccombere ad una legislazione
discriminatoria.
Di conseguenza, la sfida specifica per l'Austria è quella di chiedersi come si
possa trovare una soluzione positiva per tutti i Rom che vivono in Austria in un
contesto post-nazista. E questa domanda si colloca poi in un contesto ancora più
grande in seguito alla democratizzazione di uno stato piccolo dipendente da
altri stati. Tutti gli stati hanno alle spalle una storia differente, ma in
tutti una pietra di paragone della democrazia è rappresentata dai Rom e dal modo
di rapportarsi a loro.
L'immigrazione in Germania di Rom che sfuggono alla povertà - "La salvezza dell'Europa dell'Est non è in Germania"
Di TIMO FRASCH e YVONNE STAAT
Frankfurter Allgemeine
23.02.2013 - Rose, il presidente del Consiglio Centrale dei Sinti e Rom tedeschi,
nell'edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine mette in guardia dal
relegare i Rom alla sfera della criminalità. Secondo la sua opinione, tuttavia,
la Germania non è neanche in grado di risolvere i loro problemi nei paesi di
origine. Questo anche a causa del sistema di sfruttamento dei Rom da parte dei
clan, come dimostra un'indagine della FAS (edizione domenicale del Frankfurter
Allgemeine, ndr.)
Romani Rose, presidente del Consiglio Centrale dei Sinti e Rom tedeschi, ha
invitato giornalisti e politici a "non relegare alla sfera della criminalità,
persone che vengono qui a causa della mancanza di prospettive nel loro paese di
origine". Dalla politica si aspetta onestà, ovviamente, nel modo di riferirsi
all'immigrazione dovuta alla povertà, ma mette in guardia severamente dall'etnicizzare il problema, perché ciò escluderebbe e stigmatizzerebbe
nuovamente tutta la minoranza Rom. L'antiziganismo, afferma Rose, deve essere
messo al bando allo stesso modo dell'antisemitismo.
Rose ha esortato il Governo a non piantare in asso i comuni con un alto numero
di immigrati a causa della povertà nei paesi di origine. Nell'intervista
all'edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine (FAS) ha anche affermato,
tuttavia, che la Germania non è in grado di risolvere gli enormi problemi
riguardanti i Rom nemmeno nei loro paesi di origine. "La salvezza dell'Europa
dell'Est non è in Germania", ha detto Rose, "non si può consigliare a Rom dalla
Romania o dalla Bulgaria, bisognosi di aiuto, di venire in Germania, perché sono
in numero troppo elevato e molti sarebbero poi dipendenti da contributi dello
Stato.
Rose ha esortato il Governo tedesco ad "esercitare, piuttosto, molta più
pressione su paesi come la Romania o la Bulgaria, affinché si decidano
finalmente ad agire contro l'emarginazione e contro il razzismo". Tutto questo
assume ancora più importanza se si considera che "addirittura nell'Europa
occidentale troviamo politici come Berlusconi che fanno dell'antiziganismo
uno
strumento di campagna elettorale".
Gravi abusi sull'infanzia
L'assistente pedagogico Norbert Ceipek, che da anni a Vienna si occupa di
bambini rom trascurati o abusati, nell'edizione domenicale del Frankfurter
Allgemeine ha duramente criticato il sistema di sfruttamento minorile
predominante in molti clan di Rom. Secondo la sua conoscenza, i capi-clan -
ricchi sfondati - tengono in schiavitù per debiti i loro subalterni. I bambini
vengono sistematicamente tenuti lontani dall'istruzione e destinati
all'accattonaggio o alla prostituzione nell'Europa dell'Est, per accrescere, in
quei paesi, la ricchezza dei capi-clan. "Ciascun bambino deve consegnare 350
euro al giorno", ha affermato Ceipek, "si può quindi fare un calcolo di quanto
guadagni in un anno un singolo capo-clan, considerando che almeno sette o più
bambini, in diverse città, lavorano contemporaneamente sulla strada per lui. E
stiamo parlando soltanto dei guadagni ottenuti con lo sfruttamento minorile".
Quando un bambino non racimola tutta la somma richiesta, la sorvegliante mandata
nell'Europa dell'Est con i bambini viene messa sotto pressione, perché a fine
mese non è stata in grado di consegnare la somma stabilita agli intermediari al
comando del capo-clan. A questo punto non è inusuale che i bambini rom vengano
fatti prostituire per un paio di giorni per raggiungere la somma del denaro
mancante.
La Barbuta è l'ultimo "villaggio attrezzato" destinato alla comunità rom
costruito a Roma e il primo inaugurato dall'attuale amministrazione comunale. E'
recintato e provvisto di un sistema di videosorveglianza e di identificazione e
di un registro all'entrata e all'uscita. Famiglie intere composte anche da otto
persone vivono in container le cui dimensioni variano tra i 24 e i 40 metri
quadrati. Il centro abitato più vicino è a due chilometri e mezzo di distanza e
per raggiungerlo si deve camminare su una strada senza marciapiede. A La Barbuta
e negli altri sette insediamenti attrezzati della capitale vivono quasi duemila
minori, mentre altri 1.200 si trovano negli insediamenti informali sparsi sul
territorio del comune.
Il rapporto Rom(a) underground presentato a Roma il 19 febbraio
dall'Associazione 21 Luglio denuncia come le politiche del Piano Nomadi
inaugurato dal sindaco Gianni Alemanno tra febbraio e giugno del 2009 non solo
non salvaguardano i diritti dei minori rom, ma spesso creano le condizioni che
ne favoriscono la violazione. Abitazioni inadeguate, mancanza di spazi esterni
in cui giocare, condizioni igienico-sanitarie critiche, la distanza dalla scuola
condizionano fortemente la possibilità di inclusione sociale dei minori rom,
limitano le loro opportunità di crescita, scoraggiano la frequenza scolastica e
quindi compromettono il loro diritto all'istruzione, alla sanità, alla
sicurezza, al gioco e alla famiglia. "Nascere rom a Roma significa avere più
probabilità di essere sottopeso, di avere patologie fisiche e psicologiche, di
vivere l'esperienza del carcere, di essere esclusi dalla società", ha detto il
presidente dell'Associazione 21 Luglio, Carlo Stasolla, durante la presentazione
del rapporto.
Ma le condizioni di vita delle comunità rom nel resto d'Europa non sono molto
migliori, tanto che il 5 aprile 2011 la Commissione europea ha adottato il
'Quadro dell'Ue per le strategie nazionali di integrazione dei rom fino al 2020'
con cui invita gli Stati membri a mettere in atto politiche volte a migliorare
la situazione sociale ed economica dei rom.
Alcuni studi hanno dimostrato che la
maggior parte delle famiglie rom che vivono in Europa presenta una speranza di
vita inferiore in media di dieci anni rispetto al resto della società. E un
rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) del 2009 ha
denunciato che nei paesi dell'Europa orientale i tassi di mortalità infantile
dei bambini rom sono da due a sei volte più alti rispetto a quelli dei bambini
non rom a causa della maggiore esposizione ai rischi, della discriminazione
nell'accesso ai servizi pubblici e sanitari e della mancanza di informazioni.
Il sentimento anti-rom che si respira in molte società europee si traduce spesso
in politiche locali e nazionali che hanno come diretto risultato la segregazione
della comunità rom dal resto della società, in aperta violazione degli obblighi
internazionali, tra cui l'articolo 2 della
Convenzione internazionale sui
diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che specifica che tutti i minori
devono essere tutelati "a prescindere da ogni distinzione di razza, di colore,
di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o
dei suoi genitori, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro
situazione finanziaria".
Con una popolazione stimata tra i 10 e i 12 milioni di persone in Europa (di cui
circa sei milioni all'interno dell'Unione) i rom sono la più grande minoranza
etnica nel vecchio continente. Sono per la maggior parte cittadini europei, ma
questo non li sottrae dal rischio di marginalizzazione, di violazione dei
diritti umani e di attacchi razzisti in quasi tutti i paesi in cui vivono. E
poco conta l'orientamento politico dei governi, come dimostra il caso della
Francia, dove lo smantellamento dei campi rom, uno dei cavalli di battaglia
dell'ex presidente Nicolas Sarkozy, non si è fermato con l'elezione del
socialista Francois Hollande a maggio dello scorso anno.
Persino nella civile Germania ai rom è di fatto
negato il diritto di lavorare
legalmente (benché infatti i migranti provenienti dalla Bulgaria e dalla Romania
possano risiedere legalmente in Germania in quanto cittadini dell'Unione Europea
dal 2007,
per il momento le leggi sul lavoro impediscono loro di svolgere un
impiego che potrebbe essere occupato da un tedesco), mentre la prospettiva di
abolire nel 2014 le restrizioni straordinarie alla libera circolazione dei
cittadini bulgari e romeni ha scatenato nel Regno Unito la fobia di una
migrazione in massa dei rom.
Un rapporto della Caritas sull'impatto della crisi
europea ha invece denunciato che in Portogallo i rom sono tra i gruppi sociali
vulnerabili maggiormente colpiti dalle misure di austerità varate dal governo
per far fronte alle difficoltà finanziarie.
In Ungheria, Bulgaria e Repubblica Ceca gli attacchi contro i cittadini rom a
opera dei gruppi di estrema destra sono quasi all'ordine del giorno. Il mese
scorso la proposta di una formazione politica di estrema destra romena di
offrire 300 euro a ogni donna rom che accetti di essere sterilizzata è stata
avallata anche dal presidente dei giovani liberali Rares Buglea e il sindaco di
Baia Mare, una città dell'arretrato nord del paese, ha ordinato la costruzione
di muri attorno alle aree abitate dai rom. A Bucarest i rom sono concentrati nei
sobborghi più degradati della città, dove mancano fognature, acqua potabile ed
elettricità e l'organizzazione non governativa Romani Criss ha documentato
cinquanta casi negli ultimi dieci anni di rom attaccati o uccisi in incidenti
con la polizia.
In Slovacchia migliaia di bambini rom sono ancora costretti a frequentare scuole
speciali per allievi con problemi mentali, oppure sono segregati in classi
separate per evitare i contatti con gli altri studenti.
Lo scorso aprile le autorità serbe hanno sgombrato il campo di Belvil, alla
periferia di Belgrado, dove vivevano oltre mille persone, che non erano state
adeguatamente informate e che sono state costrette a traslocare in container
disseminati in insediamenti difficilmente accessibili oppure a spostarsi nel sud
del paese.
In questo contesto, gli obiettivi comuni nei confronti dei cittadini rom posti
dalla Commissione Europea a complemento della strategia politica "Europa 2020" a
sostegno dell'occupazione, della produttività e della coesione sociale,
risultano di importanza fondamentale. Secondo il Quadro dell'Unione, i settori
in cui occorre impegnarsi a livello nazionale per migliorare l'integrazione dei
rom sono l'accesso all'istruzione, l'occupazione, l'assistenza sanitaria e
l'alloggio. Secondo Viviane Reding, commissaria Ue per la Giustizia e
vicepresidente della Commissione, gli Stati membri hanno realizzato il loro
impegno presentando diverse strategie, ma devono però "cambiare marcia e
intensificare le loro azioni prendendo misure più concrete, fissando obiettivi
chiari, stanziando finanziamenti appositi e stabilendo validi meccanismi di
monitoraggio e valutazione". Un'evoluzione che sembra ancora difficilmente
realizzabile in Italia, soprannominata "il paese dei campi", dove nella realtà
sotterranea e invisibile della comunità rom si compromettono ogni giorno il
presente e il futuro di migliaia di giovani.
EUopserver.com
- BY VALENTINA POP - L'autrice è una giornalista rumena e corrispondente da Berlino per EUobserver
Graffito a Bucarest, che critica l'avidità dei politici locali (Photo: Valentina Pop)
BERLINO - "Questi fottuti Rumeni. E Bulgari. Invadono i nostri paesi,
abusano della nostra assistenza sociale, rubano i nostri lavori, probabilmente
anche le nostre auto e portafogli..."
Nessuno politico tedesco o britannico lo direbbe così brutalmente, ma il
senso è quello.
I ministri degli interni di Gran Bretagna, Germania, Austria e Paesi Bassi
stanno "cucinando" assieme un piano su come limitare il "turismo del welfare" di
Bulgari e Rumeni.
Eliminare le restrizioni al mercato del lavoro l'anno prossimo? Ma per
carità!
Scrive il Daily Mail, sulla base delle cifre di Scotland Yard, che a Londra
un Rumeno su tre ò è un ladro o un violentatore in carcere. Negli ultimi cinque
anni, sempre a Londra, sono stati arrestati quasi 30.000 Rumeni.
Ma con circa 300.000 arrestati ogni anno, britannici e non, gli arresti di
Rumeni ammontano a circa... il due per cento della cifra totale. E stiamo
parlando di sospettati di crimine, non ancora processati - tra di loro ci
possono essere persone accusate ingiustamente.
La domanda vera è: cosa ha a che fare la libertà di lavorare in Gran Bretagna
con la cattura dei criminali?
E perché i conservatori britannici stanno assecondando il partito anti
immigrati UKIP (United Kingdom Independence Party, ndr.) su questo
tema?
Sul serio i politici britannici sono dell'idea che i Rumeni siano per natura
più inclini al crimine rispetto ad altre nazionalità?
Già stanno giocando con l'idea di restringere l'accesso all'assistenza
sanitaria, ai benefici sociali e al lavoro per i Rumeni. Cosa dobbiamo
aspettarci: cartelli sulle vetrine dei negozi "Vietato l'accesso ai Rumeni"?
Parimenti, il dibattito in Germania sul "turismo del welfare", sta scaldando
particolarmente i conservatori bavaresi. La Baviera sarà il campo di battaglia
per le prossime elezioni regionali e federali il 22 settembre. Ed il tema
dell'immigrazione, paga. Allargamento dell'area Schengen a Romania e Bulgaria?
Lasciare che questi gangster corrotti diventino i guardiani delle frontiere
orientali della UE? Nein!
Il ministro degli interni Hans-Peter Friedrich, conservatore bavarese, ha
persino suggerito il divieto d'ingresso ai Rumeni rimpatriati per aver "abusato"
del sistema tedesco del welfare.
"Quelli che vengono per lavorare sono i benvenuti, ma non possiamo accettare
chi viene qui solo per i benefici sociali", è il mantra favorito di questi
giorni per Friedrich.
Non lo dice, ma si riferisce alle famiglie rom che hanno diritto a circa 200
euro a bambino ogni mese, e di solito hanno diversi figli.
Dato che centinaia di migliaia di Rom hanno passaporti rumeni, il termine
"Rumeno" spesso è un eufemismo al posto del razzista "zingaro".
Come Rumena, è triste che, 24 anni dopo il collasso del comunismo e col sogno
della libertà che finalmente sembrava realizzarsi, Romania e Bulgaria rimangano
i paesi più poveri della UE, con seri problemi sociali e le élite politiche
motivate da interessi meschini. Sì, la corruzione è una questione seria. La
gente npon ha fiducia nella polizia o nei giudici.
Ma ci sono anche paesi in cui la gente sta iniziando a lottare per ciò in cui
crede. In Bulgaria le proteste di pazza hanno appena rovesciato un governo. La
Romania fece lo stesso l'anno scorso.
Protestano contro i politici corrotti, contro le grandi corporation che
distruggono le campagne in cerca di oro o di gas, vogliono piste ciclabili,
parchi per far giocare i loro bambini. Una vita normale.
Allora, Germania e Gran Bretagna, non preoccupatevi, non ci sarà un'invasione
di massa. Piuttosto, una rivoluzione di velluto.
"Qui il tempo è pessimo". "Venite da noi allora!". Botta e risposta all'insegna
dello humor tra Gran Bretagna e Romania. Ma la questione è maledettamente seria
e riguarda la libertà di circolazione in seno all'Ue. Abbiamo incontrato il
ministro degli Esteri rumeno Titus Corlatean
Lo humor inglese ha contagiato anche Bucarest. Forse per seguire il vecchio
adagio secondo cui "chi è disprezzato suole ripagare con la stessa moneta"
oppure proprio per dimostrare un grande spirito di accoglienza e prendere in
contropiede Londra, il governo romeno ha messo in campo una fine e "saggia"
strategia di comunicazione in Gran Bretagna, in risposta ai "timori" inglesi di
una possibile invasione di lavoratori romeni (e bulgari) all'indomani della
caduta delle restrizioni per i lavoratori stranieri.
Un'esperienza ben riuscita ma che non bisogna applicare ovunque in Europa, per
esempio in Italia "non servirebbe", parola di Titus Corlatean, ministro degli
Esteri romeno, secondo cui Roma ha avuto un atteggiamento realmente europeo e ha
dato l'esempio ad altri Paesi Ue. Una frase ancora più "pesante" se paragonata
alla nuova chiusura della Germania all'ingresso della Romania in Schengen,
ultimo capitolo di una lunga storia.
"In Gran Bretagna la comunità romena è ben radicata e dà un grande contributo,
di certo non ha dimensioni simili a quella presente in Italia, ma per ragioni e
obiettivi politici nei mesi scorsi alcuni media hanno lanciato una campagna che
parlava della possibile 'invasione' di romeni e bulgari dal primo gennaio 2014
quando le restrizioni al mercato del lavoro britannico verranno eliminate - ha
spiegato a OBC il titolare della diplomazia romena in visita a Roma - per questo
abbiamo lanciato una campagna a nostra volta: una strategia su due binari, una
per i media e una per la società civile. Punto focale il sense of humor. Abbiamo
invitato i britannici a venire in Romania e quindi a "invadere" il Paese".
Una contro-strategia con slogan come: "Metà delle nostre donne somiglia a Kate.
L'altra a sua sorella". Oppure con cartelloni pubblicitari che facevano
riferimento allo scandalo di cui è stato protagonista il principe Harry,
fotografato nudo in un hotel di Las Vegas: "Il principe Carlo ha comprato una
casa in Romania nel 2005. E qui Harry non è mai stato fotografato nudo".
Per Corlatean la campagna è stata "apprezzata ed è stata saggia: avrà
conseguenze positive". Nei cartelloni che riportavano i simpatici spot anche
l'invito a trasferirsi in Romania in tempi di crisi: "Avete un clima cattivo,
non avete lavoro, non avete casa? Brutta storia. Perché non venite a vivere
qui?".
Secondo i media britannici tra il 2014 e il 2019 potrebbero arrivare in Gran
Bretagna 250mila tra romeni e bulgari, con relative conseguenze sul mercato del
lavoro. E a Downing Street, dove la mossa di Bucarest ha preso in contropiede le
autorità, si valutano altri progetti per dissuadere gli ultimi arrivati tra i
nuovi europei dal trasferirsi perché bisogna sfatare il mito che "le strade
siano lastricate d'oro" nel Regno Unito, ha sottolineato una fonte ministeriale
inglese.
Si pensa a rendere più difficile l'accesso ai servizi pubblici, il rimpatrio
forzato per chi non trova un impiego entro tre mesi, una campagna negativa sulla
mancanza di posti di lavoro e sulle terribili condizioni meteo. Deterrenti
sufficienti?
Un piano "pubblicitario" e di pulizia di immagine del genere non serve invece in
Italia, il ministro degli Esteri Corlatean ne è sicuro al 100%. "In Italia c'è
un ottimo livello di integrazione. Quando vengo qui non riesco a distinguere tra
italiani e romeni. Penso che condividere i comuni valori della latinità faccia
la differenza - ha continuato il ministro - la maggior parte dei romeni in
Italia è ben integrata, paga le tasse, lavora. Si sono verificati casi gravi e
difficili in passato - ha ammesso Corlatean - ma siamo sempre stati a favore di
una dura applicazione della legge, per il resto abbiamo accolto con favore lo
spirito di collaborazione delle autorità e l'eliminazione delle restrizioni per
i lavoratori romeni già dal gennaio del 2012".
Per il ministro questo è ed è stato "un ottimo esempio di quello che dovrebbe
essere veramente l'Europa. L'Italia ha dato un buon esempio ad altri paesi in Ue
in questi tempi ancora così complicati".
Parole forse premonitrici di un peggioramento dei rapporti in Europa. Il fronte
dei contrari a Bucarest e Sofia in Schengen, infatti, ha ripreso corpo e sembra
più agguerrito che mai. La Germania ha dichiarato di essere pronta a porre il
veto sull'ingresso dei due Paesi nell'area di libera circolazione. Il ministro
federale dell'Interno, Hans-Peter Friedrich, si è detto allarmato dal forte
afflusso di rom provenienti dai Balcani e che sono giunti in Germania nei mesi
scorsi per usufruire di benefici sociali.
E proprio il 7 marzo i ministri della Giustizia e dell'Interno dell'Ue sono
chiamati a decidere nuovamente sull'allargamento di Schengen. Berlino, però, ha
già dichiarato battaglia. Se questo ordine del giorno rimarrà sul tavolo la
Germania voterà contro: "Se Bulgaria e Romania insisteranno su una votazione,
l'iniziativa fallirà per il veto tedesco". Nella precedente riunione sul tema
dell'ingresso di Romania e Bulgaria in Schengen era stata l'Olanda a mettere i
bastoni tra le ruote all'allargamento sostenendo che i due Paesi avrebbero
dovuto incrementare la propria lotta e migliorare i propri strumenti contro la
corruzione e il crimine organizzato.
Di Fabrizio (del 15/03/2013 @ 09:09:08, in Europa, visitato 1327 volte)
Criticato il percorso d'integrazione sostenuto da Bourgeois -
10/03/13 - 18h01 Source: belga.be - édité par:Michael
Bouche
Geert Bourgeois (N-VA), ministro fiammingo all'immigrazione, vorrebbe
ottenere dall'Unione Europea l'autorizzazione ad imporre ai Rom di seguire il
percorso fiammingo d'integrazione ("inburgering") anche
in caso avessero la nazionalità di uno degli stati membri. Riportata sabato
dalla stampa, l'idea è stata criticata domenica dal Centro per le Pari
Opportunità.
Il direttore del centro, Jozef De Witte, ha giudicato "poco intelligente",
vale a dire discriminatorio, obbligare i Rom a seguire il percorso sulla base di
una selezione etnica. "Se il ministro vuole imporlo ai soli Rom, dovrà
individuarli ed operare su selezione razziale", ha detto durante la trasmissione De
Zevende Dag.
Il ministro ha risposto di non riferirsi specificatamente ai Rom, ma a tutti
i cittadini dell'Unione Europea. Tuttavia, la sua proposta ha scarse probabilità
di essere autorizzata, viste le norme europee in materia di libera circolazione
delle persone.
Ha anche difeso la politica fiamminga sull'integrazione dalle critiche, in
particolare quelle sul suo carattere vincolante. Ha detto: "Vogliamo rendere le
persone più forti e dar loro una possibilità".
A Nantes i taxiphone per ascoltare i Rom hanno suonato più di 700 volte
- 14 febbraio 2013
Installazione tanto artistica quanto militante, "Lo strano taxiphone"
dell'associazione "Etrange Miroir" mira a far cadere i luoghi comuni sui Rom.
Ritorno su un'esperienza che ha saputo interrogare il pubblico sulla tematica
dell'altro e dei pregiudizi.
Circa 700 persone, da febbraio 2012, hanno ascoltato nelle cinque cabine
telefoniche create dall'associazione "Etrange Miroir", documenti audio destinati
a fare cadere i luoghi comuni e i timori circa la popolazione Rom.
"All'origine, si trattava di un progetto allestito nel quartiere "Montaigu",
dove dimorano dei Rom sedentarizzati", spiega Marie Arlais, incaricata di
progetti in seno all'associazione. "Benché siano installati da due anni a Montaigu, restano ancora confrontati a tabù, timori, perfino reazioni non sempre
comprensive".
Essendo destinato inizialmente a un pubblico giovane (15-17 anni), spostato in
seguito in due festival ("Spot" a
Nantes, e "L'oeil du bouillon" a
Clisson), poi
durante una quindicina di giorni a "L'espace international nantais Cosmopolis"
nello scorso ottobre, l'ingegnoso taxiphone ha fatto sentire dei suoni che hanno
permesso di fare, o rifare, il legame sociale con questa popolazione sempre poco
o per nulla ostracizzata.
Abbelliti con delle musiche originali di Raphael Rialland e David Rambaud, i
documenti audio della durata di 3 a 7 minuti, comportano tanto delle
registrazioni di suoni ambientali – momenti di vita – quanto testimonianze o
spiegazioni "pedagogiche" formulate da una collaboratrice sociale.
Un mezzo di espressione per i Rom
Questo progetto di esposizione audio, da voce a una decina di queste persone. I
montaggi audio approcciano non solo le discriminazioni subite da questa
popolazione (economiche, sociali, culturali, civiche) ma permettono di apportare
uno sguardo umano sulla vita quotidiana di questi nuovi residenti, il loro
itinerario particolare e il loro paese d'origine.
Il progetto ha beneficiato di un aiuto della Regione, di 1.000 euro. Una fiducia da
quel momento rinnovata per l'associazione, la quale da allora, si è lanciata in
un altro progetto, forte di un ulteriore aiuto di € 5'000: "Mother Border", un
documentario muto che deve essere "diffuso e recitato in live", da quattro
musicisti e una lettrice. Una creazione sempre situata in mezzo all'ambizione di
"legare la pratica artistica a una riflessione sociale e cittadina, vicina a una
strategia di educazione popolare". Si tratta questa volta di un lavoro sulla
condizione dei giovani tunisini arrivati in Francia, in seguito alla "Rivoluzione
dei Gelsomini" del 2010-2011.
Di Fabrizio (del 21/03/2013 @ 09:07:30, in Europa, visitato 1432 volte)
di Carlotta Sami - direttrice generale di Amnesty International Italia "Spesso subiscono le conseguenze più pesanti delle politiche di segregazione e
sgomberi. Ma sono anche tra le più attive per rivendicare un miglioramento delle
condizioni di vita"
Amnesty International è impegnata da anni nella difesa dei diritti delle donne e
in una campagna europea contro la discriminazione delle persone rom, inoltre a
Gennaio ha lanciato una grande campagna sui Diritti umani in Italia: Ricordati
che devi rispondere,
www.ricordatichedevirispondere.it. Uno dei 10 punti
riguarda proprio i diritti dei rom nel nostro Paese.
Vogliamo mettere insieme questi due temi evidenziando il ruolo, fondamentale,
che le donne hanno nell'attivismo per i diritti umani - questo è vero sempre, ed
è vero anche per le persone rom, che in Italia e in tutta Europa hanno di fronte
a sé un impegnativo cammino di rivendicazione e conquista dei propri diritti.
Un impegno e un attivismo che avrà l'obiettivo di una maggiore rappresentanza,
anche politica.
Le informazioni e le analisi sulle quali si basa la nostra campagna europea per
i diritti dei rom emergono dalla ricerca sul diritto a un alloggio adeguato e
sugli sgomberi forzati che abbiamo svolto in Italia, Francia, Macedonia,
Romania, Serbia e Slovenia. L'impatto delle violazioni che i rom subiscono è
particolarmente grave per le donne, spesso vittime di discriminazione multipla,
a causa del genere e dell'appartenenza etnica, e costrette a sormontare ostacoli
altissimi per accedere all'alloggio, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e
al lavoro.
La loro condizione va a inscriversi infatti in un contesto - quello Europeo - in
cui le comunità rom affrontano un sistematico pregiudizio e politiche
inadeguate, quando non palesemente discriminatorie, da cui derivano rischi
altissimi per i diritti e talvolta la stessa incolumità personale di adulti e
bambini.
Fanno parte di questo contesto i frequenti sgomberi forzati, spesso in mancanza
di alternative abitative accettabili, e una sistematica difficoltà di accesso a
un alloggio adeguato. Milioni di persone rom in Europa sono di fatto costrette a
vivere in baraccopoli, senza accesso ad acqua corrente o elettricità, a grande
rischio di malattie e senza assistenza sanitaria. Nei casi in cui, durante gli
sgomberi, le autorità offrano alloggi alternativi, essi sono spesso costruiti in
condizioni molto precarie e privi di servizi essenziali quali l'acqua, il
riscaldamento, l'energia elettrica. Ciò ha un particolare impatto sulla vita
delle donne rom le quali, a causa del loro ruolo all'interno della comunità,
hanno di fatto la responsabilità primaria della cura dei bambini e delle
attività domestiche come la pulizia della casa e la cucina.
Alle cattive condizioni abitative si accompagna spesso la collocazione dei rom
in campi lontani dai centri abitati, con quanto ne segue in termini di
isolamento e segregazione. Secondo le testimonianze di donne rom che i nostri
ricercatori hanno raccolto a Roma, ad esempio, una particolare difficoltà deriva
dal fatto che i campi siano scarsamente collegati ai quartieri abitati, ai
negozi e ai servizi tramite i mezzi pubblici o strade con marciapiedi sicuri su
cui camminare. I negozi di generi di prima necessità, i medici e le scuole e
strutture per l'infanzia sono difficili da raggiungere e questo rende la vita
delle donne rom che li abitano e dei loro bambini ancora più difficile.
La segregazione in aree periferiche isolate rende, inoltre, ancora più difficile
la ricerca di un lavoro e può aumentare il rischio di violenza sulle donne e sui
loro bambini, perché esse vengono a perdere le proprie reti di sicurezza e
solidarietà.
Vivere in insediamenti informali a rischio di sgombero forzato provoca, nel
complesso, grande incertezza e sofferenza. La stessa salute psicologica delle
donne rom viene segnalata come significativamente peggiore di quella del resto
della popolazione femminile dei paesi europei, proprio a causa delle condizioni
di vita inadeguate, alloggi disagiati, della povertà e della posizione
svantaggiata delle stesse nel loro ambiente domestico.
Amnesty International lavora al fianco delle donne rom che vivono nei campi e
negli insediamenti informali in Europa. In molti casi, le donne rom sono
impegnate in prima persona nelle campagne di sensibilizzazione per porre fine a
sgomberi forzati e alla segregazione, e dovrebbero essere, a nostro avviso,
ulteriormente sostenute in questo loro impegno, perché nessun vero cambiamento e
miglioramento per i diritti umani è possibile senza un ruolo centrale e
determinante delle donne.
Alle donne occorre dare accesso al credito e opportunità di indipendenza
economica: solo in questo modo si cancellerà la violenza e sarà possibile
garantire ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione.
Dobbiamo credere nelle enormi potenzialità di queste donne e abbiamo, da loro,
molto da imparare.
Analisi superficiali sui costi economici dell'inclusione sociale sono diffuse
tra le classi politiche dell'Europa Centrale e Orientale (ECO). In questo
articolo cercherò di individuare un errore economico riguardo un gruppo
immaginario di Rom che chiamerò "Frankestein", termine che intende sottolineare
la confusione e l'archetipo semplicistico sui Rom che è largamente diffuso tra i
decisori politici.[1]
Molti politici e decisori pensano alla parola "Rom" come ad un eufemismo per
tutti i piccoli criminali (inclusi naturalmente quei criminali che non sono
Rom). Come per qualsiasi stereotipo, la percentuale di Rom che corrispondono
alla descrizione di "Frankestein" è appena una frazione sul numero totale dei
Rom. I professionisti rom di successo tendono ad essere invisibili a politici e
decisori, in quanto non si adattano alla tipologia, razzista ma diffusa, del
"vero" Rom. Nei fatti, esistono più professionisti Rom di quelli "Frankestein".
L'errore economico sui Rom "Frankestein" è ritenere che i loro paesi siano
migliorabili, in termini economici, senza di loro. Questa convinzione giustifica
tanto l'inazione nella madrepatria (mancanza di sforzi e fondi per l'inclusione
sociale), che lka riluttanza a lavorare per arginare l'immigrazione verso
l'Europa Occidentale.
I governi ECO pensano che la maggior parte dei Rom che lasciano i loro paesi
siano, nella migliore delle ipotesi, cantanti, ballerini o lavoratori non
qualificati (nel campo delle pulizie o della ristorazione), ma che la maggior
parte viva di assistenza sociale, furti, o operando sul mercato nero.
Indipendentemente da ciò, i Rom sono una perdita economica significativa per le
economie dei loro paesi.
Credono anche che una volta partiti i Rom "Frankestein", i paesi ospitanti
(Europa Occidentale) debbano assumersi i costi del welfare, del controllo,
dell'istruzione, della sanità, dell'alloggio - mentre quegli stessi Rom
invieranno la maggior parte dei loro risparmi in patria. E' un messaggio crudo e
sbagliato, ma semplice, da mandare alla maggioranza dei votanti, che comunque
non amano o odiano apertamente i Rom.
I Rom "Frankestein" devono essere incentivati e resi responsabili sulla loro
cittadinanza. Ciò richiederebbe un'aggressiva campagna per far capire ai Rom che
sono una parte importante della loro nazione, attraverso investimenti massicci
nell'inclusione sociale, combattendo l'antiziganismo e promuovendo la
cittadinanza attiva tra le comunità e i ghetti più problematici.
Un simile piano d'azione richiede misure strategiche a lungo termine (oltre
20 anni), prevede budget significativi e sarebbe da moderatamente ad altamente
impopolare. Richiede un impegnativo lavoro a livello di base, attività
disprezzata non soltanto dai politici ma anche dalle maggior parte delle OnG
attive nel campo dei Rom e dell'inclusione sociale.
Perché uno stato dovrebbe farlo? La risposta è semplice - non c'è un'altra
soluzione.
La maggior parte dei governi dei Rom "Frankestein" vuole sbarazzarsi di chi
non si insedierà stabilmente in altri paesi. Continueranno a vivere di welfare
nei paesi di origine come in Occidente. Alcuni useranno le loro esperienze
criminali in occidente per rafforzare la rete criminale nei loro paesi. Sta già
succedendo: nel ghetto dove opero, negli ultimi anni ho visto salire alle stelle
il numero di tossicodipendenti. Arrivano sempre più soldi da traffico di droghe
e prostituzione. Le bande criminali controllano un numero significativo di
persone, attraverso denaro o minacce, e sono in grado di influenzare le
elezioni. La corruzione è rampante. I collegamenti tra questi criminali e
politici di alto livello sono talvolta pubblici. Tutto questo porta a costi
significativamente più alti di quanto le misure di inclusione sociale possano
costare.
Un'altra ragione per lavorare verso l'inclusione sociale è la situazione
catastrofica dei bambini e della gioventù rom, nei gruppi inclini a migrare.
All'inizio degli anni '90 alcuni Rom fecero fortuna andando in Europa
Occidentale coi loro figli. Questi bambini divennero la prima di tante
generazioni perdute. Bambini ed adulti erano coinvolti nell'accattonaggio,
alcuni nella piccola criminalità, alcuni suonavano in cambio di denaro e altri
compravano e rivendevano metalli. Alcuni di questi si misero in affari con
vestiti e macchine di seconda mano. Spendono il guadagnato in patria, per lo più
come stridente segno di benessere.
Per molti Rom, fare soldi è diventato molto più importante dell'istruzione o
di cercare un lavoro stabile. I Rom furono tra i primi a perdere il lavoro,
durante la transizione dal socialismo alla democrazia all'inizio degli anni '90.
Il successo di pochi nel fare soldi facili all'estero, fu molto più visibile del
"normale" ma più a lungo termine successo di quanti avevano investito nella
propria istruzione. Successo a lungo termine reso ancora meno visibile dal fatto
che la maggioranza di quanti erano riusciti a completare gli studi avevano
lasciato i ghetti o le loro comunità. Professionisti rom, istruiti e prosperi,
si trovano a dover scegliere tra il nascondere le proprie radici e cercare di
fondersi con la popolazione maggioritaria (personalmente conosco almeno un
centinaio di casi), oppure affrontare il razzismo strutturale a tutti i livelli
(vedi i miei precedenti articoli sul razzismo strutturale). I loro risultati non
sono mai così visibili come le "conquiste" di chi ha fatto soldi "facili".
Quanti finiscono in prigione tentando di fare denaro "facile" vengono
ignorati, in quanto il carcere è considerato parte del normale ciclo della vita
in queste comunità.
I bambini che negli anni '90 facevano soldi con le elemosine o rubando, sono
diventati adulti che usano i loro figli per elemosinare o rubare. Questi
bambini, a loro volta, lo faranno coi loro figli quando ce ne sarà
l'opportunità. I bambini che rubano non possono essere messi in prigione, ed
alcuni di loro diventano fonti di reddito per i genitori, parenti o reti
criminali che li sfruttano. Gli stessi principi si applicano quando si tratta di
prostituzione o spaccio di droga.
La molla di far soldi distrugge generazione dopo generazione, quei giovani
che vivono di questi "mestieri". E' un'economia "di nicchia", una volta molto
produttiva, ed in alcuni casi lo è ancora. Conosco un buon numero di famiglie
che viaggia in aereo per mendicare.
Mentre l'istruzione richiede disciplina e non ha un ritorno immediato,
elemosinare o rubare porta ad un minorenne centinaia di euro al mese. Spacciare
droghe diventa il nuovo "lavoro" sempre più produttivo nei ghetti delle grandi
città nell'Europa Centrale e Orientale.
E' quasi impossibile stimare il danno psicologico patito dai bambini
coinvolti in questi "traffici", e nella maggior parte dei casi è completamente
ignorato dai genitori, che pensano al beneficio economico dei loro figli. Questi
bambini diventano adulti che non avranno alcuna possibilità di competere nel
mercato del lavoro, ma hanno le competenze, le reti, l'appoggio e la motivazione
per fare bene nell'economia criminale. Spaccio, prostituzione, furto ed
accattonaggio, per un giovane non istruito (e di solito analfabeta) pagano
comunque meglio di qualsiasi lavoro legale possibile.
Una prostituta su cento è fortunata e riuscirà a pagare i trafficanti,
fuggire da droga e protettori, fare ritorno col denaro necessario ad aprire un
centro di massaggi erotici, che è l'unico modello in questione nel ghetto dove
lavoro. Le storie di quante muoiono di overdose, sono picchiate a morte da
clienti o trafficanti, o contraggono l'HIV o altre malattie, sono semplicemente
ignorate dalle ragazze che vivono in condizioni di abbietta povertà e vedono la
prostituzione come l'unica possibilità per uscirne.
Inoltre, le peggiori condizioni in Europa Occidentale, sono meglio sotto
quasi ogni aspetto del vivere nei ghetti delle misere comunità in Europa
Orientale. Migliori l'assistenza e i servizi sociali, migliore il sistema
scolastico. Per criminali, mendicanti e prostitute (che siano Rom oppure no) più
ricco è il paese e più si guadagna. Prostitute e mendicanti a volte guadagnano
dieci volte di più che nei loro paesi. Le condizioni carcerarie sono di gran
lunga migliori e le pene detentive più brevi.
E' vero che ci sono immediati benefici economici se i Rom "Frankestein"
lasciano il loro paese. Ma tutto ciò ha effetti disastrosi nel lungo termine,
distruggendo i propri figli generazione dopo generazione. Possono esserci
ripercussioni a lungo termine: i Rom hanno la percentuale di giovani più alta di
qualsiasi gruppo etnico in Europa; questi giovani devono completare gli stuidi
per poter competere sul mercato del lavoro. La sostenibilità di molte pensione
negli stati membri UE potrebbe dipendere da ciò.
I benefici economici derivanti dall'accattonaggio o dalla microcriminalità
sono già di molto inferiori a quanto erano negli anni '90, e presto non ci
saranno più "nuovi mercati" da sfruttare. La crescita dell'antiziganismo è già
un effetto diretto della migrazione e renderà più difficile e costosa
l'inclusione sociale. Il risultato finale sarà un pericoloso effetto a spirale
di rifiuto sempre più generalizzato da parte della società maggioritaria. L'antiziganismo
rampante può risolversi in conflitti interetnici - i cui costi economici sono
impossibili da stimare.
L'attuale flusso delle migrazioni dei Rom "Frankestein" dev'essere
indirizzato meglio. E' impossibile bloccarlo completamente, ma usare in maniera
più efficiente i fondi UE può portarne ad un significativa riduzione
(specialmente di bambini) che lasciano i loro paesi.
La responsabilità di molti di quei bambini, giovani e adulti di queste
generazioni perdute, ricade non solo sugli irresponsabili genitori e gli inetti
amministratori e politici locali, ma anche sui burocrati rinchiusi a Bruxelles o
nelle capitali europee.
Una valutazione responsabile ed indipendente di tutte queste burocrazie e di
come siano spesi centinaia di migliaia di euro sulle tematiche rom è necessaria
se vogliamo successo con l'inclusione sociale dei Rom. Valutazioni che sono un
normale requisito che queste organizzazioni impongono alle OnG - non c'è ragione
per cui loro non debbano sottostare agli stessi controlli.
[1] Contrariamente alla credenza popolare. Frankenstein
non era un mostro, ma il creatore pieno di speranze di quello che si è rivelato
un mostro. Victor Frankentein è descritto come molto intelligente ed istruito.
Il problema è che il suo orgoglio e la sua arroganza circuirono le sue
responsabilità.
Il titolo del convegno è esplicito: Il ruolo delle donne rom nella tutela dei
diritti umani e in tempi di crisi economica. Lo ha organizzato a Roma la sezione
italiana di Amnesty international, riunendo quattro donne unite da forti
motivazioni, esperienza, capacità comunicative e competenza: Isabella Miheleche,
attivista per i diritti delle donne in Romania, Beatriz Carrillo, presidente
dell'associazione Fakali, per i gitani nella regione spagnola dell'Andalusia, Dijana Pavlovic, dell'associazione Rom e Sinti insieme che opera in Italia, e
Dzemila Salkanovic, per l'associazione 21 luglio.
Isabela Michalache, nel denunciare l'aumento delle discriminazioni, le
difficoltà nell'accesso al lavoro e ai servizi pubblici (è successo che anche i
medici, a volte, abbiano rifiutato le cure), ha toccato anche il delicato tasto
delle problematiche interne alle stesse comunità, dai casi di violenza fra le
mura domestiche al ripristino di regole ancestrali come quella sulla verginità e
ai matrimoni precoci. A causa della crisi, ha spiegato, le donne sono divenute
ancora più vulnerabili. In Romania era stato approvato un piano strategico
nazionale che prevedeva interventi a lungo termine, soprattutto nel campo della
formazione e dell'istruzione, ma non ci sono le risorse per attuarlo.
"Bisognerebbe – ha affermato Michalache – operare per rendere le donne più
autonome, fornendo libri di testo, sussidi alle famiglie, favorendo la
concessione di crediti per chi ad esempio in Moldavia, vuole lavorare la terra,
bloccare sfratti e sgomberi che creano emarginazione e disagi, produrre
cambiamento anche valorizzando le ong composte da rom. Ci sarebbero mille
piccoli interventi alla nostra portata, non solo in Romania, e che produrrebbero
cambiamenti importanti e duraturi".
Beatriz Carrillo, con un intervento molto appassionato, ha voluto aprire una
riflessione su quella che ha definito "storia muta e invisibile", anche se è
consapevole che la situazione spagnola finora è stata fra le migliori d'Europa.
Sarà per una presenza numericamente molto consistente, stabile e nata da tempi
lontani e per una programmazione di interventi messi in atto per la salute, il
lavoro, l'istruzione, fatto sta che in Spagna sono nate istituzioni partecipate
e riconosciute dal governo come il Consiglio statale del popolo rom e l'Istituto
di cultura gitana. In Spagna si è tenuto il primo congresso mondiale delle donne
gitane senza aver bisogno di intermediari. "La Spagna in questo senso è un
modello da seguire – ha dichiarato la relatrice- Ma da noi è stato più facile
anche grazie all'alto numero di gitani che esercitano professioni che hanno
esercitato influenza nella cultura spagnola e che si sono amalgamati con la
società". L'immagine che però viene riaffermata anche in Spagna delle
popolazioni rom è carica di negatività, tanto che nelle scuole, a detta di Carrillo, spariscono la lingua, le differenze e anche la rivendicazione di
identità. "Anche da noi, come nel resto d'Europa, le cose peggiorano. Gruppi
estremistici entrano nei governi e nei parlamenti con un messaggio razzista e
discriminatorio. Gruppi che vengono condannati a parole ma mai concretamente
sanzionati. La situazione è poi precipitata anche da noi con la crisi. Non
vogliamo essere un fanalino di coda ma essere ad armi pari. Non siamo disposte a
vedere annientati i nostri valori culturali, vogliamo affrontare anche con gli
uomini la società gitana. Fakali è impegnata per l'emancipazione femminile e per
far valere i nostri valori di solidarietà e rispetto rifiutando però
l'assimilazione". E c' è stato anche modo e tempo per ricostruire un percorso
che attraversa gli anni bui della dittatura franchista e che ha una svolta nel
1978 quando, nel primo governo democratico, trova posto anche un rom che si era
distinto per l'impegno in anni scomodi. Le donne rom hanno operato anche insieme
alle altre cittadine spagnole, per una legislazione più paritaria, sono entrate
nelle università e hanno fatto sentire anche politicamente la propria voce.
Dijana Pavlovic ha stupito e commosso recitando una parte del monologo Vita mia
parla, basato sulla vita di Mariella Mehr, scrittrice e poetessa jenish (nome
dato ai rom svizzeri), che nel paese elvetico fu vittima del programma di
sterilizzazione forzata imposto dagli anni Venti fino al 1974 tramite
l'istituzione Pro Juventute. Un testo violento e diretto, in cui si raccontano
con crudo realismo le violenze subite e l'odio accumulato, torture che non
sembrano possibili e che pure sono state reali in un Europa cieca e pronta a
girarsi dall'altra parte.
Dzemila Salkanovic, invece, come racconta nella lunga
intervista che ci ha
rilasciato, ha parlato della vita difficile che nella capitale italiana
conducono i rom, tanto divisi e poco capaci ancora di fare fronte comune.
Numerose le domande che hanno trovato puntuale e non scontata risposta. A chi
criticava il machismo spesso diffuso nelle comunità rom è stato comunemente
risposto come il machismo, la violenza sulle donne, gli elementi di
problematicità a volte drammatica, siano caratteristica comune e da combattere
in ogni cultura. Non nascondendosi dietro alla presunzione che il problema
riguardi solo universi ritenuti inferiori ma mettendosi, come uomini e come
donne, in discussione. Fra i tanti elementi emersi, che meriterebbero ulteriori
approfondimenti, il peggioramento delle condizioni nell'Est europeo dopo il
crollo del muro e dei regimi. C'era concordia nell'affermare che la
privatizzazione di ogni servizio abbia approfondito le disparità, tolto ai rom
diritti acquisiti come la casa, la sanità, la scuola e il lavoro. Duro accettare
che tali disagi vengano comunemente imputati alla "democrazia". E' comune la
richiesta di una moratoria continentale della politica degli sgomberi, capaci
solo di produrre disperazione. E a dirlo, a spiegarlo non sono attivisti neutri
di associazioni che si occupano dei rom, ma donne rom in carne ed ossa.
RadioBremenI Rom in Germania "I nostri bambini venivano picchiati"
Devono combattere contro molti pregiudizi: si tratta dei Rom. Un rapporto sul
loro gruppo etnico - spesso perseguitato dal punto di vista politico - nota come
sempre più Rom vengano in Germania. Nella battaglia per il loro riconoscimento
sociale trovano un sostegno presso il "Refugio", un'associazione che assiste
psicologicamente i profughi provenienti da aree di crisi. "Refugio" è un centro
di trattamento psicosociale e terapeutico per profughi e per sopravvissuti a
torture, persone che hanno visto la guerra con i loro occhi. Il più delle volte
si tratta di superare dei traumi: le persone che vengono al "Refugio" sono state
perseguitate a causa della loro appartenenza religiosa, politica, etnica o
sessuale e, talvolta, hanno subito anche torture.
Il signor M. - che non intende rivelare il suo nome per intero - vive in
Germania da tre anni. Con i suoi cinque figli e sua moglie ha cercato asilo in
Germania, poiché la vita da rom nel suo villaggio di origine in Serbia diventava
ogni giorno più difficile. "Non avevamo pace, i nostri bambini venivano
picchiati. Tornavano a casa da scuola sempre piangendo". La goccia che ha fatto
traboccare il vaso: una delle sue figlie venne investita da un'auto;
sopravvisse, riportando però gravi lesioni. Il conducente dell'auto ammise di
aver travolto la bambina di proposito - perché si trattava di una bambina rom.
Scarso accesso all'assistenza sanitaria
Adesso la famiglia di M. vive in Germania e si sente al sicuro, grazie anche
all'aiuto del "Refugio". L'anno scorso sono arrivati al centro di trattamento
della città anseatica 16 Rom, "un po' più degli anni precedenti", spiega Bjoern
Steuernagel, direttore del "Refugio" di Brema. I pazienti hanno vissuto sulla
loro pelle discriminazione ed emarginazione: "Si può parlare a tutti gli effetti
di una violenza sistematica nei confronti della minoranza etnica dei Rom, che si
manifesta nello scarso accesso all'assistenza sanitaria e ai contributi sociali.
Si tratta di un tipo di emarginazione dalla quale scaturisce poi inevitabilmente
la povertà".
800 Rom vivono a Brema - tendenza in aumento
Nessuno sa con esattezza quanti Rom vengano via via in Germania. Questo perché
l'ufficio federale per la migrazione e per i profughi non rileva i singoli
gruppi etnici. Sono soltanto i paesi di origine a fornire un'indicazione.
Veniamo così a sapere che è di etnia Rom circa il 90 per cento dei richiedenti
asilo provenienti dagli stati balcanici quali Macedonia, Serbia, Kosovo e
Bosnia-Erzegovina. Da questi paesi, fino ad ottobre 2012, erano arrivati in
Germania circa 5000 Rom. A settembre erano ancora 2800. E da allora il numero
dei richiedenti asilo è aumentato ancora. A Brema vivono attualmente 800 Rom.
Secondo l'Associazione Federale dei Sinti e Rom di Brema questa tendenza sarebbe
in aumento.
Tra gli immigrati rientrano anche i cittadini dell'UE provenienti dalla Romania
e dalla Bulgaria. Afferma Steuernagel: "Dove comincia il diritto di asilo e dove
finisce? Perché anche persone provenienti dalla Romania o dalla Bulgaria possono
venirsi a trovare in condizioni esistenziali di grave disagio economico e, di
conseguenza, decidere di venire qua - grazie alla libera circolazione
all'interno dell'UE - nell'aspettativa di un lavoro almeno temporaneo".
Steuernagel stima che, nei paesi di origine, fino al 90 per cento dei Rom sia
senza lavoro. A questo punto, secondo lui, il passo successivo verso la povertà
e verso i margini della società viene di conseguenza.
Razzismo profondamente radicato
Steuernagel attribuisce ad un razzismo profondamente radicato il motivo
principale della situazione attuale in cui si trovano i Rom. Un razzismo che è
presente in tutti i paesi europei. M. afferma che non gli siano mai capitati
direttamente episodi di razzismo, ma di essere a conoscenza, tuttavia, dei
pregiudizi esistenti nei confronti dei Rom e di averne timore: "E' una brutta
cosa. Se tutti cominciassero a pensare che i Rom non siano in grado di dare il
loro contributo alla società, allora anche qui in Germania non ci sarebbe più
posto per noi, esattamente come in Serbia".
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