Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Cari compagni e amici, aggiornamento sugli sgombrati di Casoria. Dopo un mese e passa, una parte, ovverossia gli ospitati nella chiesa dei gesuiti a Scampia (circa 40) sono stati finalmente accolti dal Comune di Napoli, su investitura della Prefettura, nella scuola G. Deledda di Soccavo. L'operazione è stata condotta per i primi venti ieri sera, in fretta e furia, senza interpellare l'O.N. e quindi senza opportuna mediazione. I Rom hanno titubato, anche perchè istigati a rifiutare da parte di alcuni scalmanati fricchettoni che non hanno problemi di permessi di soggiorno e di tetto sulla testa. Stasera sono andato a parlargli io e mi sono fatto interprete di una richiesta di maggiore elasticità delle regole del centro, in particolare, sul punto riguardante le uscite diurne (ore 9-19) per i neonati, i malati gravi e le donne incinte. L'accoglienza non è ottimale, ma migliorabile, come già si è fatto in altre parti della Deledda, ad opera degli stessi Rom. Credo che sia un'occasione che non dovrebbero lasciarsi sfuggire, visto che tre anni di lotta hanno prodotto solo questo poco, teniamocelo stretto, nella prospettiva di rilanciare la lotta politica su scala più generale (vedi legge regionale). Rimane il problema per quelle famiglie rom rimaste in baracca a Scampia e nella chiesa evangelica, oltre che per quelli a Torre del Greco (e a Bari). Su queste famiglie, non esiste accoglienza prevista e il Comune di Napoli se ne lava le mani. Tra l'altro, alla Rotonda di Cupa Perillo, si sente sempre più insistentemente la voce di sgombero imminenti per tutti, rumeni e slavi compresi (1-2 mesi). Ultima comunicazione: lunedì mattina alle 10 vado con l'avv. in Questura, se avete casi emblematici di p.di s. da chiedere, fatemelo sapere in tempo. [...]
ciao e a presto.
Di Fabrizio (del 14/12/2005 @ 07:15:21, in Italia, visitato 2169 volte)
Dopo MerateOnline che aveva pubblicato il nostro comunicato e dopo aver riportato la cronaca dell’Associazione Radicale Enzo Tortora, questo è apparso sul numero 79 del giornale Martesana2:I rom di via Idro contro generalizzazioni e indifferenzaI rom del campo storico di via Idro 62 non ci stanno a essere coinvolti nelle rapine e nelle violenze avvenute nelle ville della Brianza nelle settimane scorse. Non ci stanno a essere sbattuti sulle pagine dei quotidiani milanesi insieme ai veri responsabili; alcuni di questi ultimi vivono in baracche e roulotte tra il Lambro e la Martesana, nei comuni di Cologno, Vimodrone e Cernusco oltre che di Milano; ma quando si tratta di raccontare la provenienza dei responsabili di questi crimini, quasi tutti i giornali parlano dei rom di via Idro. Le 150 persone che ci vivono, non ci stanno a essere di nuovo isolati, mettendo in discussione i risultati di convivenza costruiti nei quindici anni di via Idro: la cooperativa Laci Buti, convenzionata con i Parchi e Giardini del Comune di Milano, che dà lavoro ad una quindicina di loro; un campo ben attrezzato e sistemato con casette in legno e addirittura in cemento, da loro costruite e mai condonate nonostante i loro tentativi. Per non parlare dei bambini e dei ragazzi che frequentano la scuola e di tutte le altre piccole cose conseguenti alla loro scelta di essere una comunità stanziale che vuole rimanere e continuare a vivere nel loro campo. I risultati non sono incoraggianti; all’incontro da loro organizzato per venerdì 2 dicembre al campo e preparato da circa 200 inviti mandati a giornali e istituzioni, si sono presentati solamente il rappresentante dei Ds di viale Monza, dei Radicali, dell’Anpi di Precotto e del nostro giornale. Non poteva poi mancare Fabrizio Casavola, loro amico da tempo. Temono l’indifferenza delle istituzioni in primo luogo; prima vengono sgomberati altri campi e poi nella nostra zona i vari Borghezio organizzano manifestazioni contro le soluzioni alternative che la Casa della Carità, solo per citare un esempio, prova a mettere in essere. Gli stessi accampamenti provvisori sorti in questi mesi nella campagna intorno a via Idro sono la conseguenza della chiusura di altri campi voluta dal Comune. I rom di via Idro sono i primi ad affermare che in quegli accampamenti soprattutto di rom rumeni, convivono persone oneste e delinquenti. Bisogna però saper distinguere e intervenire, fare progetti di mediazione culturale e sociale, altrimenti tutto si confonde e vincono coloro che vogliono fare di tutta l’erba un fascio. E per questi motivi le famiglie della comunità Rom di via Idro 62 precisano in un loro comunicato: [ segue il testo del comunicato]
L'articolo è di Paolo Pinardi
PS: come affermato tante volte su questo blog, i problemi e le logistiche dei campi-sosta sono da affrontarsi di concerto con quelli dei quartieri che li ospitano. Leggendo quest'altro articolo di Giuseppe Natale, sempre sul numero 79, conoscerete qualcosa di più su quella zona, ritrovando nomi e situazioni che spesso ricorrono nelle cronache della Mahalla.
Di Fabrizio (del 15/12/2005 @ 11:42:14, in Italia, visitato 1972 volte)
ROMA - In ritardo, ma è arrivata. L’attesa circolare del Viminale che autorizza i rientri in Italia con il “cedolino”, per chi torna a casa nel periodo natalizio, è finalmente uscita. Quest’anno il provvedimento è valido dal 15 dicembre 2005 al 31 gennaio 2006. Una finestra di un mese e mezzo.
da Sucar Drom
Trento, 16 dicembre 2005 - notizia ADN Kronos
I Sinti, residenti in Provincia di Trento ormai da generazioni, non sono nomadi, ma trentini a tutti gli effetti, con lingua e cultura diverse. Per questo vanno riconosciuti come minoranza linguistica alla stregua di ladini, mocheni e cimbri e, conseguente, tutelati. E´ una delle idee emerse nel corso della riunione del Consiglio Scolastico Provinciale che ha riunito, dirigenti, operatori e professori, su appello della presidente Lucia Coppola, che ha affermato: ''Si parla di riconoscimento come minoranza dei nonesi; tanto piu' lo si dovrebbe fare per gli zingari''.
(Waf/Pe/Adnkronos)
Di Fabrizio (del 22/12/2005 @ 09:15:38, in Italia, visitato 2254 volte)
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ROMEO GIGLI ALTA MODA ROMA |
Per l'Alta Moda Roma Romeo Gigli rilegge la cultura e l’estetica dei Rom |
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Classe 1949, un passato tra i libri antichi dei genitori antiquari, un viaggio di 4 mesi in India negli anni caldi all’insegna di “Love & Peace”. E poi ancora un lunga esperienza a Londra, prima e a New York poi, dove Gigli si fa “le ossa” prima di fondare nel 1983 la griffe che porta il suo nome con cui sfilerà a Milano Collezioni Donna e a Parigi pret-à-porter scandendo ad ogni sfilata standing ovation e facendo versare fiumi di inchiostro sulle riviste specializzate di tutto il mondo. Oggi Romeo Gigli torna a far parlare di sé grazie alla sua personalissima rivisitazione della moda (e della cultura) Rom presentata durante l’ultima Roma Alta Moda. “Non una sfilata, ma una vera pièce teatrale”, ci tiene a sottolineare lo stilista.
Dove vuole approdare? “C’è un unico continente che non conosco bene: l’Africa. Perché mio padre adorava l’Africa l’aveva vista in lungo e in largo quindi quando abbiamo iniziato a viaggiare tutti insieme in famiglia, abbiamo toccato diversi paesi ma mai l’Africa. E’ un viaggio che mi riprometto di fare…2
Come si concilia il gusto per l’antico che ha ereditato da suo padre, libraio antiquario, con la voglia di nuovo? “Mio padre ma anche mio nonno e il mio bisnonno erano librai antiquari e quella sarebbe dovuta essere la mia strada. Poi è successo che la vita ha modificato i questi piani. A 18 anni mi sono ritrovato a inventare da zero la mia vita. Nel ’67, dopo la maturità, andai per quattro mesi in India e da quel momento decisi di incontrare altre culture. Ero intriso della nostra, e volevo conoscere e leggere meglio gli altri Paesi.” Quindi non si è trattato di una fuga dalle proprie radici… “L’India mi ha arricchito tantissimo e la curiosità per altre culture si è scatenata. Da allora decisi he sarei stato viaggiatore.” Cosa è la sensualità? Non certo, forse, una scollatura o una trasparenza… “La sensualità è un modo di essere, di guardare, un gesto…” Parliamo di queste sfilata… “Rileggo la cultura e l’estetica dei Rom. Io ho ripercorso quello che è il loro Grande Viaggio che nasce in India e dilaga attraverso la Persia, l’Africa del Nord, raggiunge poi i Paesi dell’Est Europeo poi l’Italia, la Francia, la Spagna. I Rom, portandosi appresso questo bagaglio culturale hanno contaminato tutte le culture. Io non mi sono affidato solo a quello che i campi Rom romani raccontano ma ho voluto analizzare tutto questo loro lungo viaggio dalle origini…” E come si traduce questo nella moda? “Questa non è moda. Ma un racconto del loro viaggio estetico. Nella sfilata si ritrovano elementi che ricordano l’India, la Persia, l’Est, la Spagna. Ti racconto come ho viaggiato: sono entrato nei campi Rom e ho chiesto a loro di darmi alcuni dei loro costumi tradizionali che oggi sono sempre più rari perché i giovani oggi rifiutano i loro costumi perché si vogliono integrare nella metropoli. Per cui sono riuscito a trovare solo pochissimi pezzi. Ho usato 5-6 gonne di forme diverse che loro avevano e ho cercato di capire come le donne e gli uomini Rom scelgono e assemblano le loro materie. E ho scoperto che le Rom hanno un loro capo distintivo, la gonnellona che tutti conosciamo, e poi si impossessano di tutto ciò che incontrano. Il sopra non è mai loro, è qualcosa di cui si sono appropriate. Ho quindi iniziato a rileggere le loro gonne reinventandoli con altri materiali e stili, esattamente come fanno loro. Cioè cercando nei mercatini, mischiando tra loro stili materiali e colori. E ho poi aggiunto capi che ho raccolto nel mondo, d’archivio, di vintage, ricreando le varie estetiche. Cioè ogni donna è UNA donna. Ogni donna ha una abito ed è quella donna, calata nel personaggio così tanto da diventarlo. Tutto ciò non ha niente a che fare con la distribuzione. I capi della sfilata non saranno prodotti.” Il fine? “Supportare la loro cultura. Dare nuova energia a queste popolazioni, ai campi. Le donne sanno cucire, possono così riproporre la loro cultura. Al pubblico magari sono piaciute tre gonne, perché allora non permettere alle sartine Rom di riprodurle e venderle? Inoltre a Roma le sartine gitane non hanno una sede vera e propria e cuciono dove possono, su un albero, in mezzo alla piazza. Sarebbe importante costruire qualcosa per loro, dare loro uno spazio dove possano raccontare la loro storia.” Gli zingari italiani, conservano oggi la loro tradizione o pensa stia scomparendo? “Loro sanno perfettamente fare ciò che fa parte del loro costume. Basta solo chiederlo, basta ridare loro lo stimolo, il desiderio di ripossedere le loro tradizioni.” Come affronta lo stress da pre sfilata? Ho letto che fuma tantissimo…” “Fumo abbastanza, non troppo. Mi serve per la concentrazione. E preparare la sfilata non è stressante anche se molto faticoso. Dopo tre settimane di preparativi arrivo stremato. E’ stato un buon lavoro costruire in sole tre settimane un lavoro dal nulla. Ma è stato meraviglioso incontrare queste persone.” Ci racconta un episodio che le è rimasto impresso? “Non c’è donna Rom che non mi voglia leggere la mano… E mi leggono delle cose bellissime.” (ride) Da un lato oggi nella moda si va verso la globalizzazione, esiste modo di reinventare qualcosa di nuovo e superare l’empasse? “E’ un grande empasse, costretto in qualche modo dalle aziende e in qualche modo anche dalla comunicazione. Esistono degli stereotipi in cui non tutti si riconoscono. La tv ci racconta che le donne devono essere con le cosce fuori, col seno che esplode. Non credo che tutte le donne si riconoscano in questo. Forse un 15-20%. Esiste ancora un vincolo in questo momento dal quale non si riesce a uscire, a parte pochissimi creativi sempre più rari, dove la moda è un riciclo continuo di quello che è già stato. La moda del passato è irriproponibile perché si è persa l’energia che c’era in quel dato momento storico. Ma nel momento in cui lo rileggi in modo filologico, non c’è più energia. E’ consumata. Ed è quello il dramma.” Dove trova oggi l’ispirazione? “L’ispirazione si può trovare ovunque. E’ importantissimo però cercare di mantenere libera la propria identità. Nel momento in cui costringi il tuo pensiero a qualcosa hai perso ogni libertà per cui il racconto diventa difficile. Il compito di un creativo è di intuire il desiderio prossimo e farlo diventare progetto. Nel momento in cui la costrizione porta a non poter più leggere un possibile desiderio prossimo venturo, non ci più essere progetto contemporaneo.” |
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BACKSTAGE CAMPI ROM E SFILATA |
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Backstage, 29 gennaio – Prove generali per la sfilata “Il grande viaggio” – Com’è nata l’idea “Lo stile Rom” – Romeo Gigli: Creativo e viaggiatori |
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BACKSTAGE – ore 19, sabato 29 Gennaio I preparativi della sfilata vanno avanti ormai da tre settimane. Tra le modelle Romeo Gigli ha chiamato alcune ragazze Rom. Star d’eccezione: Benedetta Barzini nel ruolo della sciamana.
PROVE GENERALI – il grande viaggio Una striscia di sabbia tra muri ocra di una città inesistente è la passerella. La musica tradizionale riempie la scena. “Rileggo la cultura e l’estetica dei Rom” afferma Romeo Gigli. “Ho ripercorso il loro grande viaggio dall’India alla Persia, fino al Nord d’Africa e ai paesi dell’Est Europa e poi l’Italia, la Francia, la Spagna”.
COME E’ NATA L’IDEA – lo stile Rom La moda lascia spazio al racconto. “Sono entrato nei campi Rom” racconta lo stilista “e ho chiesto alcuni costumi tradizionali. Ho usato cinque gonne di forme diverse, le gonnellone che tutti conosciamo. Ho cercato di capire come i Rom scelgono e assemblano le loro materie. E ho scoperto che le Rom hanno un loro capo distintivo, la gonna, e poi si impossessano di tutto ciò che incontrano. Il sopra non è mai loro. Ho reinventato le loro gonne, cercando nei mercatini tessuti, mischiando tra loro materiali e colori. Sul tutto ho aggiunto capi che ho raccolto nel mondo, pezzi d’archivio e vintage. Ogni donna Rom è UNA donna. Ogni donna ha un abito ed è quella donna, calata nel suo personaggio”.
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Di Fabrizio (del 23/12/2005 @ 10:07:21, in Italia, visitato 1992 volte)
riprendo un interessante intervista apparsa su Aprile Interviste. Marco Bettini, giornalista e scrittore di thriller, racconta i sintomi di autodifesa che hanno conquistato la capitale dell'Emilia-Romagna quando si parla di legalità Michele Zacchi
La legalità a Bologna è un fatto nazionale e crea scalpore che sia un sindaco di sinistra come Sergio Cofferati a sollevare il problema. Questa volta proviamo ad affrontare il tema da un angolo particolare, parlando del problema con uno scrittore di gialli che nei suoi due libri ha mostrato i forti segni del disagio in questa rossa città. Si tratta di Marco Bettini, il suo secondo lavoro (“Lei è il mio peccato”) è attualmente in libreria ma la sua principale professione è quella di giornalista in un quotidiano nazionale. Un osservatorio privilegiato per ascoltare la città e capire quanta distanza o quanta sintonia ci sia oggi fra la politica e i bolognesi.
Qual è il senso comune della cittadinanza sul tema? Un politico deve rispondere in modo articolato, tu puoi farlo senza mediazioni. Credo che il disagio a Bologna si esprima, come accade spesso, attraverso il meccanismo della rimozione. Che non vuol dire negare il disagio ma negarne le cause, il che produce gli stessi effetti. Penso che Bologna, come cento altre città e nazioni, abbia passato gli ultimi venticinque anni a raccontarsi che i sintomi del malessere erano causati da quelli che venivano da fuori, dagli estranei, che non coincidono necessariamente con gli stranieri. A Bologna sono stati considerati estranei gli indiani metropolitani nel 1977, gli studenti del Dams negli anni Ottanta, gli abitanti del Pilastro, quartiere a fortissima presenza meridionale, gli immigrati di origine araba o africana e adesso quelli che vengono dai paesi dell'Est Europa. Tutti sono stati usati, di volta in volta, per rappresentare la causa del disagio. Un modo come un altro per dire: il male non dipende da noi. Solo che questo, che sembra un puro meccanismo psicologico, ha avuto effetti pratici devastanti. Per spiegare che livello di incomprensione della realtà ha toccato nel suo insieme la città, basta l'esempio della banda della Uno bianca. Un gruppo di criminali, costituito per la stragrande maggioranza di romagnolissimi poliziotti, ha commesso decine e decine di rapine e omicidi nell'arco di sette anni, dal 1987 al 1994. Durante questo tempo sono stati processati e condannati, per gli stessi reati, sulla base di perizie, testimonianze e appassionate arringhe, la cosiddetta Banda della Regata, la cosiddetta Banda delle Coop e, quando i fratelli Savi hanno confessato, era in corso il processo alla cosiddetta Mafia del Pilastro. Più di quaranta persone sono state arrestate, quasi altrettante processate. Nonostante l'arresto e le ammissioni dei fratelli Savi, il pm del processo alla mafia del Pilastro ha chiesto comunque l'ergastolo per gli imputati, che naturalmente sono stati assolti. Penso che l'incomprensione dei fenomeni in atto non abbia prodotto solo un modello urbano avulso dalla realtà ma anche morti e feriti che si potevano, in parte, evitare. Perché è vero che la rimozione è un fenomeno psicologico, ma negare la realtà alla fine costa caro.
Nel tuo secondo libro l'attualità di questi giorni era stata anticipata: la criminalità legata all'immigrazione (parli della banda di rumeni) e i luoghi ghetto che a Bologna sono sempre gli stessi. Perché, a tuo avviso, non è stata interrotta questa ripetitività? La formazione dei ghetti bolognesi è ampiamente prevedibile. Prima di scrivere "Lei è il mio peccato", sono stato al Ferrhotel, dove si ammassavano i rumeni, che poi sono stati sfollati sul Lungo Reno, e infine nell'ex fornace Galotti, dove molti si sono rifugiati adesso. E proprio in quel punto, che ho in parte reinventato nel romanzo, chiamandolo "l'Inferno", nel dicembre del 1990 i criminali della Uno Bianca uccisero due nomadi, Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. Gli zingari non ci hanno messo più piede ma lo stesso luogo ha accolto le ondate successive di immigrati di diverse etnie. Perchè tutto sommato i luoghi dove fermarsi a coltivare speranze da disperati a Bologna sono pochi. Ma quello che rende tutto più difficile, per me, è il fatto che la speranza l'hanno perduta i bolognesi, come il resto degli italiani e degli occidentali in genere. Credo che questo sia ciò che ci rende soccombenti, come modello sociale. Perfino intere sacche di estremisti islamici, che mi fanno sinceramente orrore, credono che la loro battaglia, secondo me ideologicamente folle, gli farà guadagnare condizioni di vita migliori. Noi non ci speriamo più, e del resto non fanno che ripetercelo tutti i giorni. Il nostro mondo di domani sarà meno abbondante di quello di oggi, per non dire di peggio. Il fatto è che potrebbe almeno diventare migliore sotto il profilo spirituale (e non religioso, sia chiaro), della convivenza, della tolleranza. Ma pare che non gliene freghi niente a nessuno.
Bologna e la Uno bianca, Bologna e la sua inaccessibile piazza Verdi (quella del Teatro comunale e della sede centrale dell'Università). I giornali descrivono tutto quanto ricorrendo a metafore che ricordano il peggior gangsterimo americano. Fino a dove arriva la verità, e dove comincia il "colore"? Su Piazza Verdi, penso che sia uno di quegli esecrati luoghi che si presta a rappresentare la diversità. E' frequentato soprattutto da giovani, tossici e melomani in fila per il Teatro comunale. Sento parlare di Piazza Verdi da venticinque anni e in termini molto simili. Come ogni luogo inevitabile, rappresenta la somma di molte contraddizioni. Capisco il fastidio di chi ci abita, ma affrontandolo come un problema di ordine pubblico si finirebbe solo per spostare il problema, senza risolverlo. Un mese fa ho camminato di notte lungo via Zamboni, dalle Torri a porta San Donato, attraversando anche Piazza Verdi, e ho visto soprattutto molti giovani, molti locali aperti e molta birra consumata sotto i portici. Poi si notavano anche i segni del piccolo spaccio, dei punkabbestia, di comunità di emarginati. Mi è sembrato un tentativo di convivenza difficile, certo, ma almeno un tentativo. Oppure vogliamo pensare che un'intera generazione di diciottenni, figli nostri, si lasci affascinare dal degrado, al punto di passarci le serate nel bel mezzo, con dissimulato piacere? I toni da film di gangster americani possono funzionare nei titoli dei quotidiani, perennemente alla ricerca del "grip", ma spiegano poco di quel che succede veramente. Detto questo, io una speranza, guardando Bologna, ancora la coltivo. Mi pare che, pur in mezzo a errori che somigliano molto a una coazione a ripetere, in città persista la voglia di non lasciarsi travolgere, di non buttarla per forza in rissa, di ribellarsi alla dittatura dei luoghi comuni. Insomma, credo che se mai Bologna ha avuto o mantiene una sua peculiarità, non è il ritratto falso dell'isola felice, quanto il desiderio (che spero non degeneri semplicemente in sogno) di restare intelligente.
Marco Bettini, scrittore romagnolo che vive e lavora a Bologna, ha scritto tre romanzi. L'ultimo, il thriller "Lei è il mio peccato", edito da Rizzoli, è in libreria da poche settimane. Ha collaborato ai testi di diversi programmi della Rai. Gioca nell'Osvaldo Soriano Football Club, la Nazionale di calcio degli scrittori.
Il 6-7 dicembre si è tenuto a Roma l’VIII seminario nazionale dell’Opera Nomadi Nazionale dal titolo “I Rom, Sinti e le Metropoli”, diviso in gruppi di lavoro: Habitat e Sanità, Scuola, Lavoro, Diritti/Mediatori Rom/Sinti.
Opera Nomadi: Satus di minoranza cercasi Minoranza etnica autoctona? Italiani del Nord o del Sud? Stranieri comunitari o extracomunitari? Regolari o clandestini? Cittadini o esclusi?
La mancanza di un’identità formale continua a gravare sui numerosi gruppi di Rom, Sinti e Camminanti che, da più o meno tempo, vivono in Italia. Anche quest’anno l’Opera Nomadi, nata nel 1966 e composta da 30 sezioni da Bolzano alla Sicilia, ha voluto fare il punto sui problemi che riguardano circa 120.000 persone, in maggioranza giunte in tempi più recenti dai Balcani (a partire dal 1970 ma con forte incremento dal 1990) e dalla Romania (dal 2000), ma presenti anche da secoli (dal 1422) con forme autoctone, dalla Calabria al Veneto.
A fare da intermezzo al Seminario il I° concorso per “Musicisti di strada Rom e Sinti”, nato per promuovere l’istituzione, in ogni comune d’Italia, di un albo comunale per lavoratori musicisti di strada Rom e Sinti. Alla gara hanno partecipato diversi gruppi musicali, di canto e danza. A corollario del Seminario Nazionale un incontro con le istituzioni governative.
In attesa degli “Atti del Seminario” è possibile consultare “Romano Lil” circolare telematica dell’Opera Nomadi. Per iscriversi alla lista telematica: romanolil@libero.it Redazione tecnica, Presidenza Nazionale: tel. 06-44704749kkkk
Di Fabrizio (del 25/12/2005 @ 00:00:01, in Italia, visitato 2024 volte)
23 dicembre h. 04.29 - Mi leggerai il 25 dicembre - ore 00.00.01 Metti caso che i viandanti esistano ancora... e che si mettano in viaggio nel giorno + improbabile dell'anno... e che in questo giorno non si trovi un blog aperto neanche a pregare...Nel nostro villaggio volevamo essere sicuri di non farci trovare impreparati se qualche viandante dovesse finire qua proprio questo giorno. Gli altri, volendo leggeranno tra un po', se invece sei finito qua (anche per sbaglio) in questo strano giorno dove tutti hanno di meglio da fare, abbiamo rimesso a nuovo la stalla, la paglia è pulita, dovrebbero esserci bue, asino, pecore... Compreso il fatto che zio Kalderosh mentre risistemava le assi, ha perso la fiaschetta di grappa e forse sei così fortunato da ritrovarla; insomma, va un po' meglio di 2000 anni fa.
Se sei finito qua per noia o perché la televisione trasmette la solita rifrittura, c'è una breve telenovela per te. Era stata scritta a puntate ad agosto, ora se vuoi puoi rileggertela con calma. Così, capirai meglio dove sei capitato. Se vuoi qualcosa di + movimentato, questo forse può servire. Facci sapere se c'è bisogno d'altro. Visto che siamo in clima feste:
Veglione di capodanno al campo(x Milano & dintorni)Musica, balli, fuochi per una serata che ricorderete. Contattatemi per informazioni o partecipare:
Di Fabrizio (del 26/12/2005 @ 16:30:54, in Italia, visitato 2148 volte)
Ricevo da todocambia.org e porto a conoscenza: Inoltriamo questa mail ricevuta dai rifugiati che si trovano nello stabile di via Lecco. Vi preghiamo di diffonderlo. Chiediamo tutti di venire domani mattina (martedì 27) alle ore 6.00 in via lecco 9 per impedire la minaccia di sgombero. Appello alla città e conferenza stampaVoi cosa fareste? Siamo uomini, donne, qualche bambino. Abbiamo ottenuto il diritto d'asilo dallo stato italiano perché veniamo da luoghi di guerra, dal Sudan, dall'Eritrea, dall'Etiopia. Ci illudevamo che tale diritto significasse qualcosa: la possibilità di un percorso per ricominciare qui le nostre vite. Ma non è stato così. Dopo il permesso di soggiorno non abbiamo avuto nient'altro: non un biglietto per prendere il treno, non l'indicazione di un luogo dove dormire e mangiare, non una scuola in cui imparare l'italiano, non un suggerimento per cercare e trovare un lavoro. Solo un diritto alla strada e a prendere una multa ogni volta che saliamo su un mezzo pubblico. Dopo aver conosciuto le strade e qualche cascina abbandonata, da un mese siamo in via Lecco a Milano, in un edificio che era vuoto da moltissimi anni e lì abbiamo cercato di organizzare le nostre vite, aiutati anche dagli abitanti del quartiere e aspettando che il comune trovasse una soluzione degna. Ora vogliono obbligarci ad andarcene anche da qui. Voi cosa fareste? Lo chiediamo a tutti: alle istituzioni, non solo al comune, ma anche alla provincia e al prefetto, ad ogni singolo abitante di questa città e allo stato italiano. Pensavamo che il diritto d?asilo significasse qualcosa. E' possibile che sia solo una nostra illusione? Chiediamo: alla prefettura e alla questura di fermare lo sgombero al prefetto di Milano un incontro per affrontare insieme a noi la nostra situazione agli abitanti di Milano di continuare a sostenerci Martedì 27 dicembre alle ore 11 invitiamo tutti i giornalisti a una Conferenza stampa in via Lecco 9Unione rifugiati via Lecco
Compiere un gesto di solidarietà in memoria di Fiorella Ghilardotti.
Con questo spirito le donne della Federazione di Cremona dei Democratici di Sinistra hanno aperto una sottoscrizione di fondi finalizzata a dare sostegno al Progetto "Fiorella".
"E proprio denominato così - afferma la consigliera provinciale Cristina Manfredini che con Stefana Mariotti si sta facendo
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