Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 16/12/2010 @ 08:57:22, in Europa, visitato 1637 volte)
Da
Roma_Francais
Textes: Hervé de Chalendar
REPORT - Rom: ritorno, sotto la neve, nelle bidonvilles di Strasburgo
Alcuni sono rialloggiati in ostello, altri negli appartamenti. Altri infine
dormono sempre in rifugi indegni: da una settimana è stato lanciato il piano
"grande freddo" e siamo tornato a vedere i Rom di Strasburgo.
Tre mesi fa (L'Alsace del 4 settembre), non c'erano che tende. Ed il sibilo
delle auto era attenuato, filtrato attraverso le foglie delle siepi selvatiche.
Il campo è sempre là, a Strasburgo-Koenigshoffen, inserito tra la bretella
autostradale e lo stadio del calcio. Ma le tende non sono più occupate, sono
state rimpiazzate da tre baracche costruite con materiali di recupero.
"Le abbiamo costruite noi, per i bambini," racconta Samir, 20 anni. Dentro, i
pannelli di legno sono ricoperti da pezzi di tessuto. Una stufa sta bruciando
tutto il legno a disposizione.
Cinque persone vivono dormendo in questa baracca: "I miei genitori, io e le
due piccole," enumera Samir. Questa famiglia è arrivata in Francia nel 2001.
Vive di elemosina ed assegni familiari. Sono le 13.30. Vasil e Simana, 9 e 7
anni, ripartono verso la scuola.
Due giorni prima della nostra visita, le prefetture alsaziane avevano
attivato il piano "grande freddo". Quel giorno, la temperatura era di poco sopra
lo zero. La neve si attacca ai vestiti stesi sulle corde.
"E gli altri?"
Una dozzina di Rom vivono in questo campo, senza elettricità e con un solo
idrante, poco più lontano, per il rifornimento dell'acqua. Samir, annuncia una
grande novità: "Una signora del comune verrà a parlare con noi..." Se proponesse
un ostello? "Sarà complicato: non si può fare da mangiare, i bambini vanno a
scuola qui..." La "signora" in effetti arriva, accompagnata da un'altra. Tutti
si ritirano nella baracca. Poi Samir esce tutto contento: "Francamente, va
bene!" Ha proposto un appartamento sino al 31 marzo, in una struttura
associativa, verso Lingolsheim. La famiglia metterà un lucchetto alla baracca e
stasera la lascerà. "E gli altri?" Risposta: "Oggi a voi..."
Appartamento proposto a questa famiglia di cinque, ma anche a Gaby, 17 anni,
e suo figlio di cinque mesi. Eccola, appunto, col suo bambino in braccio. Quando
viene a conoscenza che il padre del bambino non ha diritto all'appartamento,
rifiuta l'aiuto offerto dal sindaco... E ritorna nel campo dove "alloggia",
dall'altro lato dello stadio. Allatta mentre cammina, in un paesaggio innevato.
Cinque roulotte con i vetri di plastica rattoppati col nastro adesivo sono
radunate attorno a degli alberi rachitici. Qui sopravvivono una ventina di
persone (di cui la metà sono minori). "Qui ho il riscaldamento, la legna,
tutto...", assicura timidamente la madre. La situazione si sistemerà poco dopo:
con l'aiuto di una associazione, la coppia e il bambino verranno rialloggiati in
un monolocale.
"La Romania, è morta!
"E io?" si interroga Nicola, suo vicino, padre anche lui di due bambini
piccoli. "Io, sono qui da vent'anni e non mi offrono niente?" Se gli si parla
del suo paese d'origine, si infuria: "Mai! La Romania, è morta!"
Passaggio in un terzo campo, sempre a Koenigshoffen. E' quasi deserto. Ci
sono solo tre roulotte. Dentro una di queste, Ramona, 22 anni, è solo di
passaggio: è da due mesi in un ostello, con suo marito, suo figlio (sette mesi)
e sua figlia (4 anni). Viene qui solo per preparare i pasti. Ma oggi, non c'è
più gas... "La bombola costa 27 €, non posso!" Ogni mattina, Ramona fa
l'elemosina sullo stesso pezzo di marciapiede di Strasburgo. "Tutti sono
abbastanza gentili con me..."
In Francia da due anni, segue corsi di francese e si scusa per il
disordine... Racconta di aver fatto domanda per l'auto impresa e di vivere di
piccoli commerci. Sorride, con fiducia...
Di Fabrizio (del 28/12/2010 @ 09:55:11, in Europa, visitato 2259 volte)
Da
Roma_Francais
24 heures Raphaël Ebinger | 21.12.2010 | 00:00
Il problema dell'aumento della comunità rom per le strade di Losanna e nei
centri d'accoglienza notturni pressa le autorità comunali. A punto tale che
l'incaricato del dicastero degli affari sociali, Jean-Christophe Bourquin, ha
deciso di mantenere il silenzio. Eppure, i giorni scorsi il rifugio di Vallée de
la Jeunesse, gestito dal suo ufficio, non poteva ospitare tutti i Senza Fissa
Dimora (SDF). Alcuni Rom sono stati costretti allora a dormire all'aperto.
La questione della mancanza di posti nei rifugi però fa reagire la
Losanna politica. Con l'obiettivo possibile di proibire l'accattonaggio. Questa
misura, depositata sotto forma di postulato oltre un anno fa, sarà discussa in
consiglio comunale il prossimo 18 gennaio. La sua attuazione potrebbe regolare,
tra l'altro, la popolazione rom.
Questa comunità è in effetti responsabile della situazione vissuta nei centri
d'accoglienza. "La tendenza era già verso la piena occupazione, - riconosce
Michel Cornut, capo del servizio sociale della città - Questo inverno, il netto
aumento dei Rom ha teso la situazione. L'apertura urgente di letti supplementari
a Vallée de la Jeunesse le ultime settimana non è sufficiente a ripianarla."
Attualmente, i Rom occupano la maggioranza dei 35 posti letto.
La soluzione di UDC, Lausanne Ensemble e dei Verdi, consiste dunque
nell'interdizione dell'accattonaggio. L’UDC chiede una proibizione totale,
mentre il fronte che riunisce i Verdi a Lausanne Ensemble vorrebbe che fosse
studiato un più vasto piano d'azione.
"Occorre che il comune prenda rapidamente in mano la situazione, aumentando
la capacità d'accoglienza delle strutture d'accoglimento, - dichiara dal conto
suo Alain Hubler, presidente di A Gauche toute! - è intollerabile lasciare le
persone dormire all'aperto." Una soluzione che potrebbe non risolvere la
situazione. "Mettere più letti a disposizione attirerebbe una popolazione più
numerosa e da più lontano - stima Michel Cornut. - Ci mancherebbero sempre dei
letti."
Assumere un mediatore
Resta forse una terza possibilità, che è anche parte della richiesta
depositata dal socialista Jean Tschopp: l'assunzione di un mediatore. "Potrebbe
spiegare le regole di vita che si applicano nei centri e nella società svizzera
in generale", nota Marc Vuilleumier, che difenderà questa disposizione.
L'incaricato alla sicurezza si riferisce ai Rom che hanno giocato ultimamente
grosse somme di denaro a poker (24 heures di sabato e ieri). Pratiche contrarie
al regolamento della struttura di Vallée de la Jeunesse e che sono valse loro un
avvertimento.
"Resta da sapere quali saranno i suoi incarichi - si domanda Axel Marion, di
Lausanne Ensemble. - Non deve essere il portavoce della comunità rom." Le parti
sostengono piuttosto l'idea che questo mediatore sia l'anello mancante per
entrare in contatto con una popolazione sconosciuta dagli attori sociali. "Dev'essere
un partner per cui noi possiamo comprenderli e per farci comprendere", precisa
Jean Tschopp.
Di Fabrizio (del 01/01/2011 @ 09:16:46, in Europa, visitato 3233 volte)
Da
Roma_und_Sinti
SPIEGEL ONLINE International La battaglia infinita sul memoriale di
Berlino a Rom e Sinti By Stefan Berg
Sabine Sauer / DER SPIEGEL
28/12/2010 - Il monumento ai Sinti e Rom uccisi nell'Olocausto è da anni
in nuce a Berlino. Ma i battibecchi hanno accompagnato il progetto per tutto
questo tempo. Adesso, con la costruzione in corso, nuove discussioni minacciano
di far deragliare il memoriale.
Il 6 dicembre di solito in Europa è un giorno dedicato ai regali. Ma
quest'anno a San Nicola, Bernd Neumann, commissario per gli affari culturali e i
media alla Cancelleria tedesca, ha ricevuto per posta una brutta sorpresa.
Era una lettera da Israele, piena di espressioni indignate, come "vergogna",
"credibilità" e "separazione effettiva".
La nota di protesta era spedita a Neumann, 68 anni, in quanto custode dei
monumenti e memoriali della nazione. Quando viene costruito un memoriale per le
vittime della dittatura nazista, Neumann, membro dei Cristiano Democratici, è il
responsabile della costruzione. E' un lavoro che richiede sensibilità, perché
affronta il collocamento delle vittime nella storia e lo status odierno delle
loro organizzazioni. L'erezione di un nuovo monumento è quasi sempre
accompagnata da aspre battaglie ad alto livello emotivo, che a volte durano sino
al giorno della cerimonia d'inaugurazione.
L'attuale controversia ruota attorno ad un memoriale per i circa 500.000
Sinti e Rom uccisi dalla Germania nazista durante la II guerra mondiale. Il
monumento è in costruzione proprio di fronte al Reichstag, la sede del
parlamento a Berlino, ma l'artista israeliano Dani Karavan, 80 anni, ed il
committente sono stati in disaccordo per mesi. Inizialmente la controversia
riguardava questioni banali come i materiali da costruzione e le spese. Ma ora
ha una natura più fondamentale. L'artista è preoccupato per la "santità" del suo
lavoro e sta minacciando di tirarsi fuori. Il progetto è in pericolo.
Una piccola piscina d'acqua
E' stata un'impresa complicata sin dall'inizio. Nel 1992, il governo tedesco
promise ai Sinti e ai Rom un memoriale tutto loro, perché il memoriale per
l'Olocausto nel cuore di Berlino era per commemorare lo sterminio degli Ebrei.
Agli altri gruppi di vittime vennero promesso i loro memoriali.
Partner del governo nella costruzione del monumento è il Consiglio Centrale
dei Rom e Sinti Tedeschi, ed il presidente del gruppo, Romani Rose, è stato il
responsabile della chiamata di Karavan, un artista testardo ma rispettato. Il
suo progetto per il memoriale - una piccola piscina d'acqua di 12 m. di diametro
con in mezzo una stele sporgente - venne accettato senza nessuna gara. Ma quasi
da subito, Sinti, Rom, gli storici e il governo si fecero coinvolgere in
un'accesa discussione sulla formulazione dell'iscrizione in onore delle vittime.
Così nel 2009, mentre la camera alta legislativa, il Bundesrat, stava
commemorando la persecuzione dei Rom e dei Sinti, la polizia venne chiamata
perché nelle toilette dello stesso Bundesrat avvenivano scontri trai diversi
gruppi di vittime.
Ora, però, la costruzione è finalmente in corso. Il governo federale ha
stanziato 2 milioni di euro per il progetto - più che sufficienti, si potrebbe
pensare, per il progetto di fontana che è relativamente semplice.
Ragionamento però, che si è dimostrato non corretto. L'influente avvocato
Peter Raue, appassionato d'arte, ha assunto il caso Karavan. "Quanta deviazione
dalla perfezione deve sopportare l'artista?" si chiede Raue, accusando le
autorità berlinesi di essere "burocratiche e sospettose". Non è questo il modo
di creare opere d'arte, aggiunge in una lettera alle autorità cittadine.
"Irregolarità inaccettabili"
Non un singolo dettaglio è stato trascurato nella disputa. "Può essere
garantito" che l'acciaio usato nella costruzione sia davvero antiruggine?
L'acqua nella piscina sembrerà così scura come vuole l'artista? E chi
supervisionerà la compagnia incaricata di costruire il monumento?
L'avvocato Raue lamenta che la città si è impegnata nella "segretezza" perché
gli incaricati cittadini hanno avuto l'audacia di visitare il cantiere senza
Karavan o un suo rappresentante presenti. Ci sono state polemiche sui cordoli di
saldatura, terminati prima della consegna di altri segmenti e quindi a rischio
di arrugginirsi. Karavan una volta si è lamentato di "irregolarità
inaccettabili" ed è stato sul punto di far interrompere la costruzione da un
tribunale.
In una serie di lettere tossiche, entrambe le parti si accusano a vicenda per
i ritardi. I desideri speciali di Karavan, dicono i funzionari cittadini, hanno
ritardato il progetto di due anni - "almeno". Raue, dal canto suo, accusa i
burocrati di essere "maleducati e distruttivi" e non esclude il "collasso del
progetto", aggiungendo: "L'artista ritirerà il suo nome se il lavoro non seguirà
le sue specifiche".
Ormai, i funzionari della Cancelleria sono stanchi di tutta la vicenda.
Sospettano anche che ci sia qualcos'altro dietro le "costanti richieste
dell'artista di modifiche", vale a dire semplicemente un modo di chiedere un
compenso più alto e maggiori oneri alla fine. Era stato concordato con Karavan
un rimborso forfettario delle spese di viaggio, e l'israeliano avrebbe dovuto
volare 10 volte in Germania per incontri e visite in loco. Ma poi ha sostenuto
costi più elevati per i biglietti individuali a Berlino o, in un caso, una
visita alla Filarmonica compresa di pasto per i suoi ospiti. "Assolutamente non
rimborsabile"l hanno concluso i funzionari.
Aspettando un disgelo
Ma esattamente, come si fa a raggiungere la capitale tedesca spendendo poco?
Volando con El Al o con Lufthansa? E all'anziano artista è permesso volare in Business
Class? L'avvocato Raue e l'amministrazione di Berlino si sono scambiati dure
note scritte, inizialmente su punti di saldatura e rapporti di prova, ed ora
sulle offerte aeree più economiche. Il suo cliente non ha mai presentato una
nota spese meno che accurata. Dati che tutto sta prendendo così tanto tempo,
dice Raue, ora è determinato ad ottenere una tariffa più alta per l'artista
israeliano.
Il commissario alla cultura Neumann sta facendo del suo meglio per smorzare i
toni, tentando tatticamente di placare tutte le parti. Vuol vedere il lavoro
completato, "d'accordo con l'artista, se possibile", sottolinea. Neumann si vede
chiamato a fungere da arbitro.
La data prevista per la cerimonia d'inaugurazione, il 28 ottobre, è già
passata, e non senza dispute su una nuova data. Ora le parti indicano
timidamente il prossimo maggio. Rimane da vedere se ciò accadrà.
Per ora il clima invernale ha portato un'interruzione alla costruzione.
Entrambe le parti aspettano un disgelo.
Di Fabrizio (del 07/01/2011 @ 09:47:16, in Europa, visitato 2067 volte)
Da
Roma_Daily_News
Roma Holocaust
1931
Inizio dei disordini contro le due "razze straniere non-europee" in Germania
(Ebrei e "zingari") da parte dell'Ufficio Informazioni NS (NS-Auskunftei)
dell'"SD del Reichsführer-SS" a Monaco.
1933
Richiesta da parte dell'"Ufficio Razza e Insediamento" (Rasse- und
Siedlungsamt) delle SS a Berlino per la sterilizzazione degli "zingari e
mezzi zingari".
Dal 1934 Ci sono tentativi da parte delle agenzie per escludere Sinti
e Rom dalle organizzazioni professionali.
15 settembre 1935
Promulgazione delle "Leggi Razziali di Norimberga" (Nürnberger Rassegesetze).
Frick, ministro degli interni del Reich dice il 3 gennaio 1936: "Di regola, le
razze indipendenti in Europa includono, a parte gli Ebrei, solo gli zingari".
Vengono interdetti i matrimoni misti tra Sinti e non-Sinti.
Novembre 1936
Istituzione dell'"Unità di Ricerca sull'Igiene Razziale" (Rassehygieneinstitut)
sotto la guida del dr. Robert Ritter al ministero degli interni del Reich.
Dal 1936
Sinti e Rom sono deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald,
Mauthausen e Ravensbrück.
Agosto 1938
Il dr. Adolf Würth, "ricercatore sulla razza" per Himmler, dice "Per noi la
questione zingara è primariamente una questione di razza. Proprio come lo stato
nazionalsocialista ha risolto la questione ebraica, così dovrò sistemare pure la
questione zingara".
1 ottobre 1938
Assorbimento del nazionalsocialista "dipartimento di polizia zingara" a
Monaco da parte del Dipartimento di Polizia Criminale del Reich (dal 27
settembre 1939: V Dipartimento dell'Ufficio Principale di Sicurezza del Reich, o
RSHA /Reichssicherheits hauptamt/) sotto il comando dell'SS-Oberführer Arthur
Nebe, ora superiore anche a Ritter. La deportazione di Ebrei e "zingari" è
attuata da Adolf Eichmann nella Sezione IV B4. La Gestapo requisisce le
proprietà di Sinti e Rom, rubate loro con la deportazione.
8 dicembre 1938
"Decreto base" di Himmler allo scopo di avviare a soluzione la questione
zingara riguardo l'esistenza della razza". Lo RSHA "accerta"
l'affiliazione "zingara" sulla base dei "rapporti sulla razza" di Ritter.
Dal marzo 1939
Nel "Vecchio Reich" vengono emessi ordini per la marcatura speciale di Sinti
e Rom e vengono istituite "carte d'identità razziali". Nel "Governatorato
Generale vengono forniti passaporti gialli per Ebrei e "zingari" con una "J" o
una "Z" nera.
21 settembre 1939
Conferenza dei capi dipartimento dei polizia della sicurezza e dei capi
degli Einsatzgruppen, o gruppi di azione speciale, sotto la presidenza di Heydrich,
sulla preparazione della deportazione dei "rimanenti 30.000 zingari" dal
territorio del Reich verso la Polonia.
13 ottobre 1939
L'SS-Hauptsturmführer Braune informa Eichmann che l'SS-Oberführer Nebe vuole
sapere "dove mandare gli zingari di Berlino".
16 ottobre 1939
Lo "SD Danube" informal'SS-Oberführer Nebe che "tre o quattro vagoni per
zingari possono essere aggiunti al primo trasporto ebraico" che lascerà Vienna
il 20 ottobre 1939. "I trasporti lasciano regolarmente Vienna, Mahr-Ostrau e
Katowice".
17 ottobre 1939
"Decreto Confinamento" (Festschreibungserlaß) di
Himmler. I 21 "uffici zingari" di
Königsberg, Praga, Vienna e Monaco per Amburgo, sotto l'Ufficio Principale
Sicurezza del Reich, devono erigere campi assembleari simili a quelli di
concentramento in preparazione per il trasporto ai campi di sterminio.
30 gennaio 1940
Heydrich tiene una conferenza con i capi delle SS sulla deportazione di
"tutti gli Ebrei nel nuovo Ostgaue e 30.000 zingari dai territori del Reich e
dall'Ostmark come l'ultimo movimento di massa nel Governatorato Generale".
27 aprile 1940
Ordini di
Himmler per le prime deportazioni di intere famiglie. A maggio i treni della
deportazione con 2.800 Sinti e Rom tedeschi nel "Governatorato Generale" partono
da Amburgo, Colonia e Hohenasperg vicino a Stoccarda.
1940
Nel campo di concentramento di Lackenbach a sud di Vienna, i corpi di Sinti
e Rom assassinati vengono sepolti in fosse comuni nel cimitero ebraico, gli
altri verranno deportati attraverso il ghetto di Lodz nel campo di
concentramento di Kulmnhof nel 1941.
Dal maggio 1941 Nella Serbia occupata si devono indossare bracciali
gialli identificativi con la parola "zingaro". Nei ghetti e nei campi di
concentramento della Polonia occupata, Sinti e Rom devono indossare bracciali
con la lettera "Z".
7 agosto1941
Un ordine di Himmler dichiara che il "Dipartimento di Polizia Criminale del
Reich userà i rapporti di razza per decidere" su ulteriori deportazioni di Rom e
Sinti tedeschi nei campi concentramento. L'"Unità di Ricerca sull'Igiene
Razziale" produrrà circa 24.000 "rapporti" entro la fine del 1944.
Dall'estate 1941
Sinti e Rom sono sistematicamente colpiti nelle zone orientali dai
cosiddetti
Einsatzgruppen come pure da unità della Wehrmacht e della Ordnungspolizei. Otto Ohlendorf
, capo dell'SS Einsatzgruppe dichiarerà al processo di Norimberga: "Non c'era
nessuna differenza tra zingari ed Ebrei, lo stesso ordine si applicava ad
entrambi".
10 ottobre 1941
Conferenza sulla "soluzione della questione ebraica" e sugli "zingari da
evacuare" nel Protettorato di Boemia e Moravia, tra i capi delle SS
Heydrich, Frank, Eichmann e Günther.
Gennaio 1942
5000 Sinti e Roma dal ghetto di Lodz sono assassinati nelle camere a gas del
campo di sterminio di Kulmhof. Tutte le famiglie sinte e rom della Prussia
orientale, la maggior parte contadini con aziende agricole e bestiami propri,
sono deportati nel campo di concentramento di Bialystok e da lì nel 1943 ad
Auschwitz.
7 luglio 1942
Il Reichskommissar per l'Ostland sugli "zingari": "Intendo che siano
trattati alla stregua degli Ebrei".
29 agosto 1942
Elogio per l'amministrazione militare tedesca in Serbia: là, con l'aiuto
delle camere a gas, "le questioni ebrea e zingara sono state risolte".
14 settembre 1942
Thierack, ministro della giustizia del
Reich, verbalizza in una discussione con Goebbels: "Riguardo allo sterminio
della vita asociale, il dr. Goebbels è dell'opinione che Ebrei e zingari siano
semplicemente da sterminare. L'idea dell'annientamento attraverso il lavoro è la
migliore". Il 18 settembre 1942 Thierack discute con Himmler, Streckenbach e
altri capi SS l'attuazione dei programmi nelle iniziative delle SS, delle
fabbriche d'ami tedesche e dei campi di concentramento.
2 dicembre1942
Lettera segreta dal capo della cancelleria del partito, Martin Bormann, dal
"quartiere generale del Führer" ad Himmler nell'Ufficio Principale di Sicurezza
del Reich, che asserisce che "il Führer non approverebbe" che "zingari"
individuali fossero esclusi dalle "attuali misure" di sterminio per "ricerche
sui costumi tedeschi".
16 dicembre 1942
"Decreto di Auschwitz" di Himmler per la deportazione di 22.000 Sinti e Rom
europei, inclusi gli ultimi 10.000 dai territori del Reich, nella sezione del
campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau denominato "campo zingaro".
Maggio 1943
Il dr. Josef Mengele diventa SS dottore del campo di Auschwitz. La sua prima
azione è di mandare gassati diverse centinaia di Sinti e Rom. Continua le sue
"ricerche sui gemelli", sostenuto dall'Associazione Ricerca Tedesca (Deutsche
Forschungsgemeinschaft) e dall'Istituto Kaiser Wilhelm, attraverso l'uccisione
di bambini ebrei e sinti. Anche in altri campi di concentramento, Sinti e Rom
sono vittime di agghiaccianti esperimenti medici.
16 maggio1944
Il tentativo del comandante del campo di concentramento di mandare i
rimanenti 6.000 Sinti e Rom del "campo zingari" nelle camere a gas, fallisce di
fronte alla resistenza degli uomini, armati di vanghe, bastoni epietre.
2 agosto 1944
Dissoluzione del "campo zingaro" di Auschwitz-Birkenau. Dei 6.000 Sinti e
Rom superstiti a luglio 1944, 3.000 sono deportati in altri campi di
concentramento, gli altri 3.000 vengono uccisi nella notte tra il 2 e il 3
agosto.
Maggio 1945
Il numero di Rom e Sinti uccisi nei campi di concentramento e dagli SS Einsatzgruppen
alla fine della guerra è stimato in mezzo milione. Dei 40.000 Sinti e Rom
tedeschi ed austriaci registrati dai nazisti, oltre 25.000 vennero assassinati.
Di Fabrizio (del 16/01/2011 @ 09:36:16, in Europa, visitato 2548 volte)
Segnalazione di Dragan Vasovic - YOUTH ROMA CENTER
(la rassegna fotografica su
Facebook)
La notte tra il 12 e il 13 gennaio nella parte dell'insediamento Pozega in
cui vivono circa 700 Rom, sui lampioni sono apparse svastiche. Su tutti i piloni
di cemento che circondano l'insediamento - nelle strade Bana Milutina e Dimitrija
Tucovica, sono state dipinte svastiche con lo spray, come pure su diversi
ingressi e cartelli del traffico. Oltre a ricordare un momento triste della
nostra storia, su di un palo è stato scritto "ZINGARI FUORI DALLA SERBIA". I
cittadini del quartiere sono inorriditi, sono davvero colpiti e hanno paura. Per
la prima volta nella storia del comune di Pozega qualcosa di simile accade dopo
la II guerra mondiale e non ci si aspettava che questo si sarebbe nel XXI
secolo, e ricorda a tutti la parte più brutta della storia della nostra civiltà.
FATE CIRCOLARE L'INFORMAZIONE!
Notizia di contorno (tratta dalla
Nazione)
Don Virgilio Annetti, parroco ad Arezzo, scrive sul giornale inviato ai
fedeli: "Senza tanti pietismi torna in mente quell'uomo che tentò invano, a
suo tempo, una vera pulizia etnica. Si chiamava Himmler. Dette questo
ordine. Aggiungere ad ogni convoglio un vagone di rom. Sappiamo bene dove il
convoglio era diretto. Verrebbe da dire: ma benedetto Himmler, perché uno
solo invece che due!"
Per la cronaca, il vescovo di Arezzo gli ha imposto di chiedere
immediatamente perdono per il suo delirio omicida: ma può un uomo simile, le
cui dichiarazioni sono state replicate entusiasticamente sui siti neonazisti
(vedi QUI),
essere lasciato ancora al suo posto, senza che il suo inascoltato Maestro,
Rabbi Yehoshua di Nazaret, si contorca ancora sulla croce?
Di Fabrizio (del 17/01/2011 @ 09:13:13, in Europa, visitato 1542 volte)
Da
Roma_Francais
Par L'Express, publié le 13/01/2011
La Francia ha redatto una nota per spiegare ai propri vicini europei come
occuparsi dei Rom.
La Francia ha indirizzato ai paesi membri della UE una "nota" sulla
"strategia" da mettere in opera a livello europeo al fine di "promuovere i
principi di uguaglianza di possibilità e dell'inclusione sociale delle
popolazioni in situazioni di povertà e di esclusione, in particolare dei Rom".
Gli autori sottolineano che "appartiene a ciascuno stato membro di assicurare
l'inserimento economico e sociale dei suoi cittadini (...) Promuovere la libera
circolazione in seno all'Unione Europea implica prima di tutto che gli stati
membri d'origine si assumano pienamente questa responsabilità". Il documento
sarà all'ordine del giorno del summit europeo di giugno a Bruxelles. Parigi
assicurache l'adozione di questa strategia da qui a sei mesi è "un orizzonte
realista".
Di Fabrizio (del 19/01/2011 @ 09:17:30, in Europa, visitato 1619 volte)
Da
Roma_Francais
Laprovence.com Una non-Rom ed una Rom dicono Dosta! Foto di Noémie Michel
scattata ad Arles
Dosta in romanes vuol dire basta. Uno slogan che suona oggi come un
grido di rivolta. L'idea è partita da Arles e dovrebbe allargarsi nei prossimi
giorni a molte città francesi, tra cui Marsiglia. "Ci siamo resi conto
che le proteste e le petizioni non servivano a niente di fronte alla politica di
odio instillata dopo il triste discorso di Grenoble che ha stigmatizzato questa
popolazione", sottolinea Tieri Breit. E' da due anni editore ad Arles di
libri fotografici per bambini, ed utilizzerà le sue conoscenze per fare
resistenza alle molestie e all'esclusione sofferte da tutto un popolo.
Indignazione
L'idea è di mettere sotto il naso dei cittadini immagini, ben visibili nel
loro formato poster a grandezza naturale. Una foto rappresenta davanti ad una
porta una Rom ed una non-rom con un pannello che riporta la parola Dosta. "E'
simbolico, la porta marca la soglia, si entra o si resta fuori. Ed inoltre in
pochi conoscono la parola Dosta, che li interroga", prosegue Tieri Briet.
Queste foto saranno in un secondo tempo affisse sui muri delle città dove i Rom
sono perseguitati ed esclusi. "Queste presenze umane, solidali, affisse sui
muri di una città potranno formare poco a poco una popolazione che rifiuta in
silenzio una violenza fatta ad un popolo che non ha né frontiere, né esercito". Humaniatrium (sostenuta
da numerose associazioni tra cui quella della gens du voyage Samudaripen)
realizzerà 60 copie di personaggi in 4 regioni della Francia. Ed è già stata
contattata da cittadini inglesi, italiani o spagnoli che anche loro vogliono
mostrare la loro indignazione.
Jean-Luc PARPALEIX
(jlparpaleix@laprovence-presse.fr)
Di Fabrizio (del 23/01/2011 @ 09:59:21, in Europa, visitato 2148 volte)
Da
Roma_Daily_News (NDR i link sono in inglese)
Der Spiegel By Siobhán Dowling in Alsószentmárton, Hungary
14/01/2011 - Il villaggio di Alsózentmárton è ai margini estremi d'Europa,
uno degli ultimi posti in Ungheria prima del confine croato. Tutti i suoi
abitanti sono Rom, tra i più marginalizzati nella UE. Ma un progetto condotto
dalla chiesa intende rompere il ciclo di esclusione sociale e svantaggio
educativo.
Non ci sono negozi, caffè o altre attività a Alsószentmárton. Una delle
poche cose che si distingue dalle file di case ad un piano, è l'imponente chiesa
bianca all'ingresso del villaggio. I bambini giocano per strada e vanno in
bicicletta e le giovani donne, non molto più vecchie, spingono passeggini
gridandosi saluti tra loro.
Alsószentmárton è un piccolo villaggio nell'Ungheria sud-occidentale, e tutti
i suoi residenti sono Rom, tra i popoli più marginalizzati d'Europa. Vivendo qui
ai margini estremi dell'Unione Europea, proprio sulla linea del confine con la
Croazia, gli abitanti stanno combattendo gli effetti di decenni di
svantaggio ed esclusione sociale. Un progetto guidato dal sacerdote
cattolico del posto sta cercando di attenuare quella povertà e affrontare uno
dei più grandi handicap della popolazione rom: la mancanza di accesso ad
un'istruzione decente.
Padre József Lánko, un omone con una barba bianca, indossa un maglione di
lana marrone. 55 anni, ha vissuto nel villaggio per 30, ed ha visto in prima
persona le devastazioni causate dalla crisi economica seguita alla fine del
comunismo. "Prima tutti avevano un lavoro, la gente di questo villaggio lavorava
nelle costruzioni o nel fare le strade," spiega. "Avevano un salario minimo, ma
erano certi ad ogni mese di avere i soldi, così da vivere in sicurezza." Con la
caduta della cortina di ferro, da un giorno all'altro, hanno perso tutto.
"Ora vivono come accattoni," dice Lánko. "E' contro l'umana dignità, sarebbe
sicuramente meglio se potessero occuparsi delle loro famiglie lavorando."
Lánko dice che qui la disoccupazione è oscillante. Per la maggior parte
dell'anno è del 90%, ma scende al 60% durante la stagione della vendemmia - il
villaggio è situato vicino alla famosa Via del Vino ungherese - quando la gente
trova lavoro nei vigneti locali. Dice: "D'inverno qui c'è poco, le famiglie non
hanno da mangiare, allora li aiutiamo per qualche giorno, gli diamo qualcosa
perché non debbano morire di fame."
Rapporti difficili con i vicini
Col sostegno finanziario di Renovabis, un ente di beneficenza tedesco che
finanzia progetti in Europa orientale, ora la chiesa può fornire i poveri del
villaggio con raccolta di vestiti e pasti caldi giornalieri. I 1.200 residenti
del villaggio sono Boyash, un gruppo distinto di Rom, la cui lingua è una forma
arcaica del rumeno. Per molti, l'ungherese non è la madre lingua. Lánko ed altri
operatori ecclesiali fanno anche da ponte per le barriere linguistiche, fornendo
assistenza per quanto riguarda la compilazione di moduli o assistendoli nei
rapporti con le banche e le organizzazioni statali.
I Rom sono i membri del più grande gruppo minoritario d'Europa, si pensa
siano tra i 10 e i 12 milioni. La maggior parte vive nell'Europa centrale e
orientale, molti vivono in povertà estrema. L'Ungheria, patria di 700.000 Rom,
dice di voler affrontare la questione rom durante i
sei mesi di presidenza UE. Ma Budapest, per non parlare di Bruxelles,
potrebbe sembrare troppo lontana in questo posto isolato.
Alsószentmárton è circondata da campi pianeggianti fin dove l'occhio può
vedere, ma gli abitanti non possiedono la terra. Era un villaggio misto, ma poi
la popolazione non-rom iniziò ad abbandonare la campagna negli anni '60 e '70
per andare a lavorare nelle fabbriche e nell'industria. Così i Rom poterono
comperare le case a buon mercato, ma non poterono permettersi i terreni
circostanti. Ora, anche se volessero allontanarsi, non potrebbero vendere le
loro case.
Lánko dice che le relazioni con la più ampia comunità non-rom possono essere
foriere di problemi. "Quando c'è bisogno di manodopera non specializzata, le
relazioni sono molto buone, sono manodopera a buon mercato," dice. "Ma
d'inverno, quando gli zingari congelano e vanno a far legna, non chiedono di chi
sia. Ed allora ci sono problemi."
Dice che Alsószentmárton è afflitta dai soliti problemi che accompagnano la
povertà, incluso l'alcolismo. E la gente qui soffre anche di una terribile forma
di sfruttamento per cui altri Rom li caricano di tassi di interessi altissimi in
maniera predatoria.
"Non possiamo davvero proteggere la gente. Nessuno mi può proteggere da me
stesso," ragiona il sacerdote. Lo fa, però, cercando di aiutare la gente a
chiedere normali prestiti dalle banche, perché possano scappare dai pagamenti
punitivi degli usurai.
Qui la gente può vivere in relativo isolamento, a circa 230 km. da Budapest,
ma si è comunque a conoscenza dell'aumento di violenze contro i Rom, incluso una
serie di omicidi nel 2008 e nel 2009, e le marce dell'ormai bandita Guardia
Ungherese. Né può mancare la prevalenza di
retorica piena d'odio anti-Rom in Ungheria, in particolare dall'estrema
destra del partito Jobbik. Lánko è caustico sulle affermazioni dei membri di
Jobbik, ora il terzo partito in parlameto, che i Rom abbiano paura del lavoro, e
che facciano molti figli solo per avere accesso ai generosi assegni
previdenziali.
"Spazzatura," rimugina. "Loro vorrebbero lavorare qui, se ci fosse lavoro. Ed
è spazzatura anche che una famiglia possa vivere con gli assegni famigliari.
Perché non ci provano - questi di Jobbik dovrebbero provare a vivere con gli
assegni famigliare - o con le piccole somme della previdenza. E' impossibile."
Discriminazione nell'istruzione
Mentre i lavori sono pochi e lontani tra loro, Alsószentmárton sta cercando
almeno di dare ai bambini i primi strumenti per aiutarli a fuggire dal circolo
vizioso dello svantaggio sociale e del ricorso alla previdenza sociale,
assicurando loro un'istruzione decente. Nel villaggio ci sono due asili nido,
uno statale e uno gestito dalla chiesa, ed un doposcuola, dove assistenti
aiutano i bambini nel fare i compiti ed organizzare attività per loro.
L'accesso ad una corretta istruzione in Ungheria può essere estremamente
difficile per i Rom. I tassi di completamento sono particolarmente bassi, con
solo il 50% dei bambini rom che completa l'istruzione elementare. E gli ultimi
dati forniti dal Fondo Istruzione Rom di Budapest mostrano che solo il 5% circa
continua gli studi all'università.
Uno dei più grandi problemi nell'istruzione ungherese è la segregazione, sia
attraverso classi separate nelle scuole, che tramite bambini rom dirottati in
scuole speciali per bambini con disabilità mentali, già dal primo giorno di
scuola. E' una forma di discriminazione che perpetua l'esclusione e la povertà
delle comunità rom.
"Una volta che sei in educazione speciale, non stai ottenendo un'istruzione,
e di sicuro non stai ricevendo un'istruzione che ti permetterà di progredire nel
sistema," dice Robert Kushen, direttore dell'European Roma Rights Center di
Budapest. "E non troverai un impiego."
L'organizzazione di Kushen ha già portato con successo la questione della
segregazione scolastica nella Repubblica Ceca alla Corte Europea dei Diritti
Umani. Ora ERRC sta monitorando anche la situazione in Ungheria, dove si stima
che un bambino rom su cinque subisca trattamenti simili.
Ágnes Jovánovics è una delle poche che sono riuscite a ricevere
un'istruzione. Rom del villaggio lei stessa, è ora direttrice del corso
prescolare della chiesa. 44 anni, aveva lasciato presto la scuola, come quasi
tutti a Alsószentmárton, come formazione era assistente alla vendita. Mentre
lavorava in città, decise di tornare a scuola serale e prendere un diploma di
scuola superiore.
Lánko, il prete del villaggio, le suggerì di provare a diventare insegnate di
prescuola, così poteva lavorare nel nuovo nido che era stato creato. Ora
supervisiona nove insegnanti d'asilo, tre dei quali non sono Rom.
Lánko ridacchia: "La gente è scioccata che lì il capo è una Rom. Una Rom che
dice ai non-rom cosa fare!"
Per Jovánovics la sfida più importante nel preparare i bambini alla scuola -
attualmente ce ne sono 81 al centro - è assicurarsi che sappiano parlare
ungherese correttamente. Però, il centro opera sia in ungherese che nel lingua
boyash nativa.
Lánko dice che è molto importante mantenere stretti contatti con le famiglie
dei bambini. Dice che i Rom "non possono vivere senza famiglia. Vivono in
prossimità molto stretta l'un l'altro... spesso con diverse generazioni in una
casa sola."
Non ci sono scuole nel villaggio, così i bambini devono prendere il bus per
la vicina città di Siklós, dove andare alle elementari. Alcuni frequentano lì
anche la scuola secondaria, mentre altri vanno in convitti altrove, incluso la
rinomata scuola Ghandi a conduzione rom, nella città di Pecs a circa 40 km. Gli
operatori della chiesa nel villaggio si assicurano che la mattina i bambini
vadano a scuola. Il progetto aiuta a pagare il percorso per la scuola e il cibo
dei bambini le cui famiglie non hanno soldi.
Orgogliosa delle sue radici rom
Tutti nel gruppo del doposcuola conoscono Jovánovics. Bambini con i volti
dipinti corrono a salutarla e dirle delle loro attività. Oggi, circa 30 bambini
sono stati divisi in gruppi per raccontarsi dei diversi continenti, i cui membri
sono identificati da sciarpe di differenti colori. Poi a turno partono le
performance. Fuori nel cortile, il diciassettenne Tomás sta cucinando in una
pentola gigante patate e paprika. Sta studiando da cuoco e dice che un giorno
vorrebbe lavorare come uno del villaggio.
Jovánovics dice che tutti i bambini vogliono imparare. "Devono farlo,
altrimenti non hanno prospettive," aggiunge.
D'altra parte, non è sempre facile persuadere i Rom che l'istruzione sia
qualcosa a cui aspirare. Dice che la prima volta che decise di studiare, fu
molto difficile per gli altri del villaggio - inclusa sua madre stessa,
comprendere perché lei, una Rom "in tutto e per tutto" voleva avere
un'istruzione. Ma Jovánovics rispose a sua madre che era una cosa che voleva
fare e finalmente è riuscita, dicendo "Se vuoi, puoi farlo."
La motivazione di
Jovánovics ha aiutato anche altri nel villaggio a seguire i suoi passi. Suo
figlio sta studiando italiano all'università, ed un'altra giovane sta
completando la laurea in educazione e spera di diventare un'insegnante.
Jovánovics è orgogliosa delle proprie radici rom e dice che l'istruzione non
le cambierà. "Nelle famiglie zingare ci sono buone tradizioni," dice,
aggiungendo che non vuole abbandonare ciò che ha ottenuto dai suoi genitori.
"Altrimenti, chi sarei? Al di là di quanto possa studiare, sono una zingara."
Di Fabrizio (del 26/01/2011 @ 09:49:56, in Europa, visitato 2052 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
wsws.org by Elisabeth Zimmermann
19/01/2011 - Il villaggio di Mayen, vicino alla città di Coblenza nello stato
tedesco della Renania-Palatinato, è governato da un'amministrazione
socialdemocratica (SPD). Una famiglia rom originaria del Kosovo viveva a Mayen
dal 1999. Nonostante la grave malattia di una dei suoi componenti, la signora
Borka T., l'intera famiglia è stata deportata in Kosovo in condizioni inumane,
all'inizio di dicembre. Appena un mese dopo, la signora T. è morta di emorragia
cerebrale.
Alle prime ore del 7 dicembre, la polizia ha portato via dalla loro casa a
Mayen la signora Borka T. con suo marito e loro figlio Avdil di 14 anni. Furono
dati loro solo 30 minuti per raccogliere un po' di loro cose personali.
Furono scortati dalla polizia all'aeroporto di Düsseldorf e con altri rifugiati
deportati a Pristina, capitale del Kosovo.
La signora Borka era stata visitata all'aeroporto di Düsseldorf da un dottore
il cui compito era dare l'ok alla sua deportazione. Lo specialista che l'aveva
in cura, le aveva diagnosticato disturbi post-traumatici da stress, depressione
e nevralgie. A causa di questi sintomi, riceveva farmaci e terapie regolari col
supporto della Caritas. Questi fatti erano conosciuti ma sono stati ignorati
dagli incaricati all'aeroporto.
Le condizioni di difficoltà della donna sono state spazzate via
dall'amministrazione locale di Mayen-Coblenza, che ha ordinato la deportazione
della famiglia. Il tribunale amministrativo di Treviri ha poi confermato la
deportazione, ben sapendo che per la donna in Kosovo non esisteva alcuna
possibilità di cura.
L'amministrazione di Mayen-Coblenza da parte sua ha negato ogni
responsabilità anche dopo l'annuncio della morte di Borka T. all'inizio di
quest'anno. Un portavoce ha semplicemente dichiarato che l'autorità si
appoggiava sul giudizio del tribunale amministrativo di Treviri, che affermava
c'erano possibilità di cura in Kosovo. Il portavoce ha smentito qualsiasi
correlazione tra la mancanza di medicine e la morte della donna come assurda,
dichiarando con cinismo: "L'emorragia intercranica è sempre una possibilità".
L'avvocato della famiglia, Jens Dieckmann, ha emesso il 7 gennaio un
comunicato stampa, che descrive la traumatica esperienza in Kosovo della
famiglia e la susseguente brutale deportazione di Borka T. e della sua famiglia:
"Nell'ottobre 1999 la signora T. arrivò in Germania con la sua famiglia.
Precedentemente avevano vissuto a Mitrovica, la città del Kosovo al centro dei
combattimenti (nella guerra jugoslava) che fu divisa (e rimane divisa) tra Serbi
e Albanesi del Kosovo. Assistette alla distruzione della sua casa durante
la guerra e alla morte di molti tra vicini, amici e parenti. La signora T. e la
sua famiglia sono membri del gruppo etnico rom e rimasero intrappolati nella
guerra del fuoco incrociato tra Serbi e Albanesi. Gli Albanesi espulsero da
Mitrovica la famiglia della signora T., assieme ad altri Rom, accusandoli di
collaborazione coi Serbi. In seguito la famiglia fuggì dalle rovine di Mitrovica."
"Dalla fuga da Mitrovica, dove la signora T. fu testimone di case in fiamme
ed innumerevoli morti e feriti, soffriva di stress post-traumatico. Perciò in
Germania era sottoposta a cure specialistiche e col supporto della Caritas
seguiva una terapia specifica per i traumi."
Poi l'avvocato continua descrivendo come il tribunale di Treviri ha deciso
sulla deportazione, anche se era pienamente consapevole della sua condizione.
Ignorando le ragioni umanitarie per negare la deportazione, la corte ha invece
preferito fare affidamento sulle informazioni completamente errate del ministero
degli esteri, secondo cui la donna sarebbe stata seguita da specialisti in
Kosovo e avrebbe avuto cure immediate.
In realtà, le condizioni reali a Pristina erano molto differenti. Qualsiasi
giustificazione da parte delle autorità tedesche di non aver potuto prevedere la
mancanza di strutture sanitarie in Kosovo è completamente insostenibile.
Diversi studi e relazioni di organizzazioni di aiuto ai rifugiati, come Pro
Asyl e l'UNICEF, hanno documentato la disperata situazione politica e sociale in
Kosovo.
Ci sono solo circa 300.000 posti di lavoro per il 1.800.000 di abitanti del
Kosovo, ed il tasso ufficiale di disoccupazione è del 45%. Per le comunità rom e
askali, il tasso varia dal 95 al 100%. Virtualmente non c'è una forma di
sostegno per i disoccupati, e l'assistenza medica è disponibile solo a chi possa
pagare. Anche l'istruzione è correlata al pagamento delle tasse. Il sistema
agricolo della provincia non è competitivo, e non esiste un settore produttivo
significativo. La principale esportazione del Kosovo sono i rottami metallici.
In un rapporto del Consiglio d'Europa, il Kosovo è descritto oggi come una
terra dominata dalle "mafie e dal crimine organizzato". Il comandante dell'ALK
ed attuale primo ministro, Hacim Thaci, è accusato di guidare un cartello
criminale coinvolto in omicidi, prostituzione e traffico di droga. (Cfr. "Washington's
"humanitarian" war and the crimes of the KLA")
Quando la famiglia T. tornò a Pristina non c'erano dottori, impiegati di
lingua tedesca dell'ambasciata o operatori umanitari ad incontrali. Dopo aver
completato le formalità di immigrazione, la famiglia venne completamente
abbandonata. "Potete andare dove volete," fu detto loro. L'unico denaro in loro
possesso erano 220 euro.
All'arrivo, la signora T. subì un attacco di panico e dichiarò che non
sarebbe tornata a Mitrovica. Poi la famiglia si fece due ore di taxi fino ad un
fratello della signora T. nella Serbia meridionale. Là, circa 40 membri della
famiglia vivono in baracche attrezzate poveramente. Ogni unità ha un angolo
cottura ed una stanza dove tutti mangiano e la notte si dorme per terra. Non ci
sono attrezzature adeguate per bagno o doccia.
Il figlio quattordicenne Avdil, che in Germania viveva e frequentava la
scuola dall'età di tre anni, era totalmente scioccato dalla povertà che lo
circondava. Non avendo alcuna conoscenza della lingua, non aveva lì alcuna
possibilità di andare a scuola.
Vistasi negate cure mediche e farmaci, la signora Borka T. collassò
rapidamente dopo Capodanno. Venne portata in una clinica a Kragujevac dove entrò
in coma per poi morire di emorragia cerebrale.
La tragica morte della signora Borka T. è un altro schiacciante atto d'accusa
del sistema tedesco di asilo e deportazione. Ogni anno, migliaia di persone che
soffrono di gravi malattie vengono deportate verso i loro paesi di origine. In
molti casi, hanno vissuto per anni o addirittura decenni in Germania. Dove, è
stato negato loro il diritto di soggiorno permanente e vivono in uno stato di
insicurezza permanente.
Molti di questi deportati sono bambini nati in Germania e cresciuti nel
paese. Questi bambini sono brutalmente strappati dalle loro scuole,
dall'ambiente familiare e dagli amici e deprivati di ogni prospettiva futura.
Anche per queste circostanze, era interamente di competenza
dell'amministrazione di Mayen-Coblenza garantire un permesso di residenza per
motivi umanitari alla famiglia T. Appena due settimane prima della deportazione
di una famiglia, la conferenza dei ministri degli interni aveva emesso un
decreto che rendeva possibili decisioni simili. Tuttavia, lo stato della Renania-Palatinato ha deciso di applicare il regolamento solo il 23 dicembre, a
più di un mese dall'emanazione.
Nella sua lettera del 7 gennaio alla stampa, l'avvocato della famiglia ha
sollevato alcune questioni vitali:
- Perché non ci sono stati esami medici alla signora T. immediatamente
prima della sua deportazione?
- Perché all'aeroporto di Pristina non erano presenti specialisti o
organizzazioni di soccorso, quando le autorità tedesche sapevano che quel
giorno veniva deportata una donna con problemi mentali?
- Perché lo stato della Renania-Palatinato non si è unito al bando della
deportazione di Rom verso il Kosovo, come ad esempio lo stato del Nord
Reno-Westfalia? Il governo di Düsseldorf aveva preso la sua decisione sulla
base primaria del parere del ministro degli esteri e delle informazioni che
descrivevano la catastrofica situazione dei Rom in Kosovo.
- Perché non è stata fermata la pratica delle deportazioni in seguito alla
decisione della conferenza dei ministri degli interni del 19 novembre 2010?
Durante la conferenza, venne concordato che poteva essere rilasciato un
permesso di residenza ai rifugiati che si erano integrati correttamente e
sarebbero stati protetti dalle deportazioni almeno i ragazzi sino a 18 anni.
Avdil ha frequentato per anni la scuola e senza dubbio aveva soddisfatto i
criteri stabiliti.
Secondo il suo insegnante, Avdil era un bravo studente, laborioso e curioso,
popolare tra i suoi compagni. Nondimeno, lui e la sua famiglia furono
brutalmente deportati.
D'altronde, questa crudeltà burocratica è intenzionale. Le deportazioni in
Kosovo sono l'obiettivo dichiarato dell'accordo firmato il 14 aprile 2010, tra
il ministro tedesco degli interni Thomas de
Maiziere (CDU) e la sua controparte kosovara, Bajram Rexhepi. Impegna il Kosovo
ad accettare 14.000 rifugiati dalla Germania. Oltre a più di 10.000 Rom, la
cifra include anche Askali, Egizi kosovari e membri della minoranza serba del
Kosovo.
La maggior parte dei Rom fuggì dal Kosovo nel 1999 durante la guerra NATO
contro la Jugoslavia. Se la dottrina ufficiale della NATO era di proteggere gli
Albanesi kosovari dagli attacchi serbi e dalla "pulizia etnica", la guerra
condotta dalla NATO e dalla UE alimentò i nazionalismi etnici e contribuì alla
campagna di cacciata delle minoranze serbe, rom ed askali dal Kosovo. Alcuni
fuggirono in Serbia, Macedonia e Montenegro, ma molti cercarono asilo
nell'Europa occidentale o sperarono di essere riconosciuti come rifugiati dalle
guerre civili. La maggior parte delle richieste asilo in Germania sono state
respinte.
Ora, molti di quanti hanno fatto ingresso nel paese sono stati deportati,
nonostante il freddo inverno nel Kosovo distrutto e dilaniato dalla guerra. Le
persone di ritorno incontreranno povertà, esclusione sociale e carenza di
alloggi. Molti che mancano di assistenza medica adeguata soffriranno di malattie
e per alcuni, come la signora Borka T., la deportazione significa morte.
Di Fabrizio (del 29/01/2011 @ 09:52:37, in Europa, visitato 2148 volte)
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