Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 10/12/2005 @ 12:58:18, in media, visitato 1906 volte)
Da Roma Press Agency (RPA)

Non voglio cambiare i Rom, voglio creare per loro migliori condizioni di vita
di: Kristína Magdolenová
Jarmila Vaòová (1965) lavora come giornalista per Roma Press Agency. Nel 2002 ha concorso come indipendente al posto di rappresentante comunitaria. Non è stata eletta per un pugno di voti. Comunque, continua il suo impegno nella regione di Kosice e dintorni. Ha quattro figli. Attualmente, sempre come indipendente, è candidata alle elezioni regionali (VUC).
  • Ci sono soltanto un paio di giornalisti Rom in Slovacchia. Nonostante i notevoli investimenti nel campo scolastico, ci sono degli sprechi. Cosa ti porta a lavorare come giornalista?
Lo sono diventata per caso. Ho terminato gli studi nel 2002, erano gestiti da Roma Press Agency e dall'Istituto Democrazia Nazionale per le Donne Rom. Scopo del corso era offrirci una possibilità di partecipare agli affari pubblici. presto ho scoperto che c'era un ampio spazio vuoto nella politica locale, dove potevo avere un ruolo tanto come indipendente che come persona autosufficiente. Dopo il corso, RPA mi offrì un posto da giornalista. Questo lavoro ha un'importanza chiave, ma non tutti sarebbero in grado di farlo. Non soltanto perché è un tipo di lavoro precario nel terzo settore e no adeguatamete valutato, ma anche per la perdita di privacy, per le aspettative che una comunità demotivata ripone in te,a spettative che spesso non è proprio possibile mantenere. E' un lavoro che richiede un grande supporto dai familiari e nel contempo la capacità di lavorare in proprio.
  • Dici che la comunità si aspetta risposte rapide. Cosa ne consegue?

Dopo il 1989, quando i Rom divennero il gruppo che pagava il prezzo più alto ai cambi nel mondo del lavoro, si trovarono in una specie di trappola sociale, con lo stato che offriva loro come unico aiuto la dipendenza dall'assistenza sociale. I benefici sociali relativamente alti e la crescita del razzismo, portò la comunità a rinchiedersi in se stessa. Strettamente legato a ciò, l'abbassamento del suo livello scolare. Chi non si adeguaqva, si trovava davanti un muro e l'unica soluzione era l'emigrazione. Con lo schock delle riforme sociale (febbraio 2004 ndr) la comunità fu costretta a risvegliarsi dal letargo. Però, lo stato ancora non da sufficienti ragioni ai Rom perché risolvano i loro problemi da soli. Se tu passassi ora in un quartiere rom, o se addirittura tu fossi una figura importante dentro la comunità, ci si aspetta da te che agiti una bacchetta magica e tutto si risolve. Un'aspettativa naturale nella situazione odierna.

  • Come si puoi aiutarli?

Cosa posso dirti? Ho uno spazio per informare sui loro problemi e le loro esigenze. Ho un'opportunità sicuramente maggiore alla loro di comunicare con i rappresentanti dello stato e el autorità locali, per offrire soluzioni o porre questioni. Ho l'opportunità di condurre discussioni, far valere la mia opinione, manifestare per i Rom. Quello che non posso fare è legiferare e creare programmi specifici.

  • Quando hai preso coscienza del tuo essere Rom? Che avevi dei doveri verso la tua comunità?

Sono cresciuta in una famiglia dove ebbi la possibilità di conoscere la cultura rom. A casa si ascoltava musica rom, si parlava il romanès, anche con i miei bambini. Ma non sono mai stata cosciente della mia personale differenza. Anche a scuola, nessuno mi ha mai fatto sentire diversa. Mi sentivo una donna slovacca. Il punto di svolta fu la Rivoluzione di Velluto. Improvvisamente, mi resi conto che i non-Rom ci rifiutavano non solo di far parte della loro vita, ma anche di riconoscerci come membri a pieno titolo della società. Fu un sonoro schiaffo e mi ci volle parecchio per capire definitivamente chi ero: Una Romnì, con tutto ciò che questo comporta, nata in Slovacchia ma Romnì. E da quel momento, visto che avevo maggiori possibilità rispetto al resto della mia gente di acquisire informazioni, sentii che era un mio dovere aiutare la comunità.

  • I politici rom spesso dicono che i Rom devono cambiare. Come lo intendi?

Per me, aiutare i Rom significa dar loro sufficienti opportunità perché amministrino e abbiano la responsabilità delle loro vite. Sono convinta che non abbiano bisogno di chi decida per loro come vivere o come far crescere i loro bambini. Hanno bisogno di uno spazio come gli altri cittadini nella società - quindi delle stesse opportunità di essere responsabili. Svolgo giornalmente un lavoro sul campo e so, per esempio, che i Rom sanno costruirsi la casa da soli. Non hanno bisogno di appartamenti tutti uguali dove non si trovano a loro agio. Ma se non hanno reddito, se non lavorano, se non possono accedere al credito, cosa possono costruire? E' un circolo vizioso da cui non sappiamo venirne fuori. E secondo la mia opinione, la ragione è che i Rom sono sottovalutati dalla società. Ci vuole in una posizione dove abbiamo minori possibilità di influenzare la qualità della nostra stessa vita e di ottenere gli stessi risultati della maggioranza. Così non ce la faremo.

  • Quindi la chiave di soluzione del problema è data dalla sua stessa denominazione?

In un certo modo, è così.

  • E come dev'essere rinominato?
Possibilità diseguali.
  • C'è bisogno di una discriminazione positiva?
Non so se è il termine corretto. Forse io non lo userei. Abbiamo necessità di accesso su basi paritetiche. Quindi, se uno ruba, dobbiamo punirlo perché ladro e non come Rom; allo stesso modo se uno è un vbuon lavoratore non dobbiamo giudicarlo con pregiudizio per la sua origine etnica e dobbiamo offrirgli possibilità di lavorare, senza licenziarlo alla prima occasione. Non percepiamo un bambino a scuola come Rom, per esempio, sino a ché questa percezione non si qualifica dal bisogno di insegnargli il romanès, altrimenti ha le stesse domande e richieste di qualsiasi altro coetaneo. Così saremo in grado, come Rom, di essere pienamente valutati come compèonenti della società e partners ai vari livelli.
  • Hai la sensazione che ci siano meno richieste sui bambini rom?

Sì. Percepisco il problema della scolarizzazione, anche come un problema degli insegnanti, che non sanno come comportarsi o non adempionoi al loro compito verso gli studenti rom. Dicono "per uno zingaro questo può bastare". Il risultato di questa formazione incompleta è che i ragazzi poi regrediscono. Oppure finiscono in scuole differenziali di seconda scelta. Così la società sta investendo nell'ignoranza. Logica dispari.

  • Ci sono abbastanza soldi per affrontare i problemi dei Rom?

Mi risulta di sì. Il problema è che non sono ben investiti. Ed anche il modo in cui i media scrivono su come sono impiegati, che spesso si riduce a "ancora altri soldi per i Rom". Non è così. E' denaro per cittadini di questo paese, che qui risiedono e vogliono goderne i vantaggi. Vogliono vivere in sicurezza e con uno standard di vita decente. Potrebbero anche trovare da loro la soluzione. Io sono una donna Rom, ma non ho meno bisogno di libertà, perché non mi trovo in situazione di indigenza. Quelli che non mi conoscono, invece pensano che sia così. La somma di denaro necessaria a risolvere il "problema Rom", secondo me, dev'essere commisurata al livello di razzismo. Più tardi ne saremo coscienti, più ne pagheremo i costi.

  • Nella comunità rom, il ruolo della donna è tradizionalmente succube a quello maschile. Tu sei una donna, sei candidata indipemndente alle elezioni a Kosice. Questa tua partecipazione, e l'eventuale elezione, come si concilia col tuo ruolo tradizionale?
Certamente per me è più complicato che per una donna dell'etnia maggioritaria. Tra i Rom, gli uomini non mostrano molto interesse nel supportare le loro donne. Lo testimonia il fatto che il mio concorrente nella località dove vivo e holavorato a lungo, è un leader riconosciuto dei Rom. Me lo spiego in questa maniera: vorrebbe fermarmi dall'entrare in politica, perché il nostro bacino elettorale è limitato.
  • Cambierà questo stato di cose?
Se la maggioranza non mi sostiene, come persona che vuole risolvere i problemi dei Rom e creare uno spazio per loro, potrebbe anche essere che nessuno di noi venga eletto. E nuovamente i Rom non avranno un loro rappresentante. Forse è questo lo scopo di chi costantemente predica il cambiamento, e per questo vede solo ciò che non è stato fatto o che è stato rovinato.

  • Pensi che i Rom preferiranno votare per un uomo piuttosto che per una donna?
La mia squadra crede in me e penso che in questi quattro anni hanno capito cosa volevo ottenere e la direzione in cui mi sarei mossa. So di avere la loro fiducia e questa è la cosa più importante. Non sono il tipo di persona che appare ad una settinmana dal voto, dicendo: Sono qui, votate me. La gente mi conosce, sa cosa faccio per loro. E questo non solo perché mi sono candidata. Conosco i problemi dei Rom e come giornalista posso influenzare alcune cose. Credo nei Rom, vivo la loro stessa vita e mi confronto quotidianamente nella pratica. I Rom non sono stupidi. Apprendono dal lor passato e non possono più essere comprati per una manciatra di monete. Il loro voto è importante, almeno quanto quello di qualsiasi altro elettore.
  • Significa che non entrerai in nessun partito politico?

Non intendo aderire ai partiti politici Rom registrati, anche se sono in contatto con loro. Visto che nella mia regione non hanno un candidato proprio, mi devono appoggiare anche se sono una candidata indipendente. E' importante anche per loro che venga eletta una Romnì.

  • Sinora, c'erano oltre 20 partiti politici dei Rom, Dopo che è stata imposta la registrazione, ne restano solo due. Cosa ne pensi?
Da un canto, come al risultato dell'incostanza e del dilettantismo di alcuni dei cosiddetti leaders. Da un altro lato, come la possibilità di essere più uniti. In ogni caso, voglio ricordare che i Rom sono cittadini di questo stato e le loro convinzioni politiche devono essere libere, e devono votare indipendentemente dalla loro appartenenza etnica.
  • Cosa diresti a un votante della maggioranza etnica?

Voglio dir loro che la soluzione dei nostri problemi è nelle nostre mani, se solo si collabora. Ad esempio, se chi vota appoggerà candidati Rom che non si presentano con vagoni di promesse, ma viceversa con una prospettiva di responsabilità e di capacità di affrontare i problemi. Se questo votante vuole proteggere il proprio benessere futuro, se vuol continuare a sentire questa terra come casa sua, deve iniziare a cooperare con questi Rom che hanno le sue medesime aspettative. A questo punto selezioneremo un vasto numero di Rom, che possa essere aiutato con un investimento minimo. Il resto, il lungo termine che è comunque necessario, non dovrà pesare sul bilancio dello stato. Sembra semplice e lo è realmente. Manca solo la volontà. O meglio: da parte dei Rom c'è. Ora è il turno dei votanti non-Rom.

© RPA, 2002-2005. All rights reserved. The Roma Press Agency (RPA) GRANTS ITS PERMISSION for the publication and transmission of its materials or their parts in printed, electronic or spoken form under the condition that the Roma Press Agency (RPA) is mentioned as their source. Otherwise the case will be considered as a copyright violation.
 
Di Sucar Drom (del 15/12/2005 @ 02:11:37, in media, visitato 2080 volte)
Venerdì 16 dicembre alle ore 21.00, presso l'Auditorio Santa Dorotea in via Cocchetti a Capo di Ponte (BS), ci sarà il primo appuntamento di "Storie, documentari per capire la Storia del presente e del futuro", ciclo di incontri promosso dalla Fondazione Cocchetti.

Si comincia con "Addio Moravska" (2004) un lungometraggio scritto e diretto da Maurizio Orlandi, che racconta la storia della famiglia rom di Speito Fetahi e di altre famiglie rom kossovare, costrette a scappare dal loro paese in seguito alla guerra nei Balcani nel 1999.

Un documento importante per comprendere una cultura diversa dalla nostra e conoscere la Storia attraverso il linguaggio cinematografico.
Ingresso libero.

La Fondazione Cocchetti è situata a Cemmo, nel Comune di Capodiponte, centro della media Valle Camonica in provincia di Brescia.
Per informazioni, telefonare in orario d'ufficio al seguente numero:
tel. 0364. 331284.

Il DOCUMENTARIO CREATIVO
Maurizio Orlandi, insegnante e regista, ci spiega il senso del suo lavoro
e offre delle utili indicazioni agli insegnanti

Intervista realizzata da Alberto Pian, tratta da E-Didateca
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Maurizio Orlandi insegna italiano e storia al liceo. Promotore di un laboratorio audiovisivo di storia. Ha realizzato il primo film nel 1997; non ha più smesso e ora è un regista professionista. Il suo genere preferito: il documentario creativo.

Com'è nato in te questo interesse per il film, dal lato della produzione?
Quando nel 1997 - 98 partecipai a un seminario di storia contemporanea sull'unicità di Auschwitz, dell'olocausto. Lì ebbi l'idea che la memoria si poteva ricuperare e raccontare. Realizzai il primo documentario fra Auschwitz e Birckenau, facemmo due ore di girato con una semplice videocamera in VHS, da cui poi si realizzò un video in b/n e che vinse il secondo premio al Torino film festival.

E' in quel periodo che hai formato il laboratorio della tua scuola? E come si è sviluppata questa tua passione?
Si, avevamo una concezione di scuola molto aperta, così io e qualche altro collega fondammo il LAG (Laboratorio Audiovisivi del Giusti). Il laboratorio era diviso in due sezioni, una teorica, di storia del cinema,che prevedeva uscite settimanali serali con gli allievi. Serali perché si voleva proprio andare al "vero" cinema, non alle proiezioni dedicate alle scuole. La seconda sezione era invece più tecnica, legata al lavoro di insegnamento di letteratura e storia. Così abbiamo fatto un lavoro di tipo biografico su una persona di Firenze, un partigiano del 1944 molto importante ma pochissimo conosciuto e abbiamo cercato di ricostruire la sua storia, entrando proprio nei luoghi della memoria, abbiamo indagato a lungo e ricostruito alcuni aspetti della sua vicenda, come il confino a Ventotene. Abbiamo girato in betacam e anche questa produzione fu riconosciuta al Torino film festival.
Nel 2000 abbiamo avuto un finanziamento dal Comune di Torino e, sotto la mia regia, i miei allievi hanno partecipato a un percorso completo di costruzione del film. Con questa produzione abbiamo vinto il primo premio al Torino film festival. Il film, girato in digitale, si intitola: "Quei ragazzi del borgo del fumo". Si tratta di un quartiere di Torino, il quartiere Vanchiglia, un tempo pieno di ciminiere, con la nebbia del fiume. Abbiamo incontrato un grande testimone, una persona anziana che ci ha fatto entrare nella storia. Questa testimonianza è stata il leit motiv del film. Inoltre abbiamo anche ricuperato dei filmati storici della città sotto i bombardamenti. Sono riprese drammatiche realizzate dai Vigili del fuoco che entravano nelle case incendiate e distrutte con le cineprese. Li abbiamo reperiti nei loro archivi. In questi film tocchiamo aspetti emotivi anche molto diversi: dalla gioia della Liberazione alla "resa dei conti", la caccia al fascista.

Quali sono i lavori più recenti che hai svolto? Il tuo genere è il documentario, specialmente quando si incontra con la "memoria"...
L 'ultimo documentario che ho realizzato si intitola "Romani rat" (la notte dei rom"). Parla degli zingari, della loro vita, certo, ma soprattutto del loro viaggio verso i campi di sterminio. Anche con gli zingari, infatti, è stato intrapreso un piano di azione molto preciso. Noi abbiamo ripercorso questo viaggio, dal campo Rom di Arrivore fino ad Auschwitz. Lo stesso loro viaggio. Con noi c'erano un Rom, che ha svolto il ruolo dei personaggio protagonista del film e poi un responsabile dell'ufficio stranieri e una antropologa polacca. Siamo passati e ne siamo stati ospiti, nei villaggi sperduti degli zingari. Il film è stato finanziato dalla Commissione Europea, dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino ed è stato anche patrocinato aella Shoah Foundation di Los Angeles (l'associazione di Spilberg, che ci ha messo a disposizione alcune interviste significative). Il film è stato venduto e adesso gira nei canali satellitari.

Attualmente sto lavorando sugli anni '60 a Torino in collaborazione con il prof. Fabio Levi, dell'Università di Torino. Vogliamo ricostruire alcuni aspetti della storia di quegli anni portando la nostra attenzione sulla banda Cavallero e in particolare su Piero Cavallero, un personaggio significativo per la sua storia, le vicende che ha attraversato in quegli anni. Un altro lavoro che sto facendo è un piccolo corto, una storia sugli anni settanta, insieme a un regista milanese che sarà presentato al prossimo Torino film festival, si intitola, "Ultima partita" è una vicenda scherzosa e seria allo stesso tempo che ruota attorno a una squadra di calcio di quartiere che esiste tutt'ora e che ispira il leit - motiv del film.

So che anche i tuoi allievi partecipano alla realizzazione dei film: si tratta di un momento didattico importante?
La storia come disciplina di studio è sempre meno apprezzata dagli allievi. Perciò si rischia l'oblio, si rischia di non capire il valore della memoria. E già... su questo punto forse si fanno troppe cerimonie e si realizzano pochi fatti. Ecco, noi abbiamo cercato di ricostruire i fatti. I ragazzi si sentono protagonisti, quando parlano con i testimoni ed entrano veramente nella storia. Questo connubio fra regia di genere storico e sociale e insegnamento ha dato dei risultati molto interessanti. Basta sapere che tutte le attività nelle quali coinvolgo i miei allievi si svolgono in orario extrascolastico e quindi i ragazzi dimostrano una partecipazione attiva.

Come sei entrato nel mondo della regia professionale?
Dopo un certo numero di anni di esperienze sono ora entrato nel campo della regia professionale e, diciamo così, ho un mio target. Inizialmente sono partito dalla narrazione: dapprima scrivevo le storie poi chiamavo un regista. Successivamente ho intrapreso il passaggio. Ora dirigo io stesso i miei film. E non solo: sto anche imparando a fare le riprese, penso che ci siano molte cose da imparare e sono tutte molto interessanti.


Puoi spiegarci come imposti il tuo lavoro?
Fondamentalmente ci sono due modi per realizzare dei documentari. Si può partire da un'idea, in questo caso si gira molto, si fanno molte riprese, si cerca di accumulare molto materiale e vario e quindi in post - produzione si "inventa", letteralmente, il documentario. In questo caso il montaggio ha una funzione decisiva. Io invece preferisco scrivere dapprima l'idea, quindi l'ideazione e in seguito il soggetto. A questo punto approfondisco l'idea e stendo il trattamento. Seguo le regole canoniche non perché debba essere così, ma perché a me piace molto scrivere e poi perché ci sono arrivato gradualmente. I primi film erano meno "programmati", più "liberi". Poi ho maturato l'esigenza di avere delle immagini ben precise, come le desideravo io e quindi ho imparato a essere più rigoroso, a impostare una struttura narrativa che avesse un momento iniziale, per presentare l'argomento, quindi il tempo di far venir fuori i personaggi, poi il culmine drammatico e l'avvio verso la conclusione.

I miei documentari sono creativi e non "tradizionali" vale a dire del genere reportage, con voce fuori campo, ecc. Cerco sempre di partire da una storia, seguo il più possibile il trattamento, anche per ottimizzare il momento produttivo. Poi è ovvio che se trovi qualcosa di particolare, un soggetto, un personaggio, ecc.rivedi il tuo lavoro. Io presto attenzione anche al carattere dei testimoni, per esempio desidero poter avere nel film un testimone con un certo tipo di personalità. Dunque bisogna fare delle ricerche, e bisogna rendere proficue le riprese per ottimizzarle dal punto di vista dei costi e perché siano utilizzabili nella fase del montaggio. Così ho imparato veramente a fare un piano, ad arrivare fino al trattamento e ad esserne fedele. Di solito faccio un grande lavoro di scrittura.

Un primo piano non deve essere messo a caso. Neppure in un documentario e così una soggettiva, una dissolvenza. Tutte queste cose devono avere una relazione con lo sviluppo drammatico della storia. Forse come insegnante di lettere mi sento a mio agio in questo ambiente: vivo nella narrazione, ma da un punto di vista tecnico c'è sempre molto da imparare, bisogna farlo con umiltà e grande voglia di raccontare.

L ' ultimo documentario che uscirà fra poco, sul Kossovo, si intitola "Addio Moravska". E' il racconto della fuga di una famiglia di rom durante la pulizia etnica. L'ho girato in digital betacam (un betacam digitale). Tratta degli zingari di Pristina e abbiamo usato anche il loro video, sono filmati sporchi girati da loro stessi durante le feste, i matrimoni, sono riprese in VHS del 94 - 95, di cattiva qualità, ma siamo riusciti a combinarle con il materiale che abbiamo girato e l'effetto è molto bello.

Che cosa potresti dire a un insegnante che desidera utilizzare le tecniche video in classe? Che cosa potrebbe fare con i suoi allievi?
Che potrei dire agli insegnanti? Di lavorare sulle storie dei ragazzi, delle loro famiglie, rendendoli portagonisti, attori. Per esempio penso a un lavoro basato su quattro "tipologie" di giovani, non so: un "tamarro", un "alternativo", un "cabinotto", un "perbene normale", ecc. Pensa a quante storie ci sarebbero da raccontare. I loro quartieri, le loro famiglie, le loro città, gli amici, il tempo...

Oggi vedo che gli insegnnati hanno molte difficoltà e la scuola sembra in profonda crisi. Spesso devono tenere in piedi una disciplina che crolla, letteralmente. Hanno dunque bisogno di nuovi linguaggi, di comunicazione, di fare qualcosa insieme ai giovani. Così quello del genere documentario creativo potrebbe essere un buon suggerimento: si parte da un personaggio, per esempio un allievo stesso, o un altro e si entra nelle sue storie. Tutta una classe potrebbe essere coinvolta: si parte e si va a intervistare la nonna o il cugino.

Se provi a ricostruire tu stesso, a partecipare, allora anche l'atteggiamento nei confronti del film e della cultura in genere cambia. Andiamo a casa di Pinco e lo riprendiamo con i suoi genitori, di dove sono? della Calabria, allora la mamma serve anche la sardella?
 
Di Fabrizio (del 16/12/2005 @ 08:45:22, in media, visitato 2333 volte)

SR International - Radio Sweden
Ha una programmazione in lingua romanès, che può essere ascoltata in streaming o in onde corte (5840 KHz) dall'Italia e dall'Europa del Sud.
Oltre ad argomenti di cultura, musica, informazione, SR International ha due appuntamenti settimanali di un'ora; Radio Romano e Café Romano.
Sul sito è possibile scaricare l'ultima puntata.
Chi vuole partecipare ai programmi, può contattare:

Radio Romano
Oxenstiernsg. 20
105 10 Stockholm
Fax: :+46-8-661 0587
Tips tel:+46-8-784 2072

 
Di Fabrizio (del 17/12/2005 @ 10:21:40, in media, visitato 1980 volte)
BUCAREST - Secondo il Bucharest Daily News, lo scrittore ed editore Mircea Dinescu avrebbe l'intenzione di lanciare un periodico, dal titolo "Rrom poveri, Rrom ricchi". La pubblicazione sarà gestita dalla Satiricon press society. Il numero zero è già pronto, è verrebbe lanciato a inizio gennaio "quando la gente sta riprendendosi dalle sbronze". La redazione del giornale coinvolgerà intelluttuli di etnia rrom e rumena.

La rivista conterrà circa 80/100 pagine e sarà tirata in 25.000 copie distribuite nazionalmente, anche se sarà rivolta principalmente alle comunità dei Rrom più agiati di Cluj e Bucarest e nei dintorni di queste città. Dinescu sarà "baby sitter e proprietario" del giornale, il direttore non è stato ancora nominato.

fonte Romanian_Roma
 
Di Fabrizio (del 22/12/2005 @ 17:00:27, in media, visitato 2565 volte)
Da Romani_Cinema:

" ...Conosciamo il razzismo. Conosciamo la discriminazione. Ma nel nuovo documentario "Faces of Change" lo vediamo svilupparsi ovunque - pervasivamente e universalmente, con gli stessi devastanti effetti, come succede al signor Ivan Ivanov.  La lotta per superare la vergogna, come il razzismo - pervade questo film. Sono cinque storie arrotolate assieme a fornire un'istantanea sul razzismo, girate da cinque giovani cineamatori che sono anche attivisti dei diritti umani negli angoli più nascosti del globo. Mettono in gioco le proprie vite e combattono in queste riprese grezze, personale, sovente ispirate."

"Faces" : Prejudices on a Persona Level
THE WASHINGTON POST
 
"FACES OF CHANGE" è un film di successo sui diritti umani. In 80 minuti mette a fuoco la vita di cinque attivisti di cinque diversi continenti. Ivan Ivanov, il rappresentante dell'Europa, è un Rom bulgaro, attivista dei diritti umani, avvocato e direttore esecutivo dell'organizzazione internazionale ERIO - con sede a Bruxelles (homepage di ERIO - su Ivan Ivanov qui un precedente articolo ndr.). Anche se in possesso di una laurea in legge e una in medicina, non sfugge ai pregiudizi sui Rom. Dal Nord America Eloida Blanco, che risiede nella comunità di Agriculture Str. a New Orleans e la cui sorella ha sviluppato un tumore da quando aveva 12 anni. Mohamed Borbosse dall'Africa è un ex-schiavo della Mauritania e rischia quotidianamente la propria vita a causa dei suoi comizi contro la schiavitù.

Faces-of-Change1

da: silverdocs.com

Ivan Ivanov, [...], ha lottato contro la povertà e il razzismo per diventare dottore. Ma quando un paziente rifiuta di sottoporsi alle cure di un Rom dottore, Ivanov capisce di doversi impegnare per un'altro lavoro. Ritorna all'università per diventare avvocato specializzato in diritti umani e combattere i pregiudizi contro i Rom in Bulgaria.

 
  Kathir Raj rappresenta l'Asia ed è Dalit (intoccabile ndr.) la sua famiglia da generazioni è destinata a suonare le percussioni ai funerali delle caste più nobili. Nara dos Anjos, brasiliana di pelle nera, rimase incinta quand'era ragazzina e ora cerca di evitare lo stesso destino alle altre ragazze.

Attraverso il video i cinque attivisti trasmettono dispacci dai rispettivi angoli del mondo, raccontando storie e mostrando immagini che nessun pubblico conosce fuori dai rispettivi confini. Gli interpreti recitano le loro stesse vite, esperienze e presentano come li vede la società e come la vedono loro. Sono storie ricche di passione e stupore, umorismo, paura e impregno per cambiare. Attraverso le interviste il film documenta la scoperta da parte degli interpreti delle ideologie razziste nel proprio paese e la scoperta dei tratti in comune, dopo la loro partecipazione alla conferenza ONU contro il razzismo di Durban in Sud Africa. Accompagnati da storie e musiche, gli interpreti ci accompagnano ad aprire assieme una finestra sulle connessioni che esistono tra le diverse realtà.

L'8 dicembre si è tenuta l'anteprima di "Faces of Change", a New York presso lo Schomburg Center di Harlem. Il film, appena entrato nel circuito commerciale ha già ottenuto diversi riconoscimenti, come l'Humanitarian Award al Fort Lauderdale International Film Festival.

 
 
FACES OF CHANGE ha ottenuto anche il premio del SILVERDOCS Documentary Film Festivalin the U.S.A nel giugno 2005.

E' anche stato selezionato ai:

- Locarno International Film Festival, Switserland ad agosto 2005,

- Rio International Film Festival ad ottobrer 2005 e

- Fort Lauderdale International Film Festival.

Inoltre è stato invitato a:

- Bergen International Film Festival in Norway, e

One World FIlm Festival in the Chech Republic di marzo 2006
 
Usa
Di Fabrizio (del 23/12/2005 @ 04:48:14, in media, visitato 1775 volte)

Dopo un po' di tempo, vi aggiorno su Mengro e Lele della mailing list Allgypsies, due persone spiritose e simpatiche, che puntualmente devono fare i conti con uragani, vicini, giornali... soprattutto giornali:

Avrei voluto annoiarvi prima, ma mi era sfuggito di mente. C'è qualcuno che in questo articolo trova indicazioni precise sul fatto che i colpevoli siano "zingari"? A cosa si riferiscono gli autori quando parlano di "truffa zingara"? Uno (o tutti?) gli autori di questi crimini sono di origine romanì? Ma, sapete, so che hanno ragione, loro sono IL GIORNALE!
Lele



Dal Gainesville Sun, Gainesville FLORIDA

December 08. 2005 6:01AM
Se vivete a Williston, attenzione agli "zingari del linoleum."

Secondo la polizia di Williston, due uomini hanno bussato alla porta di un'anziana coppia al blocco 300 della SE 2nd Street, offrendo loro una copertura in linoleum per il pavimento. Una volta entrati, i due hanno chiesto di poter andare in cucina, per distendere meglio il linoleum. Uno dei due tendeva il linoleum, celando così l'ingresso di un terzo complice che rubava una "consistente" somma di denaro [...]

Gli anziani sono frequentemente bersaglio di queste "truffe zingare" e raramente le denunciano, vergognandosene, dice il Lt. Clay Connolly, portavoce del dipartimento.

Chiunque avesse informazioni su incidenti simili deve mettersi in contatto con il Williston Police Department oppure con Crime Stoppers.

PS: Vi aggiungo l'email del Gainesville Sun se volete dire la vostra su questa storia di "zingari fantasma": voice@gvillesun.com

Yoy!


Oggetto: Il ritorno stagionale degli scassinatori "zimgari"
12/18/2005
Il vostro articolo è offensivo, nel descrivere un gruppo etnico collegandolo al rafforzamento legislativo. Se da parte mia non ho dubbi sul fatto che gruppi operanti in questa maniera possano essere anche composti da "Zingari", devo sottolineare che "Zingaro" o Romanì è il nome di un gruppo etnico, NON il nome di un tipo di crimine. Esistono altri gruppi minoritari che commettono crimini, ma qualsiasi media non pubblicherebbe mai [notizie di] cronaca nera, definendole comportamenti criminosi di Neri, Ebrei, Ispanici o qualsiasi altro gruppo etnico.

Submitter: Laura Hoffman
Email: lhoffman6026@mac.com

 
Di Fabrizio (del 26/12/2005 @ 10:46:22, in media, visitato 1973 volte)
Ciao a tutti gli amici e colleghi. Sono della Serbia Montenegro e voglio presentarvi la stazione Radio TV dei Rom per cui lavoro.

http://www.nisava.org

Potete anche visitare il sito dedicato al Decennio dell'inclusione dei Rom, con le ultime notizie, informazioni sul Decennio dei Rom, documenti, forum di discussione, chat online e molte altre cose interessanti.

Saluti a tutti voi

Goran su Roma_Yugoslavia

 
Di Fabrizio (del 27/12/2005 @ 09:33:09, in media, visitato 2093 volte)

di: Kristína Magdolenová

Intervista a Ivan Hriczko, Direttore di Roma Press Agency

Articolo originale

Ivan_Hriczko
Nella foto: Ivan Hriczko (a destra) con una collega.

Circa 400.000 Rom vivono in Slovacchia. Nonostante il loro numero, non hanno accesso alla vita sociale e politica. Non hanno rappresentanti nel Consiglio Nazionale della Repubblica Slovacca e neanche nei parlamenti regionali. D'altra parte, sino a qualche mese fa c'erano 22 partiti rom a base etnica. Com'è possibile che dopo 15 anni dall'origine della Repubblica Slovacca, la situazione sia ancora immutata?

Quindici anni sono un lungo periodo, ma forse non è così per la comunità rom. Non sono sufficienti a formare relazioni con l'ambiente in cui siamo immersi, così da farci conoscere e capire noi quale sia il nostro ruolo. Una situazione a cui nessuno è preparato.

Ora sono pronti? Cosa manca?

Il problema ha origini antiche. Sin da quando venne posta la questione su cosa fare con i Rom, emerse il problema sociale della nostra scolarizzazione e di come fossimo emarginati dal mercato del lavoro. Il processo di soluzione ha causato sofferenze alla comunità, che continuano tutt'oggi: una varietà di istruttori laureati provenienti dal terzo settore hanno letteralmente invaso le comunità, e senza conoscere niente della nostra vita ed organizzazione hanno deciso chi sarebbe diventato un leader, chi doveva studiare... e chi no. Sfortunatamente, questa fu soltanto l'applicazione di criteri validi nell'organizzazione sociale maggioritaria. Così, venne creata un'intera generazione di cosiddetti leaders, che in altri contesti non sarebbero mai emersi, e nel contempo venne gravemente danneggiata la precedente struttura comunitaria.

Subito dopo il 1989, i Rom avevano i propri rappresentanti in Parlamento. Ma vennero "tagliati fuori" dagli sviluppi politici dopo l'indipendenza della Slovacchia...

Sì, ma questa gente, scolarizzazione a parte, per la maggior parte fu "spinta" in politica. Mancava loro una formazione più profonda. Insomma, erano soli e furono spinti nel mare quando avrebbero dovuto imparare a nuotare. Non ne ebbero vantaggi personali, ma non hanno imparato a mobilitare la comunità.

Come hanno influenzato la cosiddetta disunità della comunità?

La comunità rom non è un gruppo omogeneo e non ci si può aspettare che presentino loro stessi coesivamente. Quello che ci univa, l'etnia, si è mostrato un collegamento debole. Quando la gente vive nella paura e nell'ignoranza, è difficile aspettarsi che si impegni politicamente.

Ci dev'essere un sistema per collegare i Rom alla politica a tutti i livelli...

Ritengo che nasca dalla cooperazione con i non-Rom. E visto che stiamo parlando di politica, dalla cooperazione con i partiti non-Rom. La sola appartenenza etnica non garantisce la capacità di percepire le cose a vantaggio della comunità e non ci da gli strumenti politici per affrontare e risolvere i problemi. Abbiamo molto da imparare. E possiamo farlo solo lavorando assieme ai non-Rom.

Così c'è bisogno di una discriminazione positiva?

No, non credo. Esattamente l'opposto. Oggi parlare di discriminazione positiva è come agitare un drappo rosso davanti a un toro. Piuttosto abbiamo bisogno di pari opportunità; che è l'unico modo per non aumentare l'odio e l'amarezza dei Rom verso i non-Rom e viceversa. Se tuo figlio non può andare all'università perché ci sono le quote, per tutta la sua vita disprezzerà chi gli ha rovinato gli studi e la carriera. Dopo diviene difficile spiegargli che ci sono priorità politiche per tutti i cittadini di un paese se la loro esperienza è stata diversa. Quello di cui c'è bisogno è creare dall'inizio condizioni per i bambini delle comunità marginalizzate, che permettano loro di essere uguali agli altri ed essere valutati su basi paritarie.

Quindi il punto di partenza è lavorare sistematicamente con i più giovani. Non è una strada troppo lunga per risolvere il problema rom?

Una cosa di cui serve avere coscienza è che se parliamo di Rom, non possiamo riferirci unicamente ai sotto standard di chi vive negli accampamenti. Prendiamo in mano le statistiche e troveremo che lì vivono in Slovacchia circa 150.000 persone. Che percentuale è sulla comunità totale? Si chiarisce che è solo una parte della comunità, valutata da chi è esterno alla comunità come Rom, ma che con i Rom, le loro tradizioni e culture, ha ben poco in comune. C'è chi ci riconosce da distante, per il colore della pelle, per  la lingua. Ma questo non basta. Noi viviamo in maniera completamente differente. I problema principale è che i media presentano quel gruppo (minoritario) come "tipicamente" Rom. Creando così lo spazio per discriminare ed odiare anche tutti gli altri.

Siamo arrivati al punto che non possiamo usare lo stesso metro per tutti i Rom.

Proprio così. Per quelli che vivono negli accampamenti c'è bisogno di programmi speciali a lungo termine che inizino dalla tenera età e di lavoro giornaliero, sistematico. [...] col coinvolgimento della comunità e degli insegnanti, bambini ed adulti possono imparare moltissimo. Ma non aspettiamoci miracoli. E' un lavoro per generazioni. Nel contempo, ci sono qui migliaia di gruppi di Rom integrati, che non hanno gli stessi problemi. Sono poveri, perché non c'è lavoro. E non trovano lavoro perché non sono andati a scuola, o l'hanno fatto in maniera insufficiente. Ma, d'altra parte, questa gente non ha bisogno di imparare l'igiene di base. Vivono con gli stessi standard degli altri cittadini, solo più poveri. Mancano programmi per questi gruppi, e invece sono loro la chiave per risolvere i problemi di tutta la comunità.

Torniamo alla partecipazione alla vita politica. Abbiamo detto che nel 1989 i Rom hanno perso la loro possibilità e non hanno imparato a mobilitarsi. Più tardi, i problemi economici hanno frammentato la comunità e sono intervenuti vari problemi a diversi livelli. Nel contempo, però, i Rom hanno avuto la possibilità di istruirsi e di formare una nuova generazione. Oggi i Rom sono pronti a prendere parte alla vita politica?

E' vero che oggi abbiamo dozzine, se non centinaia di studenti Rom freschi di università. Molti hanno ambizioni politiche. Ma non hanno nessuna esperienza pratica nel lavoro politico e mancano di capacità comunicative.

Com'è possibile che un laureato non sappia comunicare? Come lo spieghi?

Gran parte di loro, sono studenti di facoltà rom. Ci sono due problemi principali che non permettono un'adeguata preparazione alla vita politica:

  1. il livello di insegnamento - e questo mi è confermato dagli stessi alunni che entrano nel mercato del lavoro - è inferiore a quello delle università non-Rom. E' un modo per far finta che oggi ci siano Rom istruiti. C'è un forte gap tra il loro apprendimento e le reali necessità della vita e cosa ci si aspetta da loro come studenti. Quegli studenti da un lato sono deprivati della loro cultura e contemporaneamente vivono un complesso di inferiorità rispetto ai loro coetanei non-Rom.

  2. In queste scuole si vive in un mondo etnicamente chiuso e, inoltre, viene loro ripetuto di essere qualcosa di differente. C'è da meravigliarsi se non ce la fanno? D'altra parte, sono persone reali nel mondo d'oggigiorno. La loro prospettiva è di ottenere posizioni a livello regionale, acquisire esperienza e preparazione per entrare nella politica che conta.

Qual'è il legame che manca maggiormente tra Rom e non-Rom perché possono incontrarsi politicamente?

Personalmente, ritengo che sia la capacità di percepire l'altro come partner a pieno livello. E' un blocco che non permette la piena valorizzazione delle mutue relazioni.

Però, molti dei cosiddetti rappresentanti delle giovani generazioni non sono cresciuti nei campi. Molti vengono da famiglie pienamente integrate o assimilate nella società maggioritaria. E' gente che sicuramente non ha problemi nel comprendere i principi di cooperazione, coabitazione, partnership.

Questi giovani Rom assimilati, in quanto rappresentativi dei Rom, secondo me sono un problema speciale della comunità, che ritengono un freno. Molti di loro, proprio come i loro genitori, non hanno assolutamente l'idea delle tradizioni comunitarie. Sono registrati come Rom, perché la loro pelle è più scura o perché tra i loro antenati c'era un Rom, di cui loro stessi si stupiscono. Ma cosa sanno dei Rom? Dei loro problemi? Della loro cultura? Li percepiscono, esattamente con gli stessi criteri della maggioranza. Ne hanno imparato dai libri. A volta mostrano lo stesso disdegno. Non recepiscono la struttura interna della comunità e non conoscono la lingua. Nemmeno sono in grado di creare una strategia che possa risolvere qualcosa dal punto di vista comunitario. La società maggioritaria li sceglie come partners, perché li percepisce come differenti, ma non è cosciente di cosa sia questa differenza. Nello spirito, non sono più Rom, e così se trovano ascolto si dichiarano tali, altrimenti tacciono la loro identità. Ma se a loro si chiede, ai massimi livelli, di risolvere i problemi dei Rom, non c'è da stupirsi se non sanno come prospettare soluzioni effettive.

Ritengo che abbiano un ruolo importante nel fornire un quadro attuale dei Rom. C'è qualcuno che mantiene contatti comunitari o che ne sia rimasto fedele?

Sì, naturalmente. E sono contento che ce ne siano. Persone che mantengono la tradizione comunitaria e nel contempo sanno guardare avanti. Non sono dei semplici carrieristi ed è per questo che hanno meno visibilità. Non è una generazione "sputata fuori" dalla rivoluzione, ma oggi studiano all'università e l'accesso alla scolarizzazione e alla vita in generale è differente dal passato.

C'è una possibilità reale in Slovacchia che i partiti non-Rom accettino candidati Rom in seggi eleggibili? 

L'esperienza mi dice di sì. Ho incontrato diversi rappresentanti politici slovacchi e in linea di principio non ci osteggiano. C'è bisogno di noi: indotto dall'entrata nella EU e dallo sviluppo della società. Credo che i partiti stiano cercando candidati presentabili. E' importante che non diano spazio agli opportunisti e agli avventurieri, perché questo rallenterebbe nuovamente il processo di coscienza etnica della comunità.

Quali sarebbero le caratteristiche di un futuro leader politico Rom, perché sia accettato e benvisto dalla maggioranza dei votanti e dei partiti?

Prima di tutto, un programma politico differente. Non di segregazione ma di integrazione e cooperazione. La società maggioritaria deve sentirlo come un programma comune. Se invece ci limitiamo ad un programma profilato solo sulle nostre esigenze, per un gruppo di votanti che non ne ha coscienza, non saremo accettati. Il nuovo programma politico deve avere il contributo di quei segmenti della comunità che sono integrati e che hanno interesse a coabitare senza problemi. Se la società maggioritaria può accettare questo gruppo, sarà un primo passo verso la soluzione effettiva dei problemi di tutti i Rom.

Ma per alcuni anni la cosiddetta Nuova Generazione dei Rom, e i loro leaders, ha funzionato...

Nuovi e leaders e vecchi programmi. L'unica differenza tra loro e la vecchia generazione è l'età e forse l'istruzione. Ma è stata un'istruzione segregata, come dicevo prima e non avevano la capacità di sentire i non-Rom come partners. Si sono sentiti discriminati e volevano risolvere presto ogni cosa. Di più, da quando sono entrati nelle OnG, hanno iniziato a parlare di ambizioni politiche. Ci sono state commistioni poco chiare all'unico scopo di ottenere una buona posizione.

E dove sono gli altri?

Come dicevo, nelle OnG regionali. sul territorio. Molti di loro non parlano, agiscono e perciò sono meno visibili.

Che tipo di leader hanno bisogno i Rom? Cosa lo renderebbe rispettabile?

Oggi è molto difficile. Quindici anni fa, avrebbero potuto facilmente diventare leaders comunitari. Ma poi sono stati rimpiazzati dai carrieristi del terzo settore. Da un lato, molti lo spiegano col processo di democratizzazione e di presa di coscienza della comunità, ma nella realtà è la distruzione di un sistema che era già abbastanza corrotto. Dipende da che angolo lo si guarda. Per me rappresenta una grande tragedia.

La comunità è ancora capace di identificarsi e rispettare qualcuno?

Nuovamente, dobbiamo riferirci ai differenti livelli della comunità. Ce n'è uno infimo, che sopravvive in condizioni sotto ogni standard. Sfortunatamente, è qui che regnano i carrieristi. Quelli che necessitano di tali livelli di miseria per giustificare il loro ruolo. In questa situazione di dipendenza assoluta, anche se apparisse qualcuno capace di formulare un programma, di prefigurare cooperazioni future, non sarebbe creduto. Hanno bisogno di risultati rapidi, se non immediati. Ma questo, logicamente, non è possibile. Quindi, tendono a dare fiducia a chi li paga, a chi promette l'impossibile, agli avventurieri; oppure la loro disillusione coinvolge tutti: Rom e no. Una giostra da cui è difficile scendere.

Così, quanti realmente lavorano, chi li aiuta veramente, non può aspettarsi niente..

Disgraziatamente, è così. La prova si è avuta con le elezioni dei parlamenti regionali. I candidati che sono stati con loro quotidianamente, che hanno ascoltato le loro richieste e i loro interessi, non sono stati eletti.

Cos'è successo? Davvero non sono capaci di capire chi li sta aiutando?

Lo sanno, ma nella loro situazione è facile manipolarli. Cos si può pretendere quando la politica verso i Rom consiste in droga, aiuti alimentari e regali finanziari? Votano per chi li paga. Poi, il giorno seguente si scuseranno e torneranno da chi li segue quotidianamente. Non capiscono che col loro voto possono decidere i loro prossimi anni.

E invece, i cosiddetti Rom invisibili? Quella middle class parzialmente o totalmente integrata?

Anche loro al giorno d'oggi vivono problemi economici e lottano quotidianamente per sopravvivere. Ma nella Slovacchia orientale, dove vive la maggioranza di loro, questa non è una novità neanche per i non-Rom. Le difficoltà di vita sono comuni. La gente lì ha le sue opinioni, più o meno influenzabili, ma la maggioranza non vota certo per i Rom o per i loro partiti. Proprio per questo i loro rappresentanti spesso sono percepiti come incapaci di progredire o al limite come persone che hanno più interesse a loro stessi che ai problemi della comunità. C'è la sensazione che a nessuno importi di questi invisibili e nessuno possa aiutarli.

Cosa pensi delle posizione delle donne rom in politica? Hanno la possibilità di cambiare qualcosa?

Personalmente accetto le donne Rom come politiche e lotto e collaboro assieme a molte di loro a livello regionale, ma nel loro complesso i Rom non le appoggiano. La vecchia generazione di politici le rifiuta assolutamente o le ignora.

Perché?

Forse hanno paura di loro.

Te lo chiedo nuovamente: perché?

Perché le donne hanno più cognizione nel formulare i bisogni della comunità o perché non giocano a fare le leaders o le cape, non hanno bisogno di simili riconoscimenti. Se potessero parlare, potrebbero dimostrare che esistono soluzioni e che sono molto semplici. Ma i leaders politici non hanno bisogno di questo, hanno solo bisogno di comandare il loro intorno. 

Ma non hanno nessuno da comandare.

Però figurano rappresentanti di 400.000 persone. Brandiscono quella cifra e non hanno timore di aumentarla.

Dopo l'obbligo di registrazione dei partiti, in Slovacchia rimangono solo due partiti dei Rom. Tra quelli che hanno cessato di esistere c'è l'Iniziativa Civica Rom, che era il più vecchio. Cosa pensi di questo processo?

E' un'immagine reale di come appaia la vita politica rom. Il fatto che i vecchi partiti non si siano registrati, lo considero un errore ridicolo ed imperdonabile dei rispettivi leaders. Proprio quando si parlava di rilancio e di ritorno alla politica. Questo da solo spiega la loro abilità, o forse incapacità, di muoversi nella politica.

Però, subito dopo gli stessi leaders sono finiti in partiti non-Rom.

Per noi, trattasi di partnership, non di business. Quanto è accaduto prima delle elezioni regionali era business: la promessa di un certo numero di voti dei Rom in cambio di una buona posizione. Ne sono convinto.

La situazione si ripeterà con le elezioni nazionali l'anno prossimo?

Il rischio c'è sempre. Ma i partiti non-Rom hanno un anno a disposizione per cercare, informare, cooperare con chi già opera a livello regionale. Possono scegliere e hanno tutto il tempo necessario. Devono però indirizzarsi verso quanti abbiano ottenuto risultati e mobilitato gente, non verso chi parla di cosa vorrebbe o cosa farebbe. Devono valutare la capacità di lavorare in team, di agire nell'interesse dei Rom e nel contempo che sappiano vedere oltre la mera dimensione etnica. Dopotutto, non abbiamo niente da perdere. Se un candidato Rom ha carisma sufficiente, può attrarre anche il voto dei non-Rom. Questo è un punto di partenza per iniziare a lavorare e risolvere assieme le cose.

Ivan Hriczko (1980) è co-fondatore di Roma Press Agency (vedi anche Pirori ndr). Ha lavorato come primo giornalista Rom nella televisione (TV Naša e TV Global). Attualmente studia marketing e scienze politiche all'università.

 
Di Fabrizio (del 03/01/2006 @ 09:30:33, in media, visitato 3208 volte)

Qualcuno mi ha scritto per sapere com'è andato il Veglione al campo di via Idro. A loro ho già risposto, così vi racconto un po' di fatti miei, per alcuni rospi che dopo 2 giorni mi sono rimasti in gola.

La festa quest'anno è stata sottotono: alcune famiglie non hanno festeggiato a causa di un lutto. In passato, tutto il campo avrebbe tenuto il lutto, ma un gruppo ha deciso di festeggiare lo stesso. Mi ero aggregato alla festa, perché approfittando di un'iniziativa di Radio Popolare (vedi 1 e 2) c'era possibilità di far festa Rom e non-Rom assieme. Ognuno portava qualcosa da bere o mangiare, e così si socializzava. Come abitudine in questo tipo di feste, non c'era un orario definito per iniziare a finire: di solito i parenti arrivano, salutano, scherzano, e continuano il loro giro, sostituiti da nuovi arrivi.

Per l'occasione, visto le ruggini recenti tra questo gruppo di Rom e alcuni di provenienza rumena, avevo preparato una teglia di Sarmale, il piatto tradizionale della Romania (molto apprezzato). E sono stato “obbligato” a tornare a casa con un salame sottobraccio, per non offendere nessuno.

La festa si è svolta in 3, 4 piccoli prefabbricati adiacenti, spaziosi e riscaldati. Però, gran parte del tempo passa spostandosi da una casupola all'altra, nevica e il campo è in aperta campagna. Poi entri e la stufa sta scaldando al massimo: una specie di sauna finlandese. Accompagnata da un alto tasso alcolico, senza gravi conseguenze, per fortuna.

Insomma: una bella serata, e soprattutto, il nostro ALIBI: ineffabile il Giornale del giorno dopo:

Topi d’appartamento Arrestati 15 nomadi

La solita storia di tutti gli anni. Stavolta, però, costellata di colpi di sceni [sic] e successi per le forze dell'ordine. Si sa: quando il «gatto» non c'è i «topi» ballano. Il che significa che le vacanze natalizie vanno di pari passo con i ladri d'appartamento e la loro «attività». Del resto certi periodi dell'anno per chi ruba nelle abitazioni sono come la stagione della caccia per gli amanti dell'arte venatoria: bisogna approfittarne finché si può. Stavolta, però, il finale è stato unico: tutti i topi sono finiti subito in trappola, nelle due notti tra il 30 e il 31 dicembre, nonché tra sabato e Capodanno. E 11 nomadi... (continua qui)

E' consolante scoprire che prima di arrivare al punto (11 nomadi), la redazione spenda tutti quei luoghi comuni sulla fine dell'anno (comuni nel senso che vanno bene per un topo d'appartamento di qualsiasi razza sia). La mia reazione, al solito, è stata di chiedermi se (per caso) non ci siano stati ANCHE altri furti, senza bisogno che il ladro fosse nomade, e se per caso avessero avuto lo stesso onore di cronaca.

Ma... mentre io ero a festeggiare in tutta tranquillità assieme a facce poco raccomandabili; alcuni amici a Bologna, proprio dietro le due torri, vivevano una brutta avventura: rapinati in mezzo a una marea di gente, hanno pure rischiato di farsi malmenare, per un telefono cellulare. Mi raccontavano di “ubriachi che girano tranquillamente armati”, di polizia a due passi che non fa niente, dei giornali che scrivono solo della festa d fine anno, e di questo gruppo di balordi che per tutta notte ha continuato indisturbato. Ma Bologna, il volto umano e dotto della sinistra italiana, al massimo se la prende con zingari e lavavetri: Sempre dalla retorica del Giornale:

La scommessa dei musei gratis

Vittorio Sgarbi - Abbiamo apprezzato, con stupore e plauso anche del centrodestra, le posizioni del sindaco Cofferati sui grandi temi dell'ordine e della legalità soprattutto in rapporto all'equivoco giustificazionismo umanitario rispetto ai clandestini, ai lavavetri, agli zingari, tanto da essere liquidato come «fascista». È veramente singolare che in questi tempi difficili tutto appaia rovesciato e che anche su questioni di elementare civiltà come quelle relative alla formazione la visione più aperta e più moderna si debba a un sindaco comunista.... (il resto lo leggete qui, se volete)

Notare, che anche in questo caso il titolo c'entra un tubo con l'apertura dell'articolo. Lo so, sarebbe fin troppo facile pensare che chi ha scritto quell'articolo, su ordine e legalità forse ha qualche peccatuccio da scontare...

A me resta una bella festa... e i rospi. Che poi in questo inizio anno è uno solo, grosso e a modo suo bugiardo. E si torna nuovamente a via Idro: fu sempre il Giornale a scrivere (Eleonora Barbieri) che in quel campo furono arrestati i banditi di novembre. Non era vero, ma non pubblicarono mai la smentita.

 
Di Fabrizio (del 06/01/2006 @ 10:34:19, in media, visitato 1753 volte)
Incredibile (almeno per i miei occhi) ma anche a Il Giornale riescono a parlare di periferie in termini non conflittuali. E sono persino capaci di scrivere articoli interessanti! Son così contento che lo ricopio per intero. : - D

Tutto il mondo è paese, anche se qui stiamo parlando di città. Vedi proiettate su uno schermo le immagini del Corviale, quartiere-serpentone romano lungo un chilometro, e non puoi non pensare al nostro Biscione, o alla diga di Begato. Inguardabili ammassi di cemento con dentro chissaquanta gente, generatori di miseria e delinquenza, pesantissima eredità del boom economico? O piuttosto centri di aggregazione, depositari di un patrimonio culturale «popolare» e, perché no, costruzioni addirittura belle?   

A dar voce alla seconda ipotesi sono diversi esponenti del mondo dell'architettura, specie in queste settimane, con la rivolta delle banlieues parigine che ha aperto più che mai il dibattito sulle condizioni di vita nelle periferie.
A Genova c'è chi ha cavalcato l'onda e non si è lasciato scappare l'occasione di dar voce alle posizioni più scomode riguardo al problema.
«Pensieri di Architettura» è un solerte gruppo di studenti genovesi che nei giorni scorsi ha invitato in facoltà a tenere una conferenza Osservatorio Nomade,   un team di artisti visivi e architetti romani da sempre impegnato in prima linea nel recupero delle zone suburbane della Capitale. Con un comandamento preciso: non distruggere, ma correggere quel che c'è già. E non si parla solo di quartieri-mostro come il sopracitato Corviale, ma anche e soprattutto di campi nomadi.
Gente in prima linea, quella di Osservatorio Nomade, che in pochi anni ha firmato una serie di progetti tra il bizzarro e il coraggioso per tentare un recupero del Corviale. I risultati sono stati presentati nel corso della conferenza ed è come minimo stimolante immaginarli applicati ai nostri «mostri» architettonici.
Seguendo alla lettera l'assioma «ascoltare, prima di progettare», il team di artisti ha avuto l'idea di creare una piccola TV locale dedicata al quartiere, Corviale Network, con programmi d'inchiesta che vedono protagonisti gli stessi abitanti (sono circa seimila, ma è difficile fare una stima, vista la quantità di occupazioni abusive). «Era il miglior modo di instaurare un rapporto con la gente che popola Corviale e, allo stesso tempo, di capire i loro problemi ed esigenze», spiega Alexander Valentino,   

una delle menti del progetto. Da lì si è passati attraverso laboratori sonori e visivi di diverso tipo, che hanno coinvolto soprattutto i bambini delle scuole elementari del quartiere. «Ho frequentato scuole di periferia - è il racconto di Valentino - e vi assicuro che è un'esperienza che rifarei. La cultura che si respira in periferia è un vero e proprio patrimonio da salvaguardare». Infine, la progettazione vera, con l'ipotesi di costruzione di bar, negozi ed aree gioco negli spazi aperti interni all'edificio.   

C'è anche l'idea di un non meglio precisato «schermo per i messaggi testuali» e di una zona per i tappeti elastici, ma nel mestiere dell'architetto c'è sempre stata una componente di eccentricità.
 

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