Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da
Roma_Francais
Dal 2006, nel dipartimento Seine-Saint-Denis esiste qualcosa chiamato
"villaggi d’inserimento per i Rom". Dietro a questa felice espressione si
nascondono in realtà dei quasi campi di internamento. Nel nome del principio
della libertà e della dignità umana, l’associazione "La voix des Rroms" (La voce
dei Rom) denuncia questo tipo d’iniziative ed invita tutte le altre
associazioni, soprattutto quelle che si occupano di Rom, a fare altrettanto. Per
informare il pubblico sull’argomento, l’associazione ha creato un blog,
http://villagedinsertion.blogspot.com, sul quale è disponibile, tra le altre
cose, un breve rapporto sull’argomento inviato alle istituzioni europee che si
occupano di Diritti Umani.
Nell’autunno 2006 è stato avviato nella città di Auberville un progetto privato
di opera urbana e sociale (MOUS), a beneficio di alcune famiglie rom originarie
della Romania. Consiste nell’installazione di alcuni bungalow nei quali
collocare tali famiglie, che saranno seguite dal punto di vista sociale da
alcune associazioni autorizzate dalla prefettura di Seine-Saint-Denis. Un
progetto analogo viene attuato l’anno successivo a Saint-Denis, ed un terzo nel
2008 a Saint-Ouen.
Il tutto si svolge ogni volta secondo lo stesso copione: un’inchiesta sociale
condotta da Pact Arim, una selezione secondo criteri annunciati dalla
sotto-prefettura di Saint-Denis e mai realmente rispettati, e soprattutto il 90%
circa degli intervistati che si vede recapitare l’ordine di abbandonare il
territorio francese. Il 10% selezionato viene posto sotto sorveglianza in aree
chiuse, controllare 24 ore su 24 ed alle quali non è consentito accedere a
chiunque provenga dall’esterno, che si tratti di familiari, amici o persino i
media.
C’è voluto qualche mese ai gestori di questi luoghi per trovare un nome alle
loro "creature". Si è optato per "villaggio d’inserimento". Ma si può chiamare
"villaggio" un luogo chiuso, dove un nonno non può ospitare il nipotino di un
anno? Si può parlare di "inserimento" allorché la prefettura, che partecipa a
questi progetti della durata prevista di tre anni, non consegna i permessi di
soggiorno o le autorizzazioni al lavoro alle persone che pretende di "inserire"?
Si può parlare di "inserimento" quando queste persone non hanno contatti con
l’esterno?
"La voix des Rrom" ed altre associazioni rom di Francia hanno allertato il
Commissario per i Diritti dell’Uomo presso il Consiglio d’Europa, l’Agenzia dei
Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e la Commissione Europea, a cui queste
associazioni hanno indirizzato una nota a proposito del trattamento riservato ai
Rom in Francia attraverso le "aree d’accoglienza per le persone nomadi" ed i
"villaggi d’inserimento per i Rom". Tali note, così come altri documenti scritti
ed audiovisivi, sono disponibili sul sito
http://villagedinsertion.blogspot.com .
"La voix des Rrom" lancia un appello alla società civile, ed in particolare alle
associazioni che si occupano di Rom migranti, affinché si oppongano a quella che
sembra essere proprio una bomba ad orologeria. In questi tempi di crisi, la
pubblicità ingannevole di sedicenti "progetti d’integrazione dei Rom" rischia in
effetti di dare vita a un’onda razzista come quella che da due anni a questa
parte è possibile osservare in Italia. L’adagio "chi tace acconsente" esprime in
questo caso il suo pieno significato.
Di Fabrizio (del 29/04/2009 @ 09:40:08, in Europa, visitato 1999 volte)
Da
Roma_Francais
DRANCY 1944 E DRANCY 2009 (nota: Drancy è una cittadina alla
periferia di Parigi. Durante la II guerra mondiale, gli Ebrei venivano deportati
dalla stazione ferroviaria della città verso i campi di sterminio)
Chi non conosce da dove viene, non sa dove va.
Ma, conoscere da dove vieni, ricordare la storia, è abbastanza per migliorare
il presente e il futuro?
Quattro giorni fa, il 22 aprile 2009, circa 200 Rrom della Romania sono stati
espulsi manu militari dal posto dove vivevano, nelle immediate vicinanze di
quella stazione, diventata giustamente un luogo di memoria collettiva.
Nessuna considerazione per la signora E.C., incinta, spintonata dalla polizia
e dagli incaricati, venuti a sequestrare la sua roulotte. Dopo aver fatto
presente la sua situazione, le è stato risposto "Non m'importa, non sei incinta
di me". Nessuna ulteriore considerazione per la signora E.B., sotto dialisi,
anche la sua roulotte è stata rimossa. Tutto questo per "ripulire" [l'area]
per questa commemorazione.
Abbiamo dimenticato il significato della parola "pulizia"? Se sì, non è bene
per il dovere della memoria che stiamo esercitando oggi.
Ci siamo dimenticati che ad Auschwitz, gli Ebrei deportati da questa stazione
ferroviaria perché nati Ebrei, si incontrarono con Rrom perché nati Rrom? Se è
così, questo esercizio di memoria perde molto del suo scopo.
NON DIMENTICHIAMO MAI! La deumanizzazione degli esseri umani porta dritto al
muro!
La voix des Rroms - Centre Aver contre le racisme - Centre culturel gitan
- Rromani Baxt - Ternikano Berno - Réseau solidarités roms
Association "La voix des Rroms"
50, rue des Tournelles
75003 PARIS
tél. & fax: 01.80.60.06. 58
http://www.lavoixdesrroms.org
Sosteneteci utilizzando un motore di ricerca solidale:
http://www.hooseek.com/?recommande_ong=279999
Di Fabrizio (del 30/04/2009 @ 09:47:38, in Europa, visitato 2237 volte)
Da
Roma_Francais
Marsiglia
Chkamebo?
Una testimonianza che fa vergognare...
Chkamebo?
In Kosovo, come in tutti i paesi abbonati alle grandi tragedie, c'è sempre
una parola per significare l'assurdo. In albanese, si può dire Chkamebo?, che
significa "Che si può fare?" La prima volta che ho sentito questa parola, era
nel 2003 in un Kosovo che iniziava a sollevarsi dalla guerra. Abnora, una
piccola bambina di otto anni il cui padre era sparito dopo un'incursione
effettuata dalle truppe paramilitari serbe, il fratello ucciso da un colpo in
testa ed il cugino trovato in fondo ad un pozzo, aveva terminato questo elenco
con la parola: Chkamebo?
La seconda volta, è stato ieri a Marsiglia, dalla bocca di questo padre di
famiglia rom d'origine kosovara, venuto in Francia per chiedere asilo e gettato
col resto della sua famiglia, come un pacchetto di biancheria sporca dinanzi
alla porta del Centro di Cure di Médecins du Monde (MDM), dai camion del
servizio sociale (Service d'aide médicale d'urgence SAMU). Ennesimo episodio di
una serie che ci riguarda da dieci giorni.
Da qualche mese, la famiglia di origine rom, composta da 22 persone di cui 15
bambini, è fuggita dal Kosovo e dalle persecuzioni per venire in Francia,
attraverso una parte dell'Europa, stipata su un camion barcollante ed è arrivata
in Ungheria dove hanno chiesto loro, conformemente alle convenzioni di Dublino,
che depositassero una domanda d'asilo, domanda che fu in seguito rigettata.
Sono allora ripartiti su un vecchio camion traballante in direzione della
Francia, questa terra ancora ingiustamente conosciuta per il suo rispetto dei
"diritti dell'Uomo".
Presso Aix en Provence, sono stati fermati dalla polizia che sequestra
l'autocarro, piazza i suoi uomini di guardia prima di rilasciarli muniti di un
decreto di ricondotta alla frontiera, senza spiegare loro che potevano fare
ricorso entro 48 ore. I figli di età tra i 16 mesi e i 15 anni furono nel
frattempo rinchiusi in un pensionato separatamente e senza la loro madre.
Pensionato da cui fuggirono per ripartire in famiglia in direzione di Marsiglia.
Venerdì 10 aprile, sono quindi 22 persone di cui 15 minori per la maggior
parte molto giovani e due adolescenti che, dopo una notte passata sul cemento,
aspettavano davanti al centro di Médecins du Monde a Marsiglia per "chiedere
asilo". Non hanno capito che il rifiuto dell'Ungheria voleva dire l'ennesimo
rifiuto in tutti gli altri stati europei. Ma nessuno si era preso la pena di
spiegarglielo.
Neanche sapevano che MDM non gestisce le domande d'asilo. MDM è
un'organizzazione medicale che realizza cure. Cure per i "sans papier", cure per
i "senza diritti", per chi non ha nessun'altra possibilità di riceverne se non
lo facciamo noi. Cure per quelli che hanno la sfortuna di nascere altrove e la
cattiva idea di pensare che possono trovare una protezione in Europa.
Cominciamo quindi con quello che sappiamo fare e che è la nostra missione:
curarli, in particolare i bambini, di 11 mesi, 2, 4, 6. e 8 anni, che dopo
settimane di notti all'aperto soffrono di esaurimento, rinofaringiti acute,
bronchiti e otiti.
Alle 16.00, un alloggio d'urgenza è finalmente proposto per il fine settimana
di Pasqua, fine settimana in cui due dei bambini più piccoli saranno
ospedalizzati d'urgenza. E' l'inizio di una lunga settimana di negoziati per
trovare una soluzione d'alloggio fino a quando il loro ritorno sia organizzato
perché è la sola alternativa che si offre loro.
Allora, venerdì 18 aprile apertura del CASO. I camion di SAMU senza una
parola ci lasciano 15 minori e 7 adulti davanti alla porta, obbligandoci una
volta di più ad assumerci una missione che non è la nostra, ma la loro, oltre a
quelle accumulate delle autorità responsabili, cioè la prefettura, il Consiglio
Generale, la DASS (DIRECTION DES AFFAIRES SANITAIRES ET SOCIALES).
Tutti mostrano una bella unanimità nel loro rifiuto di garantire un tetto a
queste famiglie. Gli uni hanno come pretesto che i bambini "non sono maltrattati
dai genitori", gli altri che sono "senza documenti" o "accompagnati dai loro
genitori". Quanto alla DASS, le casse sono vuote, In breve, nessuno è
responsabile, né debitore di trovare loro un tetto.
Alle 16.00, una soluzione provvisoria viene trovata per sei di loro a partire
dall'indomani. Sotto condizione, ben inteso. Devono quindi firmare una lettera
nella quale si impegnano ad accettare di ritornare da dove provengono. Ma anche
lì, è complicato. La prefettura chiede che la lettera indichi "o di ritornare in
qualche altro paese in cui avremmo la nazionalità". E poi, la firma non ha
l'aria autentica. E comunque, la lettera è in francese, lingua che non
comprendono. In ogni caso (ripetiamo "in ogni caso"), per gli altri 16 e
soprattutto gli 11 bambini, non c'è una soluzione.
Alle 18.00, i capi famiglia decidono quindi di reinstallarsi in un hangar
abbandonato di fronte al Centro di Médecins du Monde. Una notte in più sul
marciapiede per sei di loro. E probabilmente molte altre ce ne saranno per gli
altri 18.
Simili in questo a migliaia di altre famiglie con bambini che sono fuggite
dalla guerra e si ritrovano a dormire sui marciapiedi delle nostre città,
vittime del gioco di ping-pong delle autorità e di una politica che si
incaponisce a fare della solidarietà un delitto.
Alle 18.00, quando la famiglia s'installa in mezzo a rifiuti e rovine, MDM
decide di fare quello che abbiamo l'abitudine di fare... a Kabul o Baghdad, in
stati destrutturati e deprivati. Cioè: assicurare la copertura dei bisogni
fondamentali di fornitura di acqua alla distribuzione di pannolini per i più
piccoli senza dimenticare prodotti alimentari e sacchi a pelo.
Il 19 aprile, i reclami dei vicini hanno suscitato l'intervento della polizia
che si manifesta a tre riprese nello spazio di 24 ore. I poliziotti chiamati per
un "furto con scasso" sono venuti con un cane. Ma non entrano nell'hangar non
volendo spaventare i bambini. Alla fine della conversazione, sono loro che,
mostrando in ciò più tolleranza dei vicini, reagiscono come "padri di famiglia"
e si dichiarano costernati da ciò che vedono.
E' finalmente la Protezione Civile che si che infine si muove dopo
mezzogiorno e dichiara il luogo "insalubre", ne mura l'ingresso e propone al
gruppo una notte presso un albergo, notti che diventano due dopo una
negoziazione.
Due notti in albergo... Quello che lo stato di salute dei bambini non aveva
permesso, è stato reso possibile dai reclami dei vicini. E' vero che loro, i
piccoli kosovari, non votano.
Alle 21.00 li accompagniamo. Là, gli cedono i nervi, ci dicono che non ne
possono più di questi rimpalli successivi ed insensati che li hanno condotti una
notte sul marciapiede, cinque in un centro d'alloggio d'urgenza in mezzo a
carcerati e senza fissa dimora, poi, ancora una notte sul cemento sotto la
pioggia. Ora, due notti in albergo, e dopo? Cosa stanno diventando?
Non è mancato il coraggio per arrivare sino a qui. In questa Europa che non
li vuole, che rifiuta loro la possibilità di immaginarsi un avvenire.
Un servizio d'alloggio per le urgenze che getta chi ha in carico sul
marciapiede, nello stesso modo che si sbarazza dei suoi rifiuti.
Istituzioni che richiedono ad un bambino ammalato di essere maltrattato (ma
il marciapiede non basta) a conformità di legge, o orfano prima di vedersi
eventualmente offrire un'accoglienza rispettabile.
Bambini che si sballottano dal marciapiede all'albergo e dall'albergo al
marciapiede.
Un'assistente d'urgenza motivata da criteri elettoralistici ma non dallo
stato di salute che undici bambini malati ed esauriti non hanno potuto ottenere.
Il maltrattamento istituzionale non potrebbe dunque essere alla stregua del
maltrattamento parentale, un motivo legittimo di assistenza?
Quella sera, all'albergo dove solo i reclami del vicinato avevano permesso
che fossero portati, non volevano che una cosa: lasciare la Francia ed andarsene
in Italia, dove hanno dei parenti, sempre in cerca di un sogno improbabile,
quello di un avvenire su una terra dove la loro vita non sia minacciata.
Un sogno promesso dall'annientamento sulle frontiere di un'Europa sorda, muta
e cieca.
Noi, Médecins du Monde, siamo colpevoli del delitto di solidarietà,
rivendichiamo il dovere dell'assistenza alle persone in pericolo ed abbiamo
lasciato a posto la nostra coscienza.
Cendrine LABAUME Coordinatrice MDM Marsiglia
[...]
Di Fabrizio (del 01/05/2009 @ 09:39:15, in Europa, visitato 1766 volte)
Da
Polska_Roma
La minoranza invisibile
I Rom sono in una quantità poco nota in Polonia. Gli stereotipi abbondano,
ma la comunità rom - stimata in 40.000 unità - si è in qualche modo integrata
nella società polacca. Quindi dove finiscono gli stereotipi ed inizia la verità?
Un rapporto pubblicato dall'Agenzia dell'Unione Europea per i Diritti
Fondamentali (FRA) valuta il modo in cui i membri della comunità rom sono
trattati nella regione CEE. Il rapporto fa luce sullo stato della
discriminazione contro la minoranza nella regione - una questione che pochi
vogliono affrontare attivamente.
La ricerca per il rapporto è stata condotta a maggio-luglio 2008. Circa il
60% dei Rom in Polonia ha risposto "sì" alla domanda "Hai subito discriminazioni
nei 12 mesi passati?" Le aree della vita quotidiana in cui si sentono
discriminati includono il posto di lavoro, "al caffè, al ristorante o al bar," e
"dal personale sanitario".
Uno dei principali problemi è che i membri della comunità rom sono
stereotipati come ladri o mendicanti. "Stereotipare è molto comune in tutte le
società. La verità è che non c'è stata nessuna adeguata compagnia governativa
per combattere questo modo di pensare in Polonia", ha raccontato Aleksandra Amal
El-Maaytah, di Amnesty International Polonia, a WBJ.pl
Circolo vizioso
Il fatto che Rom e non-Rom vivano in quartieri separati e frequentino
differenti istituzioni dell'istruzione, rende le cose più ingarbugliate. "La
segregazione avviene -naturalmente-, per così dire, ma porta ad ulteriori
problemi con la [mancanza di] integrazione con la comunità non-Rom. Molti
conoscono i Rom soltanto dalla musica e dai festival di danza o dalla strada,"
commenta Amal El-Maaytah.
Questo, dice l'esperta, porta alla discriminazione, specialmente verso le
generazioni più giovani. "Essendo discriminati nella scuola, molti Rom non
ricevono l'istruzione che meritano. Più avanti avranno [meno] possibilità di
ottenere un impiego. Essere senza impiego significa non avere accesso alla
sanità e alla casa, ecc. E' un circolo vizioso."
Nonostante tutto ciò, Roman Chojnacki, presidente dell'Associazione dei Rom
Polacchi a Szczecinek, ritiene che la comunità romanì in Polonia, che è stimata
in 40.000 membri, sia più apprezzata delle comunità di altri paesi, ma che "ciò
non significa che tutto sia OK".
In un rapporto dell'anno scorso per il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti,
un'organizzazione internazionale rom, Chojnacki scrisse che infuria un
accalorato dibattito sulla chiusura delle cosiddette "classi romani" nel sistema
educativo polacco.
"Gli esperti e una gran parte della società romanì sono convinti che non c'è
utilità nell'impiego di classi separate," dice Chojnacki. Se queste classi
fossero rimosse, sia Rom che non-Rom sarebbero in grado di integrarsi meglio, e
si spera così che si ridurrebbe la discriminazione.
Soltanto criminali?
I membri della comunità rom lottano spesso con lo stereotipo di essere
coinvolti in attività criminali. "Nonostante i nostri sforzi, i mass media,
quando [riportano dei] crimini commessi, rivelano ancora la nazionalità degli
esecutori, cosa proibita dalla legge", dice Chojnacki. Aggiunge che questo
approccio costruisce un ulteriore pregiudizio verso il popolo rom.
Inoltre, quando sono loro vittime di un crimine, I Rom difficilmente cercano
aiuto dalla polizia. Secondo il rapporto FRA, circa il 33% degli intervistati ha
lamentato di essere stato vittima di crimini nei precedenti 12 mesi. La maggior
parte dei Rom - circa i tre quarti - che sono stati vittima di crimini come
minacce, assalti o "serie molestie" non li hanno denunciati alle autorità.
"Molti Rom ritengono che non c'è motivo di riportare atti di violenza alla
polizia," dice Amal El-Maaytah, "perché non affronterebbero il caso in maniera
adeguata. D'altra parte, senza portare a consocenza delle autorità i casi di
discriminazione, [le autorità] ... non possono fare molto."
From Warsaw Business Journal by Roberto Galea
Di Fabrizio (del 04/05/2009 @ 09:31:02, in Europa, visitato 2290 volte)
Da
Bulgarian_Roma
30 aprile 2009 FOCUS News Agency
Sofia - La Bulgaria è tra i paesi dove la minoranza rom si sente meno
discriminata, lo rivela un'indagine UE sui diritti delle minoranze. Secondo
quanto riportato, soltanto il 26% dei Rom in Bulgaria si sente vittima di
discriminazione. La Bulgaria viene seconda nella lista dei paesi più tolleranti,
subito dopo la Romania, dove il 25% dei Rom dice di essere discriminato.
La ricerca coinvolge sette stati membri UE - Bulgaria, Grecia, Polonia,
Repubblica Ceca, Romania e Ungheria. La Repubblica Ceca è riportata come la meno
tollerante verso la propria popolazione rom, dato che il 64% dice che i propri
diritti non sono osservati.
Di Fabrizio (del 05/05/2009 @ 09:25:44, in Europa, visitato 1622 volte)
Da
Roma_Francais [Di Yenisch (o
Jenisch) se ne è già scritto, soprattutto riguardo alle persecuzioni che
hanno patito. Qua invece si parla dei loro problemi pratici nella vita di tutti
i giorni. Mi interessa anche l'attenzione data ai rapporti non facili con i
"nomadi" stranieri, il doversi differenziare da loro per sopravvivere all'ondata
di stigmatizzazione che riguarda tutti. Se alcune affermazioni possono
sembrare non condivisibili, teniamo conto che queste difficoltà ci sono anche da
noi, ad esempio tra Sinti/Rom italiani e stranieri.]
Da
AgriHebdo par Pierre-André Cordonier
Le famiglie Yenisch della Svizzera cercano disperatamente dei posti
dove stazionare. Fanno appello agli agricoltori che disporrebbero di terreni.
Gli Yenisch svizzeri, circa 3.500 famiglie o più, che in occasione del
ritorno del bel tempo si preparano a levare i campi per esercitare i loro
mestieri tradizionali in tutta la Svizzera. Dei nomadi, o piuttosto dei
semi-sedentari, svizzeri da secoli, e che soffrono della cattiva reputazione che
ha la gente di viaggio presso la popolazione.
Confusione ed amalgami
Succede che Zigani, Rom o Manouche provenienti dalla Francia sbarcano tutti
gli anni in Romandia nello stesso periodo. Una concorrenza per gli Yenisch, ma
soprattutto molta confusione ed amalgami. I piccoli furtarelli, danni, inciviltà
delitti commessi da questi nomadi venuti da fuori aizzano la popolazione che non
fa differenze. Risultato, gli Yenisch svizzeri hanno sempre più difficoltà a
trovare posti dove accamparsi per proseguire lo stile di vita a cui tengono
caramente.
"La situazione ha cominciato a deteriorarsi da una ventina d'anni ed è andata
peggiorando. Noi prima eravamo conosciuti e spesso ben accetti, ma oggi abbiamo
perso il nostro status svizzero", spiega Francis
Kalbermatter. "Da qui la creazione di un'associazione, che ha già un anno, allo
scopo di sostenere la ricerca dei luoghi di stazionamento e di offrire una
garanzia a terzi, agricoltori, comuni o altri. I membri che contravvengono alle
regole in vigore o si rendono colpevoli di delitti sono esclusi
dall'associazione, dove le regole sono molto severe.
Domiciliati e viaggianti in Svizzera
Non è che gli Yenisch della Svizzera vogliano stigmatizzare i loro
confratelli stranieri. "Abbiamo sovente relazioni di vicinato serene", aggiunge
Sylvie Gerzner. Ma gli Yenisch tengono a smarcarsi da questa cattiva
reputazione, ereditata malgrado loro. "Noi siamo dei veri Svizzeri, abbiamo
comportamenti tipicamente elvetici, come l'igiene e la proprietà. Rispettiamo le
regole. E soprattutto, siamo domiciliati in Svizzera. Siamo quindi
rintracciabili facilmente e veniamo perseguiti legalmente se commettiamo delle
infrazioni. Cosa che sarebbe suicida, dato che siamo soliti tornare ogni anno",
intonano in coro i due responsabili. Gli Yenisch svizzeri d'altronde hanno come
tradizione di viaggiare solo in Svizzera.
Nessun problema oltre la Sarine (vedi
ndr)
Le autorità sono sensibili a questo problema e anche loro cercano delle
soluzioni. In tutti i cantoni. Vaud ha sistemato due posti di transito per la
gente di viaggio ed i comuni possono proporre luoghi di stazionamento secondo il
proprio bisogno, informa Pierrette Roulet-Grin, prefetto del distretto Jura-Nord
Vaudois, dal 2000 presidentessa del Gruppo di lavoro Gitans-Vaud (GT-Gitans-VD).
Ma questi ultimi non si presentano.
"Noi abbiamo dei comportamenti tipicamente svizzeri"
Ultima speranza: i contadini o proprietari di terreni sono pronti ad
affittare puntualmente un lotto. Nella Svizzera tedesca, è così da tempo, senza
alcun problema. Christian Stähli, agricoltore di Orges, è uno dei pochi a farlo
nella Svizzera romanda e conta circa 4.000 pernottamenti di gente di viaggio
all'anno, ha scritto il 16 aprile il 24 Heures Nord
vaudois-Broye. La famiglia Mast a Denens accoglie ugualmente degli Yenisch
durante sei mesi su 15 aree.
Ritorno per il contadino
"E' un ritorno per i contadini", precisa Francis Kalbermatter, "e stimiamo
che noi facciamo la nostra parte: le famiglie yenisch comperano i loro prodotti
all'azienda agricola se esiste l'offerta." Lo stesso per la legna, per il mitico
e tradizionale fuoco del campo al cadere della notte.
Riferimenti
Per tutte le proposte di messa a disposizione di terreni, contattare Francis
Kalbermatter, 1950 Sion 4, CP 4175, tél. 079 347 50 89,
francis-kalbermatter@hotmail.com o Sylvie Gerzner, 1462 Yvonand, CP 158,
tél. 076 222 2 66, sylvie70g@yahoo.fr
Quanti sono sensibili al mantenimento della cultura degli Yensich svizzeri
possono diventare membri-amici di Association Yenisch Suisse con una domanda
scritta e firmata al comitato dell'associazione
yenisch.suisse@gmail.com Sito
ufficiale: www.yenisch-suisse.ch
Per una ricerca su Internet, sono utilizzati diversi termini:
Yenisch, Yenische, Yenich, Jenisch, Jenische, ecc.
Blog:
http://yeniche1969.skyrock.com/
Di Fabrizio (del 06/05/2009 @ 09:20:58, in Europa, visitato 3961 volte)
Di Alberto
Maria Melis, tratto da "La terza metà del cielo"
(foto tratta da "Romà anni 80 e 90 Selargius Cagliari")
Roger Bastide, nel volume "Ethnologie Général, EncycIopedie de la Pléiade",
dice che ogni rito "... è un ricominciare ciò che è accaduto nei tempi
primordiali, ma non è una semplice commemorazione, abolisce il tempo profano per
fare penetrare l'uomo nell'eternità. Il mito rivive, il tempo mistico viene
restaurato, ridi viene presente, con tutta la sua forza attiva. Cosicché tutte
le feste, tutte le cerimonie, non sono altro che il ricominciare di ciò che è
accaduto... La natura e la storia vengono rigenerate mentre sono reintegrate in
questo "illo tempore ", che in effetti ha fondato all'inizio del mondo sia la
natura che la storia".
Il rivivere di questo mito, la restaurazione di questo tempo mistico, esplode
con incommensurabile vitalità quando i Roma cagliaritani festeggiano alcune
ricorrenze di carattere religioso, delle quali la più importante e la più
sentita è certamente la Festa di Primavera, che si svolge il 6 Maggio e che
viene anche chiamata Gurgevdan, cioé Festa di San Giorgio.
È parere di alcuni ziganologi che gli Zingari festeggino le ricorrenze in
qualche modo assimilate dalle popolazioni cristiane e islamiche che hanno
incontrato lungo la strada dall'India.
Di questa assimilazione sarebbero un esempio i festeggiamenti più noti tra
gli Zingari di fede cristiana, quelli cioè relativi al pellegrinaggio che ogni
anno essi fanno sino al Santuario di Saintes-Maries-de-la-Mer, in Camargue, dove
la leggenda vuole che nel 40 d.c. fossero approdate tre donne, insieme a San
Lazzaro resuscitato, a Massimino e a Sidone, su una barca abbandonata in alto
mare dagli Ebrei.
Delle tre donne, le cui reliquie sarebbero state riportate alla luce da Re
Renato di Provenza nel 1448, gli Zingari ne venerano in particolare una, Santa
Sara l'Egiziana, la santa di pelle nera che essi hanno adottato come loro
patrona e che dicono fosse della loro stessa razza.
Secondo il De Foletier è probabile che questo culto abbia avuto inizio solo
in tempi non troppo remoti e grazie all'identificazione in una santa che come
loro era "Kalé", cioè di pelle scura.
Nel caso del Gurgevdan invece le origini sono probabilmente assai più lontane
nel tempo e se assimilazioni vi sono state è altrettanto probabile che esse si
siano innestate alla perfezione su ricorrenze ancora più antiche.
Il San Giorgio, la Festa di Primavera, come cadenza temporale, si collega ad
un periodo che per gli Zingari ha un'importanza fondamentale: viene a morire
l'inverno e la Primavera dà inizio ad un nuovo ciclo vitale, le tenebre vengono
sostituite dalla Luce, cessa il sonno della natura che si risveglia nella sua
nuova esistenza.
Può essere un fatto casuale, o da ricollegarsi ad altre usanze rituali, ma
appare opportuno ricordare che anche nel Peloponneso, e parliamo di più di
seicento anni fa, gli Zingari del Feudo degli Acingani, nel mese di Maggio, si
recavano in festante corteo sino alla residenza del feudatario e qui, tra balli
e canti, rizzavano l'Albero di Maggio.
E sono proprio l'albero e l'acqua, come vedremo più avanti, i simboli
primordiali della vita, che ritornano con puntualità nelle celebrazioni della
Festa di Primavera e in quella, per gli Zingari cristiani, del San Giorgio Verde
(altra ricorrenza che si svolge in primavera).
Nel San Giorgio Verde un ragazzo viene "vestito" con rami e foglie di salice,
quasi a diventare un albero vivente il cui compito sarà quello di esorcizzare,
tra le altre cose, i corsi d'acqua.
Nel Gurgevdan invece i corsi d'acqua e gli alberi trovano una diversa
collocazione. Prima di descrivere nei particolari lo svolgersi della festa
occorre dire due parole sulla figura di San Giorgio, che nella mistica cristiana
è il simbolo della lotta del bene contro il male e di cui si sa, ma con poca
certezza, che potrebbe essere stato un guerriero martire a Lydda, in Palestina,
sotto l'impero di Diocleziano.
Ma San Giorgio è un santo particolare anche per un altro motivo: egli è
l'unico riconosciuto tale sia dai cattolici, sia dagli ortodossi e sia dai
musulmani. Viene festeggiato anche nella ex-Jugoslavia e più in generale in
tutti i Balcani. Nel Kosovo, il 6 Maggio di ogni anno, i pellegrini si recano
alla Roccia di Drahovco, luogo in cui, secondo le leggende locali, San Giorgio
arrestò il proprio cavallo sul finire di una dura battaglia. Perito ed assetato
venne salvato dall' animale, il quale, battendo gli zoccoli su una grande roccia
nera, ne fece sgorgare l'acqua che lo dissetò.
Nei Campi di Cagliari i preparativi per la ricorrenza cominciano solitamente
alcuni giorni prima. Tutte le famiglie, anche quelle più povere nelle quali di
norma i pasti non sono certo abbondanti, si sono costrette al risparmio perché
per il giorno della festa niente venga a mancare.
Gli uomini hanno provveduto per tempo ad ordinare una o più pecore, il piatto
più importante dei banchetti, presso i pastori che pascolano le greggi nelle
campagne circostanti la città.
La mattina presto, appena sorge il sole, le donne, gli uomini e i bambini più
grandi, preparano i fuochi. Mentre il Campo prende vita e il fumo dei fuochi si
confonde con la bruma, tutti si scambiano i saluti augurali: un abbraccio e un
bacio sulle labbra ripetuto alcune volte.
Poi, mentre le auto sono state agghindate con fiori e pezze di tessuto
colorato, ci si prepara ad un breve viaggio: la sua meta è un corso d'acqua, un
fiumiciattolo, sito ad una ventina di chilometri dalla città. Quando la carovana
di auto giunge sul posto è ancora molto presto e le acque del piccolo fiume sono
molto fredde.
Nonostante questo tutti fanno in modo di bagnarsi almeno le gambe; per alcuni
minuti, tra grida di gioia e grandi risate, si cammina o si corre nell'acqua,
poi ci si avvicina agli alberi che cingono le rive del fiume e ognuno prende
alcuni ramoscelli.
Anche i ramoscelli vengono immersi nell'acqua.
Prima di andar via si effettua un brindisi e si scambiano altri saluti
augurali. Rientrati al Campo i ramoscelli vengono offerti a quelli che non hanno
potuto recarsi al fiume (gli anziani, i malati, le donne rimaste a custodire i
bambini più piccoli) e altri vengono posti sulla porta di ogni baracca. L'intera
mattinata verrà poi trascorsa nei preparativi per la festa vera e propria, che
comincerà nelle prime ore del pomeriggio.
Le pecore vengono uccise, appese sui pali o sui rami degli alberi e
accuratamente scuoiate. Poi, ripulite, vengono infilzate su lunghi pali e
lasciate un paio d'ore ad asciugare al sole.
Sulla tarda mattinata gli uomini, che hanno già preparato i tappeti di brace,
sistemano le pecore sui fuochi e ne curano la cottura, girando ogni tanto i pali
per far sì che essa sia ben uniforme. Nel pomeriggio, quando anche gli ospiti
gagé sono ormai arrivati al Campo, si dà inizio alla festa.
Non si tratta, in questo caso, di un unico grande banchetto: ogni famiglia
prepara nella sua baracca il proprio personale pranzo, che viene sistemato o su
lunghi tavoli o su grandi piatti circolari chiamati Tevsie e direttamente
poggiati sui tappeti: la pecora arrosto, E Bakri, riveste un significato
particolare. Il suo sacrificio, secondo i Roma più anziani, ricorda l'episodio
di Abramo e Isacco presente nel Vecchio Testamento ed in qualche modo funge da
ringraziamento per le grazie ricevute. Se queste vengono ritenute
particolarmente importanti allora il Kurbano (il sacrificio), assume un
significato più solenne e con la carne della pecora viene cucinata la Shastimace,
il cibo della guarigione.
Esso viene poi offerto a tutte le famiglie del Campo perché ognuno possa
partecipare alla gioia del ringraziamento.
Il fatto che ogni famiglia abbia preparato il suo tavolo imbandito non
significa affatto che la festa venga celebrata in forma privata.
Infatti, mentre tra le baracche cominciano a risuonare le musiche slave
emesse ad altissimo volume dagli altoparlanti, l'intero gruppo si muove compatto
e dà inizio ad un'interminabile teoria di visite che lo porterà, di baracca in
baracca, a rendere reciproco omaggio a tutte le famiglie del Campo.
Sulla porta di ogni baracca tutti vengono accolti dal capo-famiglia, al quale
entrando si rivolge il saluto "Bahatalò givé" (felice giornata) e dal quale si
riceve l'augurio "The avé sasto taj bahatalò" (vieni salvo e fortunato).
Il capofamiglia porge poi ad ognuno dei nuovi arrivati un bicchierino di
liquore, che viene bevuto tutto d'un fiato prima di accomodarsi sui tappeti.
Poi, incrociando le gambe, ci si siede e si fa veramente festa.
Rispetto alla povertà dei pasti di ogni giorno la quantità di cibo messa in
mostra appare addirittura spropositata. Oltre alla pecora arrosto, che a volte
viene presentata ripiena con patate e riso, vengono offerti altri piatti tipici,
come la Pita, un torti no a base di farina, uova e formaggio, o la Sarma, un
involtino di foglie di cavolo verde con un ripieno di riso, cipolle, salsa di
pomodoro e altre spezie. Altri piatti che veramente vale la pena di assaggiare
sono il Suguko, una salsiccia di carne bovina, i Peré Paprike, peperoni scottati
al fuoco e poi infarciti con carne macinata, spezie e riso, e la Baklava, un
dolce a sfoglia i cui ingredienti sono farina, zucchero, strutto, noci e uva
passa. Nel corso di ogni visita tutti badano bene a non esagerare: si assaggia
qualcosa per rendere omaggio alla famiglia ma non si dimentica che si è attesi
da altre visite e da altri banchetti: tanti quante sono le baracche del Campo.
Più di un vero e proprio pasto si tratta insomma di una forma di convivialità
che si esprime nei canti, nelle chiacchiere, nelle risate, nella gioia di
un'intensità rara a trovarsi e che traspare con forza dai visi segnati da rughe
precoci.
È in questo momento che l'ospite gagé, frastornato e reso partecipe della
stessa gioia, capisce con quanta forza gli Zingari vivono la propria vita oltre
tutte le difficoltà alle quali sono sottoposti nella quotidianità.
Tra una visita ad una famiglia e ad un' altra, ma a volte anche durante i
banchetti, si svolgono i Celipé: uomini e donne, gli uni vestiti spesso di
bianco e le altre coi loro migliori e più sgargianti abiti, danzano il Kolo
(molto simile al Su Ballu Tundu sardo) o l'Ingra Indja. A volte, ma solo per
pochi intimi, viene ballato un ballo che ricorda la danza del ventre turca e che
appare di rara bellezza e plasticità di movimenti.
Così la festa va avanti per ore e ore sino al tramonto del sole.
Di Fabrizio (del 14/05/2009 @ 09:43:38, in Europa, visitato 1475 volte)
Da
Roma_Daily_News
7 maggio 2009,
Economist.com Incomprensi e bloccati nel fango
POCHI argomenti destano più controversie dei Rom nell'ex regione comunista.
E' facile caricaturare le posizioni più esplicite. Da una parte, attivisti
prezzolati che non vedono altro che razzismo di un'arrogante maggioranza bianca.
Dall'altro, retti cittadini, soddisfatti di sé stessi che ritengono i Rom (messa
gentilmente) autori delle loro sfortune, o (meno gentilmente) un assieme di
ladri parassiti buoni a nulla.
La realtà è molto più complicata. Chiaramente il non-intervento, l'approccio
punitivo dei Rom - delinquenti non è una risposta. Rinchiudere i Rom (per
esempio, come l'America imprigiona il suo sottoproletariato nero) non è solo futile,
ma sbagliato. La sofferenza di così tanti milioni di Europei dovrebbe scuotere
la coscienza del continente. La schiavitù rom terminò soltanto circa 150 anni
fa. Sono stati l'unico gruppo razziale, con gli Ebrei, che Hitler tentò di
sterminare. I regimi comunisti resero illegale il loro modo di vita. Le riforme
economiche hanno tagliato la loro rete di sicurezza.
Reuters
Inoltre, gli argomenti dei Rom - delinquenti sono fragili. Asseriscono
simultaneamente che la discriminazione non è il problema mentre
contemporaneamente rilasciano ampie dichiarazioni sulla criminalità rom, la loro
avversione all'istruzione, ed inaffidabilità. La disgustosa esperienza dei
bambini rom adottati alla nascita da genitori non-rom mostra che il razzismo è
almeno una parte del problema.
In verità, le generalizzazioni sulle questioni rom sono inaccurate dal punto
di vista dell'inutilità. Chiaramente non tutti i Rom sono poveri (o senza
istruzione, o abusano dell'assistenza pubblica, o inclini alla criminalità).
Difatti, le caratteristiche comuni sono rare: l'uso della lingua romanì, per
esempio, varia ampliamente. Certamente i Rom non sono del tutto innocenti per le
critiche stereotipate su di loro. In effetti, pochi attivisti rom vorrebbero
dimostrare il contrario.
Ma ragionare sull'accuratezza di queste generalizzazioni è futile,
specialmente perché la definizione stessa di "Rom" è contestata. Per fortuna, i
paesi civilizzati non usano i test del DNA per stabilire l'etnia e scrivere il
risultato sui documenti d'identità. Indipendentemente da ciò, "Rom" è una
questione di auto-descrizione. Alcune parti del problema si vedono meglio come
questioni etniche. Piuttosto, si può capire di più come il risultato di una
povertà profondamente radicata in un sottoproletariato. Come puntualizza Petra
Gelbart, un'attivista rom ceca ora in America, molti dei problemi ascritti ai
Rom, come le frodi nell'assistenza pubblica, sono presenti anche nelle comunità
povere non-Rom.
Quei Rom che conducono vite miserabili nell'Europa orientale (e migrano verso
quella occidentale per trovarsi vilipesi anche lì), lo fanno principalmente
perché sono poveri, non a causa di una loro (spesso apparente) connessione
linguistica e culturale con una datata migrazione dall'India. Cercare di fermare
la discriminazione e promuovere la lingua romanì può aiutare quanti già
attaccano la mobilità. Ma cercare di terminare una cultura di povertà radicata
per generazioni, probabilmente è più importante.
Questo non rende facile le risposte. Soprattutto nelle politiche sociali, un
meccanismo statale determinato ma flessibile è il requisito centrale. Una scuola
locale dinamica che offre pasti caldi gratuiti e sovvenzioni le divise
scolastiche può cambiare le attitudini familiari sul mandare lì i propri figli.
Combinato con un sistema di assistenza che renda i benefici dipendenti da bassi
tassi d'interesse e tutto ciò diventa ancora più efficace.
Tutto questo richiede fondi e buon governo. Questo sembra nel breve termine.
I paesi ex-comunisti hanno fatto fatica nella gestione anche quando i tempi
erano buoni. Poiché la diminuzione economica comprime la spesa pubblica,
prestare attenzione urgente ad una minoranza disprezzata non sembra una mossa
vincente.
Di Fabrizio (del 16/05/2009 @ 09:08:23, in Europa, visitato 1689 volte)
Da
British_Roma
Il Consiglio RCN
deve far pressione per rivedere l'accesso ai servizi sanitari e sociali per
gruppi socialmente esclusi, come le comunità viaggianti ed i senza casa, hanno
detto le infermiere.
Le infermiere hanno votato quasi all'unanimità una mozione, proposta da
Marcelle De Sousa, del forum adolescenti dell'RCN, che solleva preoccupazioni
sulla qualità dell'assistenza per questi gruppi.
"Il gap tra ricchi e poveri è il più ampio dal 1960. I Viaggianti spesso
trovano che i siti permanenti sono al lato di strade, fabbriche o impianti
industriali, ed hanno alte incidenze di asma ed eczemi."
Tuttavia, ha aggiunto che l'assistenza che hanno ricevuto spesso è stata
inadeguata. "Quando accedono al servizio sanitario, trovano che non si adattano
al sistema," ha aggiunto.
"Molti lottano per l'accesso all'assistenza e quando lo fanno, a volte
incontrano discriminazioni," ha detto Lorraine Tinker, del forum pediatrico
oncologico.
"Le ambulanze non assisteranno nei siti fissi, o loro non sono in grado di
accedere ai servizi primari. Ci sono tuttavia problemi di droga e alcool e
violenza domestica. Appoggio la risoluzione per assicurare che cia sia una fine
per questa ineguaglianza d'accesso per questi membri più vulnerabili della
società."
Garet Phillips, membro del consiglio RCN per il Galles, ha avvisato i
delegati di ignorare i volantini distribuiti fuori dalla sala del congresso
dall'Alleanza dei Contribuenti.
I volantini criticavano il Consiglio di Ealing per aver assunto un
"Incaricato al Collegamento per Zingari, Rom e Viaggianti"[sic].
"Questi volantini non hanno posto nel Congresso RCN," ha detto. La mozione è
stata gradita dal 99% dei presenti.
Di Fabrizio (del 20/05/2009 @ 09:30:46, in Europa, visitato 1558 volte)
Da
Roma_Francais (sui villaggi d'inserimento, era stato già pubblicato un
parere critico.
Diamo voce anche all'altra campana con una testimonianza che sembra positiva)
domenica 17.05.2009, 04:48 -
La Voix du Nord
Discreti al punto di suscitare paradossalmente l'interesse dei vicini, le
due famiglie rom installate a Halluin vivono una "esperienza positiva" secondo
l'associazione di inserimento che assicura il loro seguimento...
"L'esperienza è per il momento positiva, il progetto va bene..." E' Karim
Louzani ad affermarlo. Lui che dirige l'AFEJI, un'associazione d'inserimento,
deve assicurare il seguimento di due famiglie rom installate a Halluin. Uno
degli indicatori più positivi è la riuscita scolarizzazione dei cinque bambini.
"Tutti nel pubblico e con una buona partecipazione dei genitori che vegliano
sulla loro assiduità", rincara Louzani. Perché la volontà di queste due
famiglie è di fondersi nel decoro di Halluin sembra reale. "I genitori sono
iscritti nel dispositivo di insegnamento della lingua... E le relazioni col
vicinato vanno bene grazie all'intervento degli assistenti sociali". Al punto
che questi "ritorni positivi" permettono oggi di pensare che la malfidenza dei
primi giorni ceda il passo ad un sentimento più sfumato.
Anche se, sul posto, paradossalmente nessuno si stupisce della loro relativa
discrezione. "Ormai non sperano che una cosa, poter lavorare [...]", prosegue il
direttore dell'AFEJI. E qui è evidente che le cose si complicano. "Tutto resta
legato alle domande di regolarizzazione, all'avviso dalla prefettura. Dobbiamo
rispondere a degli imperativi legali, ma abbiamo buone speranza. I documenti
sono in corso di regolarizzazione..." Seguite dalle CCAS (Cassa Centrale
delle Attività Sociali ndr), beneficiarie di
Restos du coer, le
due famiglie rom non prevedono che una cosa, secondo Karim Louzani: "Lavorare per
pagare l'affitto".
PATRICK SEGHI
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