Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
21.11.2005
Negli ultimi decenni il numero di sfollati interni (IDPs) è drammaticamente in aumento. Guerre civili ed umanitarie, lotta al terrorismo, fondamentalismi religiosi o economici, costringono le popolazioni a migrare in modo forzoso. Una tesi di laurea
Di Francesca Cazzato
UNA FERITA APERTA
(sul caso Hadareni cfr QUI ndr)
Un sanguinoso assalto che contrappose i Rumeni alla minoranza Rom nel 1993 lasciò un villaggio diviso. Ora, i sopravvissuti, stanno cooperando per restaurare l'armonia. (rif)
By Petru Zoltan, giornalista di Bucarest e collaboratore del Jurnalul National. Nipote di Mircea Zoltan, uno dei tre Rom uccisi negli avvenimenti di Hadareni. 29/11/2005 - Nel 1993 nel villaggio di Hadareni scoppiò uno dei più sanguinosi conflitti interetnici tra Rumeni e minoranza Rom. Dopo 12 anni, la vicenda si trascina ancora nei tribunali. L'ultimo appello, il 23 novembre in un giudizio locale, riguarda la somma che dovrebbe indenizzare i parenti delle vittime Rom, che in quella notte di violenza contarono tre morti e 14 case date alle fiamme. Tra i linciati dalla folla, mio zio Mircea Zoltan. Allora avevo 10 anni, mi ricordo soltanto mio padre che prendeva il treno per Hadareni, alla notizia che suo fratello era stato ammazzato. Da allora, oltre metà della mia vita, ho visto il rincorrersi di cause locali, nazionali, internazionali. Da quella notte, 20 settembre 1993, la memoria collettiva è rimasta segnata e solo ora si sta iniziando a ricostruire ponti tra le due comunità. I fattiTutto cominciò quella sera quando tre Rom di Hadareni - Aurel Lacatus, suo fratello Rapa Lacatus e Mircea Zoltan - rivolsero la parola a una giovane non-Rom, Liana Bucur. Bucur racconterà poi in tribunale: "Non mi stavano infastidendo, e io non ho reagito male". Ma quella conversazione apparentemente innocua, aveva attitrato l'attenzione di Gligor Chetan, un anziano del villaggio, che si era avvicinato ai tre uomini e li aveva spintonati. Per tutta risposta questi l'avevano colpityo in faccia, raccontano i testimoni. Erano intervenuti intervenuti diversi Rumeni del villaggio, che aspettavano il bestiamo al ritorno dal pascolo. Nella confusione che era seguita, mio zio Mircea Zoltan e Aurel Lacatus avevano tentato la fuga. Rapa Lacatus circondato dala folla inferocita, aveva accoltellato Craciun Chetan (nessuna parentela con Gligor), che sarebbe morto il giorno stesso nell'ospedale della vicina Ludus. In quel periodo il villaggio di Hadareni - 900 persone, di cui 200 Rom e 130 di etnia ungherese - non aveva mai conosciuto tensioni etniche. Ma appena si venne a conoscenza della morte di Chetan, si radunarono 50 abitanti, armati di mazze, bastoni e bottiglie di benzina, che conversero verso l'insediamento dei Rom. I tre uomini furono trovati in una casa isolata, dove avevano trovato rifugio. Il capo della polizia della vicino paese di Chetani, Ioan Mega, arrivò sulla scena ma - come ricostruito da European Roma Rights Center (QUI ndr) - nel momento che i tre stavano per consegnarsi alla sua custodia, la casa venne data alle fiamme. In pochi minuti i tre morirono: Rapa Lacatus fu tolto dalle mani del commissario Mega e linciato, Pardalian Lacatus ucciso mentre tentava di sfuggire alle fiamme e Zoltan che riuscì a scappare, fu colpito a bastonate e ributtato nel fuoco. Quella notte, altre 13 case del quartiere Rom furono incendiate, e altre 5 saccheggiate. Alle 21.00 arrivarono altre forze di polizia dalla capitale distrettuale Tirgu Mures, senza però intervenire. Testimoni raccontano che furono gli stessi poliziotti ad incitare la popolazione contro i Rom. Il casoLe indagini iniziarono già dal giorno successivo, ma i progressi furono lenti. I due poliziotti couinvolti - Ioan Mega e il sergente Alexandru Susca - seconda la legge rumena furono giudicati dalla giustizia militare nell'ottobre 1994, 13 mesi dopo quegli eventi. Nel 1995 furono prosciolti da tutte le accuse; il tribunale militarev stabilì che non avevano incitato alle violenze, non avevano preso parte agli evemnti e non erano stati in grado di contrastare la folla. Nel frattempo, nel 1997 il tribunale civile di Tirgu Mures identificò in - Nicolae Gall, Severius Ioan Precup, e tre cugiini, Pavel Bucur, Petru Bucur e Vasile Dorel Bucur (nessuno di loro parente di Liana Bucur) - come responsabili di "assassinio particolarmente violento", il massimo grado previsto dal codice criminale. Altri sei furono accusati di saccheggio e incitamento alla violenza. Nel 1998, quattro dei cinque accusati di assassinio furono condannati a pene tra i tre e i sette anni, mentre Petru Bucur vide mutata la sua condanna in sei anni di prigione per danneggiamento di proprietà e incitamento alla violenza. Gli altri sentenziati di crimini minori furono condannati a pene tra i due e i cinque anni. Il giudice motivò la sentenza (l'omicidio di solito comporta tra i 15 e i 25 anni di pena) col fatto che le indagini avevano mostrato parecchie lacune e perciò non si potevano comminare pene più pesanti. Gli iniziali dubbi del giudice portarono alla revisione del caso. Nel 1999 la corte suprema scagionò Nicolae Gall e commutò la pena di altri tre, cambiando il giudizio da "assassinio particolarmente violento" ad omicidio. Nel 2000, l'allora presidente della repubblica, Emil Constantinescu, graziò due dei tre uomini ancora in carcere e ridusse la pena al terzo. Venne stanziata una somma (3 miliardi di Lei - 85.000 Euro) che il governo pagò a Gall per i tre anni passatiin prigione, a cui furono aggiunti 100 milioni di Lei (2.800 Euro) che sarebbero andati a rimborsare la vedova di Mircea Zoltan (indenizzo che tuttora è contestato). "Questa discrepanza mostra lo straordinario cinismo dei giudici, che considerano in 100 milioni di Euro le sofferenze di chi perse un familiare in maniera bestiale, e in 3 miliardi di Euro l'arresto di Gall" disse Meda Gama, avvocato che ha rappresentato i Rom dal 2003. La situazione attuale
Nei cinque anni seguenti, i ricorsi non hanno cambiato il quadro d'insieme. "Nessun tribunale ha mai riconosciuto il pogrom o fatto niente per provare la partecipazione delle autorità [la polizia locale] agli avvenimenti", dice Gama, sottolineando i principali punti di controversia. I fatti hanno iniziato a muoversi più velocemente negli ultimi mesi. Nel 2003, un tribunale regionale di Mures ha condannato sette persone colpevoli di aver preso parte agli assalti di rifondere le proprietà date alle fiamme con 1,3 miliardi di Lei (circa 37.000 Euro) e con 580 milioni di Lei (circa 16.000 Lei) per i danni morali. Sentenza confermata a maggio 2005 dalla Cassazione. Nel 2000, 25 tra i superstiti dell'insediamento di Hadareni, hanno portato il loro caso al Tribunale Europeo dei Diritti Umani (ECHR) di Strasburgo; ritenendo colpevole lo stato rumeno di discriminazione, tolleranza di violenze e torture, non assicurare un equo processo e di non tutelare la vita degli individui e della famiglia, tutti diritti contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti Umani. Entrambe i casi, hanno ottenuto soluzione nel 2005. A luglio, con due sedute separate, l'ECHR ha ordinato alla Romania di pagare complessivamente 500.000 Euro ai 25 superstiti. Diciotto di loro ne avevano già ricevuto 262.000 con un "accomodamento amichevole" con lo stato. Accordo rifiutato dagli altri sette, perché giudicato insufficiente, e che saranno indennizzati per un totale di 238.000 Euro. Sempre l'estate scorsa, la Corte d'Appello di Mures ha ordinato alla polizia di valutare le case dei sette giudicati condannati a pagare un compenso per il ruolo tenuto durante le violenze. La possibilità che le case siano confiscate, ha nuovamente aumentate le tensioni nel villaggio, che ora è presidiato da polizia e vigili del fuoco. Sinora, le proprietà non sono state vagliate. Forse galvanizzata dai recenti sviluppi e dalle critiche dell'ECHR, l' Agenzia Nazionale per i Rom (ANR), creata l'anno scorso dal governo al posto dell'ex Dipartimento degli Affari Rom, sta appoggiando progetti per migliorare le relazioni tra Rumeni, Ungheresi e i Rom rimasti nel villaggio. Uno schema ambizioso dello scorso settembre, che vuole coinvolgere le autorità, le OnG e la popolazione di Hadareni, vuole individuare come combattere la discriminazione nel villaggio. Intende formare gruppi di lavoro che intervengano nelle scuole nelle altre istanze comunitarie, e cerchi anche di affrontare i problemi dell'accesso al sistema sanitario, alla casa, alle infrastrutture e al lavoro. L'incontro fondativo è stato reso possibile grazie al Partnerariato per lo Sviluppo Locale (FPDL), una OnG indipendente. Per due giorni, Rom e non-Rom del villaggio si sono parlati e hanno progettato assieme - per la prima volta dopo 12 anni. Con la fine dell'anno, ANR e FPDL intendono presentare al governo un piano e una strategia per migliorare la situazione ad Hadareni, con soluzioni che coinvolgano tutte le comunità. "La soluzione è che non solo i Rom, ma l'intera comunità di Hadareni debba cambiare e le autorità le trattino tutte su basi paritarie" ha detto Simona Pascariu di FPDL. Sono stati stanziati 1 milione di Euro per migliorare le infrastrutture del villaggio, come pure il sistema sanitario ed educativo. "Il governo centrale deve mantenere le sue promesse e iniziare un cambio reale, non solo di facciata" dice Pascariu. FPDL e ANR ritengono che Hadareni subirà una trasformazione profonda, diventando un "Villaggio Europeo", dove i gruppi etnici convivono pacificamente. Sperano che i risultati siano tangibili nel 2008, un anno dopo l'ingresso della Romania nell'Unione Europea.
Da Kosovo_Roma_News
IN MEMORIA DELLE VITTIME ROM E IL FUTURO DEI LORO FIGLI
di: Rajko Djuric
I Roma di Serbia e , che come i Rom di molti paesi europei e no, assieme agli Ebrei furono le principali vittime di guerre e stanno seguendo con attenzione ed apprensione le "dispute diplomatiche" che ora accompagnano le trattative sul futuro delle due etnie maggioritarie del Kosovo e Metohija.
Le Nazioni Unite, il cui Segretario Generale Kofi Annan ha avuto l'opportunità di parlare con i rappresentanti dell'Unione Internazionale dei Rom, è stato informato sui fatti e sui dati inerenti la situazione generale di 12 milioni di Rom, la più grande minoranza nazionale d'Europa. E' pure noto che sino al 1999, i Rom erano anche la più grande minoranza nazionale in Kosovo e Metohija.
Karitas, la società per i popoli oppressi con sede a Gottinga, assieme ad altre OnG europee hanno mostrato grande attenzione al destino dei Rom kossovari, e dal 1999 ne informano tramite il periodico "Good Day" della chiesa cattolica di Colonia.
Con questo, tanto l'Europa che la comunità internazionale sono a conoscenza che prima la ALK e poi l'UCK hanno commesso crimini contro i Rom, e una radicale "pulizia etnica". Di circa 260.000 Rom che vi vivevano sino al 1999, ne sono rimasti solo 26.656. Di 193 insediamenti, ne restano soltanto 26.
Questo significa la distruzione totale della minoranza Rom, che in Kosovo e Metohija non era avvenuta nemmeno con la II guerra mondiale e l'intervento delle SS tedesche, dei fascisti italiani e dei loro alleati. E' la formulazione fatta da Hana Arendt “Il totalitarismo distrugge totalmente.”
Ecco un estratto dei vari rapporti.
T.T. e sua moglie, Rom di Obilic, rapiti il 5 luglio1999 affermarono di "essere stati torturati da gente di etnia albanese" dopo le uccisioni della famiglia Krasnici. Nella loro casa vennero bruciati vivi Alija, sua moglie Muljazima, i figli Djulja, Fadilj, Cherim e Nedzmedin, che aveva solo un anno."
Anche a Pristina bambini Rom vennero bruciati vivi.
La ALK, definita persino da alcuni intellettuali albanesi come "fascista", uccise un gran numero di Rom a Pristina, Pec, Obilic, Djakovica, Lipljan, Prizren, Podujevo, Urosevac e Gnjilane. A Pristina vivevano circa 22.000 Rom, secondo le ultime stime ne restano 1.300, a Pec di circa 20.000 ne rimangono 1.100, 500 su 7.000 a Obilic, 250 su 7.000 a Gnjilane, 300 su 5.000 a Gnjilane... Una lunga ed agonizzante lista di rapimenti di donne e ragazze, dispersi, alcuni rapporti parlano di fosse comuni dove sarebbero sepolte le vittime.
Il tragico destino dei Rom kossovari è stato amplificato dal premio Nobel Gunther Grass e i suoi appelli e discorsi sono stati pubblicati nel libro "Senza Voce", edito in Germania da Steidl.
L' UNMIK è a conoscenza di quanto, oggi e allora, stiano facendo gli estremisti albanesi contro i Rom che vivono tuttora in Kosovo.
Nonostante ciò, i Rom di Serbia e Montenegro, tra cui 116.000 Rom registrati come profughi rifugiati dalla provincia del Kossovo - sono fermamente convinti che la verità sarà sempre dalla parte dei più privilegiati, di chi ha maggior confidenza con la comunità internazionale, in particolare con Martti Ahtisaari, inviato speciale dell'ONU ai colloqui sullo status del Kosovo e Metohija. In precedenza Ahtisaari, come presidente della Finlandia, aveva mostrato grande comprensione per i Rom del proprio paese. L'attuale presidente Tarja Halonen ha continuato la strada intrapresa dal suo predecessore, aprendo la porta ai Rom non solo in Finlandia, ma in tutta Europa, e per questo ha ottenuto nel 2003 la più alta onoreficenza dai Rom dì Europa.
I Rom di Serbia e Montenegro sono dell'opinione che è più utile concentrarsi su quanto possa unirci, piuttosto che rimarcare le differenze con chi ci attacca fieramente.
Coinvolti sulle questioni di pace e sicurezza, i membri di questa minoranza nazionale si aspettano che la comunità internazionale nei colloqui sullo status del Kosovo assuma e difenda tutti quei punti di vista rispettosi dei principi e delle norme del diritto internazionale.
Un Kosovo indipendente, in qualsiasi forma dovesse esplicitarsi, significherebbe riconoscere e premiare quanti commisero crimini contro i Rom, un delitto che negli annali della storia europea ha il solo paragone con quello che accadde ad Auschwitz e con l'Olocausto, nello stesso anno in cui è caduto il 60° anniversario della vittoria sul fascismo. Negare giustizia ai Rom del Kosovo e privare del futuro i loro figli, significherebbe un silenzio colpevole della comunità internazionale, complice col regime che ha si è macchiato di delitti contro i diritti nazionali, civili ed umani, garantiti dall'ONU, nel cuore del continente e delle istituzioni europee.
Ci si aspetta dalla comunità internazionale che le soluzioni proposte portino pace, sicurezza, stabilità e prosperità a tutti in Kosovo. Nel contempo, si tenga conto che l'etica richiede giustizia, senza cui non potrà esserci una pace duratura. La giustizia non può in alcun modo dipendere dalla volontà di chi si è macchiato di crimini.
Dalla saggezza e dalle decisioni della comunità internazionale dipenderà se il millennio appena iniziato porterà nuova fiducia e speranza ai popoli del Kosovo, che hanno condiviso sin dai tempi dei re e dei sultani, del terrore nero e rosso, una cooperazione senza fine, mutua conoscenza e amicizia. Non sarà più così, in un Kosovo diviso, o indipendente.
Tutti questi popoli, come hanno spiegato anche eminenti storici e scrittori, non hanno sofferto per mancanza di virtù ma, soprattutto, l'assenza di condizioni che permettessero l'affermare dei propri diritti e libertà. L'esperienza storica testimonia che la malafede e l'odio velenoso crescono in modo incontrollato ai confini tra le divisioni dei popoli e delle minoranze nazionali.
Le parole di Willy Brandt, dette in un altro contesto, oggi possono servire da faro per politici e diplomatici: "Potrà crescere assieme solo chi vivrà assieme!”
L'autore è presidente della Roma Foundation e del Roma PEN Centre.
NdR A proposito della segnalazione di ieri, Daniele vi manda il link dell'articolo completo
Fate finta che sia un tentativo di mettere la testa fuori dal seminato.
Una scena a cui alcuni di voi hanno sicuramente assistito è lo sgombero/ il controllo in un campo rom: pistole puntate sulle donne e sui bambini, caroselli di gipponi... e per quanti non ne hanno mai visti (o si ostinano a negare che succedano cose simili), il riferimento per capire lo trovano in film come Soldato Blu o Piccolo Grande Uomo.
Per anni, i Rom hanno vissuto con un PARADIGMA: i celerini potevano agire in quella maniera (che lo facessero a ragion veduta oppure no, qui non importa), perché i Rom sono ai margini della società, tanto geograficamente che nell'agenda politica. Questo ha anche significato che le associazioni, più che i Rom stessi, avevano una ragione in più per battersi per diminuire l'isolamento geografico e politico: fare in maniera che certi atteggiamenti della polizia non passassero sotto silenzio.
Facile comportarsi come RAMBO, quando il nemico è indifeso e nessuno può testimoniare. Il Rom, italiano o straniero, in un campo abusivo o regolare, è per la legge un tipo di cittadino che se si lamenta perde il diritto a risiedere, che il comune gentilmente gli concede.
Ma ecco, si presenta nell'ultimo mese un malessere che percorre l'Europa. Nelle periferie francesi, scoppia una rivolta, le cause si perdono in quarant'anni di storia francese. La miccia è nuovamente l'isolamento geografico e politico. La risposta dello STATO è stata l'impiego della forza pubblica e la militarizzazione delle periferie. Forse i Flic sono stati + civili con i figli del Maghreb, dei loro colleghi italiani nei confronti dei Rom, rimane il fatto che anche in quel caso LA FORZA PUBBLICA E' INTERVENUTA PER SANCIRE IL DISTACCO TRA POPOLAZIONE E ISTITUZIONI. In questo mese e mezzo difatti, non è emersa nessuna strategia pubblica che affronti il tema dei rapporti tra le istituzioni (centrali o decentrate) e settori marginali in rivolta.
Un bubbone che può espandersi a macchia d'olio nel continente: a differenza dei Rom qui si tratta di cittadini riconosciuti come tali, che si ribellano e che non possono essere sgomberati. Al limite, li si può lasciare a marcire, sapendo che prima o poi la rivolta può tornare.
PARTICOLARE IMPORTANTE: dato che in Francia le violenze sono avvenute da entrambe le parti, al di là di quel che raccontano governi e giornali, chiunque può rintracciare in rete documenti, video, testimonianze di cosa è successo. Senza censure.
Mi rendo conto, che i miei ragionamenti si perdono in 100 rivoli. Un intermezzo?
3 pericolosi agitatori anarco-insurrezionalisti e uno che passava di lì per caso
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Ma ecco che la cura esonda: in Val di Susa. Non sono disperati delle periferie, non sono una dimenticata minoranza etnica (non ancora, almeno). Eppure la polizia si è comportata con loro come se dovesse fare un controllo in campo rom. Un ministro, che si affretta a dichiarare che non ci sono state cariche della polizia. Una TV (grazie internet!) che mette online le riprese di cosa è successo.
Il punto chiave, come all'inizio di questo post, resta la mancanza di dialogo tra decisori e cittadini (quell'altro ministro: "...si mettano il cuore in pace!"). E nel mio piccolo, proprio quel ministro che ha interessi privati nell'appalto, ricorda molto da vicino quegli assessori che sgomberano i campi, e hanno preso qualche mazzetta perché su quei terreni si costruisca il solito centro commerciale...
Diciamo che l'argomento (TAV sì, TAV no) per me ha un'importanza minima, rispetto al risultato ottenuto: la polizia che carica cittadini inermi e gli stessi cittadini che vengono fatti passare per ostaggio di chissà quale complotto sovversivo. Sulla protesta in sé, personalmente posso essere o meno d'accordo, ma ritengo che la differenza tra una democrazia e il suo contrario è la possibilità di esprimere, pacificamente ma con forza, le proprie opinioni. Quindi, d'accordo o meno, vi segnalo dove confrontarsi con l'eterogeneo comitato che si è formato in quella valle.
Quello che mi interessa, piuttosto, è che mentre sulla carta l'Italia passa ad una Costituzione "federalista", nei fatti le istanze locali vengono soffocate (e sconfessate dagli stessi "federalisti"). La mancanza di una mediazione trasforma in pericolosi agitatori anche chi tra i manifestanti avrà sempre votato moderato o leghista.
Quello che lega tra loro tre situazioni molto diverse tra loro (il campo sosta, la banlieu francese, la valle piemontese) a parte la reazione poliziesca, è che sono un puzzle di nodi locali, che presi singolarmente hanno poco valore, rischiano di essere proteste corporative, o comunque minoritarie: una difesa del proprio ghetto o del proprio cortile.
La scommessa, al di là degli schieramenti di destra o sinistra, è di uscire dai propri schemi ed orizzonti, anche per le politiche dei Rom e dei Sinti. Trovare le ragioni remote perché le rivendicazioni specifiche possano essere assunte da uno schieramento più vasto. Sapendo che più si sarà civili e democratici nel nostro argomentare, più saremo (civilmente e democraticamente) censurati.
Da Romano Lil edizione telematica 3 gennaio 2006
“Il Porrajmos dimenticato, le persecuzioni dei Rom e Sinti in Europa” è il titolo del libro edito dall’Opera Nomadi, con il contributo dell’Unione comunità Ebraiche Italiane. Il libro traccia la storia della persecuzione degli zingari a partire dal medioevo per arrivare all’età moderna, soffermandosi sul periodo nazi-fascista che ha porta...
Premessa: 6 aprile 2004, Il Washington Post riportava della completa rasa al suolo di un villaggio di zingari (Dom presumo) nell'Iraq meridionale, ad opera delle milizie sciite, dopo un intenso scontro a fuoco tra gli abitanti e la milizia stessa. Non si conosce la sorte e il numero dei superstiti. Sempre secondo l'articolo, Hamid Abed Zeid, uno dei comandanti della milizia, ha giustificato l'azione con queste parole: "Sappiamo cosa succedeva lì - attività illegali, droga, crimini, rapimenti. Queste sono attività contrarie agli insegnamenti islamici".
Foto e notizie su: Washington Post (ma il link non è più disponibile senza abbonamento) con le dovute precauzioni, visto il ruolo di occupanti degli statunitensi e i loro rapporti (allora) molto tesi con gli sciiti dell'Iraq del sud. Questa settimana Reuters e Washington Post sono ritornati su quelle storie (vedi sotto).
Qui invece un altro articolo del giugno 2005.
Per conoscere i Dom, diffusi in Medio Oriente e Africa Settentrionale
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By Deepa Babington
HADID, Iraq (Reuters) – Tra i tre milioni di Iracheni impoveriti, Jameel Mahmoud Hassan ha il non invidiabile titolo di essere tra il più povero di tutti.
Parte di un gruppo di Zingari iracheni che ha girato per anni nei fetidi terreni di un villaggio a nord di Baghdad, ha passato la sua vita nello squallore, e ora nella paura.
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La casa non è niente di più di una tenda che a fatica si tiene con i sui bastoni, e un tappeto strappato circondato da sacchetti di plastica, barattoli arrugginiti e bottiglie rotte.
Una pila di bombole di cherosene con del fango sulla parte superiore, serve da forno improvvisato. Le mosche turbinano dappertutto - sull'immondizia, sui bambini che ridono senza motivo, su un cane legato ad un albero.
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Dentro la tenda, sua moglie e cinque figli, i vestiti impastati dal fango, avvolti in una maglia e un tappeto. La lampada a cherosene è l'unica fonte di calore in questa gelida mattina invernale.
Patate, cocomeri e fagioli sono il piatto tipico a colazione, pranzo e cena. La carne è un lusso che appare forse ogni due settimane.
Recentemente, la milizia si è presentata da Hassan per obbligarlo a sgomberare.
“Non abbiamo niente” dice. “Siamo poveri. Cerchiamo solo un posto sicuro per nasconderci”
Disprezzati dai religiosi musulmani e a fatica tollerati dal resto della società, gli Zingari iracheni vivono un'esistenza precaria. Mancando di istruzione e professionalità, formano il gradino più basso del sistema sociale.
Ancora, gli Zingari del villaggio di Hadid, vicino a Baquba (65 km, a nordest di Baghdad), possono essere tra i più fortunati in Iraq. Le altre tribù sono state cacciate e attaccate dalle rampanti milizie islamiche, che li vedono come una macchia sulla società.
Sotto Saddam Hussein, gli Zingari erano al sicuro dalle persecuzioni – favore che ricambiavano occupandosi di danza, alcool e prostituzione, dicono gli Iracheni. La loro sicurezza scomparve con la destituzione di Hussein, lasciando aperta la porta alle milizie religiose.
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ZINGARI IRACHENI — Una famiglia condivide un modesto pasto nella tenda che serve loro da casa nella città di Diwaniya, nell'Iraq Meridionale [...]
To match feature IRAQ-GYPSIES. REUTERS/Imad Al-Khozai/Files (SIN25D)
Photo shot: 1/04/2006 5:10 AM Photo arrived: 1/04/2006 12:13 AM
immagine dal Washington Post
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VILLAGGI ATTACCATI
Una tribù di circa 250 famiglie zingare che viveva in un villaggio vicino alla meridionale città di Diwaniya fu tra quanti scoprirono sulla propria pelle la furia dei gruppi religiosi.
Il capodanno dell'anno scorso colpi di mortaio caddero sulle capanne di fango e canne, uccidendo una donna e ferendone altre tre.
Convinti di essere stati attaccati dal potente esercito di Moqtada al-Sadr, abbandonarono il villaggio, senza chiedere aiuto ai leaders religiosi. In seguito la più alta autorità sciita in Iraq, il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, promise loro che non sarebbero più stati molestati. Fecero ritorno al villaggio, che nel frattempo era stato saccheggiato.
La scuola elementare e la clinica costruite dal governo di Saddam erano state rese inagibili, le loro case danneggiate. La povertà che credevano di essersi lasciati alle spalle era tornata.
“[Gli esponenti dei] partiti religiosi ci hanno torturato,” racconta Bizai al- Baroodi, lo sceicco della tribù. “Avevamo raggiunto un livello decente di vita, ma dopo gli ultimi attacchi, ci siamo ritrovati al punto di partenza.”
La paura di quella notte attanaglia ancora Maiyada al-Tamimi, una Zingara di 20 anni. Un colpo di mortaio colpì la sua casa, uccidendole la madre e fratturandole il braccio, che dice dev'essere ancora curato. Dice: “Se avessi un lavoro pulito e onesto, non esiterei a lasciare questa tomba e vivere come qualsiasi altra ragazza della mia età”.
Come molti Zingari iracheni, molti della sua tribù sono arrabbiati per essere costretti a vivere come fuggiaschi nella loro stessa terra. Dicono che le loro radici si trovano in Spagna e fecero dell'Iraq la loro patria oltre 150 anni fa. Molti sono originari dell'India, altri arrivano da altri paesi del Medio Oriente.
Anche se parlano arabo e si professano islamici, le loro facce più scure ed affilate le tradiscono e ne fanno oggetto di persecuzione razziale:
“Siamo musulmani ed esseri umani, cittadini iracheni,” dice al-Baroodi. “Vogliamo soltanto vivere in pace”. © Reuters 2006. All Rights Reserved.
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9 gennaio 2006
Aggiornamenti sulla vicenda del campo Rom contaminato in Kosovo-Metohija (Serbia e Montenegro), arrivano da Reuters AlertNet e dal Times di Londra. Le circa 125 famiglie Rom rifiutano di lasciare il campo contaminato da piombo dove vivono da sei anni. Secondo Skender Gushani, un rappresentante della comunità, il sito dove dovrebbero collocarsi temporaneamente, prima della ricostruzione delle loro case, è a soli trenta metri da dove vivono. Bensì , loro vorrebbero tornare nelle loro case a Pristina e a Kosovska Mitrovica, dove vivevano sei anni fa, quando i terroristi albanesi kosovari hanno raso al suolo le loro case. I rappresentanti delle comunità Rom dicono che accettando un'altra soluzione temporanea, significherebbe solo altri ulteriori ritardi per il ritorno alle loro case originarie. "Ci siamo mossi abbastanza da un campo all'altro", dice Elizabeta Bajrami, "le Nazioni Unite dicono che rimarremo lì solo per sei mesi, ma noi non ci crediamo". Nel Kosovo-Metohija, dall'entrata delle Nazioni Unite (giugno 1999), i terroristi albanesi kosovari hanno distrutto più di 7000 abitazioni di famiglie Rom, additandoli come collaboratori dei Serbi.La burocrazia e la generale inerzia delle Nazioni Unite e dell' O.N.U. nel Kosovo, hanno rallentato il piano di ricostruzione, ora appena iniziato. Purtroppo le trattative rimangono sospese.
The Associated Press -
Martedì 17 gennaio 2006
WASHINGTON (AP) – Martedì la Corte Suprema ha
rifiutato di bloccare le cause intentate a nome di migliaia di
zingari, serbi e ed ebrei, che esigono dalla Banca Vaticana i soldi
che i fiancheggiatori del nazismo avrebbero rubato loro durante la II
guerra mondiali.
Gli avvocati della Banca Vaticana, braccio finanziario della
Chiesa Cattolica, hanno sostenuto che i tribunali americani non
dovrebbero occuparsi dei reclami.
“La risoluzione giudiziaria della querela causerebbe un
potenziale imbarazzo, perché in contraddizione con la
precedente politica dell'esecutivo, che ha sempre affrontato le
richieste relative alla II guerra mondiale con la diplomazia invece
che con la controversia” hanno detto ai giudici.
La nona Corte d'Appello degli Stati Uniti, nel 1999 ha consentito
che il caso fosse portato avanti. La giudice Margaret McKeown, ha
scritto per la corte d'appello che i sopravvissuti “affrontano
una strada in salita nel continuare i loro reclami” perché
i documenti sono vecchi di decenni e potrebbero “essere
invalidati per cause procedurali e giurisdizionali”.
The cases are Order of Friars Minor v. Alperin, 05-326, and
Istituto Per Le Opere Di Religione v. Alperin, 05-539.
Premessa: una delle mie difficoltà
ricorrenti, è l'immagine associata alla parola “Zingari”.
Nelle discussioni, nei ragionamenti, si passa dall'estremo del
“ladro, rapitore di bambini” a quello della
“povera vittima, un po' tonta” ... alla fine,
anche le persone di mentalità più aperta, quelli che
“vorrei tanto aiutarli, ma devono collaborare” mi
fanno cadere i ...sentimenti con le loro lodi a dei poveracci che
sanno suonare magnificamente il violino.
Premesso che conosco tra Rom e Sinti, sia
gente povera (ma povera sul serio!) che fior di musicisti; quanti
pensate che siano? Cosa sapete degli altri che sono la maggioranza,
se non il sentito dire?
Leggevo di recente un commento su
ImmagineAfrica:
ad un convegno di un oratore africano si diceva: “Che tipo,
che simpatico! Però è intelligente!!”... come
se l'intelligenza non fosse un dato scontato (sto parlando
dell'oratore africano e non di Calderoli, se non si fosse capito).
Tra gente di origine nomade e no, i rapporti sono ancora più
primitivi: si vive a fianco a fianco da secoli, ci si incrocia, si
vede l'altro, ma neanche ci si parla o tantomeno si da ascolto
all'altro. Insomma, non si è neanche sfiorati dal dubbio che
l'altro possa avere qualcosa da dire o condividere.
Questi i ragionamenti che facevo mentre
leggevo lo scambio di opinioni su Allgypsies
tra Zafar, un gajo del Pakistan, e Mengro, capocantiere della Florida
di origine romanì. L'argomento è di quelli trattati in
un mare di blog, e trovo affascinate come Mengro usi tutti gli
stereotipi che ci fanno paura della sua origine (sentirsi emigrati a
vita, non appartenere ad una patria, la diffidenza verso l'autorità,
un diverso codice linguistico e morale) per dare un senso compiuto e
positivo al suo discorso. Facendo patrimonio della propria
differenza.
Ciao Zafar,
Anche se non sei Rom, viene dalla stessa parte del mondo da dove
arrivarono i nostri antenati: il Pakistan. Parli una lingua che è
vicina al romanès. Abbiamo un DNA e tratti genetici simili.
Citavi un articolo sulla guerra in Iran (QUI,
in inglese ndr), che non è un tema specifico del nostro
gruppo, e che però da una descrizione accurata di dove tutti
siamo diretti.
Probabilmente si arriverà ad una guerra con l'Iran ed
inoltre, visto che sei Americano di discendenza pakistana, entrambi
perderemo nel contempo la “libertà” della nostra
nazione. I fascisti sembra che abbiano quasi completato il cambio di
gestione. Hanno “tarato” le macchine elettorali (Dibold)
così non avrà più importanza come potremo
esprimerci col voto. Hanno il possesso del Congresso, perché
gli stessi banchieri internazionali che muovono Bush, controllano
virtualmente anche il Congresso. La Corte Suprema è ormai
complice. I media sono proprietà degli stessi banchieri. Sono
tutti quelli che investono in “fondi elettorali”, non
come noi che ci restano i “fondi comuni”.
Poi ci sono quelli non possono o non vogliono votare, e il loro
voto finisce appannaggio di quei “fondi elettorali”,
perché la cosiddetta democrazia US si è ridotta a
comperare e pagare i voti.
Cosa potrà fare uno dei nostri ragazzi zingari?
Nascondersi, suppongo, mischiarsi agli altri e sperare per il meglio.
Cos'altro fare? Lo sapevi che un gran numero di persone
dell'amministrazione US ha simpatie per i nazisti? Prescot, il padre
di Bush, durante la guerra riciclò i fondi di Hitler, soltanto
che poi quei fondi vennero congelati per altri 10 anni. Se l'avessimo
fatto tu o io, ci avrebbero sparato. Il padre di Karl Rove (ndr.)
era un nazista e suo nonno, che di nome allora faceva Roverer,
costruì Buchenwald. Suo padre fabbricava lo Zyklon B che gassò
i nostri antenati. E quanto altro si potrebbe scoprire!
Dopo la guerra, molti nazisti riparono qui e offritrono i loro
servigi in cambio di una nuova identità e documenti personali.
C'è da sorprendersi: i nazisti stanno terminando ora il loro
lavoro, dopo essersi tramutati in American neo-cons/Republicans.
Tempi spaventosi, amico mio.
Un'altra cosa che accomuna fascisti ed estremisti di destra è
di cercare capri espiatori per giustificare le loro azioni. Durante
la II guerra mondiale identificarono i pubblici colpevoli negli
Ebrei, continuando poi con gli Avventisti del 7° giorno, gli
omosessuali, Zingari, Massoni e tanti altri. Hitler ha rappresentato
quello che la mitologia di Thule e il compositore Wagner intendevano
per eroe. Ed è vivo tuttora.
Adesso l'America fondamentalista e neo-con/Republicans ha fatto
dei musulmani nel loro complesso il nuovo terrore ovvero, i capri
espiatori di oggi. E chi sarà il prossimo? Le pulizie etniche
hanno un grande fascino sulle masse. Così mi chiedo, i
prossimi saranno quelli con la pelle scura? Gli Asiatici? Gli
Zingari? I Nativi Americani? Non lo so, ma so che questo può
succedere ancora e che... non c'è niente di nuovo sotto il
sole.
La solita vecchia storia con un nome diverso.
Abbi cura di te,
Mengro, the Road Scholar
da: Karin Waringo
Secondo un articolo dell'Utrinski Vesnik del 15 febbraio,
la Macedonia si starebbe accordando con le autorità in Kosovo
per “facilitare il ritorno di 2.000 rifugiati”. Il
giornale cita il ministro macedone per il Lavoro e le Politiche
Sociali, che avrebbe concordato l'iniziativa durante la precedente
visita di una delegazione dal Kosovo in Macedonia.
Statistche UNHCR indicherebbero in 2.144 i rifugiati, la maggior
parte Rom, Askhali ed Egizi dal Kosovo. La Macedonia è stata
recentemente criticata dalla Commissione EU per il disinteresse
mostrato verso questo tema e perché è stato garantito
asilo solo a un piccolissimo numero di rifugiati.
La maggior parte di loro è “sotto protezione
temporanea”, una condizione soggetta a regolare rinnovo.
Dall'estate scorsa la Corte Suprema nega il rinnovo di quanti ne
facciano domanda.
Secondo il Ministro per il Lavoro e le Politiche Sociali, la
decisione negativa riguarda 477 persone, e il Ministro degli Interni
ha dato assicurazione all'UNHCR che i rimpatri forzati non avverranno
“finché non ci sarà un miglioramento della
situazione”.
Le attuali pressioni per un ritorno in Kosovo, sembrano collegate
alla fine del mandato UNHCR in Macedonia, che così sposterebbe
al governo la responsabilità per i rifugiati. “Il
governo deve affrontare questo tema nel contesto dell'integrazione
europea” dice a Utrinski Vesnik Catherine Walker, capo
dell'UNHCR a Skopje. Aggiunge che la sua organizzazione è
convinta che la situazione dei rifugiati sia da risolvere
congiuntamente alla questione dello status della regione. “Speriamo
che i rifugiati possano fare ritorno, in quanto la volontà del
governo del Kosovo è anche parte del negoziato”.
Rif: Ipocrisie
europee, carri armati e altre storie in Macedonia
2005
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