Di Fabrizio (del 21/04/2013 @ 09:01:46, in Kumpanija, visitato 2180 volte)
Per la semplice ragione che in quest'Italia che affonda, abbiamo TUTTI
problemi più seri. E gli zingari sono nelle nostre stesse peste: qua siamo messi
talmente male, che sta diventando difficile anche rubare.
La conta dei corpi
Molti bambini nel campo morivano
di avvelenamento da piombo.
Il dottore locale
disse che l'avvelenamento da piombo
impediva lo sviluppo
del sistema immunitario dei bambini.
La gente più anziana che soffriva di avvelenamento da piombo
finiva soltanto col cervello più lento.
Senza sistema immunitario
i bambini piccoli morivano di continuo:
raffreddore, influenza, herpes, pidocchi
e morsi nel letto dalle cimici.
Temevo per Anna
la mia sorellina di sette anni.
Iniziava a dimenticare le cose.
Poi non riuscì più a camminare dritta.
Il dottore disse che
aveva bisogno di una dieta migliore.
Fu allora che mio padre
iniziò a rubare.
E anch'io.
Ma lasciamo perdere le questioni complicate, come la pancia ed il portafogli
che sono vuoti, se apri la finestra virtuale del tuo computer, ti accorgi
che c'è anche una tristezza ideale, o di valori. Faccio un esempio: qualcuno s'è
accorto che tra un po' ricorre il 25 aprile? Dalla metà degli anni '70 non mi
son perso una manifestazione, eppure due sere fa mi sono scoperto a pensare: ma
che cos'è questa festa?
Sono domande da non farsi...
Perché io non voglio ASSOLUTAMENTE parlare di Rom e Sinti, che quando c'è una
festa non sta mai bene nominare i parenti con le pezze al culo e che puzzano di
pecora... Ma tu, metti caso, sapresti festeggiare la liberazione dal fascismo,
sapendo che sono passati quasi 70 anni, e che a Milano (questa grande e
benemerita città medaglia d'oro e tanto altro) succede che
i
fascisti non solo ci siano ancora. ma ancora agiscano come squadristi?
Come celebriamo il Natale
Due giorni prima di Natale
Il nonno ci conduce
Al vecchio campo, in una
Fabbrica di mattina abbandonata
Vicino al centro di Bologna,
Per mettere dei fiori
Sotto una lapide di marmo
Dedicata ai nostri parenti
Che furono ammazzati
Il 23 dicembre 1990
Quando alcuni poliziotti fuori servizio
Fecero fuoco contro le nostre baracche.
Eravamo cattolici quando vivevamo
Vicino al centro città,
Oggi siamo evangelici.
E' per questo che non siamo più stati
Attaccati?
O è perché adesso siamo
20 chilometri lontano
Dall'abitato?
Una cosa è certa:
Gli assassini non sono più in prigione,
Ma noi siamo ancora in un campo.
Oppure, che negli stessi giorni a
Bolzano (e in
cento situazioni simili sconosciute e non denunciate) ci sono quelle che
chiameremmo retate?
La sopravvissuta all'Olocausto
Una donna anziana
Si è intrufolata nel nostro campo
La notte scorsa.
Il nonno la conosce
Dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Nel 1943 era in un lager fascista
Ad Agnone, nel centro Italia,
Dove perse 15 parenti.
Ha detto che ricevevano solo 100 grammi
Di pane al giorno.
Dopo la guerra è stata trasferita
In un campo vicino a Roma.
La settimana scorsa le autorità
Hanno abbattuto con le ruspe la baracca
Dove aveva vissuto per 60 anni.
Non sa più dove siano
i suoi figli, i nipoti,
i pronipoti.
Li ha perduti quando la polizia
Ha lanciato i gas lacrimogeni.
Quando gli ispettori vengono da noi
Speriamo che non la trovino.
Se lo faranno, il nonno
Dirà loro
Che lei è un mulo,
Un fantasma zingaro
Che è venuto da noi
Per una breve visita.
E chissenefrega! direte. Perché anche nell'Italietta pre-guerra, queste cose
succedevano, ma chi volevi che ci facesse caso... succedeva sempre (o quasi
sempre) a qualcun altro, e magari pure a qualcuno che ti stava antipatico.
Certo, non mi stupisco se poi, a furia di non protestare e mandare giù tutto,
prima o poi qualche capoccia ne approfittò, ed il risveglio fu tragico per i
poveri Italiani belli e addormentati.
Oggi, se dovessi festeggiare il 25 aprile, lo farei con i Rom di Dione Cassio,
tanto saremmo i soliti 4 gatti, e loro che ci guarderebbero con un misto di
compatimento e presa in giro. Ma almeno, saprei che quella è la gente giusta.
Pensate che i partigiani, quelli veri, siano saliti in montagna con l'Iphone?
Erano gente affamata, stracciata, con le scarpe rotte (eppur bisogna andare),
spesso ladruncoli o gente senza arte né parte (chi si ricorda di
Nino?),
di sicuro non avrebbero capito una generazione che si crede giovane a 40 anni
suonati, e che il massimo della protesta che sa fare è postare la propria
insoddisfazione su FB (credendo magari che ci sia pure qualcuno che lo legga)?
A me quest'Italia fa male, non tanto perché si spacca tra Rodotà e Marini
(sapendo che comunque la vostra opinione non conta più niente), ma perché se io
per caso fossi una ragazzina rom appena arrivata in Italia, mio padre non mi
farebbe girare da sola per strada, per non parlare della notte. E non c'entra
niente il LORO problema culturale, à un problema nostro e democratico: perché
quella ragazzina da sola rischierebbe di essere aggredita, violentata, o
quantomeno presa a sputi e male parole da NOI, o da chi assomiglia a noi. Non è
neanche fascismo, è quasi Medio Evo.
Pensavo di essere sopravvissuta
Sono sopravvissuta alle bande della gioventù hitleriana
scappando a Praga.
Dopo che mi hanno portato a Lety,
sono sopravvissuta:
fame,
fucilazioni,
iniezioni letali,
squadre di lavoro,
pestaggi
stupri
tifo
e annegamenti
nel fusto di acqua piovana.
Dopo la guerra
volevo una vita migliore
ed ho sposato un uomo bianco.
Solo uno dei miei otto figli
ha ereditato la mia pelle scura di zingara.
Ora lui è in ospedale
a riprendersi da due operazioni
dopo che gli skinheads
lo hanno impalato su un palo metallico.
Non so se sto vivendo
nel 1939 o nel 1995.
Pensavo di essere sopravvissuta,
ma credo di aver solo
barcollato senza arrivare da nessuna parte.
E' fascismo o non lo è? C'è chi afferma che dopo tanti anni anche i fascisti
devono avere la libertà di manifestare le loro opinioni. Non mi scandalizzerebbe
più di tanto, se non fosse per il vecchio vizio di manifestarle con l'ausilio di
sassi, bastoni e tirapugni. Ma non è uno scandalo, perché per esprimere quelle
stesse opinioni, oggi non è più necessario essere fascisti.
Siamo alle
cronache recenti, e qua occorre SOSTARE UN POCO. Non è più necessario essere
fascisti, la china è in discesa anche per chi è democratico e antirazzista. Nel
momento che non si ha più la capacità antifascista di indignarsi per Dione
Cassio, "può capitare" a tutti (sottolineo: a tutti) di scivolare su un assunto
del tipo: se i Rom partecipano alle nostre manifestazioni di vita democratica,
dev'esserci qualcuno che ne trae vantaggio. Sanzionando una separazione tra noi
e loro, ma anche tra di noi (chi ne trae vantaggio e chi no). Perché i Rom non
dovrebbero partecipare alla società come tutti gli altri? E se qualcosa partisse
da loro, perché questi stessi democratici e antirazzisti non se ne accorgono
mai? Se non si riconosce loro il diritto a far parte della nostra società e dei
suoi riti (buoni o cattivi che siano), il campo, il ghetto (dove accadono le
peggiori cose), diventano PER FORZA la logica soluzione. Da democratici e
antirazzisti (a maggior ragione se con responsabilità politiche) mi aspetterei
ragionamenti politici e non di pancia, qual è il dito e quale la luna? Chi fa
politica, si deve scandalizzare per una compravendita (ipotetica, non provata)
di voti, o per le condizioni materiali in cui questa gente è tuttora costretta?
Da dove iniziereste? DOV'E' LA POLITICA E DOVE LO STRABISMO?
Eros
Gli ispettori vengono da noi
Ogni settimana,
Per assicurarsi
Che non infrangiamo nessuna
regola del campo.
Siccome è un campo
Per nomadi
Non ci è concesso avere
Strutture permanenti.
Neanche un traliccio
Per le rose di mia nonna.
Neanche una tenda fissa
che in estate ci ripari dal sole.
Neanche due pali
Cementati al suolo
Per sostenere
I fili per la biancheria
E asciugare i nostri vestiti.
La sola struttura permanente
Che alla fine ci hanno concesso
E' la gabbia attorno
alla cuccia di Eros
Perché è un pitbull.
Oggi Eros sembra
Uno di noi
E sta lì accovacciato
Senza niente da fare.
Non dobbiamo prendercela con questi Rom e Sinti, che non capiscono e
continuano a chiamare tutto ciò fascismo. Non hanno studiato, la complessità non
sempre è nelle loro cifre, ma questa cosa l'hanno chiara, come i nostri nonni:
fascismo era
fame, violenza, esclusione, dover scappare. Il resto, era roba da
carta stampata, o da tastiera, virtuale insomma.
E' vietato sedere all'ombra.
E' vietato ridere, cantare, ballare.
E' vietato fumare, mangiare, bere.
E' vietato cucinare, lavarsi, farsi belli.
E' vietato sputare, cacare, scopare.
E' vietato lamentarsi, piangere, urlare.
E' vietato pregare, chiedere l'elemosina, rubare.
e' vietato correre dall'altra parte del confine.
Cercare la libertà è assolutamente proibito.
e allora, ripeto, non voglio ASSOLUTAMENTE parlare di Rom e Sinti,
ma nel loro inno c'è una NERA LEGIONE, ed ancora oggi - mentre festeggiamo
la libertà ritrovata, gli
zoccoli dei cavalli della nera legione corrono per le pianure d'Europa. Una
legione con volti da bambino,
berretti da basket e maglie alla moda: non sapremmo riconoscere le differenze tra
noi e loro. Sono lì per rassicurarci...
Comunque: se il 25 aprile non è una festa, cosa resta? La capacità di
scandalizzarsi per cosa succede ancora? Ma se oggi la capacità di scandalizzarsi
e di scendere in piazza a protestare (cioè: RENDERSI VISIBILI, CONDIVIDERE FISICAMENTE LA POLITICA) resta ai soli fascisti e al M5S (per
ragioni ovviamente diverse), continuo a chiedermi: COSA RESTA???
"Sono nato nel nord del Kosovo, nel 1983. Mia madre
era una contadina, allevava mucche, pecore e galline, vendeva latte e formaggi.
Mio padre, invece, aveva un negozio di alimentari". Una vita di sacrifici, ma
tranquilla, almeno fino a metà degli anni '80. "Fu allora che iniziarono le
manifestazioni razziste tra le diverse etnie jugoslave e il prezzo di un chilo
di pane salì all'equivalente di 10mila lire [circa 12 euro attuali; NdR]". Enis,
un ragazzo rom simpatico e solare, e la sua famiglia fuggirono in Romagna nel
1986. "Per vivere chiedevamo l'elemosina e abitavamo in una baracca fatta di
cartone, sotto un ponte".
A sei anni Enis ha scoperto la scuola, "un mondo nuovo. Mi trovavo veramente
bene, perché fino ad allora non avevo idea che esistesse una vita normale". Non
ci sono stati problemi con nessuno: "Ti racconto una cosa. Facevo la terza
elementare e un giorno, quando sono tornato al campo nomadi, ho trovato le
nostre tre roulotte e la baracca bruciate, per colpa di un cortocircuito. Non
c'era più niente, né i vestiti né i giochi né, soprattutto, il mio cane, un
cucciolo di pastore tedesco. Sono stato malissimo". La scuola venne informata
dell'accaduto. "Il giorno dopo ogni compagno, e anche le maestre e le bidelle,
mi hanno regalato qualcosa, dei vestiti, dei giocattoli". Anche un cane, ma
quello non lo ha accettato: "Non mi andava di affezionarmi ad un altro cane, lo
vedevo come un tradimento per il mio".
Enis si è sposato molto giovane, a undici anni. Troppo pochi? "In generale sì,
ma noi rom a quell'età siamo più che maturi di corpo, perché cresciamo molto
prima. Quindi il matrimonio da giovani diventa una cosa bella: è come essere
fidanzati, con la differenza che lei viene a fare parte della tua famiglia e si
cresce insieme". Dopo circa un anno è nato il primo figlio.
Era giovane anche quando ha scoperto la sessualità con gli uomini. "Ero sulle
rive di un fiume con dei parenti e, quando mi sono appartato per mettermi il
costume, è arrivato un signore e mi ha proposto un'esperienza sessuale. Io ho
accettato". Non è un ricordo bello e neppure brutto: "E' solo un ricordo. Un
ricordo bello è la prima notte con mia moglie". Per anni Enis non si è fatto
domande sul proprio orientamento sessuale. "Non conoscevo il mondo gay e non
sapevo neppure che esistessero i bisessuali". Poi, da adolescente, ha conosciuto
Matteo, un ragazzo più grande: "Ero alla ricerca di qualcosa, ma non avevo
ancora capito quello che mi piaceva e lui mi ha aiutato a capire che sono bisessuale".
Grazie a Matteo, Enis ha iniziato ad interrogarsi sulla propria sessualità.
Molte risposte sono arrivate frequentando gli attivisti gay: "Per un periodo
sono andato all'Arcigay, quando ho scoperto la mia bisessualità, perché cercavo
di capire chi fossi. Grazie anche a loro ora sono in pace con me stesso".
Enis, comunque, non si è limitato a frequentare l'associazione, ma ha iniziato
ad andare anche in posti dove gli uomini si incontrano tra loro per fare sesso:
"Saune, locali gay, parchi pubblici, parcheggi...". Lì, però, l'esperienza non è
stata altrettanto positiva e quindi ora frequenta raramente questi posti: "Da
una parte è difficile trovare delle persone disponibili per frequentarle,
dall'altra c'è una sorta di razzismo. Non è molto forte, ma c'è". Un rom in un
luogo di battuage viene subito etichettato come un rapinatore - o anche peggio.
Per questo ha deciso di cercare amicizia e compagnia in altri modi: "Mi sono
iscritto ad alcuni siti gay e ho iniziato a conoscere gli amici degli amici,
grazie al passaparola".
All'inizio i sensi di colpa erano molti, anche perché Enis è credente,
musulmano: "Gli imam dicono che è un grande peccato avere rapporti con persone
del proprio sesso". Enis ha iniziato a fare ricerche: "Ho letto tante scritture
sacre e non ho trovato niente, solo che il peccato più grave è ammazzare". Enis
non è praticante: "Prego a modo mio e faccio fatica a pensare che bastino solo
trenta giorni all'anno per farsi perdonare i propri peccati. Quando qualcuno mi
convincerà che per essere musulmano bisogna per forza pregare cinque volte al
giorno e digiunare nel mese di Ramadan, io diventerò ateo. Insomma, credo molto
in Dio, ma non credo nelle persone che vogliono rappresentarlo, come gli imam o
i preti, per questo non vado in moschea".
Enis crede ancora meno nel futuro dell'Italia: "Qui sono tutti delinquenti. E
poi l'Italia dovrebbe essere basata sul lavoro e sulla libertà, invece
attualmente il lavoro non c'è e io non mi sento per niente libero...". Le
politica nello Stivale gli fa schifo. "Ti racconto una cosa. Durante la guerra
in Jugoslavia, tutti gli stati aiutavano l'Italia per i profughi, ai quali
avrebbero dovuto dare 35mila lire al giorno. Sai quanti soldi abbiamo visto?
Neanche una lira. E poi in Italia i rom vivono peggio che in qualsiasi altro
paese europeo, in campi nomadi abbandonati in mezzo al nulla, senza documenti e
senza alternative. Io me la sono cavata, ho comprato una casa di proprietà, ho
cinque figli e vanno tutti a scuola. Pensi che mi hanno dato i documenti? No. E
allora, anche se adesso mi offrissero la cittadinanza, io non la vorrei".
E poi in Italia "ci sono veramente tante persone razziste, che pensano che i rom
sono tutti ladri, sono tutti sporchi, sono gente da evitare, perché pensano solo
a fregarti. E i razzisti stanno diventando sempre di più. Secondo me la gente
ormai non ha più niente per cui lottare, come negli anni '70 o '80, e quindi
vuole dimostrare qualcosa, anche se non capisco cosa e a chi devono
dimostrarlo". Il simbolo del pregiudizio sono le auto costose che qualche rom
possiede: "Non ce l'abbiamo tutti. Alcuni hanno venduto tutto nel loro paese e
quando sono venuti qua si sono comprati una bella macchina, che è l'unico bene
in loro possesso. Altri se la sono presa delinquendo, ma non per questo siamo
tutti delinquenti". Osservazione ovvia, eppure un'intera etnia è crocifissa a
questi pesanti stereotipi.
Stereotipi come quelli recentemente rilanciati da Cristiana Alicata, l'ex
dirigente lesbica del PD laziale secondo cui la partecipazione rom alle primarie
romane sarebbe stata frutto solo di una compravendita di voti (Il grande
colibrì): "Ho letto quello che ha scritto, ma sinceramente non mi meraviglio: la
politica è fatta così e lei non è l'unica. Una pecora nera in più o in meno in
mezzo ad un milione di pecore nere non fa differenza. Poi noi siamo una
minoranza e non abbiamo nessuna voce; sono loro, i politici, ad averla".
Lesbiche, gay, trans e bisessuali sono forse più sensibili al tema della
discriminazione, tuttavia non sono affatto immuni dal pregiudizio: "Sai, a
volte, durante un rapporto sessuale, mi chiedono per quale motivo sono
circonciso e io rispondo che sono rom e di religione islamica. Spesso mi mollano
lì con una scusa e se ne vanno. Dicono che si è fatto tardi, è questa la scusa
classica. Oppure all'improvviso dicono che non vogliono più fare sesso perché
sono fidanzati...". Nessuno dice esplicitamente di non aver voglia di andare a
letto con un rom, "perché secondo me la gente è molto ipocrita e fifona".
Dall'altra parte, Enis deve stare attento all'omofobia presente nella comunità
rom: "Se mi dichiarassi, sarebbe uno scandalo, non solo perché ho dei figli, ma
anche perché non giudichiamo bene l'omosessualità e il concetto di bisessualità
non esiste neppure. Sono tutti argomenti tabù. Quando il discorso proprio viene
fuori, tutti dicono: 'Quella è gente malata, non bisogna avere a che fare con
loro, perché portano le malattie'. Poi però anche tra i rom ci sono tantissimi
omosessuali". Enis ne conosce parecchi: "Ad esempio il mio
amico più caro, che
per me è come un fratello, è gay. Pensa, ci siamo incrociati in un parco dove si
incontrano gli uomini e vivevamo nello stesso campo! Per scherzare io a volte lo
chiamo 'frocio di merda' e lui mi risponde che il suo stivale è più etero di
me!".
Di Fabrizio (del 21/05/2013 @ 09:00:56, in Kumpanija, visitato 1430 volte)
[..] Ebbene: in tal senso io sono come un negro in una società razzista che
ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante. Sono, cioè, un "tollerato".
La tolleranza, sappilo, è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un
solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una "tolleranza
reale" sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si "tolleri" qualcuno
è lo stesso che lo si "condanni". La tolleranza è anzi una forma i condanna più
raffinata. Infatti al "tollerato" - mettiamo al negro che abbiamo preso ad
esempio - si dice i far quello che abbiamo preso ad esempio - si dice i far
quello che vuole, che egli ha il pieno diritto di seguire la propria natura, che
il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità eccetera
eccetera. Ma la sua "diversità" - o meglio la sua "colpa di essere diverso" -
resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerarla, sia davanti a chi
abbia deciso di condannarla. Nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria
coscienza il sentimento della "diversità" elle minoranze. L'avrà sempre,
eternamente, fatalmente presente. Quindi - certo - il negro potrà essere negro,
cioè potrà vivere liberamente la propria diversità, anche fuori - certo - dal
"ghetto" fisico, materiale che, in tempi di repressione, gli era stato
assegnato.
Tuttavia la figura mentale del ghetto sopravvive invincibile. Il negro sarà
libero, potrà vivere nominalmente senza ostacoli la sua diversità eccetera
eccetera, ma egli resterà sempre dentro un"ghetto mentale", e guai se uscirà a
lì.
Egli può uscire a lì solo a patto i adottare l'angolo visuale e la mentalità
di chi vive fuori dal ghetto, cioè della maggioranza.
Nessun suo sentimento, nessun suo gesto, nessuna sua parola può essere
"tinta" dall'esperienza particolare che viene vissuta a chi è
rinchiuso idealmente entro i limiti assegnati a una minoranza (il ghetto
mentale). Egli deve rinnegare tutto se stesso, e fingere che alle sue spalle
l'esperienza sia un'esperienza normale, cioè maggioritaria.
[...]
Perché non parlo di fascisti. Parlo di "illuminati", di "progressisti". Parlo
di persone "tolleranti". Dunque, ecco provato quanto ti dicevo: fin che il
"diverso" vive la sua "diversità" in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli
viene assegnato, tutto va bene: e tutti si sentono gratificati della tolleranza
che gli concedono. Ma se appena egli dice una parola sulla propria esperienza di
"diverso", oppure, semplicemente, osa pronunciare delle parole "tinte" dal
sentimento della sua esperienza di "diverso", si scatena il linciaggio, come nei
più tenebrosi tempi clerico-fascisti. Lo scherno più volgare, il lazzo più
goliardico, l'incomprensione più feroce lo gettano nella degradazione e nella
vergogna.
[...]
Pier Paolo Pasolini: GENNARIELLO in Lettere Luterane -
L'Unità Einaudi (pagg. 23-26)
Giovedì 6 giugno 2013 alle 21,00, ingresso ad offerta libera CGIL Salone Di Vittorio - Piazza Segesta 4, con ingresso da
Via Albertinelli
14 (discesa passo carraio) a Milano
"Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen" di Laura Halilovich - Italia - 2009 -
con la presenza di Frances Oliver Catania, che ha seguito la
comunità di Pessano con Bornago (quella della nonna della regista, raccontata nel film)
Il film fa parte della rassegna HO INCONTRATO ANCHE DEGLI ZINGARI FELICI V
Edizione, dedicata alle donne Rom, organizzata dall'Associazione La Conta in collaborazione con: l'Associazione
"Aven Amentza - Unione di Rom e Sinti", Associazione "ApertaMente di Buccinasco"
e la Redazione di Mahalla - Rom e Sinti da tutto il mondo
Di Fabrizio (del 02/08/2013 @ 09:07:08, in Kumpanija, visitato 2333 volte)
LA NUDA CRONACA: L'esito della II guerra mondiale era già cambiato, con la
ritirata da Leningrado e lo sbarco anglo-americano in Normandia. In Polonia i
Russi guadagnavano terreno ogni giorno. Per il grande esercito tedesco era già
iniziato il richiamo dei riservisti. La notte tra il 2 e il 3 agosto, venne
definitivamente liquidato dalle guardie naziste il campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau. Le cifre (discordi, tanto per cambiare) dicono di circa
3.000 Rom e Sinti gasati.
Ricorrenze simili sono spiazzanti ad agosto (ogni agosto), mentre
guardiamo i bambini giocare in spiaggia o i cani correre felici sulle colline. Un po' come festeggiare il natale in Brasile o in Australia. E
tra una settimana, arriva per i milanesi un appuntamento simile, a due passi da casa mia.
Non voglio scrivere niente su questa comunanza, su questa storia che
lega il mio popolo a quello dei Rom e dei Sinti. Perché sarei prolisso, cupo, e
allora è meglio il silenzio.
Perché chi può è giusto che si goda il casino dei bambini e dei cani,
anche un momento di gioia può ricordare i tempi in cui erano più sfortunati.
Godiamoceli ora.
Potrebbe essere un buon ricordo il concentrarsi sul silenzio, su chi ci è
caro, su chi pagò quei tempi. Da anni i Rom e i Sinti commemorano il giorno con
una candela accesa, questo si può fare e (credo di non mancare di rispetto a
nessuno) si può scegliere una candela anti-zanzare, vista la stagione.
Insomma, non necessariamente questa
Il silenzio che vorrei: che ALMENO per un giorno la stampa e internet li
lasciassero in pace, Rom e Sinti... questi ladri, sfigati, senza terra, che
nessuno è mai riuscito a sterminare. Poi,
domani, ricominciate pure, ma un giorno di tregua per rispettare il dolore è il
minimo che può chiedere un essere umano. Vero che sono umani anche loro? Vero, che l'unica maniera per insegnare il rispetto è di praticarlo (almeno un giorno)?
Ma il silenzio, se dev'essere, che sia il nostro, di chi ha nella penna o
nella tastiera un'arma. E se non voglio cadere nella cupezza, scelgo le parole
tratte da un film, incredibilmente spiritoso e profondo:
...
e rispetto ad Auschwitz mi sembra un punto vista leggero e interessante.
D'altronde chi poteva esprimersi così se non un matto, sapendo che nei lager era
una gara tra chi fosse messo peggio, tra matti, rom, sinti, ebrei e invalidi.
Lasciamo a loro la parola, cerchiamo di imparare da loro
La notte tra il 2 e il 3 agosto 1944 le SS sterminarono gli ultimi
sopravvissuti dello Ziguenerlager di Auschwitz - Birkenau. Migliaia di sinti e
rom sono spinti nelle camere a gas e poi bruciati nei forni crematori.
Per commemorare l'atto finale della follia nazista e fascista ti chiediamo di
accendere delle piccole candele sul davanzale della tua finestra la notte tra il
due e il tre agosto. Perchè ciò non possa più accadere!
Il comandante del campo di steriminio, Rudolf Höss, scrive: "Nell'Agosto del
1944, rimanevano ad Auschwitz circa 4.000 zingari da mandare nelle camere a gas.
Fino all'ultimo momento essi non sapevano che cosa li attendesse. Cominciarono
ad orientarsi soltanto quando furono condotti al V° crematorio. Non era facile
introdurli nelle camere a gas."
Verso mezzanotte lo spogliatoio era pieno di persone. L’inquietudine cresceva di
minuto in minuto. Si sarebbe potuto credere di essere in un gigantesco alveare.
Da ogni parte si sentivano grida disperate, gemiti, lamenti pieni di accuse:
“Siamo tedeschi del Reich! Non abbiamo fatto niente!” […].
Moll ed i suoi aiutanti tolsero la sicura alle pistole ed ai fucili e spinsero a
tutta forza e senza pietà le persone che intanto si erano spogliate, fuori dallo
spogliatoio e dentro le tre camere a gas, dove dovevano essere uccise.
Mentre percorrevano l’ultimo corridoio molti piangevano per la disperazione,
altri si facevano il segno della croce ed imploravano Dio.
[…] Anche dalle camere a gas si potevano ancora sentire per un poco grida
disperate e richiami, finché il gas letale non fece effetto e spense anche
l’ultima voce.
F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von
Auschwitz, p.107, Monaco, 1979.
Vuoi conoscere cosa è successo in Italia?
Visita il primo museo virtuale sul Porrajmos in Italia:
www.porrajmos.it
Di Fabrizio (del 04/08/2013 @ 09:02:01, in Kumpanija, visitato 1714 volte)
Tutto comincia da una frase innocente, che sento ripetere
spesso da amici e conoscenti di origine rom: "Non siamo
tutti uguali."
Secondo flash: "Non demordiamo ma i tempi sono cupi e
purtroppo gli stessi Rom non si rendono conto che l'unica vera
grande ricchezza è la nostra cultura e se muore non avremo nulla
da rivendicare. Tutti si dedicano al sociale e nessuno all'arte
e ad elevare e promuovere la cultura." scrive Santino
Spinelli.
E perché tutti si dedicano al sociale? Forse, perché c'è una situazione che
perdura da decenni, e l'età media di un rom difficilmente arriva ai 60, e c'è
chi muore per i morsi dei topi, chi per un incendio (accidentale o no), chi per
inedia. Insomma, la situazione di questa minoranza (in tutto il continente) è di
una vera e propria crisi sociale. Prima che dire se sia giusto o sbagliato, è
quantomeno LOGICO e CONSEGUENTE che la cosa possa e debba preoccupare, a volta
in modo giusto a volte in modo sbagliato.
Alla stessa maniera, sospetto che esistano modi giusti e modi sbagliati di
occuparsi di CULTURA, partendo dalla considerazione che i due termini (SOCIALE e
CULTURA) non siano disgiunti, ma almeno a livello teorico vadano tenuti assieme,
se non altro per provare a risolvere la situazione attuale di isolamento e
discriminazione (culturale e sociale) di tutti i romanì.
Il secondo nodo è quel "Non siamo tutti uguali", che non è solo un giudizio
morale. Una comune origine etnica in un'Europa così sfaccettata socialmente, non
può essere il viatico per unire assieme l'artista ricco e/o famoso e chi
sopravvive a stento e mai è andato a scuola.
C'è un terzo punto e riguarda chi non è e non sarà mai rom o sinto, ma che come
loro è destinato ad interagirvi: che immagine si può avere di questo popolo,
quali i suoi aspetti da evidenziare?
Ho raccolto in
ebook le testimonianze di giovani rom di tutta
Europa, e notavo che da un decennio circa sta emergendo anche tra loro il nucleo
di una futura borghesia, cioè di quella classe media che in passato ha
accompagnato lo sviluppo dei nostri popoli in Occidente. Con tutte le ambiguità
e imprecisioni nel definire come "borghesia" questo nucleo nascente, e la
confusione aumenta in quanto non è tuttora possibile definire dove finisca il
concetto di "borghesia" come classe produttiva ed intellettuale, e dove inizi il
concetto di (sempre ipotetica) "classe dirigente".
"Classe dirigente" è un termine che adopero in quanto passare da
LUMPENPROLETARIAT a CLASSE INTEGRATA provoca sempre e in chiunque cambiamenti di
visione e di appetiti. Insomma: ci sono aspetti positivi in questo cambiamento,
altri più complicati.
Spiego meglio quel "classe integrata": se, come avviene quasi sempre,
l'integrazione passa per lo stomaco pieno - prima che da qualsiasi altra ragione identitaria, potremmo ragionare sulla storia nostra: a partire dal rivoluzioni
di fine secolo XVIII - inizio secolo XIX, la borghesia in tutto l'Occidente
emarginò l'aristocrazia e assunse nei singoli stati nazionali un ruolo
dirigente, in senso politico, economico e culturale.
Ma il confronto non riguardò esclusivamente borghesia e aristocrazia: c'erano
(ci sono tuttora) le plebi e il proletariato. La borghesia si ritagliò il
proprio ruolo dirigente, facendosi forza della situazione di privazione estrema
(culturale, economica, politica) di queste due classi, ed usandole come massa di
sfondamento, suonando la ritirata quando le loro rivendicazioni superavano la
soglia del conflitto e dell'interesse borghese, e tradendo spesso e volentieri
le promesse iniziali. Il tutto, ovviamente, riassunto in maniera molto
sintetica.
Da questo rapporto di forza, discende anche la questione di chi rappresenta chi.
Cioè, chi scrive di proletariato, i loro rappresentanti nei parlamenti, ecc.
quasi mai appartengono a quella classe, lo stesso vale per chi fa loro scuola,
per chi realizza i programmi televisivi o le riviste destinate a loro.
Succede così, è abbastanza ovvio, che chi si auto-proclama rappresentante di
quell'umanità negletta che sono rom e sinti, abbia fatto una scelta per censo
più che etnica. Ha bisogno, come ne ha bisogno il terzo settore - come ne ha
bisogno la politica - come ne ha bisogno l'università, di una fetta negletta di
umanità, per avere uno scalino ulteriore nella sua personale scalata, artistica,
economica, culturale.
Ma puntualmente, se gli si chiede (noi gagé siamo ignoranti, purtroppo), un
parere, un contributo anche personale (perché anche noi gagé non ce la facciamo
più), ecco che mi sento dire: il problema è un altro (il problema è sempre un
altro, gliel'abbiamo insegnato noi gagé), quella è gente ignorante. IGNORANTE,
parola chiave, come una cartina al tornasole, che mi restituisce la dimensione
di un nascente conflitto di classe, in una società che le classi come le
intendiamo noi non le aveva ancora conosciute.
L'altro aspetto di questo conflitto in nuce, è che se vado a parlare con gli
IGNORANTI, mi diranno con pochi giri di frase: "Se non vivi la nostra realtà,
non puoi capire. Quella gente (gli ISTRUITI, ndr.) non ci
rappresenta."
E allora, chi rappresenterà questa gente, cioè LA PIETRA DELLO SCANDALO? Chi può
farlo lontano da grezzi interessi?
Non ho risposta, perché il problema è tuttora irrisolto anche per la NOSTRA di
società.
L'unico suggerimento che mi sento di dare, è capire quanto può essere grande e
comprensivo il concetto iniziale CULTURA. Se si fosse in grado di capire che
anche
il ghetto, anche la deprivazione,
producono cultura e la fanno circolare,
il confronto potrebbe continuare.
Sono cresciuto con l'idea di essere uno zigano.
Volendo uscire da quest'idea, mi pensai Rumeno (...) Ho
riscoperto la mia identità (...). Voglio morire come una Persona
Umana.
Essere Rumeno non significava più essere un cittadino dello
stato di Romania, integratosi e che si sente legato ad essa.
Piuttosto, significava d'improvviso confrontarsi in termine di
sangue, eredi ed antenati. Ho avuto momenti difficili nel
dichiarare che i miei predecessori erano Daci o Romeni. Sapevo
che non era vero e ci mi rendeva differente dagli altri Rumeni.
I miei predecessori erano zingari. Crebbi arrabbiato e inizia a
chiedermi: "Chi sono veramente?"
La politica romanì deve trattare dei diritti umani generali,
deve collegarsi ai valori comuni e ai codici morali, e non
focalizzarsi esclusivamente sull'etnia o sui problemi nazionali.
Perciò preferisco una linea di condotta che non passi per gli
standard dei diritti umani internazionali o attraverso le loro
istituzioni ed organizzazioni.
C'è una riluttanza dei governi nel condannare pubblicamente,
in maniera chiara e inequivocabile, la violenza aperta e
l'espressa ostilità che portano alla violenza contro le persone
e la popolazione rom nel suo complesso.
Direi che come si trattano le persone rom nella vita di tutti i
giorni, può servire come una specie di "barometro" per misurare
lo stato della democrazia e la sua transizione alla democrazia
in una varietà di paesi. Ugualmente. l'atteggiamento pubblico
verso le questioni rom, serve come banco di prova della tenuta
delle istituzioni democratiche, del ruolo della legge e per il
consolidamento dei movimenti civili e delle associazioni. Questo
è proprio il caso delle democrazie recentemente emerse
nell'Europa Centrale e Orientale, dove vive la maggior parte
della popolazione rom miondiale.
Siamo un popolo senza un
territorio o uno stato proprio. Una delle conseguenze di questo
fatto è che la nostra identità culturale e il nostro status di
minoranza etnica sono stati difficilmente riconosciuti nella
vita pubblica.
Non avendo controllo di confini o pretese
territoriali, le questioni rom non sono percepite dalle
politiche nazionali e internazionali come crescita delle
"questioni della sicurezza", e quindi non viene data loro molta
attenzione nelle negoziazioni bilaterali e/o
multi/intergovernative riguardo la situazione delle minoranze.
Non essendo riconosciuti come un popolo, e infine come minoranza
nazionale, talvolta la vera "condizione umana" era e viene
tuttora frequentemente negata a individui e comunità rom, come
nel caso di tutto il pensiero e la pratica razzista.
Il
pensiero e l'agire politico di individui, comunità e
associazioni rom sembra dirigersi verso la "Soluzione della
Dimensione Umana" dei loro problemi e le loro relazioni con le
persone circostanti e le comunità locali che vivono accanto a
loro, nel senso che la Dimensione Umana nell'OSCE deve
comprendersi come componente interconnesso della costruzione
della democrazia e delle misure di sicurezza in Europa. Questa
"soluzione" ci sfida a ripensare le pratiche, attuali e
durature, di amministrazione dei diritti civici ed umani, in
collegamento diretto con unità e identità territoriali chiare,
omogenee, identità infine "purificate" (locali, etniche, ecc.)
L'Olocausto ancora non è stato riconosciuto come fatto politico.
La povertà del nostro popolo, la capisco sino ad un certo punto, non oltre: non
siamo a chiedere l'elemosina agli altri. La nostra miseria da forza ai nuovi
nazisti, dobbiamo averne conoscenza per combatterli.
La nostra terra, il ROMESTAN, ci è stato copiata ed è diventato patrimonio dei
discorsi della destra. Ricordatevi: in Germania la prima misura dei nazisti fu
di togliere la cittadinanza ai sinti, e la loro prima richiesta a guerra finita
fu di riaverla. Allora: la cittadinanza EU, richiesta da molti, non può essere
una riparazione per la mancata cittadinanza nazionale.
Siamo una nazione culturale: IL NOSTRO SIMBOLO NON E' LO STERMINIO, MA LA
SOPRAVVIVENZA.
Testimonianze e reazioni:
Nikralog
Bare dukhas shundjam ,so uguja amendir amaro pshal tai Baro Romano politiku
Nicolae Gheorghe.
Leskire bucha tai leskiro dzhivipnasko drom so jov kerdja vash romani nacija,
jachela an amare dzhija tai an amari historija.
Jov isis tai jachela pionero tai maribnari pal romani nacijaan tai romamani
politika.
Lokhi phu leske tai rajo po du sveto.
Bare dukhasa
Normund Rudevich tai sari amari familija
Riga, Latvia
R.I.P. Nicolae Gheorghe!
You remain in our memories as intelligent and bright individual full of
patriotism for Roma cause!
We always saw you as a person radiating optimism and respect.
All of us having the tests in this life to show our best qualities and YOU have
passed this test of life with the high scores.
You indeed dedicated your life till the end to Roma and to larger civil society!
And this is the example for us to follow!
Valery Novoselsky,
Roma Virtual Network
În numele familiei Domnului Nicolae Gheorghe și a celor care i-au fost
aproape, cu mare regret și durere profundă, confirm vestea decesul omului
Nicolae Gheorghe.
Corpul neînsuflețit va fi depus în capela bisericii Șerban Vodă (str. Petre
Țuțea – vezi hartă mai jos) începând de azi, orele 12.00.
Duminică, orele 13.00, la biserica mai sus amintită ne vom lua la revedere de la
cel care a fost neprețuit pentru mulți dintre noi, de la care și în ultimele
zile de viața ne vorbea despre poporul rom.
Dumnezeu sa-l odihnească.
On behalf of Mr. Nicolae Gheorghe family and those who were close, with great
regret and deep sadness, we confirm the news Nicolae Gheorghe passed away.
We can pay our respect to to him at the church chapel Serban Voda (St. Peter
Ţuţea - see map below) from today, 12.00.
Sunday, 13.00, to the above-mentioned church we shall say goodbye to the man who
was invaluable to many of us that in the last days of life of the people we
talked about Roma nation.
God rest him.
Ciprian Necula
Tel. 0729199395
Bucharest, Romania
Bara dukhasa ashundem o nasul vjastja – ke Nicolae Gheorghe –
gelotar.
O Sunto Del te jertol les, taj te avel leske feder ando cheri, sar sas pe e phuv!
Leski buti sas pinżardj ande savori lumia,
Vo sas baro manush, savo dyja pesko ilo pala romany nacja.
Mek te avel vushoro phuv pe Leste
Nadya Demeter tai sa amari familia
Drago phralalen thaj phejalen,
Drako kolegura,
Le Evropako Forumo e Romento thaj e Phirunento dukhade ilesa asunga pal o meripe
katar jekh ande amare bare Romane liderura o Nicolae Gheorghe ko 8 august 2013
besh.
O Nicolae Gheorghe sas drago amal thaj kolego save amen khetanes kergem bukij
lesa but bersh. Vov puterde ilesa kergas bukij pal e roma dzi palutno momento
katar leskoro trajo thaj ulavga amenca leskoro baro dzanipen thaj buxli
politikani eksperienca.
Leskoro tradipe amendar si baro xasaripen na numa leskere themeske e Rumunia
numa e sasti Romani nacijaki anda Evropa.
Savore e membrura anda ERTF bishaven peskere kondolencie karing e familia katar
e Nikolae Gheorghe.
Nek ovel lokhi e phuv leske.
Rudko Kawczynski, Soraya Post, Sebihana Skenderovska, Asmet Elezovski, Gheorghe
Raducanu, Svetlana Nentia, Ondrej Gina, Ljuan Koko, May Bittel, Robert Rustem,
Clémentine Trolong-Bailly.
* * *
Drago phralalen thaj phejalen,
Dear colleagues,
The European Roma and Travellers Forum has learnt with shock and dismay of the
untimely death of one of our greatest Roma leaders Nicolae Gheorghe, on 8 August
2013.
Nicolae Gheorge was a dear friend and collaborator whit whom we worked for many
years.
He selflessly worked for the Roma till the very last moment and shared with us
his vast knowledge and extensive political experience.
His passing away is a significant loss not only to his country Romania but to the
whole Roma nation in Europe, particularly given his moral stature, his vision
and his leadership.
All ERTF members express their sincere condolences to the bereaved family of
Nicolae Gheorghe.
May his soul rest in eternal peace.
Rudko Kawczynski, Soraya Post, Sebihana Skenderovska, Asmet Elezovski, Gheorghe
Raducanu, Svetlana Nentia, Ondrej Gina, Ljuan Koko, May Bittel, Robert Rustem,
Clémentine Trolong-Bailly.
Dear Collaborators,
Dear Friends,
I wanted to write to express my sorrow at the sad news of the death of Nicolae
Gheorghe. He was such a special person that no words are really adequate to
describe him.
Yesterday, the Roma nation lost a dedicated Human Rights Fighter, a Diplomat, a
Mediator and above all a great Human Being!
All of our friends that I have spoken to have their own treasured memories of
Nicolae Gheorghe, and I know how much they valued their friendship.
He brought happiness to everyone that knew him, and he will be sadly missed.
For me, it was a great pleasure and a privilege to know him, to work with him
and to learn from him.
In my life, I have been the student of two Roma teachers and true leaders.
Yesterday, I have lost one, miro drago dajo Nicolae.
Rest in peace.
Neka ovel lokhi tiri phuv drago dajo Nicolae.
Asmet Elezovski with his family
Kumanovo, Macedonia
Deal All,
so sad to know about the demise of Nicholae Gheorghe.
I think I met him at Zagreb in 2008. He was a sincere worker scholar for Roma
cause.
May God rest his soul in peace!
Harish Thakur
O Bajram Haliti, editori e "Nevimatanqe informativnune
agenciăko e Rromengeraqo" bićhalda aӡes telegramo e dukhaimasqo e Gheorghesqe
Nicolauesqe familiake –e rromnăke Nicoleta, ćhejenqe thaj ćhavenqe savo pala o
xarno nasvalipe mulo.
Pativalie Nicoleta,
Bare dukhasa sikava xor kethanutno dukhavipe feri o xasaripe Tumare kamle
rromesqo (Ghorghe Nicolaesqo). Pativalimasa ano sa e vaktesko ӡivipen mangav te
zurarav tumen kaj o ӡaipe naj agor e dromesqo., aj andrinpe ano nur savo
kethanutnisarel.
E Rromani nacia, e Gheorghe Nicolausqe ӡaimasa, xasarda na numaj lidere e
rromane naciăke, aj manuše savo kamla piro etnos thaj savenqe reslimata barikane
ӡangla te arakhel thaj prezentuil, iskirisavolpes ano telegram e Bajram
Halitesqo.
Bajram Haliti
Nicolae Gheorghe sas miri drago mal kajo 30 bersh, konessa tserdom but butti
khetanes. Jou sas baro lieduro ta Phuro kon sikadan amenge drom kaj te dzas
amengo Romano natsiessa. Nicolae tserdas pesko butti leskro dziessa/ilessa ta
les sas dzanipe politikane puthibiessa.
Chi pistarava leskro butti kanik var.
Miri kondolensie leskro familiake ta chavorenge !
Mukh o Baro Del den Leske shukar stedos thaj baht aro rajo.
Miranda Vuolasranta
Lic. Federico Hoffmann R.
Telf. 2268 61 97
Fax: 2268 59 04
Yanko Weiss Reinhardt
Romalen, thaj Phralalen,
con gran pesar recibimos la noticia de la muerte de un gran Rrom, O baro Shero
thaj baro manush, Nicolae Gheorghe Ya sabemos que cada uno que fallece de
nosotros, es uno menos en la Lucha para nuestra Libertad y dignidad,
especialmente cuando se trata de una gran personalidad como Don Nicolae. Ya
sabemos que cada uno de nosotros un Diá tiene que morir, pero por lo menos
sabemos que ahora podemos morir con Paz y en dignidad, en vez de morir en los
campos de concentracón.Yo estoy seguro Don Nicolae, después de tanta lucha ,va
encontrar la paz lo que merece junto al lado de Diós y su reino.
Adios Phrala thaj Amal
un ultimo abrazo de la distancia,descansa en la paz del Seńor
Mis más profundos pesamés tambíen a la Familia
Devlesa
Yanko
I was very shocked and sad when I hear about the death of Dr. Nicolae
Gheorghe just a day after I saw his name in one of the Roma net works.
It is hard to add more after your thoughts abut Dr. Nikolae Gheorghe death,
especially Thomas’ detailed account about him. I am really glad that I could
meet him in the early 90s when Thomas organized a very important symposium at
Greenwhich University on Roma Politics and Culture.
Having so many famous Roma activist and academics attending, I felt rather
scared to give my talk. I remember well, that Dr. Gheorghe was sitting front of
me, and his kind personality and interest gave me such a great support, that I
forget all my anxiety in no time. After that I looked out to read his very
thorough, intelligent yet never aggressive papers, that was to create
understanding between the Roma and non-Roma population of his country and beyond.
After loosing two colleagues in Hungarian ethnomusicology in the last few months,
I feel very sad to loose yet another excellent person in Romany studies.
I feel very honoured that I had the luck to have met him. My thoughts are with
his family and people who lost a deeply human person.
Rest in Peace, Nicolae, and God be with you.
Iren Kertesz Wilkinson
London, UK
Chers amis,
C'est avec tristesse que nous avons appris le décès de Nicolae Gheorghe. Nous
souhaitons lui rendre hommage. Il était l'un de ceux qui ont fondé l'organisation
tsigane mondiale. Nous nous souvenons que de tels hommes ont eu à combattre dans
les pires difficultés, et tout d'abord pour voyager librement. Et quand il
pouvait participer aux congrès, c'était souvent sans argent pour la nourriture
et l'hébergement. Les plus jeunes doivent pouvoir s'imaginer cela, s'en souvenir
et mesurer le chemin parcouru.
Męme si parfois nous avons eu des désaccords, il demeure notre frère pour
toujours.
***
Dear friends,
With sadness, our organisation learned Nicolae Gheorghe passing. We wish to pay
a tribute to him. He was one of those who founded the world romany organisation.
We remember that such men had to fight in the worst difficulties, first to
travel freely. And when he could attend the congresses, it was often with the
lack of money for accomodation. The youngers must be able to imagine it, to
remember it and to measure progress.
Even if sometimes we could disagree, he'll be our brother for ever.
Jean-Claude Mégret
Romano Yekhipe France
In urma cu cativa ani, Nicolae avusee curajul sa-mi impartaseasca
dificultatile princare treacea.
Intr-o zi ii trimisesem versurile de mai jos (autor necunoscut) si-mi scrisese
ca este curios sa experimenteze universul din "cealalta perspectiva". Acum este
"acasa" si sper implinit ca spirit.
Fie ca Nicolae sa-si gaseasca pacea si linistea mult dorita in D-zeu.
F.
Când singur pe drum sub poveri vei cădea
Zdrobit şi lipsit de putere,
Când nu va fi nimeni un sprijin să-ţi dea
Şi n-ai să găseşti mângâiere,
Atunci pe-ai Săi umeri Isus te va lua
Cu dragostea-I nespus de mare
Şi rănile toate ţi le va lega
În tine lăsând vindecare.
...
Când lipsuri şi temeri te vor încolţi
Să-ţi fure din piept fericirea,
Când glasuri străine te vor amăgi
Să cauţi în lume-mplinirea,
Atunci la Isus adăpost vei găsi
Şi n-ai să rămâi de ruşine;
În orice-ncercare tu vei birui
Căci Domnu-i alături de tine!
Când dorul de Casă, de Tatăl divin
Te va copleşi cu suspine,
Atunci nu uita că mai este puţin
Şi Domnul, Păstorul tău vine!
Oricâte eşecuri vei întâmpina
Şi-oricât valul greu te loveşte,
Să ştii că există în Cer Cineva
Ce nemăsurat te iubeşte!
NGO-OJQ-NVO-BRO
"Amareo Ternipe"
Gjakovë-Kosovo
Na-Rayipni-Organizata "Amareo Ternipe" andar i Gjakova/Kosova,
telegramo dukhaimsqo e familiake Nicolau
PO anav e NGo "Amareo Ternipe" kotar i Kosova/Gjakova bićhalav aӡes telegramo e
dukhaimasqo e Gheorghesqe Nicolauesqe familiake –e rromnăke Nicoleta, ćhejenqe
thaj ćhavenqe savo pala o xarno nasvalipe mulo.
Pativalie Nicoleta,
Bare dukhasa sikava xor kethanutno dukhavipe feri o xasaripe Tumare kamle
rromesqo (Ghorghe Nicolaesqo). Pativalimasa ano sa e vaktesko ӡivipen mangav te
zurarav tumen kaj o ӡaipe naj agor e dromesqo., aj andrinpe ano nur savo
kethanutnisarel.
E Rromani nacia, e Gheorghe Nicolausqe ӡaimasa, xasarda na numaj lidere e
rromane naciăke, aj manuše savo kamla piro etnos thaj savenqe reslimata barikane
ӡangla te arakhel thaj prezentuil, iskirisavolpes.
Te avel lohki leski phuv! Sasa baro Manuš.
Respektea,
Emrah Cermjani
Consultant in a part of BPRI project at "Bethany Christian Services"-Mission in
Kosovo
Ass.Director-OJQ-NVO-BRO-NGO-"Amareo Ternipe"-Gjakov/Kosovo
Musa Zajmi No:163
50 000 Gjakovë, Kosovë
E-mail: emrah.cermjani@gmail.com
amareo.ternipe@gmail.com
Mob: +377 44 569 634
www.amareo-ternipe.webs.com
www.radioprosperiteti.org
Dragi Nikolaj,
neka ti je pokoj dusi.
za Svetski parlament Roma,
Predsednik - Dragoljub Ackovic
Dear Nikolaj,
God rest your soul.
For Roma World parliment,
President- Dragoljub Ackovic
Dear friends - I was truly sorry to hear of Nicolae's death -
I had heard of his being 'not well' a while ago. I first met Nicolae in 1998
during a Roma-Police seminar we organised in Peterborough, UK. He swept into the
seminar room in a wide brimmed stetson hat - his personality and personal power
were striking. I got to know him better, as a human being and not just a 'Roma
leader' when my car ran out of petrol as I was driving him back to London from
the seminar. It was a cold, rainy, grim Sunday, and I had been running guests
back and forth to the train station all day. He said I had been mother to
everyone but not to myself, pushed the car out of the middle of the road - and
we sat for over an hour discussing our politics, our history and 'where we were
coming from', unconcerned about how we could sort out our problem. I realised
that Nicolae was not only an intellectual but also an enlightened and kindly man
- the Roma cause has lost a great champion.
Rest in Peace!
Jeanette Buirski - formerly of European Dialogue
Di Fabrizio (del 20/08/2013 @ 09:09:41, in Kumpanija, visitato 1432 volte)
di
Cinzia Sgreccia - Responsabile settore scuola Opera Nomadi di Reggio
Calabria.
Il Dispaccio creato Sabato, 17 Agosto 2013 13:15
Ad un anno dalla morte di Mons. Bruno Nicolini (1927-2012) l'Opera Nomadi di
Reggio Calabria ricorda la figura di un grande uomo, amico del popolo rom a cui
ha dedicato oltre 50 anni della sua vita.
Incaricato di occuparsi di zingari dall'Arcidiocesi di Trento nel 1959,
successivamente, nel 1963, fondò nella Diocesi di Bolzano- Bressanone l'Opera
Nomadi che dopo qualche anno divenne ente nazionale promuovendo la nascita di
Sezioni locali in tutta Italia.
Fu chiamato a Roma da papa Paolo VI per occuparsi della pastorale dei Rom e
proprio da Roma, nel 1965, organizzò , nello spirito del Concilio Vaticano II,
il primo grande incontro europeo tra il popolo rom ed il papa che si tenne a
Pomezia.
Il suo impegno pastorale fu sempre costante "incarnandolo" e concretizzandolo
con quello sociale facendo onore al suo mandato di sacerdote cristiano.
Nel giugno del 2011 aveva partecipato con grande gioia all'incontro dei Rom
europei con papa Benedetto XVI in San Pietro.
Come Presidente dell'Opera Nomadi Nazionale aveva sempre centrato il suo impegno
per il popolo Rom mediando fra tre realtà che riteneva fondamentali ai fini
dell'inclusione sociale di questi cittadini: le istituzioni, la collettività
locale e i Rom.
Negli anni Sessanta mentre la comunità romnì locale reggina soffriva in una
favelas nella periferia della città sotto il ponte S. Agata, tre "giganti"
facevano convergere le proprie energie per affrontare le gravi problematiche di
questa popolazione. Tre pastori, che realizzarono la loro missione a partire
dagli ultimi.
Mons. Bruno Nicolini, sempre alla ricerca di soluzioni per una pacifica
convivenza tra Rom e società a livello nazionale. Don Lillo Altomonte, padre
amato dal popolo Rom reggino, che dal 1958, data della nascita della parrocchia
di Modena, S.Pio X, come parroco, iniziò a dedicarsi anche ai rom che
gravitavano intorno al territorio parrocchiale, emarginati sotto i ponti delle
fiumare. Avendo saputo dell'esperienza di don Bruno, nel 1965, aderì a questo
ente costituendo la Sezione Opera Nomadi di Reggio Calabria. E S.E. Mons.
Giovanni Ferro, che si impegnò personalmente a sottoscrivere un personale
contributo finanziario per avviare a soluzione il problema degli alloggi della
comunità.
La collaborazione proficua tra queste tre grandi personalità consentì di avviare
il primo intervento di aiuto organizzato in favore dei Rom di Reggio Calabria.
Questo percorso che Don Bruno sviluppò in tutta Italia, è stato alimentato dalla
sua stessa intuizione di affiancare alle azioni sociali la ricerca scientifica.
Egli realizzò, insieme alla professoressa Mirella Karpati, il «Centro studi
zingari», punto di riferimento scientifico per la comprensione della storia e
della cultura del popolo Rom in Europa, che divulgava le sue ricerche attraverso
la rivista bimestrale "Lacio drom".
Se oggi abbiamo delle analisi più precise sull'inserimento sociale dei rom e
sugli interventi da porre in essere, lo dobbiamo all'operato realizzato da don
Bruno.
Sotto il profilo umano Mons. Bruno Nicolini, definito "persona affabilissima,
dai modi estremamente familiarizzanti", coniugava l'esperienza maturata nelle
gravi problematiche vissute dai cittadini Rom in Italia e nel mondo con la
semplicità e l'amore con cui svolgeva la sua opera. Questo gli consentiva di
comprendere la persona, sensibilizzare l'opinione pubblica e mettere a punto
programmi di promozione sociale, coinvolgendo le istituzioni.
Per cinquant'anni si è impegnato per i fratelli rom, facendosi ultimo tra gli
ultimi e diventando spesso presenza scomoda per tanti. Non ha cercato e non ha
avuto né gloria né onori, ha vissuto da umile prete e così è morto. Ha concluso
la sua esistenza terrena all'età di 85 anni in povertà e con coerenza rispetto
alla sua Missione di pastore, ponendosi al servizio del prossimo cercando di
"capire meglio per poter aiutare meglio" nel rispetto della cultura dell'altro.
Il suo profilo di sacerdote corrisponde pienamente alla figura del buon pastore,
indicato da papa Francesco, che realizza la sua Missione, vivendo e prendendosi
cura delle " sue pecore", umilmente al servizio del suo "gregge", per servire,
non per essere servito (Papa Francesco, Ordinazione di nuovi sacerdoti,
21\04\2013) e ... amando fino alla fine.
Ciao don Bruno, grazie per quello che hai fatto, per le basi che hai posto per
l'aiuto del popolo Rom e per la testimonianza umana e cristiana che ci hai
offerto. Veglia su di noi.
Di Fabrizio (del 08/09/2013 @ 09:02:18, in Kumpanija, visitato 1533 volte)
Domenica 15 settembre, ore 11.30 Libreria Popolare via Tadino 18, MILANO
Rebecca è una
ragazza rom. E' anche un mondo: dalla Romania ha girato l'Europa e il Sud
America, ha scritto, dipinge, studia al liceo artistico, è stata testimone di
infiniti sgomberi, violenze esplicite o meno. Ha ricevuto il premio UNICEF. E ancora: studia il violino e cerca di vivere come una ragazza della sua età.
Così, tornati dalle ferie, riprendiamo LE CONVERSAZIONI IN LIBRERIA. Una domenica mattina alle 11.30, in un
angolo fresco e amichevole. Ci sarà anche un'esposizione dei dipinti di Rebecca,
e si terminerà con un rinfresco offerto dalla libreria a tutti i partecipanti.
Verrà presentato l'ultimo libro di Rebecca Covaciu:"L'arcobaleno di Rebecca - Taccuino di viaggio di una ragazza Rom" UR
Editore - 2012 – pp. 168 - euro 11,70con l'autrice, intervistata
da voi e da Fabrizio Casavola, per la redazione di MAHALLA.
Di Fabrizio (del 25/09/2013 @ 09:06:27, in Kumpanija, visitato 1913 volte)
foto da Archivio ROMANO LIL
La festa dei Santi medici Cosma e Damiano che si tiene a Riace nei giorni del
25, 26 e 27 settembre, alla quale partecipano tantissime persone rom e non- rom,
è un grande evento interculturale, che proviene dall'antica civiltà contadina.
Questo mondo, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta scomparve con lo sviluppo
dell'urbanizzazione, aveva elaborato importanti valori sociali, come quello
della relazione tra gruppi "diversi", che consentiva di vivere e "costruire"
assieme.
Ma il tramonto della cultura contadina è avvenuto eliminando la gran parte dei
suoi valori, e abbracciando la cultura dell'urbanizzazione con le sue "false"
promesse di progresso e di sviluppo e con la pratica dell'emarginazione sociale
dei cittadini più deboli.
Difatti, il grande regista De Seta nel suo documentario "In Calabria", del 1993,
si interrogava sulla scelta negletta di distruggere il mondo contadino, senza
mantenere i suoi valori principali, e di accettare, a occhi chiusi,
l'urbanizzazione selvaggia.
Nonostante la scelta fatta, una traccia di quel mondo antico è rimasta nella
festa di Riace e nella vita civile di questa piccola cittadina, diventata un
esempio di civiltà per l'accoglienza offerta ai "migranti".
De Seta, da fine osservatore dei fatti, nel suo documentario descrive la festa
affermando che "...si distingue dalle altre, perché in comune tra gli abitanti
del paese e gli zingari che per l'occasione affluiscono in gran numero...".
E' proprio così. La festa di Riace, nata dalla civiltà contadina calabrese,
continua, ancora oggi, a essere festa " in comune ", a coniugare, a saldare, a
far incontrare. Mantiene tutto il simbolismo e la forza di quel mondo che sapeva
unire le "diversità", sviluppando autentica coesione sociale. Mentre la società
moderna, piegata dai valori della competizione, "costruisce" conflitti tra le
parti, si inventa lo "scontro di civiltà" ed emargina i gruppi più svantaggiati,
che considera troppo "diversi".
Il pellegrinaggio annuale a Riace, per i rom calabresi è un fatto che ha segnato
la loro storia e che, ancora oggi, rappresentata un avvenimento che continua a
caratterizzare la loro religiosità e le loro relazioni sociali.
La festa dei due Santi, si è celebrata a Riace a partire dal 1671, data in cui
le autorità religiose approvarono al culto le reliquie dei due Santi. Insieme
alla festa religiosa si tenne, dal 1671 fino a qualche decennio fa, una delle
maggiori fiere di bestiame e mercanzie della regione, che richiamava mercanti da
tutta la Calabria e da altre regioni del Sud Italia. I rom , presenti in
Calabria dalla fine del 1300, avendo sviluppato tra le loro attività
tradizionali il commercio del bestiame, parteciparono, fin dal XVII secolo, alla
grande fiera e alla festa religiosa, costituendo un'importante presenza, che è
rimasta costante nel corso di quasi tre secoli e mezzo.
La loro partecipazione ai festeggiamenti religiosi, li ha portati a sviluppare
una "propria devozione" religiosa che ha caratterizzato e caratterizza ancora
l'evento.
La festa "in comune" è nata in un periodo storico in cui i rom calabresi, dal
1300 fino alla metà del 1900, furono parte integrante del mondo contadino ,
garantendo i servizi di manutenzione dell'attrezzatura agricola e di commercio
del bestiame. Inclusi in modo interculturale nell'antica società contadina, i
rom calabresi contribuirono, al pari di altri gruppi, allo sviluppo della
civiltà rurale della nostra regione. Lungo il corso dei secoli, la cultura rom e
quella contadina si sono reciprocamente ibridate, attraverso l'influenza
reciproca e lo scambio di elementi.
E' così che i rom cominciarono a partecipare non solo alla fiera di Riace, ma
pure alla festa religiosa, facendola diventare un elemento centrale della loro
religiosità, e arricchendo la festa con una nuova forma di culto, fatta con la
musica e la danza apprese dagli stessi contadini, mettendoci le loro libere
interpretazioni.
Questo reciproco arricchimento culturale, dato dalla "connessione-mescolamento"
delle culture, è quanto è avvenuto nell'antica comunità rurale calabrese, oggi
considerata "arretrata".
Da qualche decennio la grande fiera di Riace non si tiene più, ma la festa
continua ad essere celebrata attraverso il culto religioso e l'incontro sociale
tra i diversi gruppi, in un clima di costante accoglienza interculturale.
Oggi, che la civiltà contadina non esiste quasi più, e la minoranza rom è vista
dalla comunità urbana come un "problema sociale", questa festa rappresenta,
ancora, un esempio concreto di apertura all'"altro".
Anche la Chiesa locale, negli ultimi anni, partendo proprio dall'esperienza
"plurale" offerta dalla festa ha cominciato a comprendere l'importanza della
devozione dei rom e ha mosso i primi passi per rispettarla nelle sue forme
specifiche.
Possiamo dire, senza ombra di dubbio, che la festa di Riace è un passato che
continua a parlare al presente per la costruzione della convivialità dei gruppi.
Reggio Calabria, 15 settembre 2013
OPERA NOMADI DI REGGIO CALABRIA
Il presidente Antonino Giacomo Marino
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