L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Reggio Calabria. "Da anni viene segnalato al comune di Reggio Calabria che
nell'insediamento rom dell'ex Polveriera un vecchio edificio militare sta per
crollare sulle baracche, ma, nonostante il pericolo di vita in cui si trovano
dieci famiglie, fino ad oggi, non è stato fatto niente. Ieri mattina , da una
parete del vecchio edificio che si sporge sulle baracche si sono staccati dei
mattoni, e c'è mancato poco che colpissero i bambini che giocavano sotto".
E' la denuncia dell'Opera Nomadi di Reggio Calabria dopo l'ennesimo episodio che
ha interessato quello che è rimasto dell'ultimo insediamento Rom in città.
I vigili del fuoco, che sono intervenuti sul posto, hanno segnalato il pericolo
ai vigili urbani sottolineando, ancora una volta, "la necessità di evacuare
l'area e hanno avvisato le famiglie che l'edificio potrebbe crollargli addosso
da un momento all'altro".
"Ci chiediamo cosa stia aspettando il Comune di Reggio Calabria prima di
intervenire" è l'interrogativo di Giacomo Marino che aggiunge: "è forse
necessario che prima qualche bambino resti sepolto sotto le macerie
dell'edificio?".Continua Marino: "questa situazione di gravissimo pericolo è ben
nota al sindaco ff Raffa, tanto da aver maturato una posizione ben precisa a
riguardo".
"Il 24 settembre 2010, dopo molte sollecitazioni, il sindaco Raffa si reca
personalmente sul posto e una volta constatato di persona il pericolo esistente
dichiara di non poter promettere nulla, ma che comunque tenterà di trovare una
sistemazione abitativa per le famiglie in pericolo. Facendo seguito al
sopralluogo del primo cittadino, il 25 ottobre 2010, il presidente dell'Opera
Nomadi incontra la dirigente del Patrimonio Edilizio, avvocato Titty Siciliano,
la quale in quell'occasione afferma che il comune intende sviluppare un piano
per la sistemazione abitativa delle famiglie che si trovano in pericolo e per
questo chiede all'associazione un censimento completo dell'insediamento".
"Dopo pochi giorni ( novembre 2010) - continua la nota - l'Opera Nomadi consegna
alla dirigente e al sindaco un report contenente il censimento aggiornato delle
famiglie (insediamento composto da 27 famiglie delle quali 10 in condizioni di
gravissimo pericolo) , una planimetria dell'insediamento, il primo verbale dei
vigili del fuoco (dicembre 2003) attestante il pericolo del crollo
dell'edificio, una certificazione dell'ASP e altri documenti. Nel mese di
dicembre 2010 la dirigente al patrimonio edilizio avvocato Siciliano, in un
incontro con un gruppo di famiglie rom, sostiene che il suo ufficio si sta
impegnando nel reperire alloggi per le 10 famiglie che si trovano in pericolo.
Ma queste promesse vengono smentite dallo stesso sindaco Raffa, il quale, in un
incontro pubblico tenutosi ad Arghillà nel mese di gennaio 2011, dichiara che il
comune non ha alloggi disponibili per le famiglie in pericolo e che non intende
intervenire nemmeno per mettere in sicurezza l'insediamento evitando il crollo
dell'edificio sulle baracche, visto che l'insediamento si trova su territorio di
proprietà del demanio statale e non di proprietà comunale".
"Nei mesi successivi il sindaco e la stessa dirigente Siciliano sostengono che
questa posizione del non intervento in quanto territorio del demanio statale è
stata ratificata anche dalla Prefettura e quindi il Comune è a posto. Insomma -
a detta dell'Opera Nomadi - per il comune di Reggio Calabria le 10 famiglie
devono vivere con il pericolo che il vecchio edificio gli crolli addosso. Se poi
l'edificio dovesse crollare e seppellirli veramente l'ente ha le carte in
regola, saranno le famiglie ad avere la colpa di aver costruito abusivamente
delle baracche accanto a questo vecchio edificio".
"Questa posizione assurda e fortemente immorale - conclude il presidente Marino
- è quella che un comune può oggi assumere tranquillamente nei confronti di
cittadini emarginati, senza che nessuno si indigni. Alla luce di quanto accaduto
ieri, invitiamo nuovamente il sindaco Raffa a rivedere la sua posizione e quindi
a provvedere ad effettuare almeno l'intervento di messa in sicurezza
dell'insediamento evitando la tragedia annunciata. Preghiamo, infine, tutti i
candidati a sindaco di voler inserire nei loro programmi la sistemazione
abitativa in dislocazione delle famiglie di questo ghetto che si trovano in
grave pericolo di vita, dimostrando così che la politica che loro propongono è
ricerca del bene comune anche per gli ultimi".
Di Fabrizio (del 09/04/2011 @ 09:10:10, in casa, visitato 1622 volte)
di Vinicio Leonetti - Catanzaro (05/04/2011)
Eliminare Scordovillo in quattro mosse. La prima è la nomina del prefetto
Antonio Reppucci a commissario per l'emergenza. L'incarico dovrebbe arrivare
direttamente dal governo centrale, e in quel caso al commissario oltre ai poteri
straordinari verrebbero dati fondi dalla Protezione civile per gestire lo
sgombero ordinato dalla procura della Repubblica entro Pasqua. Il tempo stringe:
dall'ultimatum del procuratore Salvatore Vitello sono passati diversi giorni, e
se non si comincia a smantellare per mano politica il magistrato già in questa
settimana potrebbe adottare provvedimenti coattivi per far partire la
mobilitazione di un villaggio considerato malsano e ricettacolo di criminalità.
Un aspetto seguito da vicino dal Comandante provinciale dei carabinieri
Salvatore Sgroi, da Stefano Bove che guida la Compagnia dell'Arma lametina, e
Pasquale Barreca dirigente del commissariato di polizia. Che ieri erano in aula.
Unità d'intenti
Un commissario subito è l'obiettivo prioritario non solo del
consiglio comunale che ieri sera ha votato all'unanimità un documento, ma anche
della Regione rappresentata in aula da due consiglieri degli opposti
schieramenti Mario Magno e Tonino Scalzo.
"Siamo di fronte alla più grande questione sociale della città, e non c'è un
modo indolore per eliminare Scordovillo. Ogni proposta sembra sbagliata", ha
spiegato il sindaco introducendo il dibattito in aula. "Bisogna spostare più di
500 persone, questo si fa quando c'è una calamità. Ecco perché ci vogliono i
poteri straordinari del prefetto per accelerare i tempi, con l'affiancamento di
Comune, Provincia e Regione".
Piano B
Se il governo non interviene? Gianni Speranza ha un'alternativa. L'ha
chiamato "piano d'arrangiamento". E consiste in tre mosse: 1) prendere 1 milione
di euro dai fondi Pon per comprare 16 case prefabbricate e d'assegnarle ad
altrettante famiglie rom; 2) tirare fuori i 5 milioni di euro che la Regione s'è
impegnata a dare al Comune per il Piano di sviluppo lametino per acquistare
appartamenti sparsi nella città, attraverso un bando pubblico al miglior
offerente; 3) chiedere un impegno straordinario all'Aterp e mettere a
disposizione 25 alloggi che spettano alle famiglie rom in testa alla graduatoria
delle case popolari.
Queste non sono indiscrezioni, ma precisi impegni dell'amministrazione presi in
aula davanti ai parlamentari Pino Galati e Ida d'Ippolito, ai consiglieri
regionali Magno e Scalzo, all'assessore provinciale Roberto Costanzo, ma
soprattutto in presenza dell'esponente del governo Antonio Reppucci, prefetto di
Catanzaro. Che ognuno ha indicato come il commissario ideale per gestire
l'emergenza. Sia Galati che d'Ippolito, deputati di maggioranza, hanno preso
l'impegno di spingere sul governo per la nomina commissariale, com'è avvenuto
finora in cinque grandi città.
Nessuna voce dissonante in aula. Tutti con l'obiettivo comune di cancellare una
piaga aperta da sessant'anni. Quello che non è mai riuscito a fare la politica
l'ha fatto la magistratura. C'è chi ha parlato di "fallimento della politica"
come Raffaele Mazzei, capogruppo del Pdl, e Mario Magno consigliere regionale
dello stesso partito. Ma oltre al grande merito di aver smosso le acque
stagnanti della polemica sui rom, il provvedimento di sequestro di Scordovillo è
riuscito anche a creare unità dove tradizionalmente c'è lotta politica spesso
improduttiva.
Dove metterli?
Se lo chiedono tutti in questi giorni. A cominciare dai cittadini,
fino agli esponenti politici. L'opinione comune è quella che Galati ha definito
"dislocazione diffusa". Significa distribuire piccoli gruppi di famiglie in
diverse parti della città. Perché un'altra parola d'ordine ieri era: no ad altri
Scordovillo.
Anche in questo caso non mancano interrogativi. Il primo l'ha posto il prefetto
Reppucci molto realisticamente: "Prima bisogna trovare i proprietari propensi a
vendere le case. Poi bisognerà capire se i vicini vorranno i nuovi inquilini,
perché il valore delle loro abitazioni diminuirà".
C'è invece chi, come il consigliere Bruno Tropea, ha ipotizzato di dare una
casetta ad ogni famiglia rom, lontano un chilometro l'una dall'altra. Ipotesi
scartata dal sindaco. I nuclei familiari di zingari sono 136 secondo il più
recente censimento fatto quest'anno dal Comune a Scordovillo, per un totale di
528 persone. "Questa è la gente che risiede e dorme nel campo", ha spiegato il
sindaco, "perché durante il giorno ce ne sono circa 300 in più che fanno capo al
villaggio". In otto anni, sempre secondo i dati municipali, sono aumentate le
famiglie ma è rimasto immutato il numero degli stanziali. Che sono molto
giovani: il 40% è fatto da minorenni. Di questi il 18% è costituito da bambini
sotto i 6 anni.
Umani come noi
Lo hanno sottolineato in tanti. Non sono più nomadi, né slavi né
altro, ma italiani. Lametini da generazioni. Cittadini iscritti all'anagrafe con
diritto di voto. Si tratta di integrarli. Elvira Falvo, Mariolina Tropea e lo
stesso sindaco si sono sforzati di evidenziare il lavoro fatto con i programmi
di recupero per i rom, ma non ci sono stati risultati determinanti. Scordovillo
resta Scordovillo. Ghetto, bidonville, città proibita, bomba sempre innescata.
Bubbone da estirpare.
Il cammino verso l'integrazione dei rom è lungo. Ieri lo sapevano tutti in aula,
anche gli stessi zingari presenti. Due dei quali sono intervenuti col consenso
del presidente del consiglio Francesco Muraca.
Pamela Bevilacqua, giovane rom: "Non siamo nomadi, chiamateci zingari. Il
discorso del prefetto ci è piaciuto: abbiamo diritti e doveri di ogni cittadino.
Così come anche voi avete diritti e doveri". L'anziano Francesco Bevilacqua,
lunga barba bianca: "Vent'anni fa hanno trasferito alcune famiglie in un
palazzo. Ma poi ci volevano cacciare anche da quella casa con l'accusa di
portare un ciuccio fino al quarto piano. Ma come si fa a far salire le scale di
quattro piani a un ciuccio?".
Di Fabrizio (del 10/04/2011 @ 09:27:49, in casa, visitato 1652 volte)
Questo è l'abstract dell'intervento presentato alla EWL-HWL
Conference on Roma Women, svoltosi a Budapest il 7 Aprile 2011. Monica Rossi[1]
Un'Introduzione
Il Movimento di Lotta per la Casa è una organizzazione storica romana che si
occupa del riutilizzo di spazi pubblici e privati per mezzo della pratica delle
occupazioni. Questi movimenti di squatters sono in contatto con il governo della
città che ha in alcuni casi riconosciuto le occupazioni per mezzo di
Delibere specifiche concedendo la proprietà occupata o con l'accesso
all'edilizia sociale. Il Movimento è così esteso e radicato che ha anche un
membro eletto nel consiglio Municipale di Roma. Questi movimenti esistono sin
dagli anni '60, quando le baraccopoli romane ospitavano 60.000 cittadini
italiani senza casa. Il Movimento si è esteso nel corso degli anni, ed è stato
affiancato da altre organizzazioni (ATTAC, Blocchi Precari Metropolitani ed
altre), tutte impegnate nella causa dell'abitare a Roma, dove la mancanza di
abitazioni e forme di povertà locale sono endemiche. Come etnografa che ha
lavorato da 21 anni nelle baraccopoli romane, ho incontrato spesso questi
movimenti nel corso delle mie ricerche, anche perché a partire dagli anni '80
questi gruppi hanno iniziato ad accogliere anche individui e famiglie di
migranti.
Come è iniziato tutto:
Nel 2008 un gruppo di famiglie ed individui Rom rumeni, tutti provenienti da
Kalarasi, si stabilisce in una grande area abbandonata nella periferia romana,
lungo la via Casilina . Nel Novembre del 2008 vengono sfrattati per la prima
volta. La soluzione offerta dal Comune di Roma fu quella di trasferirli in una
vecchia cartiera già occupata da altri e poi abbandonata lungo la via Salaria,
in condizioni di gran lunga peggiori di quelle che avevano vissuto nel campo.
Una piccola ONG (Popica Onlus), che aveva svolto attività di volontariato presso
questo gruppo, ed era allo stesso tempo in contatto con I Movimenti di Lotta per
la Casa, decise di proporre ai Rom sfrattati di unirsi al Movimento, iniziando
una serie di incontri comuni per verificare la fattibilità del progetto. Molti
dei gruppi erano preoccupati all'idea di far accedere nelle occupazioni
un'intera comunità di 90 persone, ma alla fine un gruppo di formazione più
recente, i Blocchi Precari Metropolitani, accettò di fare un tentativo
accogliendo I Rom in un grande complesso industriale abbandonato lungo la via
Prenestina: il cosiddetto gruppo del "Metropoliz", già abitato da 110 fra
italiani, marocchini, peruviani ed africani .
All'arrivo dei Rom è stato loro spiegato cosa fosse e come funzionava
un'occupazione: tutte le decisioni vengono prese nell'assemblea alla quale tutti
debbono partecipare, e dove ciascuno deve esprimere la propria opinione,
L'assegnazione degli spazi è decisa in base ai bisogni dell'individuo o della
famiglia. Le pulizie, la risistemazione ed il controllo dell'area vengono
intrapresi collettivamente per mezzo di un sistema di turnazione. Sono proibiti
i comportamenti aggressivi e violenti, è proibito picchiare o maltrattare donne
e bambini. I bambini si recano regolarmente a scuola assieme ai bambini degli
altri gruppi ed accompagnati dai loro genitori. L'idea di base è quindi quella
della partecipazione diretta, secondo la quale ognuno deve assumersi la
responsabilità dello spazio "Metropoliz" a livello individuale e collettivo.
Risultati:
Dopo un anno e mezzo sono stati raggiunti i seguenti obiettivi:
1) Per la prima volta un gruppo di Rom entra in uno storico movimento locale
come quello delle occupazioni, unendosi ad altri gruppi e spezzando la trappola
etnica che ha portato alla creazione dei campi. Al di la dell'origine etnica,
tutti gli occupanti che vivono a "Metropoliz" sono considerati come persone che
condividono diritti e bisogni comuni, seguendo un percorso di
autodeterminazione. Oggi vi sono almeno 5 nazionalità che vivono assieme,
inclusi membri delle classi subalterne romane. Ciò ha permesso di evitare ogni
forma di segregazione etnica ed ha prevenuto la nascita di rivalità o odio fra
la popolazione locale e quella straniera.
2) Per la prima volta è stato cambiato il meccanismo di leadership e
rappresentanza politica fra tutti I gruppi coinvolti, compresi I Rom.
Nell'esperienza di "Metropoliz" non esistono "capi" della comunità, capi
famiglia o mediatori. Ognuno è responsabile per le proprie azioni e deve
partecipare a tutte le riunioni e le attività collettive, esprimendo il proprio
parere nelle assemblee senza considerazione del sesso, dell'origine o della
posizione sociale.
3) Nemmeno un euro è stato richiesto a privati o a istituzioni. Le persone del "Metropoliz"
hanno rifiutato la logica dei bandi e quella della cementificazione. La città di
Roma ha molte strutture abbandonate che potrebbero venire riutilizzate con
relativamente poca spesa e secondo standard ecologici, offrendo così una
soluzione al problema dell'abitare ma anche occasioni di impiego. Tutte le
stanze, gli appartamenti, le zone comuni sono state risistemate dagli stessi
occupanti utilizzando anche materiali riciclati e con l'aiuto tecnico del gruppo
"Stalker" e di un ricercatore della Facoltà di Architettura dell'Università di
Roma 3, Francesco Careru, che come me conosceva questa esperienza e l'ha
sostenuta con forza.
L'idea di presentare qui questo progetto è dovuta al fatto che ho intenzione
di farlo conoscere al più ampio numero di persone. Volevo mostrare come sia non
ci voglia poi molto per implementare progetti che funzionino bene. Ci vuole
impegno umano, scambio e condivisione delle conoscenze e delle risorse per
raggiungere l'emancipazione attraverso la mutua cooperazione per un fine comune
e oltre ogni appartenenza etnica. Una delle prime cose che fecero gli occupanti
del "Metropoliz", fu quella di riprodurre nel cortile centrale il mosaico che si
vede a Roma nella piazza del Campidoglio, sede del governo della città. Il
messaggio è chiaro: siamo tutti cittadini di questa città.
Siamo dunque desiderosi di invitarvi a Roma per vedere questa esperienza con i
vostri occhi. Siamo inoltre pronti ad interagire e cooperare con chiunque voglia
replicare questo modello seguendo i semplici principi di autodeterminazione, autoresponsabilizzazione ed attenzione all'ambiente citati prima.
EWL-HWL Conference on Roma Women: Budapest, 7 April 2011
[a] Monica Rossi is a Visiting Research Fellow at the
University of Birmingham UK, School of Government and Society
Ammassati in un capannone, separati da pannelli fatti di stracci per
difendere quel minimo di privacy, in pessime condizioni igieniche e tutti sotto
uno tetto con profonde infiltrazioni d'acqua. Sono le condizioni di vita di
alcuni dei rom sgomberati che hanno accettato l'offerta di accoglienza del
Comune di Roma secondo quanto denuncia l'associazione "21 luglio", impegnata
nella capitale a favore del rispetto dei diritti dell'infanzia dei rom. In
esclusiva per Redattore Sociale, il filmato realizzato all'interno della
struttura con un telefonino mostra le condizioni di vita nell'ex Cartiera di via
Salaria. Una struttura che ad oggi ospita circa 300 persone, di cui circa 170
minori e che secondo l'associazione non rispetta le norme minime di sicurezza.
"La struttura sembra non essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge
regionale n. 41/2003 -- spiega la "21 luglio" -, che disciplina l'ambito delle
strutture di accoglienza sul territorio laziale, e non rispettare le
disposizioni previste dalla normativa vigente in materia edilizia,
igienico-sanitaria e di prevenzione incendi". Servizio di Giovanni Augello.
HOME IS WHERE YOUR HEART IS:
THE “METROPOLIZ” EXPERIENCE IN ROME
An introduction:
The Movement of the Fight for the Right to Housing (from now on MFRH)[1] is an
historical Roman organisation dedicated to the re use of abandoned public and
private building with the practice of squatting. These movements of squatters
are in contact with the Municipality’s Government who has in many case
recognised the occupations and often by mean of specific Deliberations[2] has
conceded the building or granted access to social housing. The Movement is so
large and rooted in the territory that it has even an elected member in the
Municipality Council of Rome.
It exists since the 1960’s, at a time when the shanty towns in Rome were hosting
some 60.000 impoverished Italians. This Movement in time has enlarged and it has
been joined by others organisations (ATTAC, Blocchi Precari Metropolitani and
others), all dedicated to the problem of housing in Rome, where lack of housing
is chronical and local poverty endemic.
As an ethnographer who is working since 21 years in Roman shanty towns I have
met them very often in the course of my researches, also because since the
1980’s these groups begun to welcome also migrant individuals and families.
How it all begun:
In the year 2008 a group of Romanian Roma families and individuals of circa 100
persons, all coming from Kalarasi, settles in a large abandoned area in the
eastern periphery of Rome[3] along the via Casilina. After one year, in November
2008 they have been evicted for the first time. The solution offered by the
Municipality was that of being transferred in a former squatted and abandoned
paper factory[4] along the via Salaria in hygienic and living conditions which
were even worse than that of the encampment.
A small NGO that was volunteering with members of this group and who was also in
contact with the MFRH, decided to propose to the evicted Roma to join the
Movement, and begun a series of meeting with the members of the Movement. Many
were afraid of having a whole community of 90 people entering the occupation,
but in the end a newly formed group, the Blocchi Precari Metropolitani, accepted
to try and welcomed them in a huge former factory along the via Prenestina: the
so called “Metropoliz” group, already inhabited by 110 Italians, Moroccans,
Peruvians and African families[5].
When the Roma arrived it was explained to them how the place worked and was
organised: all decisions are taken in the assembly, which must be participated
from everyone and where everyone must express his/her views. The space would be
assigned on the bases of family’s needs regardless any other consideration.
Common tasks such as cleaning, fixing and patrolling of the area were also
undertook collectively with turns. Abusive language and behaviour is banned, it
is forbidden to beat or mistreat women or children. Children must go to school
together with the children of the other groups accompanied by their own parents.
The base idea of the project is the direct representation, and that everyone
must take responsibility for the place, individually and collectively[6].
Outcomes:
After one year and a half there have been the following results:
1) For the first time a group of Roma entered into an historical local movement
such as that of MFRH joining other groups and breaking the vicious ethnic trap
which led to the creation of the encampments. Regardless of ethnic origins all
occupants who live there are considered as people who share common rights and
comon needs, in a self determination path. Also, there are now at least five
nationalities living together, including impoverished working class Romans. This
has helped to break also forms of ethnic segregation and jealousies which have
been often the cause for rivalry and hate among locals and foreigners poors.
2) For the first time it has changed the mechanism of leadership and political
representation among all the groups involved, including the Roma. In the
“Metropoliz” experience there are no community leaders, prominent members of the
community, head of families or mediators. Everybody is held responsible for his/her
actions and must participate to all collective decisions and tasks, expressing
his/her views in the assemblies regardless their sex, origin or social position.
3) Not a single euro has been asked to Institutions ot to Companies. The
“Metropoliz” people refuses the logic of the public bids and that of
cementification. The city of Rome has many abandoned buildings and warehouses
like this, and they could be reused with relatively little money and according
to environment friendly standards thus offering solutions to many problems like
that of the lack of housing and unemployment.
All the public rooms, the apartments, common areas, common services have been
refurbished and fixed by the same occupants with the technical help of the group
“Stalker” and that of a Researcher of the Faculty of Architecture University of
Roma 3, Francesco Careri, who like me, came to knew this project and strongly
supported it.
The idea of presenting this project here is because I strongly wanted to
disseminate it, in order to show that it does not take much to implement
projects which work well. It takes human commitment, common sharing of knowledge
and resources to gain empowerment through mutal human cooperation, outside
social and ethnic boundaries of any kind.
One of the first thing the occupants did at “Metropoliz” was that of painting
the mosaic which decorates the square of Campidoglio in Rome, home of the City
government. The message is that we all are citizens of this city.
We are willing to invite you in Rome to see for yourself this experience. We are
also eager to interact and to cooperate with anyone who wants to replicate this
model, following the simple principles of self determination, self
responsibilisation and attention to environment quoted above.
Monica Rossi is a Visiting Research Fellow at the University of Birmingham UK,
School of Government and Society.
EWL-HWL Conference on Roma Women: Budapest, 7 April 2011
[1] Movimento di Lotta per la Casa.
[2] See for example: Comune di Roma, Deliberation n.110/2005 and a new one (which
also includes the “Metropoliz”) is at the center of meetings between the
Administration and the Movements for a future official assignment.
[3] The former military Airport “F. Baracca”, who later became a large Roma
dwelling under the name “Casilino 700” (destroyed in 2000), only a few meters
away from another historical Roman shanty towns first inhabited by Italians and
later on by Roma, “Casilino 900” (destroyed in 2009).
[6] The “Metropoliz” experience is strongly supported also by the Committee “Ex
Casilino 900”, a group of which I am also part, composed by Academics, NGOs,
Roma, Catholic groups such as the “Comunità di base S. Paolo”, teachers and many
others who have joined together to contrast the policy of Roma encampments.
Di Fabrizio (del 12/04/2011 @ 09:51:51, in casa, visitato 1462 volte)
Pubblicato il 11/04/2011 da Virginia - di Matteo de Bellis, campaigner
sull'Italia di Amnesty International, in visita in un campo rom di Milano.
Siamo in visita in uno dei campi rom che le autorità italiane vogliono
smantellare in vista dell'Expo 2015, che si terrà a Milano.
In una giornata particolarmente calda, decisamente fuori stagione, nel campo di Triboniano possiamo vedere ciò che resta delle baracche recentemente
smantellate, dopo che alcune famiglie avevano accettato di ritornare in Romania.
Le autorità hanno immediatamente demolito le loro case per evitare nuovi arrivi
nei campi.
Molti degli abitanti del campo discutono del loro futuro, quando il campo non ci
sarà più. Le famiglie, principalmente provenienti dalla Romania ma anche
bosniache, costituiscono la metà delle persone che vivevano qui lo scorso mese.
Alcuni hanno accettato gli incentivi finanziari offerti dal governo per tornare
in Romania.
Altre, 20 su un totale di 110, si trasferiranno negli appartamenti assegnati
dalle autorità. Sebbene siano stati firmati dei contratti, gli alloggi offerti
più tardi sono stati chiusi dal governo locale con lo slogan "Nessuna casa ai
rom". Così le famiglie si sono rivolte a un tribunale. Stanno aspettando
finalmente di trasferirsi, il prima possibile.
Solo poche famiglie hanno potuto trovare una soluzione abitativa nel mercato
privato. Altre, soprattutto quelle con disabilità, ancora sperano
nell'assegnazione di una casa popolare.
Camminiamo nel campo insieme a un operatore di un'Organizzazione non governativa
locale, che conosce i nome di tutti gli abitanti. Una donna rom ci mostra la sua
casa, una roulotte con un piccolo prolungamento davanti. Vive qui da qualche
anno, insieme al marito e ai figli; ha un'espressione forte, ma ora è raggiante.
"Ci hanno assegnato un appartamento e ci trasferiremo nell'arco di tre
settimane, siamo davvero molto contenti" – ci ha detto. "L'unico problema è che
dobbiamo farlo prima della fine dell'anno scolastico e non voglio che i miei
bambini all'improvviso interrompano la scuola. Li accompagneremo, ogni giorno
fino a giugno, alla vecchia scuola anche se è abbastanza lontana. Mi dispiace
lasciare Triboniano per i legami con i maestri e le madri dei compagni di classe
dei miei bambini".
Ci viene da pensare ai bambini che sono tornati in Romania e a coloro che non
hanno avuto la possibilità di completare l'anno scolastico in Italia.
Entriamo nell'area abitata dai bosniaci. Sono molto cordiali e una famiglia ci
invita a sedere con loro.
L'odore di caffè e la musica da un'autoradio porta le nostre memorie a Sarajevo,
anche se non ci siamo mossi dalla periferia di Milano.
Questa famiglia, che vive in Italia da quasi 30 anni, dovrà andare via prima o
poi e non sa cosa farà quando il campo verrà chiuso, dato che nessuna delle
alternative proposte sembra essere adatta per loro.
Mentre andiamo via ci domandiamo se forse ogni giorno non dovrebbe essere la
Giornata internazionale dei rom e sinti.
Di Fabrizio (del 16/04/2011 @ 09:41:59, in casa, visitato 1653 volte)
InterNAPOLI.it12-04-2011 L'operazione all'alba. Alex Zanotelli: «Eravamo un paese
accogliente»
GIUGLIANO. L'operazione è cominciata questa mattina all'alba. Oltre 400 nomadi
residenti nei campi rom a ridosso della zona Asi, sono stati sgomberati con
l'ausilio di ruspe e di agenti delle forze dell'ordine. Si prevede che le
operazioni di sgombero continueranno anche domani. Non sono mancati momenti di
tensione. Sul posto è giunto anche il padre comboniano Alex Zanotelli, il quale
ha annunciato che lascerà il campo nomadi «solo quando la prefettura mi darà
rassicurazioni in merito alla sistemazione dei nomadi che non hanno trovato
posto nei moduli abitativi, allestiti dal Comune di Giugliano». Nel nuovo campo
infatti trovano posto appena 200 persone circa a fronte delle 500 che fino a
oggi vivevano nella ''baraccopoli'' a ridosso della zona industriale di
Giugliano. «Ho chiamato in prefettura ed ho rappresentato ad una funzionaria
questa esigenza - ha spiegato padre Alex Zanotelli - ma fino ad ora non ho
ricevuto alcuna risposta».
Non si sa dove andranno i rom sgomberati dai campi. Dopo che le ruspe hanno
distrutto le baracche, alcune famiglie hanno lasciato la zona, altre stanno
ancora raccogliendo le cose che hanno deciso di portarsi dietro, altre invece,
alcune decine di nomadi, si sono accampati in due terreni non lontani da Ponte
Riccio, entrambi nel territorio del comune di Giugliano. Alcune famiglie con i
loro camper si sono sistemati nei pressi del cavalcavia della stazione
ferroviaria. Altre invece a poca distanza dalla rotonda di Qualiano.
La preoccupazione viene rivolta in particolare per i tanti bambini, molti dei
quali, frequentavano regolarmente le scuole. Solo domani si saprà quanti
continueranno a frequentare regolarmente le scuole. La maggior parte di essi è
praticamente nata a Giugliano e, sempre alcuni di loro sono figli di altri
nomadi nati a Giugliano. Gli insediamenti hanno cominciato a mettere radici a
Giugliano già 20 – 25 anni fa.
Alcuni volontari, rappresentanti di associazioni umanitarie, hanno provveduto
alla distribuzione del pasto e dell'acqua. I servizi sociali del Comune di
Giugliano hanno fatto sapere che i nomadi hanno rifiutato la colazione offerta
loro in mattinata. «Solo una bambina - ha riferito all'Ansa Rosa Ariano,
responsabile dei servizi sociali al Comune di Giugliano - ha accettato un pacco
di merendine». Padre Zanotelli si è intrattenuto per l'intera giornata con i rom
della zona Asi esprimendo loro solidarietà: «Una volta eravamo un popolo
ospitale - ha commentato il sacerdote - ma ora sembra che non ci sia più
umanità».
Appartengono a varie etnie i rom sgomberati dai campi giuglianesi. Molti di loro
provengono dalla ex Jugoslavia. Lo sgombero del campo era già stato predisposto
e pianificato da settimane e legato a problemi di salute pubblica. Esso infatti
insiste su un terreno fortemente inquinato e destinato alla bonifica. Ma la
presenza dei rom aveva creato problemi al consorzio di imprenditori locali che
opera all'interno dell'area per i furti di cavi di rame e di energia elettrica.
Proprio per questo motivo gli imprenditori del Cig da anni si battono con
istituzioni, Comune e prefettura, affinché venisse trovata una soluzione al
problema: «Lo sgombero non era più rinviabile perché i nomadi non potevano più
vivere in queste assurde condizioni igienico-sanitarie. Ma d'altra parte dico
anche che ora gli imprenditori non hanno più alibi e devono investire, come
anche le istituzioni devono fare il loro dovere - è il commento che in mattinata
ha rilasciato il presidente degli industriali giuglianesi, Angelo Punzi - Ora ci
aspettiamo che venga bonificata l'area e che venga garantita la sicurezza
soprattutto per i nostri clienti, che molto spesso in questa zona non volevano
proprio venire La nostra sfida – aggiunge Puzi - è anche quella di realizzare un
centro servizi per tutti gli imprenditori, siamo sicuri che nel giro di poco
tempo potremmo aumentare considerevolmente il numero di lavoratori impiegati».
L'occupazione della Basilica di S Paolo da parte dei rom che erano stati
sgomberati venerdì scorso si è conclusa stasera con la sconfitta del sindaco e
del suo piano sgomberi. Grazie alla resistenza compatta dei rom, grazie alla
presenza della stampa e delle tv che hanno dedicato molto spazio alla vicenda,
grazie anche al presidio ininterrotto dei firmatari del documento qui sotto, la
Caritas ( impegnata ai massimi livelli in trattative durate due giorni) è
riuscita a far accettare al sindaco la proposta di farsi carico delle famiglie e
di ospitarle in un centro della Caritas. Stasera sono partiti tutti/e verso la
nuova struttura, e spero che finalmente possano dormire in un letto dopo due o
tre notti passate in bianco , sul pavimento e senza potersi lavare.
Resta la soddisfazione per una battaglia, una volta tanto vincente, e la
convinzione che dobbiamo rafforzare la rete antirazzista cittadina e non
abbassare la guardia per quanto riguarda la garanzia dei diritti umani per
tutti/e.
Buona Pasqua, finalmente,
Francesca
Umano e disumano E' questo oggi l'unico fronte che attraversa Roma e l'Italia. Da un lato il sindaco, il prefetto e sempre troppi ingenui che, sempre meno
incolpevoli, per paura di guardare con i propri occhi la realtà credono alle
vergognose parole di qualche istituzione. Dall'altra i Rom che dopo essere stati
"sgombrati" non accettano di scomparire nel nulla, di rendersi invisibili e con
tenacia, sotto la pioggia, chiedono di esistere e di essere rispettati, chiedono
alla chiesa cattolica di aprir loro le porte. Quanto è successo ieri è disumano, inaccettabile. I gendarmi hanno filtrato
l'accesso alla veglia pasquale nella basilica di s. Paolo: no ai Rom -donne e
bambini compresi – no agli attivisti; si ai pellegrini. Tanti fedeli hanno
rifiutato il privilegio e si sono uniti a noi gridando vergogna; una coppia che
doveva battezzare il proprio figlio si rifiuta ed esce con noi tra gli applausi.
Vergogna! Oggi è pasqua e associazioni vicine ai Rom preparano il pranzo della solidarietà
con tutta quella Roma umana e solidale che si vergogna delle proprie
istituzioni, cittadini e cittadine che vogliono essere vicini ai Rom, ai
tunisini, agli ultimi. Ormai non c'è più alcuna trattativa. Una giovane coppia di Rom con due gemelline
di 10 giorni, dopo la solerte ordinanza del sindaco che ha ordinato la
rimozione della tenda disposta dall'XI
Municipio per accoglierli, chinano il capo – sotto la pioggia bimbe così piccole
rischiano di morire – accettano il rimpatrio. Chissà se avranno diritto ai mille
euro che le istituzioni, per lavarsi le mani, promettono di dare a chi accetta
il rimpatrio. I Rom sono qui. Noi siamo qui. Qui è ciò che resta della nostra civiltà. No al piano
"nomadi". No agli sgombri. No ai respingimenti. Restiamo umani.
A buon diritto Action Aiz onlus Arci Roma Arpjtetto Ass. Popica Ass. Stalker BPM – Blocchi Precari Metropolitani Casa dei diritti Sociali Collettivo antagonista Primavalle Comitato ex Casilino 900 Comunità di Base S. Paolo CSOA ex Snia CSOA La Strada Donne Contro il Razzismo- Casa Internazionale delle Donne Federazione Romanì Forum Immigrazione PD Funzione Pubblica CGIL Roma Ovest Osservatorio Antirazzista Pigneto Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese Rifondazione Comunista FdS
IDEBATE.orgDale Farm: Il Pogrom di PicklesBy Ian Abley
Pogróm è una parola di origine yiddish ed è una parola che significa "devastare,
demolire violentemente, distruggere o devastare una città".
16/04/2011 - Eric Pickles, ministro britannico alle comunità, sta progettando
di demolire, distruggere e devastare mezza Dale Farm, a Oak Lane, Crays Hill,
vicino a Billericay. Situata a nord, nelle ora consolidate "plotlands"
attorno alla nuova cittadina post-guerra di Basildon nell'Essex, Dale Farm
ospita circa 1.000 persone.
Non è una fattoria (farm in inglese, ndr). Si tratta di un ex terreno
abbandonato, all'incrocio tra la A127 e la M25, di proprietà degli stessi
zingari e viaggianti. Ha costruito i loro chalet su circa 100 piazzole, grandi
abbastanza da includere lo spazio per i caravan delle famiglie e degli amici. Il
loro problema è che l'autorità locale ha cambiato il suo atteggiamento nel
permettere a zingari e viaggianti di rimanere su questo sito [...]. Oggi
l'autorità locale èper la maggior parte schierata contro i residenti di Dale
Farm. Ma non fu sempre così in questo pezzo di Essex, con una lunga storia
di "plotlands".
Negli anni '60 c'erano meno di 10 lotti su Oak Lane. Col tempo l'autorità
locale, il consiglio di Basildon, concesse il permesso di edificare su circa 40
ulteriori piazzole. L'atteggiamento poi si radicalizzò nel 2000. Le autorità
locali decisero che non si potevano aggiungere piazzole a Dale Farm, e che aver
permesso nel passato di costruire era stato un errore. I residenti si sono
trovati l'opposizione a nuove costruzioni sul loro terreno, e le circa 50 case
costruite nel XXI secolo non hanno ottenuto i permessi dall'autorità locale che
ora voleva eliminare anche le altre. Metà delle case sono legali. L'altra metà è
stata costruita su terreni di proprietà ei residenti, ma che le autorità locali
ora vedono come "Green Belt" (Cintura Verde ndr). Zingari e nomadi hanno di fronte un'autorità
locale che, nonostante la storia delle "plotlands" a Basildon, si è malignamente
rivolta contro di loro.
Su Google Earth guardate il rettangolo di poveri edifici familiari sulla
Green Belt a Dale Farm, Oak Lane, Crays Hill, Billericay, Essex, CM11 2YJ.
Zingari e viaggianti di Dale Farm hanno mostrato come si potrebbero soddisfare
le proprie esigenze abitative, se solo le autorità locali fornissero i permessi
di edificazione. Adesso il consiglio di Basildon intende spendere 8 milioni di
sterline per demolire le loro case, oltre ai costi per l'azione della polizia.
Il Daily Mail ha affermato che la polizia dell'Essex ha chiesto al ministero
degli interni 10 milioni di sterline per coprire i costi della polizia. (1) Che
tipo di pazzesca tirannia pianificatoria si ha quando alla gente - proprio come
voi e me - viene impedito di progettare e costruire in un campo le proprie case?
Di fronte ad una sfida alla legislazione del 1947, il sistema di
pianificazione sta agendo disperatamente nell'obbligare a demolire le case di
Dale Farm. Il governo di coalizione ha promesso sino a 1,2 milioni di sterline
per aiutare il consiglio di Basildon a cacciare zingari e viaggianti. (2) Il
consiglio di Basildon ha chiesto al dipartimento per le comunità ed il governo
locale (CLG) 3 milioni di sterline per contribuire a finanziare lo sgombero. (3) Non è
per soldi, ma il principio che più preoccupa Eric Pickles, che ora va oltre.
Promette che il CLG sarà consultato sulle nuove linee guida di programmazione,
per rafforzare i poteri degli enti locali nell'agire contro gli "sviluppi non
autorizzati". Dale Farm può essere non autorizzato, ma sono l'autorità locale,
CLG ed infine Eric Pickles in quanto segretario di stato che rifiutano
l'approvazione dei permessi di edificazione. In caso contrario il conflitto non
esisterebbe e 1.000 persone sarebbero lasciate in pace.
Pickles è determinato a cancellare zingari e viaggianti. Ha detto all'Evening Standard
che "... stiano dando ai consigli il potere e la discrezione di proteggere
l'ambiente ed aiutare a ricostruire le relazioni comunitarie." (2) Intende,
naturalmente, che non vede nessun posto nella comunità locale per zingari e
viaggianti. Li rimprovera per ogni tensione nelle relazioni locali, quando tutto
ciò che vogliono è essere lasciati in pace. Si appella agli ideologi verdi,
quando la Cintura Verde che avvolge Dale Farm è terra di rifiuti. James Heartfield
l'ha puntualizzato su Spiked! nel 2009, quando i residenti di Dale Farm erano,
ancora una volta, incapaci di superare il sistema legale di pianificazione.
[...]
"La legge che il consiglio di Basildon sta sostenendo è quella che protegge
la cosiddetta "Green Belt", che dovrebbe interrompere le nostre città con
splendide campagne incontaminate. Sheridan ed i suoi compagni viaggianti non
hanno preso la terra di nessun altro, hanno costruito le loro case sui loro
terreni. Ma sono puniti perché hanno peccato contro la vacca sacra che è la
campagna inglese." (4)
Anche Pickles probabilmente ammetterà che vaste aree della Green Belt,
particolarmente nell'Essex, sono di scarsa qualità, ma come il New Labour prima
di lui, non lo lascerà usare per viverci, in particolare non con i lavoratori.
Intravede un'opportunità di usare "l'onesto" popolo lavoratore contro gli
operosi ed indipendenti zingari e viaggianti che hanno infranto la stupida legge
sulla pianificazione, e sfidato l'idea reale di un'ecologia protettiva. Così ora
Pickles sta andando a fondo nel pregiudizio verde che le persone stiano
invadendo la campagna e debbano essere contenute. A Dale Farm sta attingendo nel
pregiudizio degli ambientalisti che le famiglie numerose siano un problema. A
molti zingari e viaggianti piace avere grandi famiglie, che si curano una
dell'altra, ma la loro cultura socievole è evidentemente in contrasto con l'idea
anti-umana tra i verdi che la crescita della popolazione sia una minaccia al
pianeta.
Il pregiudizio anti-umano è comune agli ambientalisti, ma viene diretto da
Pickel verso una pressione sul sistema di pianificazione con una presunzione
legale di "sviluppo sostenibile". Pickles sta dicendo che zingari e viaggianti
che costruiscono case rappresentano lo sviluppo insostenibile che il suo Quadro
Politico di Pianificazione Nazionale intende fermare.
Le famiglie numerose che violano la legge urbanistica, e costruiscono sulla
Cintura Verde in maniera che il governo definisce insostenibile, sono per
Pickles inaccettabili. Lui incoraggia la comunità locale ad organizzarsi per
mandarli via, e ad adoperare la polizia per sgomberare le case dai loro terreni.
Nel 2011 Pickles sta progettando un pogrom contro zingari e viaggianti. Come
riconosce persino The Guardian, anticipando "La battaglia di Basildon", Pickles
"... sta convertendo il suo personale percorso di veemente opposizione ai siti
non autorizzati dei viaggianti in politica di governo." (5)
Eric Pickles è un nazionalista per la separazione sociale, ma non è fascista,
e probabilmente odierebbe essere inteso come razzista. Ritiene di lavorare per
proteggere il pianeta, mentre parla di una "Grande Società" agli uomini d'affari
(6), volendo in realtà una Piccola Gran Bretagna sostenibile che faccia virtù
dell'intolleranza parrocchiale. Pickles è abile a sfruttare le divisioni
politiche. Naturalmente, questa controversia non è nuova, né di conseguenza si
limita a Dale Farm. Molto dipende dal risultato. Ai residenti fu ordinato di
andarsene nel febbraio 2007, quando Ruth Kelly concorreva per il CLG, ma loro
presentarono ricorso contro la decisione. (7) Il caso Dale Farm si trascina dal
2001. Il leader del consiglio di Basildon, Tony Ball, insiste: "ciò che è
sbagliato è sbagliato, e non ci può essere una regola per un gruppo ed una per
un altro. Bisogna accogliere la legge sul suolo." (8) Sa che la legge sulla
pianificazione ferma tutti dal costruire sulla propria terra, a meno che
l'autorità locale accetti il progetto. Ball se che se anche zingari e viaggianti
di Dale Farm non fossero presi ad esempio, ci sarebbero un sacco di persone
attorno a Basildon, nell'Essex ed in Gran Bretagna che vorrebbero costruire sulla
propria terra. Consiglieri come lui non avrebbero più il potere di rifiuto e di
demolizione che Eric Pickles si aspetta venga esercitato a nome del governo
nazionale. Ball non si può immaginare un sistema di pianificazione basato sulla
persuasione piuttosto che sulla negazione universale dei diritti di sviluppo:
"Guardate le alternative. Se un consiglio chiudesse un occhio sulle
violazioni della legge, quale diritto morale avremmo per farla valere contro
chiunque altro la infrangesse? La Cintura Verde è lì per una ragione. Per
fermare l'espansione urbana incontrollata." (9)
Se vincessero i residenti di Dale Farm, molta più gente potrebbe sfidare il
divieto a costruire in tutta la Gran Bretagna [...]. I progettisti dovrebbero
ottenere appoggio per qualcosa di positivo che sarà costruito dai proprietari
terrieri, avendo perso il potere di dire "No".
Tony Ball, leader del consiglio di Basildon, ha difeso il piano di sgombero
in un'intervista televisiva il 15 marzo 2011 su
www.bbc.co.uk.
Senza alcun dubbio Ball vuole che i residenti di Dale Farm se ne vadano.
Sembra disposto a permettere almeno un quadro limitato di opportunità ai
residenti perché trovino una sistemazione alternativa. (10) Eppure Ball appare
ancora totalmente insensibile al fatto che i residenti di Dale Farm vogliono la
libertà di scegliere di restare sulla loro terra, a Oak
Lane, Crays Hill. Fino all'intervento del segretario di stato Pickles sembrava
che 28 giorni di preavviso di sgombero non potessero essere notificati
rapidamente ai residenti. D'altra parte Pickles sta raccomandando pubblicamente
a tutte le autorità locali di osservare i movimenti di zingari e viaggianti
durante le feste pasquali. Rosa Prince, su The Telegraph, non ha tardato a
ripetere l'allarme di Pickles prima delle vacanze, quando ha urlato:
"I viaggianti erano conosciuti in passato per approfittare delle festività
per "occupare le terre", installandosi su terreni dove non avevano
autorizzazione a sostare, e per fare poi domanda di permesso per costruire una
volta che il comune riapriva... I consigli inoltre sono stati autorizzati ad
opporsi ai permessi retroattivi richiesti dagli zingari e da altri, ed offrire
più diritti per far rispettare gli avvisi di rimozione contro chi agisce
illegalmente." (11)
Zingari e viaggianti di Dale Farm hanno bisogno di essere difesi contro il
pogrom distruttivo e socialmente divisorio che Eric Pickles sta pianificando.
Questi chalet non dovrebbero essere demoliti. "Dovunque non siamo benvoluti. Non
ci hanno voluto nelle campagne. Non ci hanno voluto in città," ha detto Candy
Sheridan a The Guardian. Viaggiante irlandese e vice presidente del Gypsy Council 2010,
fondato nel 1966, è occupata ad aiutare gli altri attraverso il sistema di
pianificazione. "I consiglieri non ci vogliono vedere," ma "siamo parte del
paese dove siamo da 600 anni. Abbiamo più diritti noi di starci rispetto a
loro." (14) Non c'è abbastanza spazio per tutti nel 90% della Gran Bretagna che
non è edificata.
La Gran Bretagna dovrebbe spingere per la libertà universale a costruire, non
a demolizioni forzate, dirette contro pochi. Non fatevi ingannare dalle
incredibili menzogne di Eric Pickles. Lui ce l'ha contro zingari e viaggianti,
che minacciano il suo sistema di pianificazione. Per Pickles sarà una lunga
battaglia.
Di Fabrizio (del 29/05/2011 @ 09:39:01, in casa, visitato 1559 volte)
Quattro miliardi di lire del 1997. Questa, secondo il
Corriere della Sera, la
cifra che la giunta di Milano di centrodestra voleva investire per "un
villaggio
organizzato di tutto punto, dalle piazzole per le roulotte con allacciamenti per
la luce e per il gas, ai campi di calcio". In favore di chi e di che cosa? Ma
dei nomadi, no? Chi altri?
"E' la prima volta che Milano cerca di risolvere con grande dignità e
finanziamenti cospicui il problema dei nomadi, tuttora sparsi in campi obsoleti
ai margini dei quartieri periferici", dichiarava il vicesindaco Riccardo De
Corato (e il Corriere specificava: "con orgoglio").
Altro che il programma del Pisapia candidato sindaco della sinistra: un
"autentico stupidario" che, secondo le parole dello stesso De Corato, in
versione aggiornata 2011, "dietro l'ambigua parola 'autocostruzione' intende
dare case cascine ristrutturate a tutti i rom abusivi".
"Milano il Paese di Bengodi. Ha ragione Bossi, la città sarà zingaropoli", tuona
oggi De Corato. Vuoi mettere con
Nomadopoli, quel villaggio organizzato di tutto
punto, auspicato dalla sua collega Ombretta Colli nel 1997?
Il vice sindaco e assessore alla Sicurezza, candidato al Consiglio Comunale di
Milano come secondo capolista per il Popolo della Libertà, continua prevedendo
catastrofi: "A Milano 6.500 se ne sono andati grazie a oltre 500 sgomberi. Ora
ne rimangono 1500. Ma con quella lauta prospettiva faranno immediata marcia
indietro. La voce correrà fino in Romania dove i rom sono 2 milioni. Che dunque
busseranno alla porta per avere anche loro una casa o un rustico tutto per
loro". "A questo punto - aggiunge De Corato – è interessante sapere in
quale
quartiere sorgerà questa immensa zingaropoli. Dove verranno costruite queste
palazzine per i nomadi, quali sono le cascine dove troveranno posto rom romeni,
sinti siciliani e spagnoli con camper e roulotte".
Eh sì, qui è la voce dell'esperienza che parla. Forse De Corato ricorda ancora i
cittadini di Rozzano che si erano messi di traverso perché quel villaggio
perfetto, vicino a casa loro, non lo volevano proprio.
"Il sindaco Pds di Rozzano boccia il campo Rom al Gratosoglio" titolava il
Corriere. Sì, il
sindaco Pds, la signora Maria Rosa Malinverno, una pericolosa
estremista, che fece addirittura un ricorso al Tar contro quella Nomadopoli
detta anche "Villaggio Lambro meridionale", fiore all'occhiello delle politiche
sociali della giunta Albertini.
"Rozzano sta esagerando, dimentica che il terreno è di Milano. Noi chiudiamo due
villaggi dove i nomadi erano in condizioni disperate e ne apriamo un altro dove
vivranno dignitosamente" aveva risposto l'assessore Ombretta Colli. "Poi, certo,
capisco i disagi e le proteste dei cittadini: hanno perfettamente ragione. Ma le
leggi sui nomadi e i clandestini non le facciamo noi".
Aggiornato il regolamento comunale sulle aree di sosta Parole di fuoco, la
Zarina si scaglia contro il centrosinistra
Cambia e si aggiorna il regolamento comunale per l'allestimento e il
funzionamento delle tre aree di sosta per i nomadi, che diventano meno campi
di sosta libera e più una sorta di "campeggio" con tariffe per la sosta e le
utenze e con maggior controlli e responsabilizzazione di chi vi risiede.
Un tema che pareva destinato a scatenare una nuova polemica tra Pd e Lega, ha
visto invece le due forze politiche votare congiuntamente le proposte di
modifica approvate dal consiglio, mentre il Pdl ha votato contro.
Diverse le motivazioni che hanno portato ad una votazione congiunta su un
argomento sollevato dalla Lega. Prima fra tutte il lavoro preparatorio in
commissione, ma poi il Pd è arrivato al sì perché il regolamento, che è del
1997, andava aggiornato. «E le modifiche approvate non fanno altro - ha detto
l'assessore al Welfare Sassi - che inserire la prassi che il Comune già applica
dal 2007».
Per la Lega invece si è trattato di una iniziativa per responsabilizzare
maggiormente i nomadi, che sono portatori di diritti e di pari doveri e debbono
essere trattati al pari degli altri cittadini. Non a caso spesso il confronto
utilizzato dalla Lega è stato quello tra i residenti delle case popolari e
quelli dei campi nomadi, per evidenziare la necessità di un principio di equità
tra tutti i cittadini.
Chi invece si è chiamata fuori dal coro, è stato l'ex sindaco Antonella
Spaggiari di Città Attiva, che ha accusato la maggioranza di aver fatto in
campagna elettorale promesse che poi non ha mantenuto come la creazione delle
micro campine e sostenendo inoltre «che la gestione e la tutela delle minoranze
si fa anche per la tranquillità della maggioranza». Per cui, ha aggiunto, la
Spaggiari, occorre un progetto e risorse da destinare in primo luogo alla
scolarizzazione delle nuove generazioni di nomadi, che questa giunta non ha.
Una critica a cui l'assessore Matteo Sassi ha risposto elencando i dati
relativi alla scolarizzazione dei nomadi nel comune di Reggio e che vedono nel
corrente anno scolastico 99 bambini frequentare la scuola elementare, 73 ragazzi
(con 9 abbandoni) alla scuola media e altri 16 (con 7 abbandoni scolastici)
frequentare le scuole superiori o di formazione. A conferma di un impegno che
sta andando avanti. Il nuovo regolamento prevede che per le utenze i contratti
siano individuali, che vi sia una responsabilità personale per i danni arrecati
alle strutture, maggiori controlli da parte della polizia municipale e maggior
attenzione per la gestione dei rifiuti nelle aree di sosta.
Di Fabrizio (del 10/06/2011 @ 09:48:11, in casa, visitato 1449 volte)
A due mesi dal blitz nell'Asi nessuno ha provveduto a risistemare la
comunità che da 30 anni vive in quei luoghi. Giugliano, dopo lo sgombero 3 nuovi
accampamenti su terreni privati. Le associazioni mettono sotto accusa il sindaco
Pianese e la prefettura - di TIZIANA COZZI
Li hanno mandati via due mesi fa dall'area industriale Asi di Giugliano, con
la promessa di sistemarli altrove. Con le ruspe hanno buttato giù le loro
baracche vecchie di trent'anni ma i nomadi sono rimasti lì. Per sessanta giorni
hanno dormito nelle automobili, nei furgoni. Sono circa 500, 466 per
l'esattezza, hanno occupato terreni e campagne private, non si sono mossi di un
millimetro dall'area dove hanno vissuto più di un trentennio: la loro casa, più
provvisoria che mai, è intorno al centro commerciale Auchan di Giugliano, una
porzione di terreno praticamente invasa dai senzatetto nomadi. Lì vivono i rom
rimasti fuori dalle assegnazioni del piccolo campo nato nell'area industriale
Asi. Una tribù di senzatetto, tra cui 275 minori (147 tra 0 e 5 anni, 128 dai
sei ai 16 anni) costretti a sopravvivere in difficili condizioni. Nessun
servizio igienico, immersi nel fango e nella sporcizia, vivono come vagabondi
accampati in mezzo alle campagne, senza un minimo di tutela. Tre gli
accampamenti di fortuna nati su aree private che adesso i proprietari legittimi
reclamano. Due intorno all'area del centro commerciale, uno nei pressi della
stazione ferroviaria.
Una situazione di emergenza più volte segnalata al Comune e al prefetto, che
però stenta a trovare una via d'uscita. Venerdì è previsto l'incontro con il
sindaco Giovanni Pianese e con il prefetto Andrea De Martino, alla presenza di
una delegazione di nomadi e di padre Alex Zanotelli.
"È una situazione davvero grave - dice Alexander Valentino del comitato "Con i
rom" - restano lì perché ci hanno vissuto trent'anni e non sanno dove andare. Ma
ogni giorno le pattuglie di polizia li controllano, ripetono di continuo che
devono andarsene. Come è possibile che non ci sia una soluzione?". Nemmeno un
mese fa, un bimbo ha perso la vita in uno dei tre accampamenti: viveva nel
furgone con i genitori. E ora, con il caldo la situazione può soltanto
peggiorare.
La soluzione ci sarebbe: un territorio confiscato alla camorra a Quarto. "Lo
abbiamo visto assieme all'Opera Nomadi e ad una delegazione di rom - racconta
Valentino - loro erano entusiasti. Ma alla fine l'accordo non c'è stato anche
perché il terreno individuato si trova proprio al centro di una zona
residenziale con villette private. Non è esattamente il posto adatto per 500
nomadi".
Nell'attesa, ognuno si arrangia come può. Chi ha lavoro e soldi ha comperato un
camper. Gli altri hanno provato a costruirsi una baracca in legno ma la polizia
gliel'ha impedito. In tanti si sono procurati vecchie roulotte, prestate da
parenti o amici. Una situazione tale non può andare avanti per molto. In due
mesi, però, nessuno ha trovato una soluzione. "Ci incontreremo con il prefetto e
i proprietari dei suoli - spiega il sindaco di Giugliano Giovanni Pianese - ma
non ci sono molte soluzioni sul tavolo. C'è l'ipotesi Quarto oppure si può
temporeggiare nell'attesa dei provvedimenti giudiziari di sgombero. I
proprietari si sono rivolti alle autorità per far liberare i loro terreni". Un
progetto forse esiste: l'ennesimo sgombero.
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