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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 25/06/2007 @ 09:30:03, in Europa, visitato 2597 volte)

Da Mundo_Gitano

Amparo Valcarce, segretaria di Stato dei Servizi Sociali, Famiglie ed Invalidità, ha proposto oggi la creazione di una rete transnazionale europea che gestisca l'applicazione dei fondi strutturali per lottare contro la discriminazione di cui soffre la comunità gitana.

Durante le giornate Cooperazione transnazionale sulla comunità gitana ed esclusione sociale" Valcarce ha spiegato che in Europa vivono 12 milioni di gitani - 650.000 in Spagna -, che costituiscono la "minoranza etnica più numerosa" dell'Unione Europea.

Gran parte di loro vivono in situazione di povertà, esclusione sociale e soffre del rifiuto generalizzato della società.

Essendo una comunità "stabilita quasi esclusivamente in Europa", la segretaria di Stato considera che la UE è il quadro "idoneo" per sviluppare politiche pubbliche di coesione sociale a beneficio di questa etnia.

Valcarce ha affermato che la rete proposta debba includere entità con esperienza e competenza nella gestione dei fondi strutturali, specializzate nell'ambito del fondo sociale europeo ed anche quelle che lavorano con la comunità gitana.

Nel contempo ha indicato al resto dei paesi partecipanti alle giornate di fidarsi dell'esperienza spagnola nell'ambito dell'inclusione dei gitani, specialmente del programma-impiego ACCEDER, gestito dalla Fundación Secretariado Gitano.

Tra gli obiettivi da stabilirsi, ha proseguito, devono esserci il miglioramento della qualità di vita, la promozione della loro partecipazione alla vita pubblica, la miglior convivenza, il rafforzamento del movimento associativo gitano e la lotta alla discriminazione.

Da parte sua, il presidente della Fundación Secretariado Gitano, Pedro Puente, ha spiegato che è importante che si tratti la situazione della comunità gitana nel quadro dei fondi strutturali europei, poiché sarebbero "l'elemento essenziale per produrre cambi nella comunità gitana".

Puente ha chiesto ai partecipanti alle giornate che la posta in comune di avanzamento nella coesione sociale gitana tenga un carattere continuativo nel tempo.

Fuente : Actualidad Etnica

 
Di Fabrizio (del 02/07/2007 @ 09:28:54, in Europa, visitato 1564 volte)

18. 6. 2007 Il governo ha ricevuto un rapporto che richiama l'attenzione sui problemi nei cosiddetti "ghetti Rom". Secondo le analisi degli esperti, sono oltre 300 gli edifici e i quartieri poveri dove risiedono soprattutto Rom, che stima essere 80.000 sul totale della popolazione.. La maggior parte degli adulti residenti in queste aree sono disoccupati e dipendono dall'assistenza sociale. I loro figli frequentemente finiscono in scuole speciali, vedendo praticamente loro precluso qualsiasi accesso ad ulteriore educazione.

Secondo il ministro Kuchtová dell'educazione, il rapporto mostra che manca una "strategia comprensiva a livello locale ed a lungo termine" per risolvere il problema dell''esclusione della comunità Rom; questi materiali dovrebbero basarsi sulle specifiche situazioni, secondo la sua opinione. Aggiunge poi che il rapporto menziona diverse misure che si sono mostrate capaci nell'inclusione dei Rom nella società, come i mediatori culturali nelle scuole elementari, classi preparatorie, personale sociale nelle comunità e consiglieri e coordinatori Rom che collaborano con le autorità locali. "Adopererò questo rapporto nel pianificare programmi educazionali," ha detto, aggiungendo che nell'area educativa sta preparando "un programma indirizzato di sviluppo." Questo tema è stato affrontato dal ministro Stehlíková per le minoranze e i diritti umani. Secondo una prima dichiarazione, intendeva sottoporre al consiglio dei ministri una bozza per l'integrazione rom a medio termine. Ma Stehlíková.non era presente al consiglio, perché era all'estero.

 
Di Fabrizio (del 03/07/2007 @ 10:12:30, in Europa, visitato 1557 volte)

E' uscito l'aggiornamento di giugno 2007 di PICUM.org con le notizie e l'evoluzione politica riguardanti i diritti sociali fondamentali degli immigranti non documentati in Europa. Disponibile nel formato Word nelle seguenti lingue: inglese, tedesco, olandese, spagnolo, francese, italiano e portoghese.
 
Di Fabrizio (del 06/07/2007 @ 09:57:01, in Europa, visitato 2021 volte)

Da Czech_Roma

Vrbno pod Pradedem, Moravia Settentrionale, 2.7.2007, 15:03, (CTK) - Sabato ignoti hanno lanciato una bomba molotov dentro la casa di una famiglia Rom a Vrbno pod Pradedem, dice un portavoce della polizia. Erano presenti cinque persone nella casa, fortunatamente nessuno è stato ferito. L'attentatore o gli attentatori erano in macchina ed hanno lanciato la molotov attraverso la porta d'ingresso della casa.

[...] Il portavoce dice che una poltrona ha preso fuoco e la porta d'ingresso di legno è stata danneggiata. Fortunatamente la famiglia - due adulti e tre bambini - durante l'attacco era in un'altra stanza a guardare la TV.

Un caso simile era in passato accaduto a Karvina, nella Moravia del nord, quando ignoti assalitori avevano gettato due molotov in una casa Rom. Un'ondata di attentati simili si registrò a Krnov, Moravia settentrionale, tra il 1996 e il 1998.

Il Tribunale Regionale di Ostrava ha sospeso la sentenza contro cinque persone, condannate per il lancio di quattro molotov in due case Rom nel febbraio 1996.

Nel 1998 Radek Bedri, 21 anni, lanciò una molotov contro una casa Rom a Krnov. Sei persone stavano nel contempo dormendo nella casa. Emilie Zigova, 52 anni, scappò d'un soffio alla morte, mentre suo marito venne bruciato alle gambe.

Il tribunale inflisse a Bedri, membro di un gruppo neonazista, due anni di prigione, ma prosciolse altre due persone che erano con lui per mancanza di evidenza.

 
Di Fabrizio (del 10/07/2007 @ 09:33:36, in Europa, visitato 1923 volte)

Il campo Rom - Posted by Ingrid Stegemoeller @ 08:09:58 pm

Vedo la mancanza di speranza e rassegnazione. Vedo gli occhi di chi non ha forza, non ha diritti e possibilità di scelta. Le loro case sono baracche. Vivono tra persone che non li vogliono, che non vogliono vedere o conoscere queste paurose condizioni di vita. Sono rifugiati senza nessuna patria. Le loro dimore sembrano arrivare da tanto tempo fa - prima delle fognature, prima dell'acqua potabile corrente. Chi sono queste persone? Sono i Rom, il popolo zingaro.

Lunedì 25 giugno, un partecipante Rom del Nansen Center di Bujanovac, Serbia, ci ha mostrato il campo Rom proprio fuori dalla città. Il viaggio era originariamente in agenda, ma al momento di partire la nostra guida non era tanto sicura che fosse una buona idea. Dato che la nostra intenzione era comprendere la situazione dei Rom in Serbia, la nostra guida era preoccupata che la gente del campo si sentisse come animali nello zoo. Alla fine si è deciso di andare. Pensavo di guidare a lungo. Il viaggio è durato meno di cinque minuti, il campo si poteva raggiungere a piedi dal Nansen Center. Mi sono sorpresa che condizioni di vita così primitive esistessero tanto vicino ad una città.

I Rom sono un popolo disperso in tutta Europa. A Bujanovac sinora non avevano una rappresentazione politica. Nansen Dialogue di Bujanovac ha lavorato con i locali Rom per riunire i loro quattro o cinque partiti in uno solo, per aiutarli ad avere una rappresentanza municipale. Dato che quanti sono nel campo che abbiamo visitato sono rifugiati dal Kosovo, non hanno documenti ufficiali, ciò significa che non possono fare ritorno da dove sono venuti.

Essenzialmente, un gruppo una volte nomadico è rinchiuso in un campo di comunità divise (separati in aree di etnia Serba ed Albanese) con poche opzioni di un cambio positivo.

Il sole risplende caldo quando usciamo dalle macchine. Il nostro gruppo consisteva in cinque di noi della PLU, due del Nansen Center ed un componente della comunità Rom - la nostra guida - che aveva ottenuto una posizione eletta nel governo municipale. Non so cosa mi aspettavo di vedere, ma quel che ho visto non lo dimenticherò facilmente. Abbiamo camminato attraverso una terra asciutta ricoperta di rifiuti, fra una fila di dimore che possono essere descritte al meglio come baracche improvvisate. Erano fatte di metallo corrugato, vecchie plastiche e tela. I tetti di plastica. La gente ci guardava mentre camminavamo e i bambini camminavano dietro di noi.

Siamo entrati nella parte principale del campo e siamo stati accolti da un anziano che aveva partecipato ad un seminario di Nansen Dialogue tenutosi alla Nansen Academy di Lillehammer. Abbiamo camminato attraverso fogne all'aperto e pozze stagnanti di acqua. Abbiamo scrutato attraverso i ripari non tanto alti da levarsi in punta di piedi. Abbiamo visto pile e pile di spazzatura che cingevano i limiti del campo. Gruppi di persone di tutte le età sotto li ripari, parlavano tra loro guardandoci passare.

Quando abbiamo smesso di camminare, ci hanno circondato, con i loro occhi scuri aperti dalla curiosità. La maggior parte dei Rom non lavora perché non trovano impiego; essere assunti è difficile.

La nostra guida ci ha detto che il problema maggiore è disporre dei corpi di chi muore. I soldi sono pochi per pagare un funerale adeguato e i corpi non si possono abbandonare. Così si ammassa il proprio cibo e lo si vende in città per avere denaro extra. A volte, gli anziani risparmiano sul cibo per un anno per mettere da parte i soldi del funerale, secondo quanto ci ha raccontato la nostra guida.

La parte più difficile della nostra esperienza non è stata la sporcizia o i rifugi inadeguati, ma la mancanza di speranza. Questa gente esiliata non ha letteralmente un posto per tornare. Ed in questi tempi moderni è doloroso comprendere che migliaia di persone nella parte sviluppata del pianeta, vivono in questa miseria, senza possibilità di evolvere. Sono abbandonati. Sono in un paese a cui non appartengono e con poche speranze di movimento.

E' difficile immaginare come condividere questa esperienza. Ho lasciato il campo sopraffatta e depressa. Tutto ciò che posso fare attualmente è continuare ad analizzare quel che vedo, e condividere la mia esperienza così che gli altri possano conoscere la farsa di questo gruppo di persone. Se ho imparato qualcosa da questo viaggio, è stato di aiutare le persone a raccontare le loro storie. [...] Voglio aiutare a condividere la consapevolezza sulla sofferenza dei Rom, così che non passi più sotto silenzio. [...]

Come nota finale, per sensibilità verso quanti abbiamo visitato, non abbiamo fatto fotografie.

 
Di Fabrizio (del 20/07/2007 @ 10:24:58, in Europa, visitato 1855 volte)

Rifugiati ex Bosniaci e Rom, deportati dall'Europa occidentale, sono ammassati nella regione più remota ed isolata della Serbia
By Zoran Maksimovic in Novi Pazar

Djijan Osmanovic, nove anni, conosce a malapena qualche parola della sua lingua madre rom. Non conosce nemmeno il serbo, la lingua del paese da cui arrivano i suoi genitori e dove ora vive.

Giocando tra le case in rovina nel quartiere di Savci a Novi Pazar, preferisce chiacchierare in tedesco, che ha appreso vivendo all'estero.

Nato da genitori rifugiati in Germania, la famiglia di Djijan si è poi spostata dopo in Danimarca. Ma nel 2004, quando aveva sei anni, la sua famiglia fu deportata indietro a Novi Pazar, la più grande città nella regione più isolata di Serbia, il Sangiaccato musulmano.

Nel quartiere di Savci, dove la sua famiglia vive con altre 37 rimpatriate, molti preferiscono parlare tedesco invece che serbo o romanes.

E' questo certamente il caso dei circa 80 bambini che frequentano la scuola elementare di Savci.

"Ho dovuto imparare il tedesco per parlare con i miei compagni," ci dice il piccolo Djijan in tedesco fluente. "Ora, sto cercando di imparare il serbo a scuola, ma è un grande problema perché non conosco la lingua e qui tutto è differente."

Suo padre, Saban, dice che Djijan e i suoi altri figli non hanno frequentato immediatamente al loro ritorno in Serbia, perché i bambini non conoscevano la lingua.

Nel Sangiaccato, una regione all'incrocio di tre confini di stato: Serbia, Montenegro e Bosnia, sono ritornate circa 50.000 persone dal 2000.

Molti lasciarono questa parte della Serbia negli anni '90 a causa delle guerre, della discriminazione di Belgrado contro le minoranze non-Serbe e del pervasivo sentimento di insicurezza sociale.

La maggior parte è ritornata a Novi Pazar, seguita dalla vicina Sjenica, dove secondo le statistiche un cittadino su quattro è un rimpatriato.

La maggior parte proviene dalla Germania - oltre il 70%. Il resto del grande numero arriva da Olanda, Svezia, Danimarca e Lussemburgo. Il più alto tasso di rimpatri è stato registrato nel 2003 e nel 2004, quando una media di 900/1.000 persone tornavano ogni mese.

Reintegrazione, un'organizzazione locale che agisce con queste persone, dice che un terzo di loro è stato deportato, cioè che non ha fatto ritorno volontariamente.

Kadrija Mehmedovic, presidente di Reintegrazione, ci ha detto che per i bambini l'ignoranza della lingua nazionale non è l'unico ostacolo che hanno i rimpatriati. "In media, queste famiglie sono rimaste all'estero per 12 anni," dice Mehmedovic.

"Almeno l'80% dei bambini di 12 anni o meno, sono nati all'estero, oltre la metà non parla serbo e oltre il 30% non è iscritta a scuola," aggiunge.

Mehmedovic dice che al ritorno in Serbia i rimpatriati affrontano povertà e disoccupazione, e specialmente lamenta il fallimento del governo nel predisporre programmi speciali per aiutare i bambini rimpatriati nel frequentare la scuola.

Le critiche appaiono ben fondate. La Serbia non ha una strategia sui rimpatri e non ha aperto centri per aiutarli. Molti hanno perso i loro documenti personali nel paese da cui arrivano. Un gran numero di cose è cambiato nel frattempo in Serbia.

Safet Osmanovic dice che quando ha fatto ritorno a Savci, ha trovato la sua casa distrutta e invasa dalla boscaglia. Lui e sua moglie sono disoccupati come la maggioranza dei rimpatriati.

"Soltanto il 2% dei rimpatriati ha un lavoro permanente e nessuno ha ritrovato il lavoro che aveva prima di partire," spiega Mehmedovic.

Hajrija Redzovic partì nel 1999 per la Germania, finendo nella città di Wilhelmhaven nel centro per richiedenti asilo.

In Germania, ottenne immediatamente i diritti da rifugiata per l'assistenza sociale e partorì una figlia. Ma sulle basi di un accordo che la Serbia ha firmato con 17 paesi dell'Europa occidentale lo scorso luglio, Redzovic fu deportata in Serbia assieme a suo marito e sua figlia Emma.

"Alle 6 di mattina quattro poliziotti entrarono nel mio appartamento e ci dissero che avevamo un'ora per sgomberare," ricorda. "Il bagaglio non poteva superare i 36 Kg., che è quello che abbiamo caricato sull'aereo. Sono tornata a casa con praticamente niente."

Al ritorno in patria, Redzovic ha affrontato diversi problemi. Non aveva documenti personali e sua figlia non aveva il certificato di nascita e così non è stata ammessa nel registro serbo delle nascite.

Numerosi Rom e Bosniaci al loro ritorno si sono insediati nel Sangiaccato anche se non erano originari della regione, ma del Kosovo. Il Sangiaccato è vicino al Kosovo ed il rimpatrio nello stesso Kosovo è fuori discussione per l'ostilità albanese.

Hamid Pepic è tra loro. Dopo che la sua casa in Kosovo fu distrutta nella guerra del 1999, ottenne asilo per diversi anni nei Paesi Bassi. Ma ora è stato rispedito in Serbia per vivere in Sangiaccato con i suoi sei familiari. Senza alcun legami con quest'area, non ha neanche alcuna fonte di sostentamento.

In base alla Convenzione di Ginevra, quanti dalla ex Yugoslavia lasciarono il paese per i paesi dell'Europa occidentale, dove ottennero lo status di rifugiati, perché erano stati violati i loro diritti umani e di minoranza ed erano chiaramente in pericolo.

Ma dopo vennero create le condizioni perché quei diritti fossero restaurati. La Serbia fu obbligata a riaccettare quei cittadini, in base agli accordi firmati con i 17 paesi occidentali.

Georg Einwaller, dell'ambasciata tedesca di Serbia, dice che sono necessari più lavori bilaterali per aiutare le famiglie di ritorno nel Sangiaccato, che hanno passato anni fuori dalla Serbia e dimenticato la loro lingua e cultura.

"Abbiamo lavorato assieme ai nostri colleghi in Serbia sulla loro reintegrazione e il miglioramento della loro posizione," dice. "Risolvendo il problema dei documenti, possiamo aiutarli nell'esercizio dei loro diritti sociali, sanitari e scolastici."

Ma Kadrija Mehmedovic enfatizza che dietro le istituzioni internazionali, le autorità locali e il settore OnG, è lo stesso governo serbo che necessità di essere assistito.

E' d'accordo Marija Vojinovic, assistente del direttore del Servizio Serbo per i Diritti Umani e delle Minoranze, l'unica organizzazione che agisce con i rimpatriati. Stima che almeno 150.000 possono tornare in Serbia tra quest'anno e il prossimo, la metà di loro Bosniaci del Sangiaccato.

Vojinovic reclama che il Servizio per i Diritti Umani e delle Minoranze ha prodotto una strategia ed un piano d'azione, il problema è che non sono stati implementati.

Hannelore Valier, capo della missione OCSE nel dipartimento democratizzazione in Serbia, dice che il tema dei rifugiati di ritorno non incontra una gran sensibilità. [...]Potrebbe essere "un pericolo per la stabilità della regione", ammonisce.

Zoran Maksimovic is a freelance journalist in Novi Pazar. Balkan Insight is BIRN`s online publication

 
Di Daniele (del 28/07/2007 @ 09:21:00, in Europa, visitato 2573 volte)

26.07.2007  Barbulesti, villaggio romeno. Dal 2006 ha portato una grossa novità: vi è stato eletto il primo sindaco rom della Romania. Un interessante reportage di TOL. Nostra traduzione
Di Daniel Ganga e Petru Zoltan, Transitions Online, 4 luglio 2007 (titolo originale: The First Romani Mayor)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Serena Scarabello

L’unica strada asfaltata di Barbulesti, 50 chilometri a nord di Bucarest, taglia in due il villaggio, che è abitato da circa 6000 persone, di cui la maggioranza sono rom.

Lungo questa strada, si trova un palazzo rosa, il municipio. Vicino, ci sono delle case povere e malfatte, circondate da fatiscenti recinzioni. Accanto, un gruppo di 59 abitazioni temporanee, ciascuna delle dimensioni di una carrozza ferroviaria. Installate dal governo romeno in seguito alle inondazioni dell’autunno del 2005, le abitazioni non dispongono né di fognature né di impianto idraulico. L’acqua esce da un singolo pozzo e ogni dieci di questi container c’è una rudimentale toilette, con un pezzo di tessuto come porta.

“Quando il vento soffia un po’ più forte del solito, le lamiere sui nostri tetti se ne volano via”, racconta Dimitru Dragnea, il portavoce non ufficiale della comunità. “Le recuperiamo durante la notte e le rimettiamo a posto il giorno dopo…. Siamo 400 anime a bere da un solo pozzo”.

Questo desolato villaggio ha segnato un po’ la storia, l’anno scorso. In uno stato di 21 milioni di abitanti, tra cui si stimano circa due milioni di rom, Barbulesti ha eletto il primo sindaco rom della Romania. Ion Cutitaru ha stabilito degli obiettivi per Barbulesti che potrebbero sembrare modesti in qualsiasi altro posto – assicurare la distribuzione dei benefici statali tra i residenti, costruire una stazione di polizia e un ufficio postale - ma qui sono obiettivi molto ambiziosi..

Progetti ed ambizioni

Una delle prime azioni di Cutitaru è stata quella di richiedere per i residenti di Barbulesti i sussidi sociali a cui hanno legalmente diritto. All’inizio dell’anno, l’amministrazione comunale ha ricevuto 780 richieste per i sussidi sociali, 580 in più rispetto all’anno precedente l’elezione di Cutitaru.

“Durante il mio mandato di sindaco, voglio pienamente assicurare ai miei cittadini gli aiuti economici a cui hanno diritto. Un bambino può andare a scuola se ha un pezzo di pane da mangiare”, afferma Cutitaru, che ha 55 anni, folti capelli grigi e circa 168 centimetri di altezza.

Recentemente, ha accolto i visitatori nel suo ufficio, una stanza invasa di carte e con una scrivania sulla quale ci sono tre bandiere: una della Romania, una dell’Unione Europea e quella internazionale blu e verde del popolo rom.

Evidentemente stanco dopo una lunga giornata di lavoro, Cutitaru parla calmo dei suoi ambiziosi progetti.

Vuole costruire una stazione di polizia, un ambulatorio, una clinica veterinaria, un ufficio postale e un centro culturale per i Rom. “Ora, non abbiamo nulla”, dice.

Cutitaru progetta inoltre di asfaltare le strade del paese e di arginare il vicino fiume Ialomita, che ha inondato il villaggio nel 2005 e ha distrutto più di 200 case, costringendo 300 persone a rifugiarsi nella scuola del villaggio.

“A breve, il nostro villaggio tornerà normale”, dice Cutitaru. “Riceveremo fondi dall’amministrazione provinciale. Esistono anche fondi europei per i rom. Da quel che so, ci saranno tra i 10 e i 12 milioni di euro per i rom”.

Nove mesi dopo la sua elezione, il sindaco sta ancora aspettando che la provincia, che gestisce la maggior parte del denaro pubblico, investa i soldi nel suo villaggio. Nel frattempo, dice, la sua volontà di aiutare i cittadini ha portato ad un aumento delle tasse, sebbene non voglia dire di quanto.

“Prima si da qualcosa a qualcuno, e poi si può chiedere qualcosa in cambio”, dice. “Quindi prima offriamo alla gente un sostegno economico minimo e garantito dalla legge, e loro poi pagano le tasse allo stato”. Stiamo provando, con l’aiuto degli amministratori locali, a spiegare ai nostri cittadini che hanno sia diritti che doveri".

Ma un suo critico dice che tale approccio, tasse per ottenere sussidi sociali, è fuorviante.
“Non sono per nulla d’accordo con persone che fanno affidamento unicamente sui sussidi. Finché contano su 40 o 50 euro al mese, questo rimarrà un problema” afferma Leonida Mandache, presidente della sezione di Ialomita del Partito Pro-Europa. Dice che generalmente in una famiglia di sei o sette persone, che riceve 100 euro al mese di sussidio, almeno tre persone sono in grado di svolgere un lavoro, guadagnare un salario e condurre quindi una vita normale.

Lavoro lavoro lavoro

Molti sono d’accordo con l’idea che il lavoro sia la chiave per lo sviluppo, ma riuscire ad assicurare un’occupazione alla gente è tutta un’altra questione, E’ difficile sapere quale sia la reale percentuale di disoccupati a Barbulesti, in quanto la maggior parte dei residenti non ha mai lavorato in regola e non ha quindi diritto all’assegno di disoccupazione ricevuto invece da chi, per esempio, ha lavorato regolarmente assunto da una ditta che ha poi fallito. Molti cittadini di Barbulesti lasciano temporaneamente il paese per cercare un’ occupazione, o per mendicare, da qualche altra parte.

Nel 2005 e nel 2006, l’Agenzia Nazionale per il Lavoro, affiliata al Ministero degli Interni, ha sperimentato un progetto per favorire l’inserimento lavorativo dei Rom, finanziato dall’Unione Europea e dal governo romeno. E’ stato un fallimento, secondo un responsabile dell’Agenzia, che chiede di non rivelare il proprio nome. “Le condizioni per l’assunzione erano troppo rigide” afferma “La mancanza di interesse da parte dei datori di lavoro e degli attori sociali coinvolti ( come le scuole, ospedali, ONG), combinata alla mancanza di informazioni tra i Rom ha contribuito al fallimento del progetto”.

Questi spiega che i potenziali datori di lavoro imponevano delle condizioni assurde. Per esempio, una ditta che si occupa della pulizia delle strade richiedeva dieci anni di scolarizzazione. Un’altra ditta ancora, per un impiego come lavavetri esigeva da un Rom la conoscenza dell’inglese.

“L’inserimento lavorativo… tutte balle!!”, afferma Mandache.

“Noi vogliamo lavorare, ma non abbiamo un’occupazione” aggiunge Dragnea, 55 anni. “Per lavorare come guardia, una ditta richiede almeno otto anni di educazione scolastica. Viviamo grazie ai sussidi per i bambini. Non abbiamo nient’altro. Tra 400 persone, solo due o tre lavorano nel villaggio. Se tutti avessimo un’istruzione, la situazione sarebbe sicuramente diversa.”

Fino a due anni di età, un bambino di una famiglia sotto la soglia di povertà può ricevere dallo stato fino a 65 euro mensili. Dopo i due anni, la cifra si riduce a 12 euro al mese.

Nemmeno l’agricoltura è una buona alternativa: praticata in cooperative durante il periodo comunista, è declinata dopo che la riforma agraria ha riconsegnato le terre ai vecchi proprietari, i quali non avevano né i soldi né gli strumenti per lavorare i campi. A lungo abbandonata, la terra ora è molto difficile da coltivare.

“L’agricoltura non è più un’attività lucrativa” spiega Cutitaru “E’ difficile qui a Barbulesti coltivare: non abbiamo gli strumenti e la terra non è fertile.”

Il villaggio ha circa 100 ettari di terra coltivabile.

Oggi, molti dei rom di Barbulesti lavorano come commercianti ambulanti, in particolare nel settore tessile e nel vestiario. “Se andate in qualche mercato in Romania… troverete sicuramente dei rom da Barbulesti” dice Cutitaru.

La sezione di Ialomita dell’Agenzia Nazionale per il Lavoro progetta di assumere 150 rom per tre mesi durante l’estate per svolgere lavori nella comunità. Riceveranno un salario minimo dall’ Agenzia, spiega Mandache.

Ma questa è solo una goccia nell’oceano. Cutitaru ha promesso di far pressione sulle ditte che faranno i lavori di modernizzazione a Barbulesti affinché assumano dei rom.

Scalare la scala sociale

Cutitaru è stato eletto nell’ottobre del 2006, tre mesi dopo che Barbulesti ha ottenuto l’autonomia da un villaggio vicino e quindi il diritto ad eleggere il loro proprio sindaco.

Tra sette candidati, egli ha ottenuto il 55% dei voti al primo turno.

Cutitaru è considerato l’intellettuale del paese, dicono i concittadini. Egli infatti ha frequentato le scuole per otto anni e ha fatto poi un apprendistato come tappezziere. Ha lavorato a lungo come mediatore culturale nelle scuole e il suo obiettivo era quello di portare a scuola tutti i bambini rom del paese.

“Avevo un compito veramente difficile!” afferma “ Se i bambini mancavano per più di tre giorni consecutivi, andavo a casa loro e cercavo di convincere i genitori a rimandarli a scuola. Il giorno dopo, andavo in classe con loro. Compravo loro pasticcini e latte. Era particolarmente difficile con i bambini più piccoli, perché non conoscevano per nulla il romeno. Dovevo insegnarglielo. Ora, sono alle scuole secondarie. Voglio vedere dove arriveranno questi ragazzi.”

Cutitaru è orgoglioso di avere nel suo paese 12 ragazzi diplomati alle scuole superiori, tra cui i suoi 5 figli, specialmente considerando il fatto che l’istituto più vicino si trova a 20 chilometri da Barbulesti.

“Se la gente ha un’istruzione, la loro mentalità cambia. E’ una battaglia a lungo termine. I cambiamenti possono avvenire in decine di anni, non in una notte. Se una persona ha 10 o 12 anni di scolarizzazione, può trovare molto più facilmente la sua strada.” afferma.

Ci sono circa 1100 bambini , la maggior parte rom, che frequentano la scuola di Barbulesti, un numero significativo rispetto alla grandezza del villaggio. Alcuni cittadini dicono che il merito è in parte degli sforzi di Cutitaru.

Ma non tutti apprezzano Cutitaru. Dragnea dice che il sindaco ha realizzato poco. “Distribuiscono i sussidi quando vogliono” dice Dragnea riferendosi al governo “Cutitaru non ha fatto nulla di speciale.”

Membro del Partito pro Europa, Cutitaru è in politica da 16 anni. É stato una membro dell’amministrazione di Armasesti, il paese di cui Barbulesti faceva parte fino allo scorso anno. Era conosciuto come il sindaco non ufficiale dei rom.

“Ho condotto la mia campagna visitando tutti. Ho parlato a tutti per farmi conoscere.” Dice Cutitaru “Ho riflettuto prima di fare questo. Ho calcolato i problemi che avrei incontrato. … Se non riuscirò a fare ciò che mi sono ripromesso, non mi candiderò per un nuovo mandato. Se invece ci riuscirò, mi candiderò una seconda volta.”

Non ha molto tempo. Cutitaru è stato eletto in elezioni speciali, tra due regolari votazioni. Rimarrà in carica ancora un anno e mezzo.

 
Di Fabrizio (del 30/07/2007 @ 09:24:17, in Europa, visitato 2344 volte)

Da Radio Praha [18-07-2007] By Rosie Johnston

Le prime notizie sulle sterilizzazioni di donne Rom risalgono agli anni '70. Esperti sospettano che oltre 2.000 donne nella Repubblica Ceca, siano state sterilizzate contro la loro volontà. Sin dal 1991 almeno 85 donne ed un uomo hanno presentato reclami all'ombudsman ceco, asserendo di essere stati sterilizzati contro la loro volontà. Vybor pro lidska prava a biomedecinu (Commissione per la biomedicina ed i diritti umani), una struttura governativa, questa settimana ha suggerito che lo stato dovrebbe creare un fondo per compensare queste donne. La somma sarebbe di circa 200.000 CZK,o 10.000 $, a vittima. Ma il ministro responsabile ha rigettato l'idea, mentre i gruppi romanì considerano le misure insufficienti. Kumar Vishvanathan è un attivista dei diritti romanì di Ostrava:

In questa nazione, la sterilizzazione delle Romnià è proseguita negli anni '70 ed '80, sotto il regime comunista. Durante questo periodo, è stata un'attività gestita dallo stato, come è successo in Svezia, facendo finta che fossero le donne stesse a voler essere sterilizzate. Spesso alle donne venivano fatti dei "regali", come un sacco di carbone, una lavatrice ecc. Penso che fosse un buon alibi, queste donne non avevano possibilità di dire "No, non voglio il vostro sacco di carbone, invece voglio avere bambini!".Non c'era la possibilità di dire così sotto il regime totalitario. Disgraziatamente, questa pratica è continuata sino oggi. Conosciamo casi di tre anni fa.

Lo stato non può più offrire "regali" alle donne che passano attraverso ciò, quindi che incentivi offrono oggi alle donne per questa operazione?

Dopo il 1991, lo stato se n'è lavato le mani. Dal nostro punto di vista lo stato è ancora responsabile, perché non ha preso nessuna misura perché la comunità medica riceva una formazione adeguata per non lavorare in stato di inerzia. Oggi continuano a lavorare come facevano nel passato. Non ci sono stati gradini proattivi da parte dello stato per rafforzare i controlli sul consenso responsabile.

Cosa pensi della recente proposta di Vybor pro Biomedicinu, che lo stato dovrebbe compensare queste donne o che lo debbano fare gli stessi ospedali?

Pensiamo che lo stato debba assumersi le proprie responsabilità. Diamo il benvenuto all'idea che lo stato crei un fondo per compensare queste donne. La nostra sola osservazione  è che la compensazione non sia limitata ai soli casi avvenuti prima del 1991. C'è poi un altro problema, che le cartelle mediche di alcune donne sono state distrutte dagli ospedali che ha compiuto queste operazioni. Oggi, è molto difficile per queste donne provare che i loro casi sono reali.

Il compenso proposto da Vybor di 200.000 Corone, è sufficiente secondo il vostro punto di vista?

Su questo posso solo dare la mia personale opinione, ma le donne Rom dovranno decidere loro se è accettabile. Secondo me, è una somma inadeguata, ma la parola finale resta alle Romnià.

 
Di Fabrizio (del 11/08/2007 @ 09:17:35, in Europa, visitato 1535 volte)

BELGRADO -- Un graffito "Morte ai Rom" è stato scritto sul muro di una casa abitata da una famiglia Rom.

Le famiglie Rom che vivono nel distretto di Borča, alla periferia di Belgrado, affermano di temere attacchi.

L'uomo sul cui muro è apparsa la scritta, Emin Gani, dice che la sera prima c'era stata una grande festa, e che l'unico motivo potrebbe essere l'invidia.

"Non ho dormito tutta la notte, continuo a guardare dalla finestra. Non so cosa fare, se dovremmo lasciare il quartiere oppure no. Non so dove andare," dice Gani.

Dragan Stanković, del Consiglio Nazionale Rom e membro del consiglio comunale, dice che questo non è il primo incidente motivato dall'odio contro i Rom del quartiere.

Dice che la migliore soluzione sarebbe che i tribunali diventassero più attivi e severi.

I tribunali sono deboli. La polizia ferma chi scrive i graffiti, ed il giudice li rilascia e firma un rapporto. A questa gente è permesso di girare nuovamente libera e fare quel che vogliono," dice Stanković.

Secondo statistiche del Partito Rom, il numero di attacchi contro i Rom in Serbia resta immutato, quasi uno al giorno.

Il partito afferma che l'unico cambiamento positivo è che i Rom ora denunciano i crimini contro di loro, ma in molti non hanno un'esperienza positiva con gli ufficiali dello stato.

 
Di Fabrizio (del 17/08/2007 @ 10:59:58, in Europa, visitato 1999 volte)
Da crj-mailinglist

La questione rom, dopo essere stata argomento spesso strumentale di polemica politica, esplode in questi giorni di agosto grazie all'eco della stroncatura europea nei riguardi dell'Italia. L'Italia è infatti accusata dall'Europa di non applicare la "direttiva contro la discriminazione basata sulla razza e le origini etniche". E' prima di tutto necessario chiarire alcuni aspetti, intimamente legati a quella che assume le proporzioni di una vera emergenza umanitaria.

I cittadini rom di nazionalità rumena sono a tutti gli effetti cittadini europei, ogni discriminazione nei loro riguardi è doppiamente illecita, oltre che ingiusta. Per quanto riguarda la popolazione di origine jugoslava ed in particolare kosovara essa è vittima delle guerre che si sono succedute in quella martoriata regione.I rom della Jugoslavia e del Kosovo sono sfuggiti alle vendette e alle epurazioni etniche che negli ultimi anni hanno assunto le proporzioni di un moderno progrom.

continua

 

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