La famiglia patriarcale di Dibran Izeir, 12 persone tra figli, nuore e
nipoti, residente a Livorno da sette anni, si è iscritta all'Unione Inquilini
nel 2009 per uno sfratto di morosità con sentenza del giudice, non essendo
riuscita a pagare i 1500 euro al mese richiesti in Piazza Cavallotti.
Nei due costosi appartamenti limitrofi erano stati abbandonati dal Comune
di Pisa, dopo il fallimento e la conclusione di "Città sottili" che ha lascato
in eredità 50 sfratti per morosità a Pisa e dintorni.
A settembre 2009 è iniziata la difficile trattativa tra Unione Inquilini e
assessorato al sociale, coinvolgendo anche la Fondazione Michelucci, al fine di
trovare una soluzione per la famiglia.
Grazie all'impegno dell'ex assessore Maria Pia Lessi e alle nostre pressioni,
l'amministrazione di Pisa, che a settembre aveva dichiarato concluso ogni
impegno nei confronti della famiglia di Dibran, è stata coinvolta ed ha
accettato di dare un sostegno economico, per dare il tempo al comune di Livorno
di reperire una soluzione abitativa alternativa.
A questo fine è stato coinvolto l'assessore Picchi con il suo ufficio casa,
che ha individuato una possibile soluzione in una struttura ex–Asl abbandonato
da 8 anni ma sostanzialmente in buone condizioni.
Tutto bene dunque: nei primi mesi 2010 la delibera è pronta, manca solo la firma
del Sindaco, ma a questo punto salta il banco: l'assessore Lessi si dimette,
Picchi lascia la delega alla casa e per ben 7 mesi il Sindaco non riassegna
queste importantissime deleghe.
E' la fine di un sogno per questa famiglia dopo che per 12 mesi l'Unione
Inquilini è riuscita a mantenerli in casa, grazie anche alla sensibilità
dimostrata nel corso dei quatto picchetti, dall'ufficiale giudiziario e dagli
avvocati della controparte, che hanno seguito insieme a noi l'evolversi della
trattativa. Non c'è stato più niente da fare per l'assenza di interlocutori
istituzionali a Livorno, a garanzia egli impegni presi.
La famiglia è stata costretta a lasciare la dimora di Piazza Cavallotti.
Da parte nostra continueremo a seguire l‘evolversi del caso: i bambini non
devono perdere la scuola, frequentata regolarmente da 5 anni a Livorno, dove
sono ben inseriti con il nonno e la famiglia.
Il giorno 8 ottobre, nell'incontro con il Sindaco intendiamo riaffermare le
nostre proposte e la necessità di concludere il percorso iniziato da Lessi e da
Picchi.
GIUGLIANO (5 ottobre) - Un muro traccerà la linea di confine tra le imprese e
le nuove case dei rom. La barriera di mattoni alta tre metri, finanziata dalla Provincia, assieme a una
nuova ordinanza di sgombero, farà scattare a breve il conto alla rovescia per
portare gli ex nomadi fuori dalla zona Asi.
Dopo anni di braccio di ferro tra gli imprenditori e le associazioni, venerdì se
ne discuterà in Prefettura. Sul tavolo le modalità di trasferimento e,
probabilmente, di selezione dei 120 rom – sui quasi seicento presenti da metà
degli anni Ottanta all’interno dell’area industriale - che dovranno alloggiare
nel villaggio attrezzato dal Comune, sempre a pochi passi dall’Asi. Addio
baracche di legno e lamiere, senza acqua e senza luce, ma solo per una parte
delle famiglie, in pratica. Di soluzioni abitative alternative, infatti, finora
non si è mai discusso, né era andato a buon fine il tentativo di
provincializzare - cioè di spostare in altri comuni - i rom in esubero.
Sul destino degli ex nomadi restano vigili le associazioni che già a dicembre
2009 erano scese in campo per strappare la sospensione dell’ordine di sgombero
della Procura, legato all’inquinamento delle aree. Ora, però, i tempi sembrano
maturi per andare avanti. Le condizioni per far scattare il piano ci sarebbero
quasi tutte. Il villaggio attrezzato del Comune potrebbe essere completato entro
ottobre con l’installazione dei 24 alloggi prefabbricati. Mentre si attende che
sia tutto pronto il Comune paga un istituto di vigilanza per proteggere l’area
dai vandali...
I capi del Pdl e della Lega di Milano, il Sindaco e il Vicesindaco del
capoluogo lombardo e tutti gli altri illustri esponenti delle istituzioni locali
e nazionali, che in queste ultime settimane hanno animato l'incredibile gazzarra
sulle 25 case ai rom di via Triboniano, dovrebbero semplicemente chiedere scusa
ai cittadini e alle cittadine.
Lo farebbero, se gli fosse rimasto ancora un briciolo di dignità, perché la
realtà che sta emergendo, dopo settimane di politica politicante ed urlante,
ci consegna la fotografia di un'ignobile montatura elettorale, fatta da bugie,
prese per i fondelli e violazioni di regole ed accordi sottoscritti.
L'ultimo atto di questa imbarazzante e disgustosa commedia l'abbiamo letto
stamattina su il Giorno di Milano, che accanto al solito ritornello decoratiano
del "verranno sgomberati", riporta le dichiarazioni del Prefetto di Milano, Gian
Valerio Lombardi, il quale dichiara, invece, che il campo di via Triboniano non
verrà sgomberato. Anzi, trattandosi di un campo regolare e non abusivo,
sgomberarlo "sarebbe come intervenire in una casa privata; si commetterebbe
reato". In altre parole, bisogna trovare soluzioni concordate.
E bene ha fatto, dunque, la Casa della Carità a pubblicare sul suo sito web
finalmente la dettagliata e documentata
cronistoria degli ultimi mesi. Nulla di nuovo, beninteso, nel senso che non
rivela certo segreti, ma in cambio mette in fila quei fatti, coperti e nascosti
da settimane di fango.
Infatti, i 25 (venticinque) appartamenti non sono stati sottratti ai milanesi
in graduatoria per una casa popolare, poiché vuoti, abbandonati e bisognosi di
ristrutturazione. E quindi, la Giunta regionale ha deliberato il 5 agosto
scorso, all'unanimità, dunque Lega compresa, di toglierli da patrimonio Erp
dell'Aler. La ristrutturazione sarebbe stata gestita dal Comune di Milano e
finanziata da un apposito stanziamento di 300mila euro del Ministro Maroni.
Riassumiamo. Il Triboniano è un campo comunale e regolare e suoi residenti
sono regolari e quindi non possono essere sgomberati. Quindi, volendo liberare
l'area, visto che si trova sulla traiettoria dell'Expo, il Comune, la Regione e
il Ministero degli Interni, gestiti tutti quanti dalle stesse forze politiche,
cioè Pdl e Lega, hanno deciso di concordare con la Casa della Carità un piano,
al fine di trovare soluzioni alternative e negoziate per le 104 famiglie
riconosciute del Triboniano.
A tal fine, sono già stati firmati, dai rappresentanti del Sindaco e del
Ministro, alcuni accordi, relativi all'ingresso negli appartamenti dei primi 11
nuclei familiari.
Ma poi, qualcuno si è ricordato della campagna elettorale e del bilancio
disastroso dell'amministrazione Moratti e ha pensato bene di riesumare un po' di
campagna razzista contro i rom, che funziona sempre.
A questo punto, però, il re è nudo e non rimangono che due strade. La prima ci
porta fuori dalla democrazia e dalla Costituzione e consiste nel fissare
formalmente il principio che in Italia c'è un'etnia a cui è inibito l'accesso ad
alcuni servizi e diritti. La seconda è quella di porre fine alla gazzarra,
assumersi le proprie responsabilità e trovare delle soluzioni.
La scelta sta unicamente alla Moratti, a De Corato e a Maroni.
L'assessore Matteo Sassi propone: "Una casa popolare anche per le
giovani coppie di nomadi, purché lavorino e mandino a scuola i figli".
REGGIO. E se le campine non fossero l'unica soluzione per l'integrazione dei
nomadi? Ne è convinto l'assessore comunale al welfare Matteo Sassi che dopo le
dichiarazioni del sindaco Delrio - "i soldi per proseguire in questo momento non
ci sono e il provvedimento è fermo" - lancia il suo progetto. Un progetto per
molti versi innovativo e che, probabilmente, farà discutere. "Non mi sogno certo
di chiedere a un capo famiglia Sinti di lasciare il campo e le sue tradizioni
per sposare un progetto casa - dice Sassi - ma se noi investiamo nelle giovani
coppie, allora possiamo invitarle a partecipare alle graduatorie per
l'assegnazione degli alloggi popolari. E' un modo per avere un'integrazione vera
che ci possa permettere di ricacciare la paura".
LE CRITICHE. Invitare i giovani nomadi a "gareggiare" per avere una casa
popolare, potrebbe provocare reazioni pesanti, in particolare tra i reggiani. "Sulle giovani generazioni - aggiunge l'assessore - possiamo avviare un progetto
con punti saldi precisi: scolarizzazione, casa e lavoro. Il principio cardine
sul quale deve basarsi il nostro ragionamento politico è il superamento della
logica del campo nomadi. I cittadini forse non lo sanno, ma su una popolazione
nomade residente in città di 800 persone, solo 300 vivono nei campi. I reggiani
non si sono accorti che sono in realtà decine le campine sparse per la città. Il
mio obiettivo è che per il cittadino, il Sinto sia una persona e non un demone.
Ecco perché dove si è realizzato un percorso di integrazione vero, si sono
ottenuti risultati ottimi. Campine sì, campine no? Non mi faccio certo
calamitare da un dibattito che non mi appartiene".
NESSUN PRIVILEGIO. L'assessore poi ci tiene a precisare. "Lo strumento che
propongo - spiega - parte dalle condizioni economiche di una coppia giovane.
Potremo dare loro una casa se ne faranno richiesta e senza alcun privilegio, ma
solo se avranno diritto ad accedervi. Questa è la differenza tra noi e quanto
succede a Milano. Dove una persona, in quanto nomade, non ha nemmeno la
possibilità di accedere ai servizi abitativi". Poi un accenno su quanto
dichiarato dal sindaco in merito ai tagli agli enti locali. "Il sindaco -
aggiunge Sassi - ha riportato al tema attuale degli enti locali. Il tentativo
del governo è quello di destrutturare il meccanismo degli enti locali. La
manovra incide a questo livello. Le campine, al pari delle altre opere
pubbliche, sono progetti congelati. Basta fare un esempio: da aprile ad oggi il
Comune ha speso meno della metà sulle manutenzioni straordinarie. Questo tanto
per dare il senso della crisi economica che incombe anche su di noi".
LE SOLUZIONI. Secondo Sassi per affrontare nel migliore dei modi il "problema"
nomadi, il ragionamento politico da fare abbraccia anche la nascita delle campine.
"Perché fare le campine? - si chiede l'assessore - L'obiettivo vero è
superare i campi nomadi. La campina non è il fine, ma il superamento dei campi è
il traguardo da tagliare. Le microaree sono sempre state uno strumento per
farlo. Non lo strumento, ma uno strumento. Il punto politico è il superamento
del campo che non permette una vera integrazione sociale e culturale. Finché non
si arriva a un punto di incontro, la soglia dei pregiudizi e della paura non si
abbassa".
CONTINUITA'. "Non abbiamo ripensato la nostra politica - ha detto nei giorni
scorsi il sindaco Delrio alla Gazzetta -, la prospettiva di arrivare a chiudere
i campi nomadi è una prospettiva che come amministratori locali abbiamo tutti, e
che si pone all'interno di un programma nazionale di riduzione dei campi nomadi.
Il tema di via Gramsci è da avviare a soluzione, ma va detto che la prima
micro-area è stata allestita con finanziamenti regionali. Oggi, però, hanno
tagliato tutti i fondi. I soldi per proseguire in questo momento non ci sono, e
il provvedimento è fermo. Mancano le risorse: le difficoltà che riguardano i
reggiani purtroppo riguardano anche loro". E' su queste basi che si fonda
un'altra proposta di Sassi. "Per abbassare il livello di paura dei cittadini -
dice - proviamo a rendere più visibili le condizioni in cui vivono i nomadi nei
campi. Allora i reggiani si accorgeranno di quanto avviene in quelle aree.
Conoscendo quella realtà, la si potrà vivere senza paura".
(red.) Potrebbe finalmente trovare una soluzione la questione che ha visto
contrapposti comune di Brescia e comunità sinti sulla questione del campo di via
Orzinuovi (leggi
qui,
qui e
qui).
La parola fine potrebbe essere definitivamente messa con il cosiddetto
"Patto di cittadinanza", un documento, approvato da entrambe le parti, che
consente la permanenza temporanea delle famiglie di sinti nel campo alla
periferia della città e obbliga l'Amministrazione a bonificare l'area entro
febbraio 2011.
Secondo quanto previsto nell'accordo, che è al centro di un incontro
promosso da Arciragazzi, Cgil e Fondazione Piccini in programma sabato alle 21
nella Casa del Popolo di via Risorgimento 18, la Loggia "procederà alla chiusura
del campo allo scadere dell'anno di validità del Patto, prorogando eventualmente
i tempi dello sgombero per massimo tre mesi, in funzione del rispetto o meno
delle regole stabilite e dell'impegno assunto nella ricerca di proposte
alternative di collocazione".
Il Patto ha ottenuto il sì anche di Damiano Galletti, segretario della
Cgil di Brescia (leggi
qui) che si era battuta per una bonifica del campo, e da Donatella Albini,
consigliere comunale.
Le venti famiglie attualmente nel campo di via Orzinuovi vi potranno rimanere
fino al completamento dei lavori, al termine dei quali cinque di esse saranno
trasferite in un altro contesto con il supporto del comune.
I sinti, per rimanere nel campo, saranno tenuti a rispettare il
pagamento di alcune quote (leggi
qui).
L'accordo prevede anche che in ogni piazzola possano sostare due caravan,
mentre nell'area attrezzata per famiglie non potranno fermarsi altri mezzi.
Una volta avvenuta la bonifica dell'area, ogni nucleo familiare dovrà
versare al comune 150 euro al mese per i consumi elettrici. 50 euro in più nel
caso in cui nella piazzola fosse presente più di una famiglia.
La spesa per l'acqua, invece, sarà suddivisa in base al numero degli
occupanti, calcolato al 50% per i bambini al di sotto dei 12 anni e secondo i
consumi effettivi.
Inoltre, i sinti dovranno pagare 47 euro mensili per lo spazio occupato. La
manomissione e/o il danneggiamento delle strutture presenti nell'area
comporteranno invece l'allontanamento delle famiglie responsabili.
De Corato (Pdl): "Se cominciamo a dare le case ai Rom, ne arriverà un
milione". Salvini (Lega): "Nessuno fa politica nella Lega per dare privilegi a
chi vive nei campi".
Trascinata fino alle soglie della nuova campagna elettorale per le prossime
comunali, a Milano l'emergenza nomadi stenta a trovare una conclusione.
Nonostante i milioni di euro stanziati dal ministero dell'Interno, la
maggioranza di centro destra litiga sulle soluzioni.
Le ambizioni di Roberto Maroni si infrangono sui muri del più grande campo di
Milano, quello di via Triboniano, dove l'assegnazione di alcune case comunali ha
fatto insorgere Lega e Pdl. Il Comune fa marcia indietro, ma i contratti ci
sono, e i Rom portano Maroni e la Moratti in tribunale.
A proposito:
Nell'ambito della campagna DOSTA! di Milano
12 novembre - ore 18-20.30 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, via Romagnosi
3 MILANO "Rom: a Milano si può? Politiche abitative (e altro): soluzioni possibili" Saluti: Carlo Feltrinelli presidente della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli
Introduzione: un esponente dell'UNAR; Alfredo Alietti, Upre Roma, docente di
sociologia università degli studi di Ferrara
Testimonianze: don Massimo Mapelli, Casa della Carità; abitanti dei campi;
Interventi: Laura Balbo, docente di sociologia università degli studi di Padova;
Antonio Tosi, docente di sociologia urbana al Politecnico di Milano; Tommaso
Vitale, Scientific Director of the Master "Governing the Large Metropolis" CEE,
Sciences Po Paris
E' stata invitata Mariolina Moioli, assessore alle politiche sociali Comune di
Milano.
Di Fabrizio (del 26/11/2010 @ 09:17:02, in casa, visitato 2267 volte)
Corriere della SeraFamiglia nomade fa sgomberare gli abusivi:
quell'alloggio era assegnato a noi
MILANO - Rosa quasi non ci credeva più, e invece. Dieci anni di attesa ma
alla fine anche lei e la sua famiglia - marito e quattro figli, sinti italiani
del campo di via Idro - dopo tutta la trafila erano riusciti a scalare la
classifica dell'Aler e ottenere una casa. Peccato solo che quando si sono
presentati a prenderne possesso l'abbiano trovata già abusivamente occupata. Da
una famiglia italiana a sua volta, che solo ieri è stata a sua volta sfrattata:
inizialmente aveva pensato di rivolgersi a sua volta alla Casa della Carità, ma
in serata ha evidentemente trovato il modo di arrangiarsi altrimenti.
«Adesso ci manca soltanto - ironizzava ieri don Virginio Colmegna con amarezza -
che qualcuno scateni la campagna sugli italiani che vengono sfrattati per far
posto agli zingari...».
L'episodio, in verità, rappresenta un capitolo parallelo rispetto al problema
dello svuotamento di quell'altro - più famoso - campo rom di via Triboniano:
quello interessato dalle polemiche degli ultimi mesi sulle famose case Aler che
il Piano Maroni sottoscritto dal Comune destinava, prima che il Comune stesso
cambiasse idea, ai percorsi di uscita dei suoi occupanti. Un'area complessa, una
parte della quale - il vecchio settore bosniaco - si è peraltro già svuotata
quasi del tutto un po' alla volta senza tanto rumore, attraverso gli itinerari
più vari e l'individuazione di alloggi anche sul mercato privato: salvo la
presenza di un'ultima famiglia, attualmente «circondata» dalle altre di origine
romena tuttora in attesa di una soluzione.
Ma la famiglia di Rosa non c'entrava nulla con tutto questo. Quella di
Rosa, come altre famiglie italiane del campo di via Idro, è solo una di quelle
che da molti anni hanno fatto una semplice, regolare domanda in cui segnalare i
propri requisiti per l'assegnazione di una casa popolare. E alla fine Rosa ce
l'ha fatta: presentatevi in via Vincenzo da Seregno - diceva la lettera che le
era arrivata qualche giorno fa - e andate a vivere nella casa che vi è stata
assegnata. Solo che quando ci sono arrivati hanno trovato la porta chiusa e
un'altra famiglia già dentro da anni. Anche in questo caso una donna con un
marito e quattro figli, di origine calabrese. La variazione sul tema è che
questa volta gli abusivi erano loro, e a dover chiedere l'intervento della
polizia sono stati gli «altri».
La polizia è intervenuta ieri. E così nel pomeriggio è stato lui, l'occupante
abusivo italiano, a ritrovarsi in strada con i mobili: le sue proteste davanti
alle telecamere e ai fotografi non sono servite. E oggi la famiglia di Rosa,
salvo sorprese, entrerà nella sua nuova casa.
Di Fabrizio (del 14/12/2010 @ 09:26:55, in casa, visitato 1638 volte)
Il presidente del Tribunale di Busto ha disposto la riunione dei
fascicoli: il processo civile per l'area del campo di via Lazzaretto ripartirà
nel 2011
La causa civile tra Comune e famiglie del campo Sinti di via Lazzaretto
riprenderà a gennaio: il presidente del Tribunale di Busto Arsizio ha disposto
che i fascicoli dei singoli procedimenti (nove, in mano a tre giudici diversi)
siano riuniti e affidati ad un unico giudice. L'udienza è stata fissata per il
25 gennaio: il legale del gruppo di famiglie del campo chiederà probabilmente
l'ammissione di alcuni testimoni, per ricostruire la tesi sostenuta fin
dall'inizio, vale a dire che tra Comune e Sinti non vi fosse un contratto vero,
ma una proposta unilaterale.
Anche se spesso si parla di comunità Sinti, in realtà in via Lazzaretto (nella
foto) abitano nuclei famigliari distinti, per ognuno dei quali è stato avviato
un procedimento di sfratto: da questo è nato l'allungamento dei tempi del
processo. Parallelo al percorso scelto dai 9 nuclei che si sono affidati ad un
avvocato, prosegue l'iter della causa per le altre sei famiglie: la prossima
udienza per questo gruppo è fissata martedì 21 dicembre. Anche in questo caso
probabilmente i procedimenti saranno riuniti e aggregati agli altri. E anche in
questo caso, dunque, è previsto l'ulteriore rinvio a gennaio.
Le famiglie Sinti di via De Magri furono trasferite nel
settembre nel 2007 in
via Lazzaretto, in una zona periferica tra Cedrate, Caiello e Cavaria, sulla
base di un accordo di
durata annuale. L'anno dopo l'affitto non venne rinnovato,
nonostante
non emergessero problemi particolari (la Lega invece
denunciava
degrado legato all'accumulo di rifiuti). Le associazioni cattoliche hanno sempre
criticato l'isolamento eccessivo del campo, poco favorevole a percorsi
d'integrazioni: per questo Acli, Caritas e San Vincenzo proposero anche un
progetto specifico, che però non è stato ritenuto adatto dall'Amministrazione.
Si confidava forse proprio nella possibilità dello sfratto, per cercare di
spingere le famiglie ad abbandonare l'idea della vita in comunità e in case
mobili. I tempi degli sfratti però sono risultati
ben più lunghi di quanto
previsto dall'Amministrazione.
Di Fabrizio (del 21/12/2010 @ 09:09:26, in casa, visitato 1560 volte)
In dieci si erano rivolti al tribunale di Milano per chiedere al Comune di
rispettare l'intesa sull'assegnazione di 25 alloggi popolari. Il provvedimento è
rivolto anche al ministro Maroni e al prefetto Lombardi
Il giudice Roberto Bichi, della prima sezione civile del tribunale di
Milano, ha accolto il ricorso promosso da dieci rom del campo nomadi di via
Triboniano contro la mancata assegnazione delle 25 case popolari e ha ordinato
al sindaco Letizia Moratti, al prefetto Gian Valerio Lombardi e al ministro
dell'Interno, di adempiere agli accordi firmati lo scorso settembre con la Casa
della carità, Ceas e Consorzio Farsi prossimo.
Nel ricorso i legali dei rom, Alberto Guariso e Livio Neri, elencavano tutti
i passi compiuti dalle amministrazioni citate: si va dalla dichiarazione dello
stato di emergenza rom in Lombardia, del 21 maggio 2008, fino alla
sottoscrizione dei progetti tra il 5 e il 20 settembre scorso da parte dei
ricorrenti, "del dottor Francesco Russo per conto del commissario emergenza rom
e dall'amministrazione comunale, in persona del direttore di settore dottoressa
Paola Suriano". Progetti che non solo prevedevano l'assegnazione in locazione
dei 25 alloggi ancora da ristrutturare ai tre enti sociali e l'individuazione
delle famiglie a cui assegnarli, ma che anche, rimarcavano, "recano a carico di
ciascun ricorrente-firmatario il seguente formale impegno: 'Rinuncio
all'autorizzazione alla permanenza nel campo di via Barzaghi che lascerò entro
il giorno 15 ottobre (2010), consapevole che la mancata realizzazione del
progetto per responsabilità mia o dei componenti del mio nucleo familiare
comporterà comunque la perdita del diritto a risiedere nel campo".
Poi, però, si ricordava come il 27 settembre, a una settimana dall'ultima firma
dei progetti, in una conferenza stampa convocata in prefettura il ministro
Maroni avesse "affermato che i ricorrenti (come gli altri destinatari dei 25
alloggi) non avrebbero potuto acquisire gli alloggi indicati nei rispettivi
progetti, bensì altri, che sarebbero stati reperiti facendo leva 'sul gran cuore
di Milano'". Di qui la decisione di ricorrere al giudice, che ha depositato la
decisione favorevole ai ricorrenti.
Azione urgente: Sgombero forzato di Rom in RomaniaBy Marie-Francoise
Created 17/12/2010
UA: 256/10 Index: EUR 39/007/2010
MANDATE PREGO GLI APPELLI PRIMA DEL 31 DICEMBRE 2010. Controllate se
l'ufficio postale invierà l'appello dopo la data indicata.
Le autorità di Cluj, una città nel nord-ovest della Romania, stanno
preparandosi ad effettuare lo sgombero forzato entro fine dicembre delle
comunità rom che vivono nelle vie Coastei e Cantonului. Amnesty International è
preoccupata che a quanto si riporta, le case saranno demolite ed alcune famiglie
verranno spostate in nuove unità abitative che non soddisfano i criteri di
alloggio adeguato, mentre altre si troveranno senza casa.
Il 15 dicembre, le famiglie di via Coastei hanno ricevuto una notificazione a
voce che intimava loro di rimuovere i loro averi entro il 17 dicembre, quando il
comune li avrebbe spostati in una sistemazione alternativa. Secondo il comune,
si stima che vivano in via Coastei 345 persone, 140 delle quali non hanno
residenza a Cluj, e che sono a rischio di essere rimandate al loro luogo di
residenza, sollevando preoccupazioni sul loro diritto alla libertà di movimento.
Le autorità non hanno consultato in maniera piena e partecipativa la comunità
coinvolta nei piani di sgombero. Il sindaco ha annunciato che 40 famiglie
saranno alloggiate in 40 nuove unità costruite ai margini della città nell'area
di Pata Rat, e che a quanti rifiuteranno di spostarsi non verrà offerta una
sistemazione alternativa. Quest'area, secondo le informazioni ricevute da
Amnesty International, è in prossimità di una discarica e separata dal resto
della città, così i residenti avranno difficoltà ad accedere ad opportunità di
lavoro e ai servizi pubblici, inclusi scuola e sanità.
Circa altre 429 persone (saranno 100 famiglie) risiedono in case, baracche
improvvisate e container in via Cantonului sono pure a rischio di sgombero. Il
numero di unità alloggiative proposto dalle autorità cittadine è limitato e si
prevede di ospitare solo 40 famiglie, il che solleva serie preoccupazioni per un
certo numero di persone che rimarrebbero senza casa se sgomberate.
SCRIVETE IMMEDIATAMENTE in inglese o nella vostra lingua:
Sollecitare le autorità cittadine per assicurare che qualsiasi sgombero
delle comunità che attualmente vivono nelle vie Coastei e Cantonului siano
condotti solo come ultima risorsa e nel pieno rispetto degli standard
internazionali sui diritti umani;
Chiedendo loro di assicurare che lo sgombero avvenga solo dopo una vera
consultazione con le comunità rom delle vie Coastei e Cantonului, per
identificare tutte le alternative possibili agli sgomberi e che vengano
condotte le opzioni di reinsediamento;
Esortare le autorità cittadine a fornire un adeguato alloggio
alternativo, compatibilmente con i requisiti dei diritti umani e che la
gente non venga trasferita a forza dal luogo originale di residenza senza
possibilità di ritorno.
MANDATE PREGO GLI APPELLI PRIMA DEL 31 DICEMBRE 2010. Controllate se
l'ufficio postale invierà l'appello dopo la data indicata.
Sindaco di Cluj-Napoca
Sorin Apostu
Str. Motilor 5
Cluj-Napoca 400001,
Romania
Fax: +40 264 599 329
Email: sorinapostu@primariaclujnapoca.ro
Copie al:
Primo Ministro
Emil Boc
Guvernul Romaniei
Piata Victoriei nr. 1,
Sector 1, Bucuresti
Romania
Fax: +40 21 313 98 46
Email: drp@gov.ro
Presidente
Traian Basescu
Palatul Cotroceni,
Bulevardul Geniului nr. 1-3
Cod postal 060116
Sector 6 - Bucuresti
Romania
Fax : +40 21 410 38 58
Email: procetatean@presidency.ro
Mandate anche copia alle rappresentative diplomatiche accreditate nel vostro
paese.
Ambasciata di Romania
Rue Gabrielle 105
1180 Bruxelles
eMail: secretariat@roumanieamb.be
Fax 02.346.23.45
INFORMAZIONI AGGIUNTIVE
Amnesty International ha visitato Cluj e le comunità rom che vivono nelle vie
Coastei e Cantonului nel dicembre 2010. Le comunità rom erano preoccupate
riguardo la minaccia di un possibile sgombero. Dissero ad Amnesty International
che - nei mesi precedenti - le autorità cittadine avevano annunciato che
sarebbero stati sgomberati. La comunità di Coastei è situata a circa cinque
minuti a piedi dal centro cittadino. Le famiglie ricevono la posta al loro
indirizzo e qualcuna di loro è collegata alla rete elettrica.
Le autorità cittadine hanno confermato - durante un incontro con Amnesty
International l'8 dicembre 2010 -i loro piani di spostare le famiglie da via Coastei
alle nuove unità abitative nell'area di Pata Rat. Secondo il vice sindaco, le
costruzioni di cinque unità per 20 famiglie dovrebbero terminare entro il 15
dicembre. Ha dichiarato che i futuri inquilini riceveranno contratti d'affitto a
breve termine che potrà essere prorogato. Il comune cita lamentele diverse
provenienti dalla vicina biblioteca e da una multinazionale nelle prossimità di
via Coastei, come ragione dello sgombero. Secondo il diritto internazionale, gli
sgomberi possono avvenire soltanto come ultima istanza, una volta che tutte le
alternative possibili siano state esplorate in una vera consultazione con le
comunità interessate. Inoltre le autorità hanno il dovere di fornire un adeguato
preavviso; rimedi giurisdizionali, una sistemazione alternativa ed un
risarcimento. Devono assicurarsi che le persone non vengano rese senza casa o
vulnerabili alla violazione di altri diritti umani come conseguenza dello
sgombero. Secondo gli standard internazionali, gli sgomberi non dovrebbero
avvenire particolarmente col cattivo tempo o di notte e le autorità hanno il
dovere di fornire un adeguato preavviso agli interessati.
Come stato parte della Convenzione Internazionale sui Diritti Politici e
Civili, la Romania ha anche l'obbligo di assicurare a tutti quanti risiedono
legalmente sul suo territorio, il diritto alla libertà di movimento e di
scegliere dove vivere. Per questo Amnesty International è preoccupata che le
persone non originarie di Cluj vengano rimandate ai loro luoghi di residenza
originale, il che violerebbe il loro diritto [...].
La Romania è parte di una serie di trattati internazionali e regionali sui
diritti umani che sanciscono severamente di proibire ed astenersi dagli sgomberi
forzati. Questi trattati includono la Convenzione Internazionale sui diritti
economici, sociali e culturali, la Convenzione Internazionale sui diritti
politici e civili, la Convenzione sui diritti del bambino, la Convenzione
Internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e
la Carta sociale europea. Il Comitato ONU sui diritti economici, sociali e
culturali ha sottolineato nel suo commento generale 7 che gli sgomberi devono
avvenire solo come ultima risorsa, una volta che tutte le altre alternative allo
sgombero siano state esplorate. Anche quando uno sgombero viene considerato come
giustificato, può avvenire solo quando siano messe in atto appropriate procedure
di protezione e venga fornito un indennizzo per tutte le perdite, assieme ad una
sistemazione alternativa.
UA: 256/10 Index: EUR 39/007/2010
Isavelives.be: le site d'action de la section Amnesty International Belgique
francophone - Rue Berckmans, 9 - 1060 Bruxelles. Tel: 02/538.81.77
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